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La rappresentazione della città ideale nella letteratura medievale.

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Presentazione sul tema: "La rappresentazione della città ideale nella letteratura medievale."— Transcript della presentazione:

1 La rappresentazione della città ideale nella letteratura medievale.
DANTE e FIRENZE Viaggio all’insegna dell’analisi del rapporto tra il più celebre autore medievale e la “città partita”. [Inf, canto VI, Divina Commedia] A cura di Michelin Barbara e Radovanovic Nevena [classe III Cst]

2 Firenze nella letteratura di Dante
Opposizione tra la Firenze antica e quella attuale Amore - odio di Dante per Firenze La Firenze dei Cacciaguida Amore – odio rispetto alla figura femminile [la donna nella letteratura medievale] Il ricordo degli amici La città medievale: Firenze nella letteratura di Dante Amore – odio di Dante rispetto al ruolo della Chiesa e dei suoi funzionari Il ruolo storico del santo

3 AMORE-ODIO DANTESCO PER FIRENZE
Firenze, oggetto di amore e di odio, è uno dei principali protagonisti di questa vera e propria Enciclopedia del sapere. Dai critici letterari, la Commedia, è definita come il punto di convergenza delle tensioni sentimentali dell’esule Dante, che privato della presenza fisica della città, sembra voler rapportare ad essa ogni realtà, assumendola quindi come EMBLEMA DI UNA CONDIZIONE UNIVERSALE.

4 CIACCO (Inf,canto VI) FIRENZE secondo …
“Città partita” -> DIVISIONE della città causata da SUPERBIA, INVIDIA e AVARIZIA : “le tre faville c’hanno i cuori accesi” [Simbolismo medievale] “le tre faville c’hanno i cuori accesi” si collega alle tre fiere (Inf, canto I) richiamando un’opposizione nei confronti di Dante (ostacolano la sua scesa al colle) parallela all’opposizione prannunciata da Ciacco tra le fazioni guelfe Bianca vs Nera. [Richiamo alla profezia del veltro “Questi la caccerà (la lupa) per ogne villa/ fin che l’avrà rimessa ne lo ‘inferno,/ là onde invidia prima dipartilla”.] “Parte selvaggia” -> allusione alle origini della classe fiorentina; alla dimensione “animale” dell’essere umano ^ DISILLUSIONE SPERANZE DI DANTE in un futuro migliore.

5 FARINATA GRANDE CONDOTTIERO GHIBELLINO
(Inf,canto X): è il simbolo dell’eroismo e della magnanimità dell’antica Firenze Città sede di DISCORDIA e LOTTE CIVILI -> Perdita di vite umane “Lo strazio e ‘l grande scempio/ che fece l’Arbia colorata in rosso” [Inf. X] Dissoluzione del VALORE DI PATRIA -> Distruzione della città da parte dei fiorentini; l’unico difensore è Farinata e famiglia su cui tutti si scaglieranno. ANONIMO SUICIDA (Inf,canto XIII) “Città del Batista/ mutò ‘l primo padrone” Riferimento alla leggenda che vuole Firenze consacrata a Marte e successivamente a Giovanni Battista -> INSINUAZIONE dell’Irreligiosità dei Fiorentini [ attaccati ad un residuo troncone di statua sita sul Ponte Vecchio]

6 2. Opposizione tra la firenze antica e quella attuale
L’Opposizione tra la Firenze antica e quella contemporanea viene sviluppata sul piano intellettuale nel canto XV dell’Inferno, durante l’incontro con Brunetto Latini. Nel suddetto dialogo si evidenziano alcune opposizioni fondamentali della Commedia, che ora vedremo …

7 3. OpposizionI FONDAMENTALI
Antico/nuovo Barbarie/civiltà Sterilità - Amarezza/ Felicità – Dolcezza ^^ Come sono i fiorentini secondo Brunetto Latini? “gent’avara, invidiosa e superba” [Richiamo alle 3 fiere] “lazzi sorbi” [Simbolo di sterilità] “ingrato popolo maligno” “nido di malizia” “pianta di Lucifero” ^^ Come è Firenze secondo Iacopo Rusticucci? “terra prava” “esiste ancora cortesia e valor?” “La gente nuova e i subiti guadagni orgoglio e dismisura han generata, Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni” [Inf. XVI, 73-75 ^^ Come è Dante secondo Brunetto Latini? “dolce fico” [Simbolo di fertilità] “benigno” “pianta in cui rivive la semente santa”

8 4. RAPPORTO CON LA FIGURA FEMMINILE secondo …
agostino d’ippona DEMONIZZAZIONE SESSO AMORE INTESO DAL PUNTO DI VISTA FISICO MORTIFICAZIONE DEL CORPO “Molte altre signore […] portavano segni di percosse che ne sfiguravano addirittura l’aspetto […]. Essa deplorava invece la loro lingua, ammonendole seriamente dal momento in cui si erano sentite leggere il contratto matrimoniale avrebbero dovuto considerarlo come la sanzione della propria servitù; il ricordo di tale condizione rendeva dunque inopportuna ogni alterigia nei confronti di chi era un padrone.”

9 TOMMASO D’AQUINO & la creazione della donna …
… ERA NECESSARIA ALL’ORDINE UNIVERSALE … ERA NECESSARIO CREARLA DALL’UOMO E IN FUNZIONE DI QUEST’ULTIMO … FU CREATA INSIEME ALL’UOMO IN ORIGINE

10 Ildegarda di bingen La produzione letteraria di Ildegarda si accompagnò a quella musicale. Riscoperta negli ultimi decenni, le sue composizioni sacre redatte come accompagnamento alla lettura dei salmi e delle proprie poesie, oggi sono molto apprezzate. La sequenza dedicata alla Madonna è una delle più note composte da Ildegarda. L’esaltazione della Vergine si regge sulla contrapposizione tra le sue qualità e i difetti di tutte le altre donne considerate discendenti di Eva e quindi, peccatrici.

11 O quam valde plangendum et lugendum est quod tristicia in crimine
per consilium serpentis In muliere fluxit Nam ipsa mulier quam Deus matrem omnium posuit viscera sua cum vulneribus ignorantie decerpsit, et plenum dolorem Generi suo protulit. Sed, o aurora, de ventre tuo novus sol processit, qui omnia crimina Eve abstersit et maiorem benedictionem per te protulit quam Eva hominibus nocuisset. Quanto si deve piangere e dolersi, poiché su consiglio del serpente la miseria del peccato ha colpito la donna. Fu la donna stessa Che Dio fece madre di tutti a colpire il suo cuore con le ferite dell’ignoranza e a trasmettere ai suoi figli un grosso dolore. Invece, o aurora, dal ventre tuo, è nato un nuovo sole che ha cancellato ogni crimine di Eva e attraverso di te ha recato una benedizione maggiore del danno recato da Eva agli uomini.

12 Tutte le donne di dante …
Le figure femminili che entrano in rapporto con Dante con un’effettiva identità sono davvero poche, ma buone! ( Pia de’ Tolomei, Sapia Sanese, Francesca da Rimini, Piccarda Donati, Cunizza da Romano, Beatrice e la Vergine Maria.) Chi è la donna per Dante Alighieri? È colei attraverso cui è possibile sviluppare l’intera riflessione sul tema dell’amore, a partire dalla passione carnale e peccaminosa alla più alta concezione religiosa. (dalla Teologia alla Lussuria, da Francesca da Rimini a Beatrice) ->Limite della presenza dell’elemento femminile nella “Divina Commedia”: riflesso di una società e di un’arte maschile.

13 BEATRICE Fu la donna amata, la sua musa ispiratrice: si dice che lui la vide solo una volta e non le parlò mai, o forse che la inventò. Quando morì, Dante, disperato, studiò la filosofia e si rifugiò nella lettura di testi latini, scritti da uomini che, come lui, avevano perso una persona amata. La fine della sua crisi coincide con la composizione della Vita Nuova (rinascita). Nella Divina Commedia la figura di Beatrice subisce un ulteriore processo di divinizzazione (si parla di "donna angelicata"), quale creatura celestiale che accompagna il pellegrino nel Paradiso.

14 BEATRICE: DONNA REALMENTE ESISTITA O FANTASIA DANTESCA?
Beatrice a quanto pare, è realmente esistita e non fu una creatura fantastica dantesca (come si potrebbe pensare!), infatti dal XXX e XXXI libro del Purgatorio, e precisamente da questi versi del Purgatorio, XXX [ ], si parla di un’entità vera e reale nota con il nome di Beatrice -> COLEI CHE RENDE FELICI “Quando da carne a spirto era salita E bellezza e virtù cresciuta m'era Fu'io a lui men cara e men gradita[...]” e da questi altri: “Mai non t'appresentò natura ed arte Piacer quanto le belle membra, in ch'io Rinchiusa fui, e ch'or son terra sparte…” (Purg., XXXI, 49-51)

15 disposando m'avea con la sua gemma.”
PIA de’ TOLOMEI "Deh, quando tu sarai tornato al mondo, e riposato de la lunga via", seguitò 'l terzo spirito al secondo. Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che 'nnanellata pria disposando m'avea con la sua gemma.” [Purgatorio V, ] La bella Pia nasce a Siena da una famiglia fra le più importanti e ricche della città; un casato di ricchi banchieri, ma dal quale usciranno anche dei beati di primo ordine, come quel Bernardo che nel 1319 fonderà il grandioso complesso monastico di Monte Oliveto Maggiore, nelle Crete Senesi. Come ogni rampolla di nobile famiglia che si rispetti, già vedova in giovane età, non poté sottrarsi dalla tradizione dei matrimoni combinati e pertanto, dovette sposare un rappresentante di un’altra importante famiglia, quella di Nello dei Panocchieschi, matrimonio che fu INFELICE, secondo il racconto dantesco poiché il ricco e potente marito, la uccise o la fece uccidere.

16 Questa donna caratterizzata dalla gentilezza, figura che Dante incontrerà alle pendici della montagna del Purgatorio, e precisamente nel luogo dove dimorano le anime di quelli che “furono per forza morti e peccatori infino a l’ultim’ora”, viene rappresentata tramite una vicenda terrena che non può, non suscitare pena e commozione. SAPIA SENESE Sapìa Salvani fu una gentildonna senese ed è poi protagonista di un episodio nel Purgatorio dantesco. Forse per odio politico contro il nipote, a capo della fazione ghibellina di Siena, fu invidiosissima dei suoi concittadini: per tale motivo, quando ebbe luogo la battaglia di Colle, desiderò che la sua città fosse sconfitta e si rallegrò della strage avvenuta.SapIa fu però anche donna caritatevole, come dimostra la fondazione da parte sua nel 1265 (dopo la morte del marito) di un ospizio per i pellegrini, detto di Santa Maria.

17 PICCARDA DONATI [Pd. III, 46-49]
“I' fui nel mondo vergine sorella; e se la mente tua ben sé riguarda, non mi ti celerà l'esser più bella , ma riconoscerai ch'i' son Piccarda.” [Pd. III, 46-49] Figlia di Simone Donati, Piccarda è sorella di Forese, l'amico di gioventù di Dante, nonchè cugina della moglie di Dante, Gemma Donati. La famiglia Donati appartiene,dunque, alla sfera privata della vita di Dante, in particolar modo vi appartiene l’episodio della monacazione della bella e giovane Piccarda. Commento di U. Bosco della presente figura femminile in chiave dantesca… “[…] Il poeta dovette intuire il dolore e la rassegnazione silenziosa, che mai cede al rancore, della vita di Piccarda accanto al marito che le era stato imposto e su questi sentimenti costruì la sua salvezza eterna e la fece portavoce della necessità del beato, come dell'uomo, di accordare la sua volontà a quella di Dio per raggiungere la personale pienezza. Piccarda, infatti, "teorizza, ma insieme rivive la sua personale esperienza, il suo dolore per un evento che aveva interrotto quella dedizione totale. La patina di sottile malinconia ... non è certo della beata, pienamente felice nel sentire come sua la volontà di Dio, ma è tutt'una cosa con la rassegnazione dolorosa della Piccarda terrena […]. ”

18 CUNIZZA DA ROMANO [Pd. IX]
“… D'una radice nacqui e io ed ella: Cunizza fui chiamata, e qui refulgo perché mi vinse il lume d'esta stella; ma lietamente a me medesma indulgo la cagion di mia sorte, e non mi noia; che parria forse forte al vostro vulgo …” [Pd. IX] Appartenente alla famiglia degli Ezzelini, nata intorno al 1198, sposò giovanissima il conte Riccardo di San Bonifacio. Tornati i contrasti tra le due famiglie, su istigazione del padre e dei fratelli, fu rapita dal poeta di corte Sordello da Goito che la ricondusse alla casa paterna. Cunizza si innamorò ardentemente di lui e ciò causò la cacciata dalla corte trevigiana di Sordello che, per sottrarsi alle ire del marchese inferocito, riparò in Provenza. Abbandonata dal galante poeta, si consolò molto presto con un cavaliere trevigiano e una volta morto, sposò Aimerio dei conti di Breganze. Morto anche questi, Cunizza, che non era il tipo da stare a lungo in gramaglie, passò ad altre nozze con un veronese. Nel 1260,dopo il crollo della potenza degli Ezzelini, si rifugiò a Firenze, presso i parenti della madre e, nel 1265, trovandosi a casa di Cavalcante Cavalcanti, padre del poeta stilnovista Guido, affrancò i servi della sua famiglia e qui conobbe lo stesso Dante .

19 Gli antichi commentatori che la definivano "figlia di Venere" attribuendole molti amanti e sono concordi nel dipingerla come una donna lussuriosa a tal punto che, come lei stessa diceva, a chi le avesse chiesto cortesemente amore, sarebbe stata gran villania non concederlo, attestano altresì che la sua intensa passione carnale si allargò, negli anni della maturità, all'amore in un senso più lato, sfociando in un profondo senso religioso. Dante, che ebbe modo di conoscerla a Firenze ormai dedita all'amore religioso, dovette sentire in lei il merito e la grandezza della passione e amore carnali trasformati in passione e amore nel più vasto senso spirituale e per questo la colloca nel Paradiso dove le fa affermare: « … lietamente a me medesma indulgo la cagion di mia sorte, e non mi noia; che parria forse forte al vostro vulgo… »

20 FRANCESCA DA RIMINI [Inf. V]
“… Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense.“ Queste parole da lor ci fuor porte… ” Paolo e Francesca sono due figure di amanti a cui è dedicato buona parte del V canto della Divina Commedia di Dante Alighieri. In vita furono amanti e adulteri (Francesca era infatti sposata a Gianciotto, fratello di Paolo) e questo amore li condusse alla morte per mano appunto del marito di Francesca. Nei versi immortali di Dante, Francesca spiega al poeta come tutto accadde: leggendo il libro che spiegava l'amore tra Lancillotto e Ginevra, i due trovarono calore e passione, l'uno nelle braccia dell'altra. [Inf. V]

21 CONCETTO DI ADULTERIO ->
Il viaggio di Dante infatti non ha un ruolo prettamente "turistico", di semplice illustrazione il mondo ultraterreno, ma attraverso questa sua esperienza egli vuole dare l'esempio all'umanità su come guadagnarsi la salvezza. E la storia dei due amanti rappresenta la prima tentazione debellata dal poeta, non senza grande sforzo e straziante complicità emotiva con i dannati, al punto che per la pietà egli stesso alla fine del canto sviene perdendo i sensi. CONCETTO DI ADULTERIO -> In realtà Dante non vede una colpa in sé nella pulsione amorosa, ma il peccato ne nasce quando nell'attuare questa pulsione si viene meno ai precetti dei comandamenti, come quello sulla fornicazione e quello appunto di adulterio. Chi è Francesca? Non è una creatura idealizzata o angelicata come Beatrice, è fragile e vive in maniera suggestiva e sognante; Donna vera, nobile e gentile, priva di qualità volgari, presa da un ardente desiderio, passione e avvinta da Amore; Caratteristiche: gentilezza, nobiltà e delicatezza di sentimento; CONCETTO DI AMORE che risiede solo in un cuore gentile come vera e propria NECESSITÁ [triplice anafora “Amor”]; MORTE = AMORE.

22 Parte I della “Divina Commedia” :
L’ INFERNO

23 Canto I Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.[…] l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone. Questi parea che contra me venisse con la test’ alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse. Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza. E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista; tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace.

24 GOLOSI Canto VI Ed elli a me: "La tua città, ch’è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena. […] Io li rispuosi: "Ciacco, il tuo affanno mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita; ma dimmi, se tu sai, a che verranno li cittadin de la città partita; s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione per che l’ha tanta discordia assalita". E quelli a me: "Dopo lunga tencione verranno al sangue, e la parte selvaggia caccerà l’altra con molta offensione. Poi appresso convien che questa caggia infra tre soli, e che l’altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia. Alte terrà lungo tempo le fronti, tenendo l’altra sotto gravi pesi, come che di ciò pianga o che n’aonti. Giusti son due, e non vi sono intesi; superbia, invidia e avarizia sono le tre faville c’hanno i cuori accesi". […]

25 sempre con l’arte sua la farà trista;
VIOLENTI CONTRO SE STESSI Canto XIII […] I’ fui de la città che nel Batista mutò ’l primo padrone; ond’ ei per questo sempre con l’arte sua la farà trista;

26 La tua fortuna tanto onor ti serba,
VIOLENTI CONTRO DIO Canto XV […] Ma quello ingrato popolo maligno che discese di Fiesole ab antico, e tiene ancor del monte e del macigno, ti si farà, per tuo ben far, nimico; ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi si disconvien fruttare al dolce fico. Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent’ è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi. La tua fortuna tanto onor ti serba, che l’una parte e l’altra avranno fame di te; ma lungi fia dal becco l’erba. Faccian le bestie fiesolane strame di lor medesme, e non tocchin la pianta, s’alcuna surge ancora in lor letame, in cui riviva la sementa santa di que’ Roman che vi rimaser quando fu fatto il nido di malizia tanta“ […]

27 fa che di noi a la gente favelle". […]
VIOLENTI CONTRO DIO Canto XVI […] "La gente nuova e i sùbiti guadagni orgoglio e dismisura han generata, Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni". Così gridai con la faccia levata; e i tre, che ciò inteser per risposta, guardar l’un l’altro com’ al ver si guata. "Se l’altre volte sì poco ti costa", rispuoser tutti, "il satisfare altrui, felice te se sì parli a tua posta! Però, se campi d’esti luoghi bui e torni a riveder le belle stelle, quando ti gioverà dicere “I’ fui”, fa che di noi a la gente favelle". […]

28 E detto l’ho perché doler ti debbia!". […]
LADRI Canto XXIV […] Pistoia in pria d’i Neri si dimagra; poi Fiorenza rinova gente e modi. Tragge Marte vapor di Val di Magra ch’è di torbidi nuvoli involuto; e con tempesta impetüosa e agra sovra Campo Picen fia combattuto; ond’ ei repente spezzerà la nebbia, sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto. E detto l’ho perché doler ti debbia!". […]

29 Canto XXVI Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
CONSIGLIERI FRAUDOLENTI Canto XXVI Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai, di qua da picciol tempo, di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. E se già fosse, non saria per tempo. Così foss’ ei, da che pur esser dee! ché più mi graverà, com’ più m’attempo […]

30 Parte II della “Divina Commedia” : Il PURGATORIO

31 ma con dar volta suo dolore scherma.
NEGLIGENTI MORTI DI MORTE VIOLENTA Canto VI Atene e Lacedemona, che fenno l’antiche leggi e furon sì civili, fecero al viver bene un picciol cenno verso di te, che fai tanto sottili provedimenti, ch’a mezzo novembre non giugne quel che tu d’ottobre fili. Quante volte, del tempo che rimembre, legge, moneta, officio e costume hai tu mutato, e rinovate membre! E se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te somigliante a quella inferma che non può trovar posa in su le piume, ma con dar volta suo dolore scherma. […] Fiorenza mia, ben puoi esser contenta di questa digression che non ti tocca, mercé del popol tuo che si argomenta. Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca per non venir sanza consiglio a l’arco; ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca. Molti rifiutan lo comune incarco; ma il popol tuo solicito risponde sanza chiamare, e grida: "I’ mi sobbarco!". Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde: tu ricca, tu con pace e tu con senno! S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde.

32 SUPERBI Canto XI […] Colui che del cammin sì poco piglia dinanzi a me, Toscana sonò tutta; e ora a pena in Siena sen pispiglia, ond’ era sire quando fu distrutta la rabbia fiorentina, che superba fu a quel tempo sì com’ ora è putta. […]

33 Canto XVI IRACONDI non mi celar chi fosti anzi la morte, ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco; e tue parole fier le nostre scorte". "Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco; del mondo seppi, e quel valore amai al quale ha or ciascun disteso l’arco. Per montar sù dirittamente vai". Così rispuose, e soggiunse: "I’ ti prego che per me prieghi quando sù sarai". E io a lui: "Per fede mi ti lego di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego. Prima era scempio, e ora è fatto doppio ne la sentenza tua, che mi fa certo qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio. Lo mondo è ben così tutto diserto d’ogne virtute, come tu mi sone, e di malizia gravido e coverto; ma priego che m’addite la cagione, sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui; ché nel cielo uno, e un qua giù la pone". "Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?", diss’ io. Ed elli a me: "Tu vero apprendi, e d’iracundia van solvendo il nodo". "Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi, e di noi parli pur come se tue partissi ancor lo tempo per calendi?". Così per una voce detto fue; onde ’l maestro mio disse: "Rispondi, e domanda se quinci si va sùe". E io: "O creatura che ti mondi per tornar bella a colui che ti fece, maraviglia udirai, se mi secondi". "Io ti seguiterò quanto mi lece", rispuose; "e se veder fummo non lascia, l’udir ci terrà giunti in quella vece". Allora incominciai: "Con quella fascia che la morte dissolve men vo suso, e venni qui per l’infernale ambascia. E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso, tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte per modo tutto fuor del moderno uso,

34 AVARI E PRODIGHI Canto XX […] Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia con la qual giostrò Giuda, e quella ponta sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia. […] GOLOSI Canto XXIII Tempo futuro m’è già nel cospetto, cui non sarà quest’ ora molto antica, nel qual sarà in pergamo interdetto a le sfacciate donne fiorentine l’andar mostrando con le poppe il petto. Quai barbare fuor mai, quai saracine, . cui bisognasse, per farle ir coperte, o spiritali o altre discipline? Ma se le svergognate fosser certe di quel che ’l ciel veloce loro ammanna, già per urlare avrian le bocche aperte; ché, se l’antiveder qui non m’inganna, prima fien triste che le guance impeli colui che mo si consola con nanna.

35 Parte III della “Divina Commedia” : Il PARADISO

36 Canto XI LA PECULIARITÁ DEL S. FRANCESCO DI DANTE: LA POVERTÁ;
SPIRITI SAPIENTI Canto XI LA CONDANNA DELLE CURE TERRENE; I DUBBI DI DANTE E LA PRESENTAZIONE DI S. FRANCESCO E S. DOMENICO; LA DELIMITAZIONE SPAZIALE DEL LUOGO DI NASCITA E LA METAFORA DEL SOLE; LA PECULIARITÁ DEL S. FRANCESCO DI DANTE: LA POVERTÁ; IL PROSELITISMO E LE TRE APPROPRIAZIONI DELLA REGOLA; LA MOTIVAZIONE STORICA E MORALE DATO ALLA BIOGRAFIA DEL SANTO; LA CRITICA ALL’ORDINE DOMENICANO.

37 Canto XV LA DESCRIZIONE DI FIRENZE ANTICA (richiamo a Cacciaguida);
SPIRITI COMBATTENTI PER LA FEDE Canto XV L’AMORE COME ARMONIA UNIVERSALE; LE SIMILITUDINI ASTRALI; IL PARAGONE CON ENEA E ANCHISE E IL SIGNIFICATO DELL’INCONTRO CON CACCIAGUIDA; IL TONO ALTO ORATORIO DEL DISCORSO DI CACCIAGUIDA; LA BREVE DISQUISIZIONE TEOLOGICA DI DANTE E LA SUA DOMANDA SULL’AVO; LA DESCRIZIONE DI FIRENZE ANTICA (richiamo a Cacciaguida); LA CONCEZIONE PATRIARCALE DELLA FAMIGLIA A FIRENZE EMBLEMA DEL MONDO; LA VITA CRISTIANA DI CACCIAGUIDA

38 “Le città Invisibili” di Italo Calvino
Questo mondo globalizzato e problematico ad alto rischio di autodistruzione, la città moderna votata ad una crescita indiscriminata, diventano nelle Città invisibili (1972) di Calvino lo spunto per un viaggio mentale e atemporale nell’immaginario, una sorta di fuga e nello stesso tempo di riflessione reale... “Le città Invisibili” di Italo Calvino ...sul visibile, sulla storia e sul rapporto uomo/natura, civiltà/ambiente, attraverso il sogno, il desiderio, la metafora, il meraviglioso.

39 Bauci è città assente, invisibile per eccellenza
Dopo aver marciato sette giorni attraverso boscaglie, chi va a Bauci non riesce a vederla ed è arrivato. I sottili trampoli che s’alzano dal suolo a gran distanza l’uno dall’altro e si perdono sopra le nubi sostengono la città. Ci si sale con scalette. A terra gli abitanti si mostrano di rado: hanno già tutto l’occorrente lassù e preferiscono non scendere. Nulla delle città tocca il suolo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle giornate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame. Tre ipotesi si dànno sugli abitanti di Bauci: che odino la Terra; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto; che la amino com’era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giù non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza.

40 Ottavia Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città-ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone. Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.

41 “Le Città Invisibili” sono, secondo le parole di Calvino, «un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città», un atto di difesa delle città e del mondo in generale attraverso il recupero di alcuni valori; sono anche un omaggio alla fantasia e alla mente del “viaggiatore”, sia esso narratore o lettore; quest’opera appartiene ad un ciclo compositivo lontano dall’angoscia, dall’interiorità dell’avanguardia del primo Novecento. “Le Città Invisibili ...un libro fatto a poliedro, alla ricerca di chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”

42 IL SANTO Subisce una deformazione in funzione di una conferma di appartenenza ad una categoria di perfezione cristiana; Il santo è visto come una figura ripetitiva nella vita, cambia solamente la cornice spazio-tempo; (Fine dello scorso secolo) Saintyves Pierre, membro di una corrente critica, sostiene che i santi cristiani siano i successori degli dei del paganesimo [analogia luoghi di culto]; Il culto dei santi non ha origine medievale [Eredità dei Primi Secoli].

43 I MARTIRI MEDIATORI E PATRONI
Martiri: soli santi venerati dai Cristiani; Non hanno nulla in comune con eroi greci o romani [MORTE COME FRONTIERA INVALIDANTE TRA DIO E L’UOMO]; IL SANTO è UN UOMO MEDIANTE CUI SI STABILISCE UN CONTATTO TRA CIELO E TERRA; nascita -> festa cristiana; [IV sec.]Paolino da Nola e Ambrogio da Milano propongono ai fedeli delle comunità di acquisire i santi come intercessori; Le caratteristiche del santo patrono: lealtà reciproca + amicizia.

44 P.Brown -> culto dei martiri
PIANO PRIVATO; PIANO LITURGICO; Manomissione delle catacombe romane da parte di papa Damaso [invenzione reliquie santi Gervaso e Protasio (Milano, 385)] Sono collocati tra la città ed i suburbia dove si trovano i cimiteri ed i martyria, piccoli santuari che ospitavano le reliquie;

45 PRESTIGIO DELL’ASCETISMO: l’incanto dell’Oriente
Confessori della fede [S. Atanasio], eremiti e stiliti [ideale di santità]->Celebrità Penetrazione influenze ascetiche a partire dalla seconda metà del IV secolo; I SANTI DIFENSORI DEL POPOLO [Fine V sec] Oriente -> Crescita prestigio imperiale; Occidente -> il vescovo diviene custode delle reliquie e difensore della città; L’Occidente dell’alto medioevo è caratterizzato da figure di capi religiosi e di fondatori profondamente impegnati nella vita attiva ->CHIESA = animatrice società

46 Bibliografia “La Divina Commedia” [Edizione integrale] a cura di S. Jacomuzzi, A. Dughera, G. Ioli, V.Jacomuzzi (Sei); “L’uomo medievale” a cura di J. Le Goff (Editori Laterza); “I peccati delle donne nel Medioevo” di G.Duby (Editori Laterza); “Le città invisibili” di Italo Calvino;


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