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Teorie delle audience Prof. Romana Andò

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Presentazione sul tema: "Teorie delle audience Prof. Romana Andò"— Transcript della presentazione:

1 Teorie delle audience Prof. Romana Andò
Teoria e analisi delle audience Perchè studiare i media? 27/03/2017

2 I Cultural studies

3 Cultural Studies: un’introduzione
I cultural studies non sono una disciplina accademica come le altre. Non possiedono né una metodologia ben definita, né un campo di indagine chiaramente delineato. I cultural studies riguardano, certamente, lo studio della cultura o, più analiticamente, lo studio della cultura contemporanea. (S. During, 2004)

4 Cultural Studies: impossibili da definire perché…
Cultural Studies oggi non vuol più dire soltanto Scuola di Birmingham: ci sono tradizioni dei Cultural Studies molto differenziate fra loro; ci sono studiosi che rientrano a pieno titolo nei Cultural Studies pur non sapendolo (Radway); i Cultural Studies sono interdisciplinari (tra sociologia e semiotica, fra sociologia e l’antropologia post-coloniale, tra criticismo letterario e pensiero marxista, etc.). i Cultural Studies hanno un’anima etnometodologica e si caratterizzano per la riflessione sui metodi qualitativi (Researching Culture, P. Alasuutari).

5 Cultural studies: 2 concetti di base
La soggettività (subjectivity): i cultural studies studiano la cultura in relazione alle vite individuali. “la cultura ci aiuta a riconoscere che una qualunque pratica quotidiana (come il leggere) non può essere separata dalla più ampia rete delle altre pratiche quotidiana (come il lavoro, l’orientamento sessuale, la vita familiare)”. (S. During, 2004) La cultura (culture): “per i cultural studies, “culture” non è un’abbreviazione di “high culture”, considerata un oggetto a valore costante nel tempo e nello spazio”. (S. During, 2004). La cultura è un intero stile di vita, che si compone tanto attraverso le istituzioni e i comportamenti del quotidiano, quanto attraverso l’arte e la letteratura.

6 La cultura 1) la cultura conta; 2) la cultura siamo noi; 3) la cultura è una pratica; 4) la cultura è conflitto (perché in alcuni autori è vista come un luogo in cui si scontrano ideologie) [dal manifesto programmatico di Ben Agger] Da qui, l’attenzione al decentramento dei canoni classici della cultura, e alla produzione, distribuzione e consumo. Il significato non sta nei testi, ma nemmeno nelle persone che li producono o tanto meno in quelle che li leggono. Il significato sta contemporaneamente in tutte queste componenti.

7 Di cosa parliamo, quando parliamo di cultura
la cultura è “un orizzonte che recede ogni qualvolta uno gli si approssimi” (S. Benhabib, La rivendicazione dell’identità culturale). “Che sia così sfuggente non dovrebbe stupire. Parlare della cultura implica infatti un paradosso: il nostro costituirla come un oggetto di discorso è esso stesso - in quanto discorso, cioè pratica linguistica e culturale - parte dell’oggetto che intende descrivere” (Jedlowsky, Urbino 2007).

8 Non esistono fatti, se non interpretati (Schutz)
Per Weber la cultura è “una sezione finita dell'infinità priva di senso del divenire del mondo, alla quale è attribuito senso e significato dal punto di vista dell'uomo” La cultura è ciò che svolge per gli esseri umani la funzione di determinare il significato della vita e delle azioni che in essa sono possibili. La cultura è ciò che dà forma alla realtà quale la percepiamo e che inquadra le nostre condotte, permettendo al contempo l'elaborazione della nostra esperienza. La cultura è l'ambito della vita sociale deputato alla mediazione simbolica dell’esistenza (Jedlowsky, Urbino 2007).

9 Cultura e linguaggio “le azioni e le relazioni umane prendono forma attraverso una duplice ermeneutica: identifichiamo ciò che facciamo attraverso la descrizione che ne diamo, la parola e l’atto sono ambedue originari, nel senso che pressoché ogni azione umana che […] sia socialmente significativa, viene colta come un certo tipo di azione attraverso le descrizioni che gli individui agenti o gli altri ne forniscono” (S. Benhabib)

10 Cultura come vita La cultura è indissolubilmente intrecciata con i vissuti e le pratiche degli attori sociali. La cultura non esiste se non come una "forma di vita" (secondo la celebre espressione di Wiliams, è “a whole way of life”): studiarla è studiare come le persone danno senso alla realtà e alle cose che fanno, studiare gli oggetti che li circondano e i modi in cui vivono quotidianamente. La cultura si riproduce nella vita dei soggetti concreti e da questi viene costantemente riformulata e innovata.

11 Le origini: l’approccio culturalista

12 Le origini: la “great tradition” di Leavis
I Cultural Studies nascono come campo di studi negli anni ’50, sulla base delle riflessioni di Frank Raymond Leavis nella rivista “Scrutiny”. Leavis puntava ad utilizzare il sistema educativo inglese per diffondere la conoscenza e l’apprezzamento della grande tradizione letteraria inglese, contro la minaccia proveniente dalla cultura di massa commercializzata. Cultura alta educazione.

13 Cultural studies: tra cultura alta e cultura popolare
L’opposizione alla cultura di massa da parte di Leavis presupponeva la necessità di dimostrare la superiorità (estetica) del canone classico. Tale dimostrazione passava attraverso l’analisi letteraria dei testi sia della cultura “alta” che di quelli della “cultura popolare”. Il confronto tra i testi, condotto attraverso il close reading (ovvero l’interpretazione empatica dei testi, sulla base di conoscenze letterarie pregresse), rappresenta il primo spazio di discussione intellettuale sulla cultura popolare. VS Cultura alta Cultura popolare

14 Da Leavis ai Cultural Studies
Richard Hoggart e Raymond Williams sono considerati i primi esponenti dei Cultural studies. Entrambi provenienti dalla classe operaia e entrambi insegnanti interpretarono l’approccio di Leavis in modo ambivalente: da una parte riconoscevano che i testi letterari inglesi erano più ricchi di quelli della cultura di massa; dall’altra l’insegnamento di Leavis non trovava punti di contatto con le forme comuni di vita della classe operaia.

15 Richard Hoggart: The Uses of Literacy (1958)
Questa ambivalenza si trova nel testo di Hoggart (“a schizophrenic book”): la prima parte è un’esaltazione sentita e sentimentale delle tradizionali comunità industriali degli operai, ancora relativamente non toccate dalla cultura di massa, la seconda parte è un attacco critico e pratico alla moderna cultura di massa.

16 Richard Hoggart: The Uses of Literacy (1958)
The Uses of Literacy si concentra sul quotidiano “come categoria culturale della cultura operaia britannica”. Questa viene descritta come “vita piena e ricca” di rituali del lavoro e del tempo libero, studiata e conosciuta attraverso l’esperienza personale: il vissuto come base dell’analisi scientifica. Ad essa si contrappone la cultura di massa americana, accusata di far perdere il carattere di classe e la coscienza comune del proletariato.

17 Il CCCS di Birmingham Nel 1964 Hoggart fonda il Birmingham Centre for Contemporary Cultural Studies. La direzione di Hoggart durerà fino al 1968. L’interesse per le forme della cultura popolare e per la loro componente politica caratterizza altri due studiosi: R. Williams e E.P. Thompson, anche essi provenienti dall’insegnamento per gli adulti.

18 Raymond Williams: Culture and Society (1958), The Long Revolution (1961)
Dalla sua prima definizione di cultura come “intero stile di vita […] come modalità di interpretazione delle nostre esperienze comuni”, Williams arriva a concepire la cultura come modo di vivere, che si esprime tanto attraverso le istituzioni e i comportamenti del quotidiano, quanto attraverso l’arte e la letteratura. I vari elementi della cultura, in relazione tra loro, vengono interpretati come espressioni di una struttura di sentimenti, come valori di un gruppo, una classe, una società … da leggere come forme culturali.

19 E. P. Thompson: The Making of the English Working Class (1963)
Alla base del pensiero di Thompson c’è l’idea del conflitto (“whole way of struggle”) tra forme di cultura diverse. Egli parla di una cultura popolare, attiva in senso anti-egemonico, che deve confrontarsi positivamente con la cultura dominante. La cultura di massa viene, qui, demonizzata in quanto accusata di eliminare lo spirito di opposizione- ribellione della classe operaia.

20 Le parole chiave dell’approccio culturalista
La great tradition: la cultura alta Il close reading: l’analisi letteraria Il vissuto come base dell’analisi scientifica La cultura come stile di vita La cultura come luogo di conflitto

21 La tradizione strutturalista: la funzione politica della cultura

22 La politica in crisi di identità
Thompson aveva indicato che l’identità della classe operaia in quanto classe operaia aveva sempre avuto una forte componente politica e conflittuale, non essendo un prodotto di particolari interessi o valori culturali. Ma la frammentazione della tradizionale e più antica cultura operaia, tra gli anni ’50 e ’70, mostrava come la gente non si identificava più in quanto soggetti lavoratori e che la dimensione politica dell’identità diveniva sempre meno significativa.

23 Il ruolo politico della cultura
Negli anni ’70 la cultura comincia, dunque, ad essere indagata dal punto di vista della sua funzione politica. La cultura viene letta come “ideologia” e come “egemonia”, intendendo con questo concetto una relazione di dominio che non viene vista (e vissuta) come tale da chi la subisce.

24 L’ideologia nel pensiero di Althusser
Gli individui sono costrutti dell’ideologia. L’ideologia è l’insieme dei discorsi e delle immagini che costituiscono la conoscenza diffusa degli uomini: il senso comune. L’ideologia serve allo stato (e al capitalismo) a riprodurre se stesso, senza la minaccia di una rivoluzione. L’ideologia “cambia ciò che era politico, parziale e aperto al cambiamento in qualcosa che sembri “naturale”, universale ed eterno” (S. During 2004)

25 L’ideologia dominante
Il ruolo primario dell’ideologia è quello di costruire un ritratto “immaginario” della vita civile all’interno della quale i soggetti sono rappresentati come liberi e unici. Gli individui accolgono l’ideologia così facilmente perché essa li aiuta a “dare senso” al mondo, e perché in essa si vedono indipendenti e forti. Sia nel privato (si veda Lacan e la funzione dell’ideologia in quanto produttrice di false soluzioni alle tensioni private e familiari) che nella vita politica.

26 Il senso comune “sono proprio la sua qualità “spontanea”, la sua trasparenza, la sua “naturalità”, il rifiuto che oppone a far esaminare i principi su cui è fondato, la sua resistenza ai cambiamenti o alle correzioni, il suo effetto di riconoscimento immediato, e il circolo chiuso in cui si muove, che rendono il senso comune simultaneamente “spontaneo” ideologico e inconscio. tramite il senso comune non si può apprendere come stanno le cose: si può solo scoprire qual è il loro posto nello schema esistente delle cose” (Hall in Hebdige p. 14)

27 Ideologia: da Marx … Nell’Ideologia tedesca Marx evidenzia come la struttura economica del capitalismo sia nascosta alla coscienza degli agenti della produzione. Marx parla in proposito di falsa coscienza.

28 … ad Althusser Il concetto di ideologia riguarda
“il rapporto vissuto dagli uomini col loro mondo. Questo rapporto non si rivela “cosciente” se non a condizione di essere inconscio […]. Nell’ideologia, infatti, gli uomini esprimono non i loro rapporti con le loro condizioni di esistenza, ma il modo in cui vivono i loro rapporti con le loro condizioni di esistenza, la qual cosa suppone al tempo stesso, un rapporto reale e un rapporto “vissuto”, “immaginario”. L’ideologia è allora l’espressione del rapporto degli uomini col loro “mondo”, ossia l’unità (surdeterminata) del loro rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le loro reali condizioni di esistenza” (Althusser 1965)

29 L’atmosfera della vita umana
Perchè studiare i media? 27/03/2017

30 L’ideologia in Althusser
“l’ideologia ha ben poco a che vedere con la “coscienza” […]. Essa è profondamente inconscia […]. Per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma soprattutto sono strutture e come tali si impongono alla stragrande maggioranza degli uomini senza passare attraverso la loro “coscienza”. Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che agiscono sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro” (Althusser in Hebdige, p. 14)

31 La consapevolezza dell’ideologia
Non si può scegliere di uscire dall’ideologia, ma si può scegliere di “conoscerla il più approfonditamente possibile, riconoscerla il più in fretta possibile e, attraverso il proprio lavoro interpretativo, sempre e necessariamente incompleto, lavorare per trasformarla” (Spivak 1988, tr. it. p.38)

32 Dall’ideologia all’egemonia
Il concetto di egemonia, nell’accezione di ideologia dominante (Gramsci 1977), appare in grado di spiegare come la cultura (anche mediale) concorra a perpetuare la società classista dominata da una classe. Per egemonia si intende un insieme di idee dominanti che permeano una società,ma in modo tale da far sembrare sensato, pacifico e naturale l’assetto vigente di potere. (McQuail 1983) L’egemonia tende a liquidare l’opposizione allo status quo come dissidenza o devianza

33 L’egemonia in Gramsci Secondo Gramsci non è lo Stato a essere responsabile dell’egemonia, ma la società civile, con le sue istituzioni, i sistemi educativi, la famiglia, la chiesa, i mass media e la cultura popolare. Il consenso è un processo in continuo divenire, frutto di un patteggiamento e non un indottrinamento guidato.

34 Potere ed egemonia “il potere, chiaramente, è qualcosa di infinitamente complesso e contraddittorio, non è mai condensato in un unico luogo, circola dappertutto, è diffuso lungo tutto il tessuto sociale. Come ci ha insegnato Gramsci, un potere che sia capace di inquadrare la società all’interno di un nuovo progetto storico deve operare egemonicamente, deve necessariamente intrecciare i modi di pensare, i media, la cultura, la lingua, la filosofia, l’economia, la cultura popolare, la Chiesa ecc.” (Hall, Mellino, 2007, p.41)

35 Cultura popolare ed egemonia
La cultura popolare viene intesa come il campo di battaglia su cui i punti di vista dominanti si assicurano la propria egemonia: “un campo di battaglia permanente, i cui parametri sono definiti solo parzialmente dalle condizioni economiche; […] al fine di raggiungere la leadership culturale il gruppo dominante deve impegnarsi in negoziazioni con i gruppi, le classi e valori in opposizione - e queste negoziazioni devono dar luogo a mediazioni autentiche” (Turner 1990)

36 Gramsci nei Cultural Studies
I CS ritrovano in Gramsci la possibilità di appoggiarsi ad un marxismo non determinista e non economicista, attento al ruolo di istituzioni popolari come la chiesa e a quello degli intellettuali, capace di tematizzare la cultura come il campo di lotte per l'egemonia fra le classi. Una prospettiva insomma che riesce a vedere come le classi subalterne siano contemporaneamente influenzate da quelle superiori ma anche capaci di resistere a questa influenza, e come la cultura sia un campo di orientamenti in divenire costante, dove al venir meno di certe "sottoculture" (come quella della classe operaia) corrisponde il sorgere di altre (come quelle giovanili)

37 La resistenza e l’inglobamento
“L’egemonia non esiste in maniera passiva come forma di dominio. Deve essere costantemente rinnovata, ricreata, difesa e modificata” (Williams 1977). “La cultura popolare non è la cultura imposta dai teorici della cultura di massa, né un emergere dal basso, spontaneo di una qualche cultura di opposizione […] Piuttosto è un terreno di scambio delle due forze: un terreno […] marcato dalla resistenza e dall’inglobamento”. (Storey 1993, in Grandi 1999)

38 Il potere: Foucault L’idea di egemonia non come data a priori dall’alto, ma come terreno di scontro è vicina al concetto di “potere” di Michel Foucault. Non esiste un potere unico, dall’alto, ma reti di rapporti di potere. “come sarebbe indubbiamente facile smantellare il potere, se esso si limitasse a sorvegliare, spiare, sorprendere, proibire e punire. Ma esso incita, suscita, produce; non è semplicemente occhio e orecchio, ma fa agire e parlare” (La vita degli uomini infami, in Archivio Foucault pag. 259)

39 Il potere: Foucault Il dominio è stabile e violento. Il potere è fluido e ribaltabile. Le azioni degli uomini avvengono all’interno di una rete di poteri e sono esse stesse un modo per ribaltare i rapporti e crearne di nuovi. Il discorso è il luogo dell’articolazione produttiva del potere e del sapere.

40 Il discorso: Foucault Per Foucault il discorso è un insieme di performance verbali, di sequenze di enunciati cui si possono attribuire delle particolari modalità di esistenza. “così concepito il discorso non è la manifestazione, maestosamente sviluppata di un soggetto che pensa, conosce e dice: si tratta, invece, di un insieme in cui si possono determinare la dispersione del soggetto e la sua discontinuità con se stesso” (L’archeologia del sapere 1971).

41 I discorsi del potere “L’analisi del discorso […] può divenire il mezzo attraverso il quale le posizioni ideologiche dei singoli si mostrano e si inseriscono in un contesto sociale, favorendo l’analisi del modo in cui il multiforme uso del linguaggio si interseca con il potere”. Seguendo Foucault le “relazioni di potere sono mantenute dall’infinita catena di espressioni che “mobilitano” significati nel mondo sociale; […] al modo in cui la storia è prodotta e la società si riproduce” (Bianchi, Demaria, Nergaard, 2002, 16)

42 Un terreno di scontro “L’ideologia è così divenuta non solo una ‘forza materiale’ – reale perché è ‘reale’ nei suoi effetti – ma anche un terreno di scontro (tra definizioni in concorrenza) una scommessa – un premio da vincere – nella attuazione di particolari strategie di lotta” (Hall 1982)

43 Le parole chiave dell’approccio strutturalista
La funzione politica della cultura L’ideologia e l’egemonia Il discorso come luogo dell’articolazione del potere La cultura popolare come campo di battaglia La dimensione ideologica dei media I testi mediali come segni

44 Stuart Hall e l’ideologia nei media
Con la direzione di Hall del CCCS dal 1968 al 1979, i Cultural studies si arricchiscono del contributo della filosofia post-strutturalista e della psicanalisi post- freudiana, dell’approccio semiotico e dell’antropologia strutturale contemporaneamente ad una nuova interpretazione del concetto marxista di ideologia. La cultura, e in particolare i testi mediali, vengono letti come campo di confronto per la definizione dei significati e analizzati in termini di effetti dell’ideologia.

45 L’ideologia nei media e gli effetti di realtà
La presenza dell'ideologia nei mass media ha come effetto il suo eclissarsi all'interno di messaggi che appaiono come naturali descrizioni della realtà: 'Vero' significa credibile, o almeno capace di conquistare credibilità in quanto affermazione basata su fatti Hall parla, in questo caso, di "effetto di realtà“ da cui derivano alcune conseguenze: la "naturalizzazione" delle rappresentazioni ideologiche del mondo, la polisemicità del linguaggio e il processo di significazione inteso come risultato di un conflitto non riducibile alla lotta di classe, in quanto le forme culturali sono considerate relativamente autonome dalle condizioni economiche.

46 Gli effetti dell’ideologia
Secondo Hall, l’attività ideologica si presenta come la possibilità dei mass media di definire la linea di demarcazione “tra spiegazioni preferite ed escluse, tra comportamenti ammessi e devianti, tra ‘ciò che è privo di senso’ e ‘ciò che è pieno di senso’ tra pratiche, significati e valori integrati e di opposizione” (Hall 1979)

47 L’egemonia e i media I mass media non definiscono di per sé la realtà, ma danno spazio alle definizioni dei detentori del potere. I media agiscono per il mantenimento del potere non attraverso “la trasmissione diretta di istruzioni[…] ma grazie alla messa in forma dell’intero ambiente ideologico, un modo di rappresentare l’ordine delle cose […]” (Hall 1982)

48 L’egemonia e i media Il ruolo “consensuale” dei media non è più individuato nel loro riflettere un consenso già presente a livello sociale, ma nel partecipare alla costruzione stessa di tale consenso che si articola “liberamente” attorno a definizioni della situazione interne alla “cornice di ciò su cui ciascuno concorda”.(Hall 1982)

49 Il processo di comunicazione
Quadri di conoscenza Relazioni di produzione Infrastrutture tecniche Decodifica Strutture di significato 2 Codifica Strutture di significato 1 Programma come discorso “significato”

50 Il processo di comunicazione
Il processo comunicativo può essere, a grandi linee, spiegato in questo senso: alle strutture istituzionali televisive “con le loro pratiche e network produttivi, relazioni organizzate e infrastrutture tecniche, è richiesto di produrre un programma”. “La produzione, in questo contesto, costruisce il messaggio. Da un certo punto di vista, quindi, il circuito comincia qui” (Hall, Tele-visioni pag. 69)

51 La forma discorsiva Un evento grezzo “non può essere trasmesso nella sua forma originaria da un notiziario televisivo. Gli eventi possono essere comunicati solo dentro le forme audiovisive del discorso televisivo”. Le strutture televisive devono produrre messaggi codificati, nella forma di un discorso dotato di senso” (Hall, Tele-visioni pag )

52 La forma discorsiva nel processo comunicativo
“Il processo produttivo ha un suo aspetto “discorsivo” in quanto è, a sua volta inserito in una struttura di significati e di idee” “è nella forma discorsiva che avviene sia la circolazione del prodotto che la sua distribuzione a diversi tipi di pubblico” “affinché il circuito sia completo ed efficace, il discorso una volta realizzato, deve essere tradotto – cioè nuovamente trasformato – in pratiche sociali” (Hall, Tele-visioni pag )

53 La mancanza di equivalenza
“i codici di codifica e decodifica possono non essere perfettamente simmetrici. Il grado di simmetria – cioè i gradi di “comprensione” e di “fraintendimento” nello scambio comunicativo – dipende dal livello di simmetria/asimmetria (relazioni di equivalenza) stabilitosi tra le posizioni delle “personificazioni”, codificatore-produttore e decodificatore-ricettore” Lo squilibrio può dipendere da differenze strutturali (di relazione e posizione) o da differenze di codici. (Hall, Tele-visioni pag. 72)

54 Denotazione e connotazione
Il termine “denotazione” indica il significato letterale del testo: “poiché questo significato letterale è riconosciuto in maniera quasi universale […] la “denotazione” è stata spesso confusa con una trascrizione letterale della “realtà” nel linguaggio, e quindi con un “segno naturale”, prodotto senza l’intervento di un codice” “La “connotazione” è utilizzata per indicare significati associativi meno fissi e quindi più convenzionali e trasformabili” (Hall, Tele-visioni pag. 75)

55 L’ideologia nel discorso
Nel discorso i segni mescolano sia gli aspetti denotativi che connotativi. “I segni sembrano acquisire il loro pieno valore ideologico, ovvero sembrano aprirsi all’articolazione con discorsi e significati più ampi, al livello dei significati “associativi” (cioè al livello connotativo), perché qui i “significati” apparentemente non sono fissati dalla percezione naturale (cioè non sono completamente naturalizzati) e la fluidità di significati e di associazioni può essere sfruttata e trasformata più pienamente”. “A questo livello, possiamo vedere più chiaramente l’intervento attivo delle ideologie nel discorso e su di esso” (Hall, Tele-visioni pag )

56 L’ideologia nei media La polisemia del segno connotativo non deve essere scambiata per pluralismo. I significati connotativi non sono tutti uguali tra loro. “qualunque società/cultura tende, con diversi livelli di chiusura, ad imporre le sue classificazioni del mondo sociale e culturale e politico. Queste costituiscono un ordine culturale dominante, che tuttavia non è né univoco né incontrastato”. (Hall, Tele-visioni pag. 77)

57 L’ideologia nei media Qualunque società (struttura produttiva) tende ad imporre le proprie “mappe di significato” e a comporre la dimensione connotativa in un “ordine culturale dominante” I significati dominanti/preferiti non sono né univoci, né incontrastati. Tuttavia, all’interno del processo comunicativo, sono perfettamente riconoscibili alcune “regole performative” che cercano attivamente di “imporre” o “promuovere” una mappa di significato, o di rendere compatibili elementi differenti all’interno della mappe dominanti.

58 La comunicazione sistematicamente distorta
“Dal momento che non esiste alcuna corrispondenza necessaria fra la codifica e la decodifica, la prima può cercare di “indirizzare”, ma non può prescrivere o garantire la seconda, che ha le sue proprie condizioni di esistenza” L’ipotesi Encoding/Decoding è formulata a partire dal fatto che non esistendo una “corrispondenza necessaria” occorre costruire una teoria della “comunicazione sistematicamente distorta”

59 Codice professionale e codice dominante
“la produzione dei media di massa ricopre […] la funzione di provvedere al mantenimento dell’ordine sociale egemonico, legittimando le definizioni sociali esistenti […] attraverso un processo di codifica che investe i prodotti massmediatici di una lettura preferita”. Il professionista dei media, dunque, codifica un messaggio che è già stato dotato di senso in modo egemonico. “il codice professionale è “relativamente indipendente” dal codice dominante, perché applica modifiche e criteri propri, soprattutto di natura tecnico-pratica. Il codice professionale, comunque, opera dentro l’ “egemonia” del codice dominante”. (Hall, Tele-visioni, pag.81)

60 Stuart Hall: Encoding and decoding in television discourse (1980)
Se l’attività di codifica consiste dunque nel definire i limiti e i parametri che racchiudono la libertà del processo di decodifica dalla relazione tra lettore e questi limiti discendono tre differenti modalità di decodifica : la posizione dominante egemonica (lettura preferita) la posizione negoziata la posizione “di opposizione”

61 La lettura preferita Si attua una lettura “preferita” quando il telespettatore “prende il significato connotato da, diciamo, un telegiornale o una rubrica di attualità direttamente e nella sua interezza e decodifica il messaggio nei termini del codice attraverso il quale è stato codificato” (Hall 1980) Il telespettatore opera all’interno del codice dominante/egemonico mediato professionalmente.

62 Le definizioni dominanti
Le definizioni dominanti collegano implicitamente o esplicitamente gli eventi con le grandi generalizzazioni … Propongono “vedute ampie”. “la definizione di un punto di vista egemonico è A) che definisca, entro i propri termini, l’orizzonte mentale o l’universo dei significati possibili, di un intero settore di relazioni in una società o cultura e B) che abbia il crisma della legittimità, che sembri in sintonia con ciò che è “naturale”, “inevitabile” e “scontato” sull’ordine sociale”. (Hall, Tele-visioni, pag.83)

63 Modello Encoding/Decoding
L’uso del codice negoziato sottende un atteggiamento duplice: “accordare la posizione privilegiata alle definizioni dominanti degli eventi, pur riservando il diritto di attuarne un uso più negoziato legato a condizioni locali” (Hall 1980)

64 La posizione negoziata
L’uso del codice negoziato sottende una combinazione di elementi adattivi e opposizionali: lo spettatore è in grado di rintracciare la definizione egemonica e pur riconoscendone la legittimità nel contesto istituzionale opera la decodifica attraverso una “versione negoziata”, legata a “logiche particolari o situate” Questo è l’ambito che professionalmente può essere considerato in termini di “insuccesso comunicativo” o di distorsione della comunicazione.

65 La posizione di opposizione
Nella posizione di opposizione il telespettatore comprende la lettura preferita costruita e proposta, ma ridefinisce “il messaggio all’interno di una qualche cornice di riferimento alternativa” Nel caso precedente avevamo fenomeni di distorsione della comunicazione, mentre qui non si crea distorsione, ma si attiva la volontà di porre in rilievo le contraddizioni che una lettura contro le regole del codice egemonico comporta. (Hall 1980)

66 La decodifica differenziale
Il processo di decoding avviene in maniera differenziata: il conflitto culturale riguarda gruppi che si identificano in, e attraverso, particolari pratiche sociali e gruppi dominanti che tendono ad un loro inglobamento. Il conflitto viene letto non più tra classe egemone e classi subalterne ma come conflitto centrato su variabili come il gender, l’età, la razza, le preferenze sessuali.

67 La mappa culturale dell’audience
David Morley “Cultural Transformations: the politics of resistance” in H. Davis, P. Wilson, Language, image, Media, 1983

68 Dalla comunità all’audience
La ricca ricerca sviluppata all’interno del CCCS negli anni ’70 e ’80 è emblematicamente rappresentata dallo studio di David Morley, “The Nationwide” Audience. È uno dei primi studi etnografici a concentrarsi non più su una comunità (intesa in senso locale e di classe) ma su un’audience (definita come gruppo di spettatori o lettori).

69 La struttura dell’audience: la decodifica nel contesto culturale
“Dovremmo utilmente pensare all’audience dei media non tanto come una massa indifferenziata di individui ma come una complessa struttura di individui socialmente organizzati in un numero indefinito di sottogruppi e subculture, ciascuna delle quali ha la sua storia e le sue tradizioni culturali” (Morley, 1983)

70 L’orientamento culturale delle audience
La competenza culturale delle audience non è automaticamente determinata o generata dalla posizione sociale dei soggetti. “I singoli membri [delle subculture e dei gruppi] condivideranno un orientamento culturale verso una decodifica dei messaggi secondo differenti modalità. Le singole letture dei soggetti saranno incorniciate (framed) dalle formazioni e dalle pratiche culturali. Questi orientamenti condivisi saranno a loro volta determinati dalla posizione oggettiva del singolo lettore nella struttura sociale” (Morley 1983)

71 Contro il rischio di convertire le categorie sociali in significati
Nella teoria sociologica di Parkin, si rileva la tendenza a convertire direttamente le categorie sociali (per es. la classe) in significati (per es. le posizioni ideologiche). in questa ipotesi, le strutture di classe rappresentano la base di differenti sistemi di significato: “è semplicemente inadeguata l’idea di presentare i fattori demografici e sociali, come l’età, il sesso, la razza o la posizione sociale, come oggettivamente correlati o determinanti diverse posizioni di decodifica, senza alcun tentativo di specificare come essi intervengono nel processo di comunicazione. […] questi fattori possono avere effetto solo attraverso l’azione (possibilmente contraddittoria) dei discorsi nei quali sono articolati” (Morley, 1983).

72 Non solo analisi del testo
Secondo Morley, “il significato prodotto dall’incontro tra testo e soggetto non può essere letto una volta per tutte a partire dalle caratteristiche del testo stesso. Il testo non può essere considerato come isolato dalle sue storiche condizioni di produzione e di consumo. Un’analisi dell’ideologia dei media non può risolversi nella sola analisi della produzione e del testo.” (Morley 1983)

73 Il significato nei discorsi del testo e delle audience
“Il significato del testo verrà costruito differentemente sulla base dei discorsi (conoscenze, pregiudizi, resistenze) messi in gioco dal lettore, e il fattore cruciale nell’incontro tra soggetto e testo sarà il range di discorsi a disposizione dell’audience” (Morley 1983)

74 Il modello encoding decoding in Morley
Nella codifica i broadcaster mirano a stabilire una relazione di complicità con le audience. L’obiettivo è quello di “raggiungere l’identificazione con le audience attraverso meccanismi che conquistino la complicità delle audience e suggeriscano letture preferite” (Morley 1983)

75 The Nationwide audience: il metodo
La ricerca aveva l’obiettivo di fornire un’analisi delle forme discorsive del programma e di scoprire quali segmenti di audience decodificavano in linea con i codici preferiti/dominanti, e quali, invece, si muovevano su letture negoziate o oppositive. Due puntate videoregistrate del programma furono presentate a 29 gruppi (composti da 5-10 soggetti), selezionati all’interno di diversi ambienti sociali e culturali e diversi livelli del sistema educativo. I gruppi erano composti da: giovani apprendisti ingegneri e metallurgici, sindacalisti, commessi e studenti di colore.

76 The Nationwide audience: il metodo
La discussione, avviata dopo la visione del programma, aveva la durata di circa 40 minuti e veniva registrata per poter essere trascritta successivamente ed utilizzata per l’analisi. La metodologia era l’intervista focalizzata. La prima parte dell’intervista, non direttiva, aveva l’obiettivo di stabilire un “working vocabulary” e una cornice interpretativa di riferimento dei gruppi, e l’ordine di priorità attribuito dai gruppi stessi ai temi in oggetto.

77 Il sistema lessico-referenziale dei gruppi
L’obiettivo del lavoro era quello di identificare la natura dei sistemi “lessico-referenziali” dei gruppi e indagare come questi si correlassero con quelli usati dai broadcaster. I quesiti dell’indagine: Le audience usano le stesse parole, negli stessi modi dei broadcaster nel discutere i temi del programma? I gruppi attribuiscono ai temi lo stesso ordine di priorità presentato nel discorso televisivo? Dalla discussione emergono temi non discussi dal programma, specificamente menzionati dai gruppi?

78 Codici e repertori culturali
“the question is which cultural repertoires and codes are available to which groups, and how do they utilize these symbolic resources in their attempt to make sense of messages coming from the media?” (Morley 1983)

79 Gli apprendisti e la lettura dominante
Il gruppo più vicino ai codici dominanti era quello degli apprendisti. Sebbene il tono dominante delle risposte del gruppo fosse di cinismo o resistenza (“damn all politicians – they’re all as bad as each other”) essi tendevano ad accettare la prospettiva offerta da e attraverso il programma. l’interpretazione di senso comune (“common sense”) offerta dal programma era la stessa del gruppo che riteneva i temi di Nationwide “naturali”, ovvi e non problematici.

80 I sindacalisti e la lettura negoziata
All’interno di questo gruppo venivano prodotte letture negoziate o oppositive: la risposta non era frutto della posizione di classe “ but rather the result of differential involvement and positioning in discourse formation” (Morley 1983). In generale i sindacalisti erano spettatori regolari di Nationwide e approvavano i temi e i modi del programma, identificandosi nel “we” del programma stesso (“it seems to be a programme acceptable to the vast majority of people”) Sui temi più concreti, locali – per esempio quelli riguardanti la posizione del sindacato – emergevano, tuttavia, letture oppositive o negoziate.

81 I commessi e la lettura oppositiva
Furono i commessi ad offrire spontaneamente la lettura oppositiva più articolata e radicale. Essi rifiutavano il tentativo del programma di costruire un “noi” nazionale, coerentemente con quanto fatto da altri media e programmi.

82 Gli studenti di colore e la critica del silenzio
Questo gruppo era completamente distante dal discorso di Nationwide (noioso e affatto interessante). I temi e la cornice culturale del programma non erano i loro temi e la loro cornice. Essi chiaramente indicavano che quello non era un programma per loro, ma per “older people, middle-class people”. Non rientrava nei loro interessi (“why didn’t they never interview Bob Marley?”). La distanza dal programma era il riflesso di una distanza marcata dalla “tv seria” e dalla politica.

83 Una mappa culturale delle audience
È possibile dire che tutti i gruppi coinvolti condividevano, al loro interno, una comune posizione di classe, ma le loro decodifiche del programma erano orientate differentemente sulla base dei discorsi e delle istituzioni in cui erano inserite. “Per capire i significati potenziali di un messaggio dato abbiamo bisogno di una mappa culturale dell’audience alla quale il messaggio si rivolge – una mappa che mostri i differenti repertori culturali e le risorse simboliche disponibili a sottogruppi posizionati differentemente all’interno dell’audience” (Morley 1983).

84 “Una valida, anche se limitata, protesta”
Janice Radway: Reading the romance 1987

85 Movimento femminista e ricerca femminista
Dal punto di vista storico è possibile distinguere due diverse ondate del movimento femminista: la prima (seconda metà del XIX secolo) si caratterizza per un movimento politico, liberale per la partecipazione politica paritaria (diritto di voto, accesso alle cariche pubbliche, accesso a livelli di studio superiori etc); la seconda (a partire dagli anni ’60) si poneva l’obiettivo di tradurre nella pratica sociale i diritti conquistati dai primi movimenti femministi.

86 Obiettivi del movimento femminista
È nella vita quotidiana che diventa manifesta l’azione duratura dei rapporti sessuali e dei rapporti di potere, sia nella sfera privata che nel pubblico. L’obiettivo è, quindi, quello di arrivare all’affermazione delle donne in tutti i settori in cui erano in posizione marginale e prendere, al contempo, coscienza delle gerarchie sessiste all’interno della società, che mantengono le donne intrappolate entro i ruoli (e i discorsi) del sistema patriarcale.

87 Il femminismo e l’accademia
Sulla scorta delle riflessioni teoriche di Foucault (analisi del discorso) e di Lacan (psicanalisi) sul soggetto, il movimento accademico “ha contribuito in maniera fondamentale a evitare che la differenza sessuale fosse ritenuta determinata dalla natura, bensì scaturente all’interno di processi psichici e corsi storici specifici, e che quindi i ruoli assegnati alle donne, come agli uomini, siano determinati culturalmente e dunque non determinabili biologicamente” (Lutter, Reisenleitner 2002)

88 La ricerca femminista e i cultural studies
Partendo, come gran parte degli studi culturologici, dall’idea di classe, i primi studi femministi in seno ai Cultural Studies (Women’s Studies Group del CCCS), si concentrarono sulla condizione della donne e delle giovani appartenenti alla classe operaia, in ambito familiare, scolastico, lavorativo e del tempo libero. Queste donne erano considerate come soggetti in posizione subordinata, dal punto di vista sociale e sessuale, ma in grado di conquistare spazi per lo sviluppo di pratiche autonome, di autodeterminazione oltre che di opposizione. Coerentemente con l’approccio di Fiske, le studiose femministe ritengono che i gruppi subordinati utilizzino i media “for pleasure”, ed è questo piacere che consente l’identificazione di gruppo, classe o gender.

89 Il significato della lettura e il significato del testo
Osservando il fenomeno della lettura di un romanzo, secondo la Radway è possibile distinguere analiticamente tra il significato dell’azione (del leggere) e il significato del testo letto.

90 Leggere: un’attività combattiva e compensatoria
L’analisi etnografica condotta su un gruppo di donne che leggevano storie sentimentali ha mostrato che la lettura è un’attività combattiva, nel senso che leggere consente alle donne di rifiutare temporaneamente la propria posizione all’interno della famiglia, e le richieste costanti della famiglia stessa, per fare qualcosa per il proprio piacere personale. compensatoria, in quanto la lettura risponde a bisogni femminili non riconosciuti all’interno della famiglia, dove la donna è vista come una risorsa pubblica a disposizione delle esigenze familiari.

91 Un rituale collettivamente elaborato
“La lettura e la scrittura di storie sentimentali potrebbe essere vista come un rituale femminile collettivamente elaborato, attraverso il quale le donne esplorano le conseguenze della loro comune posizione sociale, come appendice degli uomini, e provano ad immaginare una situazione migliore in cui tutti i bisogni, sentiti così intensamente e accettati come tali, possano essere adeguatamente soddisfatti” (Janice Radway 1987)

92 Il bisogno nel reale e nel fantastico
Se la lettura rappresenta, dunque, una tacita ricognizione sul fatto che l’attuale posizione della donna all’interno del sistema patriarcale non sia soddisfacente in termini di benessere emotivo è pur vero che la lettura non fa niente per cambiare questa situazione. La lettura, cioè, può sviare il bisogno/desiderio di chiedere soddisfazione nel mondo reale, dal momento che tale soddisfazione viene trovata nel mondo della fantasia.

93 Poiché la lettura di un libro è un atto privato, isolato,
Una comunità separata Sebbene scrivere e leggere romanzi sentimentali aiuti a creare una sorta di comunità femminile, questa comunità è mediata dalla distanza che caratterizza l’organizzazione capitalista e la produzione di massa delle storie. Poiché la lettura di un libro è un atto privato, isolato, le donne “non si trovano mai insieme a condividere l’esperienza di una immaginazione oppositiva o, cosa ancora più importante, l’insoddisfazione che, in primo luogo, da origine al loro bisogno del romanzo sentimentale” (Radway 1987)

94 Una dichiarazione di indipendenza
Quando l’atto di leggere storie romantiche è visto come tale da chi legge, può essere considerato un’attività di tenue protesta e attesa per un cambiamento dell’istituzione patriarcale, incapace di soddisfare i bisogni emotivi delle donne. Leggere funziona come atto di riconoscimento e contestazione, per mezzo del quale il fallimento dell’istituzione patriarcale è prima ammesso e, poi, rovesciato. Reading is “a declaration of independence”, “This is my time, my space. Now leave me alone”

95 … ma anche una protesta disarmata
Tuttavia,osservando la lettura di storie romantiche dal punto di vista del femminismo, cui piacerebbe vedere l’impulso oppositivo tradotto in cambiamenti reali, questa attività può essere vista come potenzialmente disarmante. Questo in quanto la lettura può supplire vicariamente a bisogni reali, che potrebbero altrimenti essere formulati come istanze e richieste nel mondo reale, spingendo per un cambiamento delle relazioni tra i sessi.

96 Consapevolezza della storia e di sé
Il discorso narrativo del romanzo sentimentale è strutturato in modo da essere piegato dalle più familiari strategie della lettrice, in termini di inferenze sempre immediatamente confermate. D’altra parte, mentre la lettrice ricostruisce la storia essa non solo percepisce ciò che verrà dopo, ma riconosce anche la sua capacità di attribuire senso al testo e alle azioni umane.

97 L’inganno del romanzo Tuttavia, il mondo finzionale ricostruito dalla lettrice, se riconosce la capacità e il potere delle donne che lo interpretano, allo stesso tempo ne rinforza le tradizionali limitazioni, validando il dominio dei temi domestici e delle relazioni personali (rappresentati nel romanzo) nella loro vita. “La lettrice si trova coinvolta in un processo che rafforza il senso delle proprie capacità e, contemporaneamente, crea un simulacro del suo limitato mondo sociale all’interno di una più glamourosa fiction” (Radway 1987)

98 Dentro al romanzo Osservando il consapevole coinvolgimento delle lettrici nel romanzo, appare evidente che esse credono di essere coinvolte in una storia in cui il trionfo della donna corrisponde alla trasformazione di un inadeguato corteggiatore in un “protettore del perfetto amore”. La ricostruzione del senso del romanzo porta, quindi, le lettrici a: In primo luogo, protestare, in modo vicario, contro l’incapacità iniziale dell’uomo a comprendere una donna In secondo luogo, acquisire il dominio della propria paura nei confronti della violenza fisica da parte dell’uomo. Infine, esprimere la propria opposizione nei confronti dei valori del capitalismo, attraverso la capacità dell’eroina di portar via l’eroe da un mondo di denaro e status verso la supremazia dei suoi valori (femminili).

99 La lettura come catarsi
Sebbene, dunque, la storia consenta, in principio, alla lettrice di indulgere nella rabbia nei confronti dell’uomo, tale rabbia appare alla fine ingiustificata nei confronti di un uomo, la cui indifferenza o crudeltà si trasforma in sentimenti d’amore. La lettura diventa, dunque, catartica perché consente di esprimere rabbia verso gli uomini nell’immaginario e, allo stesso tempo, suggerisce che questa rabbia non è giustificata, in quanto dipende dall’incapacità dell’eroina/donna di leggere correttamente un uomo.

100 L’ideologia conservatrice del romanzo romantico
Pur sottolineando la linea di separazione tra sfera pubblica, degli uomini, e sfera privata, delle donne, la storia romantica continua a giustificare quella posizione sociale delle donne, che da origine a quella insoddisfazione, da cui nasce il desiderio di leggere il romanzo stesso. Il romanzo è “un agente attivo nel mantenimento dello status quo ideologico perché in definitiva esso riconcilia le donne con la società patriarcale e le reintegra all’interno delle sue istituzioni. [spostando tutto sul piano dell’immaginario, il romanzo così] protegge la più importante arena della cultura da una collettiva elaborazione al femminile della insoddisfazione verso gli effetti della società patriarcale sulla vita delle donne” (Radway 1987).

101 Il ruolo delle femministe
“se le donne cominceranno a comprendere che il loro bisogno dei romanzi è il prodotto del loro status di dipendenza come donne e della loro accettazione del matrimonio come unica strada per la realizzazione femminile, io penso che noi, come femministe, dovremmo aiutare questo cambiamento, imparando in primo luogo che la lettura del romanzo nasce da una reale insoddisfazione e racchiude in sé una valida, anche se limitata, protesta” (Radway 1987)

102 Momenti di televisione: nè testo nè audience
John Fiske 1989 In E. Seiter, H. Borchers, G. Kreutzner and E. –M Worth, Remote control: television, audiences and cultural power Perchè studiare i media? 27/03/2017

103 L’audience come moltitudine di differenze
L’ “audience televisiva” non è una categoria sociale come la classe, la razza o il genere – ognuno si muove dentro o fuori di essa in modo da rendere senza senso qualunque definizione categorica. Peraltro, le persone si autodefiniscono membri dell’audience ogni volta in modo diverso e per prodotti diversi. “Le categorie si basano sulle similarità: l’audience è più vicina ad una moltitudine di differenze” (Fiske 1989). Perchè studiare i media? 27/03/2017

104 Dal testo alla testualità
Per riferirci al potenziale di costruzione di significato della televisione è più opportuno riferirsi al concetto di testualità che a quello di testo. La testualità segnala la potenzialità di significati piuttosto che la loro concreta esistenza. La testualità del processo di produzione di senso e di piacere si realizza quando la gente porta le proprie differenti storie e soggettività nel processo di visione della tv. Non c’è testo, non c’è audience, c’è solo il guardare la tv . Perchè studiare i media? 27/03/2017

105 L’eterogeneità sociale e la soggettività nomade
Le società del tardo capitalismo “sono caratterizzate dalla eterogeneità – una vasta gamma mutevole di sottoculture e gruppi che sono in definitiva strutturati dalle loro relazioni con il sistema, che distribuisce il potere in modo ineguale all’interno di esse” (Fiske 1989). Ogni persona, o spettatore televisivo, costruisce una serie di alleanze mutevoli all’interno di questa eterogeneità, entrando nel sistema sociale attraverso formazioni sociali differentemente costituite e mutevoli (la metafora della soggettività nomade). Perchè studiare i media? 27/03/2017

106 Soggettività e testualità
Guardare la tv è un processo di produzione di significati (meanings) e piaceri (pleasures) determinato da due insiemi di forze: il sociale che agisce sulla soggettività dello spettatore e il testuale che opera sulla testualità della televisione. “Ogni spettatore può essere in diversi momenti soggetto di una differente visione, in quanto costituito dal suo determinante sociale, così come differenti alleanze possono essere mobilitate per differenti momenti di visione” (Fiske 1989). Perchè studiare i media? 27/03/2017

107 Hall si riferisce ad un simile processo in termini di 'articolazione‘”
The viewing subject “lo spettatore/soggetto che guarda, costituito socialmente, può occupare diversi spazi, all'interno del territorio determinato, sulla base delle alleanze sociali adatte allo specifico momento di costruzione del significato e di raggiungimento del piacere nell'esperienza televisiva. Hall si riferisce ad un simile processo in termini di 'articolazione‘” Perchè studiare i media? 27/03/2017

108 Hall usa il termine in entrambi i sensi,
L’articolazione Hall usa il termine in entrambi i sensi, sia come discorso, cioè un sistema simbolico usato per dare senso a sé stessi e all'esperienza, sia come connessione modulabile. Perchè studiare i media? 27/03/2017

109 Identità e articolazione
“Uso “identità” per riferirmi al punto di incontro, al punto di sutura tra i discorsi e le pratiche che cercano di “interpellarci”, parlarci o richiamarci in un contesto come soggetti di un particolare discorso da una parte, e, dall’altra, i processi che producono soggettività che ci costruiscono come soggetti di cui si può “parlare”. Le identità sono quindi punti di approdo temporaneo per le posizioni del soggetto, costruiti per noi dalle pratiche discorsive. Sono il risultato di una ben riuscita articolazione o “concatenazione” del soggetto nel flusso del discorso” (Hall 1996, tr. it. p.136) Perchè studiare i media? 27/03/2017

110 L’interpellazione Per illustrare come il potere dell’ideologia formi i soggetti, Althusser si riferisce all’esempio della voce divina che dà il nome, e nominando, porta i soggetti all’esistenza. L’interpellazione sociale può essere letta come l’atto divino performativo. “l’autorità della “voce” dell’ideologia, la “voce” dell’interpellazione, è immaginata come una voce che è quasi impossibile rifiutare” (Butler1997, tr. it. P105) Perchè studiare i media? 27/03/2017

111 Il piacere popolare Trarre senso dalla televisione popolare è allora il processo di attivazione di significati a partire da essa, e questa dinamica è controllata dallo spettatore socialmente situato all'interno di confini più o meno determinati. Il testo sarà una fonte di piacere popolare, quando questi significati diventeranno parte di quel processo culturale più ampio attraverso il quale il soggetto dà senso alla propria esistenza materiale. Dunque l'esperienza sociale è come un testo: può essere resa significativa solo quando un soggetto sociale porta le proprie competenze discorsive a relazionarsi con essa. Perchè studiare i media? 27/03/2017

112 L'esperienza sociale è come l'intertestualità.
E' un considerevole potenziale di interconnessioni tra elementi che possono essere combinati in un' imprevedibile quantità di modi. Ogni sistema sociale ha bisogno di un sistema di significati sul quale sorreggersi, e tali significati sono determinati solo in parte dal sistema stesso. Questa determinazione concede a differenti soggetti uno spazio adeguato per creare differenti significati, sebbene i soggetti stessi possano usare, nel processo di costruzione del senso, un repertorio discorsivo condiviso Il soggetto non è completamente assoggettato - il senso che traiamo dalle nostre relazioni sociali è in parte sotto il nostro controllo- e trarre senso dall'esperienza sociale necessariamente implica il dare senso a noi stessi all'interno di quella esperienza Perchè studiare i media? 27/03/2017

113 Guardare la tv:un’esperienza semiotica
Dare senso all’esperienza sociale è un processo quasi identico al dare senso a un testo. Quello che la televisione consegna non sono programmi ma un’esperienza semiotica. Questa esperienza è caratterizzata dalla sua apertura e polisemia. La televisione non è affatto simile a un kit fai da te di significati, né è una scatola di significati pronti per la vendita. Sebbene lavori sulle determinazioni culturali, essa offre anche libertà e potere per evadere o sfidare queste limitazioni e forme di controllo. Tutti i testi sono polisemici, ma la polisemia è assolutamente centrale per la testualità televisiva. Perchè studiare i media? 27/03/2017

114 A cultural commodity La televisione è una merce/prodotto culturale che opera all’interno di un’economia capitalista determinata. È possibile distinguere tra una economia finanziaria, all’interno della quale circolano le risorse economiche e un’economia culturale, all’interno della quale circolano significati e piaceri. Nella economia finanziaria la televisione è programmi e pubblicità, non testualità. Un programma è una merce prodotta e poi venduta ai distributori. Nella distribuzione il suo ruolo cambia e diventa, non più quello di merce, ma di produttore. E ciò che produce è una nuova merce, l’audience che viene poi, a sua volta, venduta come merce ai pubblicitari Perchè studiare i media? 27/03/2017

115 A cultural commodity Ma nell'economia culturale l'audience rifiuta il suo ruolo di merce e diventa un produttore, un produttore di significati e piaceri, e in questo momento cessa di essere un' 'audience' e si trasforma nelle diverse materializzazioni del processo che chiamiamo 'guardare la televisione' Perchè studiare i media? 27/03/2017

116 Il capitale culturale popolare
La differenza fondamentale tra la merce televisiva e e altri beni materiali che circolano nel mercato è la considerevole libertà vinta dallo spettatore nel passaggio da consumatore nella economia finanziaria a produttore nell’economia culturale. Significati e piaceri non possono essere posseduti, comprati o venduti. Rispetto all’idea di Bourdieu di capitale culturale nelle mani della borghesia (sia in termini di economia finanziaria che culturale), è necessario aggiungere quella di capitale culturale popolare che tiene sotto pressione la cultura borghese. Perchè studiare i media? 27/03/2017

117 Alcuni esempi di capitale culturale popolare
Le donne che vedevano Crossroads, studiate dalla Hobson, avevano fatto proprio il programma, e lo avevano costituito come proprio capitale culturale. Solo ragionando sull’abilità ad essere produttori della propria cultura, dei propri significati e piaceri è possibile comprendere la scelta degli aborigeni australiani di vedere film western. Allo stesso modo gli spettatori arabi di Dallas “riscrivono” il testo nelle loro conversazioni per adattarlo al proprio capitale culturale. Perchè studiare i media? 27/03/2017

118 I limiti interpretativi dell’economia politica
Il modello dell’economia politica, che si basa sulla separazione tra economia culturale e finanziaria (cui attribuisce grande potere di determinazione), non può concepire le audience televisive come socialmente differenti e capaci di produrre differenti significati e piaceri dalla stessa merce. Non può concepire la merce culturale come un testo che richiede lettura. Non può concepire il testo come un campo di battaglia per il potere di attribuire senso. Non può concepire che ciò che determina significati e piaceri di un testo è la situazione sociale dello spettatore, non gli interessi dei produttori e i loro ideologici investimenti nel capitalismo. Perchè studiare i media? 27/03/2017

119 Cercasi audience disperatamente
Le emittenti hanno costante necessità di conoscere quali pubblici sono “alla loro portata”. Per le routine produttive e per la sopravvivenza organizzativa di un mezzo è necessario poter contare su un pubblico, definibile come “corpo fisico di spettatori assidui ed identificabili” (Ien Ang) Perchè studiare i media? 27/03/2017

120 Difficoltà nella definizione delle audience
“ Quando si raggruppano meccanismi di risposta individuale […] necessariamente si devono restringere, se non addirittura eliminare, le condizioni contestuali esterne e puntuali che potrebbero delucidare la prospettiva di ciascun individuo. Aggregare è un processo di totalizzazione che pone in secondo piano la riflessione sul modo in cui i contesti puntuali e le risposte individuali contribuiscono a formare un’immagine più completa della situazione in esame” (Ien Ang) Perchè studiare i media? 27/03/2017

121 Difficoltà nella definizione delle audience
Se è vero che le cifre delle statistiche forniscono stime sull’ampiezza dell’audience, compensandone la mancanza di visibilità immediata, È anche vero che “concepire l’audience televisiva come collettività classificabile significa negare il disordinato mondo sociale delle audience effettive” (Ien Ang) Perchè studiare i media? 27/03/2017

122 Le rilevazioni audiometriche
Consentono agli operatori di poter contare su numeri, percentuali che fotografano con immediatezza le dimensioni della platea e ne delineano le scelte di consumo. Questi strumenti offrono agli operatori la certezza illusoria di avere il polso della situazione, celando, dietro la forza convincente dei numeri, l’insicurezza derivante da comportamenti di consumo sempre meno spiegabili e giustificabili quantitativamente. Perchè studiare i media? 27/03/2017

123 Osservare per controllare?
Riprendendo il discorso di Foucault sul Panopticon, che entra in funzione “ogniqualvolta l’imperativo è quello di collocare gli individui o le popolazioni entro una griglia in cui possono essere resi produttivi e osservabili” Ien Ang spiega lo sviluppo delle pratiche di rilevazione sulle audience e ne segnala le forti debolezze implicite: la natura del consumatore, non essendo la stessa indirizzabile nel comportamento, come prevede, invece, il panopticon, è l’elemento che fa sì che l’osservazione e, quindi, la conseguente visibilità, possano essere solo uno strumento indiretto di controllo sulle audience. Perchè studiare i media? 27/03/2017

124 Il limite dell’osservazione
Se l’esigenza delle industrie che commissionano le ricerche sulla audience è proprio quella di conoscere per controllare, osservare, acquisire casistiche, numeri che possano legittimare previsioni attendibili sui comportamenti delle audience, essa si scontra con il suo stesso limite: infatti, per quanto gli strumenti di misurazione e monitoraggio possano portare a rappresentazioni minuziose e accurate, il loro realismo descrittivo può non essere sufficiente per il controllo, perché non prescrive un comportamento. In un circolo vizioso, allora, l’incertezza che ne deriva tormenta l’industria fino alla messa a punto di un sistema ancora più analitico. Salvo poi “capitare che, più si fa microscopico lo sguardo sullo spettatore, più ci si accorga di quanto sia sfuggente il <<comportamento di consumo [mediale]>> Perchè studiare i media? 27/03/2017

125 L’audience come collettività classificabile
Le “tecnologie per i feedback di mercato” (Auditel, sondaggi telefonici, etc.), assumono una funzione strategica in una situazione strutturale di lotta per la conquista delle posizioni sul mercato; hanno l'obiettivo di costruire l’audience televisiva “come una categoria che oggettiva il pubblico in modo da poterlo controllare, nell’interesse di uno scopo istituzionale prestabilito” (Ien Ang): consegnare target agli inserzionisti pubblicitari. Perchè studiare i media? 27/03/2017

126 L’audience come strategia discorsiva
Raggruppare il pubblico in un’unica categoria capace di discriminare tra chi è e chi non è effettivamente parte dell’audience è, d’altra parte, una strategia discorsiva che trova radice nei tratti dominanti del broadcast e nell’esigenza di legittimare l’obiettivo di controllare e conquistare e , allo stesso tempo, la presenza di un oggetto da controllare e conquistare Perchè studiare i media? 27/03/2017

127 La discriminazione popolare
L’economia politica, poi, non è in grado di considerare la discriminazione popolare. “La gente sceglie di rendere alcuni testi popolari, e altri no, e questo processo di scelta è essenzialmente popolare”(Fiske 1989), per quanto l’industria possa cercare di influenzare la scelta popolare, attraverso ricerche di mercato, promozioni e pubblicità. Perchè studiare i media? 27/03/2017

128 Il testo mediale è un prodotto culturale popolare.
Cultura popolare Accanto al termine “cultura di massa” si affianca sempre più quello di “cultura popolare” intesa come “cultura che è popolare”, cioè gradita ai più. Una merce culturale per diventare popolare deve appagare i desideri dei suoi consumatori, contemperando gli interessi del suo pubblico con quelli dei suoi produttori. Il testo mediale è un prodotto culturale popolare. Portare i jeans, giocare con i videogames, ascoltare dischi di musica rock sono, secondo Fiske (Understanding popular culture), esempi di consumo di cultura popolare. Perchè studiare i media? 27/03/2017

129 L’attività delle audience
L’economia finanziaria è interessata a produrre e riprodurre merci di successo. I bisogni culturali, espressi da alleanze in costante mutamento all’interno delle audience, forzano le industrie a produrre merci sufficientemente originali da incontrare questi cambiamenti e sufficientemente familiari da rispondere alle aspettative delle audience e corrispondere alle pratiche e alle routine produttive. La spinta maggiore all’innovazione proviene dall’attività delle audience nella economia culturale. Perchè studiare i media? 27/03/2017

130 La televisione nella vita delle audience
“la testualità non è delimitata dai titoli e dai credits di un programma, la soggettività non può essere confinata nella pelle o nella storia di un individuo, e similmente il vedere la televisione non può essere confinato nei periodi in cui la televisione è accesa. La televisione […] è anche parte della nostra vita culturale, quando la sua presenza è meno diretta,meno ovvia” (Fiske 1989) Perchè studiare i media? 27/03/2017

131 Il senso delle differenze
È necessario, dunque, ragionare sul come la gente trasforma i prodotti dell’industria nella loro cultura popolare e li rende servibili per i suoi interessi. Le differenze sociali sono prodotte dal sistema sociale, ma i significati di queste differenze sono prodotti dalla cultura. Il senso di queste differenze viene costantemente prodotto e riprodotto come parte dell’esperienza di queste differenze da parte del soggetto. I significati che originano dallo spettatore attribuiti al testo e quelli che originano dalle subculture nei confronti dell’esperienza sociale attivano il piacere di produrre significati, piuttosto che sottolineare la posizione di sudditanza di essere prodotti da loro e rende possibile mantenere una consapevolezza di queste differenze sociali scomode e abrasive, che il senso comune egemonico tenta faticosamente di attenuare. Perchè studiare i media? 27/03/2017

132 Il consumo e l’uso “l’analisi delle immagini diffuse dalla televisione (rappresentazioni) e della quantità di tempo passata davanti allo schermo (comportamento) deve essere completata dallo studio di ciò che il consumatore culturale “fabbrica” durante queste ore e con queste immagini.[…] Questa “fabbricazione” da svelare è una produzione, una poietica, - ma nascosta, perché si dissemina negli spazi definiti e occupati dai sistemi della “produzione” e perché l’estensione sempre più totalitaria di tali sistemi non lascia più ai “consumatori” un luogo in cui rivelare cio che fanno dei prodotti” (De Certeau 1990) Perchè studiare i media? 27/03/2017

133 L’obiettivo del critico
Secondo Fiske, l’obiettivo del critico è quello di comprendere i piaceri popolari e la discriminazione popolare, non esaminando i testi, le letture delle audience o i processi di produzione, Ma attraverso lo studio dei casi (“investigation of instances”), dei “momenti di televisione” all’interno dei quali la varietà di attività culturali che si realizza davanti allo schermo può essere intravista. Perchè studiare i media? 27/03/2017

134 Audience diffusa tra spettacolo, narcisismo, immaginazione e comunità
Nick Abercrombie, Brian Longhurst 1998 In Audiences. A Sociological Theory of Performance and Immagination, London Sage Perchè studiare i media? 27/03/2017

135 Lo spectacle/performance paradigm
Gli studi di Abercrombie e Longhurst prendono le mosse dal limite intrinseco al paradigma dell’incorporazione/resistenza nel considerare le audience come costrette tra una posizione di accettazione dell’ideologia o di resistenza. L’attenzione si sposta dalla lettura delle audience in chiave oppositiva, a audience che definiscono la propria identità all’interno delle relazioni che stabiliscono con le forme mediali.

136 L’identità delle audience
Il paradigma mira a studiare l’identità delle audience e il loro statuto all’interno della società, immaginando che l’identità si costruisca all’interno non tanto dei testi mediali ma del cosiddetto mediascape, il mondo globale dei media.

137 Lo studio delle audience: dove siamo arrivati
Secondo Abercrombie e Longhurst (1998) esistono tre tipi di audience, che si sono sviluppate storicamente e che oggi tendono alla compresenza: Simple audience Mass audience Diffused audience

138 La simple audience La simple audience, nata in età premoderna e tuttora presente, si basa sul rapporto diretto e immediato tra emittente e ricevente. La comunicazione si svolge in uno spazio socialmente definito (spazio pubblico) La figura dell’emittente-performer è distante da quella del ricevente (che assiste allo spettacolo). Al ricevente è richiesto un elevato grado di attenzione.

139 La mass audience È tipica di forme di fruizione despazializzate. La comunicazione è mediata dai mezzi di comunicazione. Emittente-performer e ricevente sono molto distanti. L’attenzione richiesta al ricevente può variare sulla base delle caratteristiche contestuali della fruizione.

140 La diffused audience Abercrombie e Longhurst intendono per audience diffusa la situazione in cui il soggetto è sempre parte di un pubblico a prescindere dal singolo atto di fruizione e da singoli eventi. “The essential feature of this audience-experience is that, in contemporary society, everyone becomes an audience all the time. Being a member of an audience is no longer an exceptional event, nor even an everyday event. Rather it is constitutive of everyday life” (Abercrombie e Longhurst)

141 I tratti della diffused audience
La nozione di audience diffuse si riferisce a diversi processi che operano a differenti livelli. 1) Le persone trascorrono una grande quantità di tempo nel consumo di mass media in casa e in pubblico. 2) i media sono realmente costitutivi della vita quotidiana. 3) le audience vivono nella “performative society” (Kershaw). Uno degli effetti della intrusione dei media nella vita quotidiana è che in questo modo qualsiasi evento può essere trasformato in performance e chi vi partecipa vede se stesso come performer. 4) le audience diffuse sono il risultato dell’incontro tra spettacolo e narcisismo

142 Le audience diffuse… «il vedere la televisione [consumare media nda] non può essere confinato nei periodi in cui la televisione è accesa. La televisione […] è anche parte della nostra vita culturale, quando la sua presenza è meno diretta, meno ovvia» (Fiske, 1989) «essere un membro di un’audience non è più tanto un evento eccezionale, e neanche un evento quotidiano. Piuttosto è parte della vita quotidiana» (Abercrombie, Longhurst, 1998)

143 Le audience diffuse L’esperienza di consumo non è più legata ad un particolare evento, spettacolo o canale mediale, ma è un’esperienza quotidiana. L’audience diffusa nasce dall’intersezione di 4 fattori Quantità di tempo investito nel consumo mediale Pervasività dei media nella vita moderna Società performativa Spettacolarizazione della vita e del mondo + atteggiamento narcisista

144 Quantità di tempo, ma soprattutto pervasività dei media
“i nostri media sono ubiqui, costituiscono la quotidianità, […] sono una dimensione essenziale dell’esperienza contemporanea. […] siamo diventati dipendenti dai mezzi di comunicazione, sia quelli a stampa sia quelli elettronici, per svago e per informazione, per conforto e per sicurezza, per un certo senso della continuità dell’esperienza e di quando in quando anche per i momenti più intensi dell’esperienza” (Silverstone, 2002, pag. 18)

145 Performatività Per performatività si intendono, nelle parole della Butler, quegli atti e gesti, generalmente costruiti, che regolano i principi di organizzazione dell’identità, nel senso che “l’essenza o identità che essi dichiarano di esprimere sono fabbricazioni prodotte e mantenute attraverso segni corporei e altri mezzi discorsivi” (Butler 1990).

146 Performatività La performatività è «una serie di pratiche che segnano i corpi, in accordo ad una griglia di intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi una fiction familiare» (Mc Robbie 2005). Allargando il ragionamento al soggetto nella sua interezza, per performatività intendiamo quindi le pratiche che segnano il sé in accordo ad una griglia di intelligibilità sociale, in modo tale che il sé diventi una fiction (rappresentazione) familiare (cioè condivisa e condivisibile all’interno dei legami sociali).

147 Audience performative
È performativa l’audience che per una spinta narcisistica cerca di entrare nel mondo dei media in cerca di visibilità, in cerca di audience. È performativa l’audience che si immedesima nel programma televisivo o nel personaggio, attraverso meccanismi di identificazione e proiezione, ovvero abbandonando per un momento la propria identità per vestirne un’altra, o proiettando piuttosto la propria coscienza in quella di diversi personaggi (Di Fraia). È performativa l’audience che condivide con gli altri i racconti delle storie mediali, per come le ha vissute rispetto al proprio contesto sociale e culturale, per come utilizzerà queste narrazioni per creare relazioni con altri.

148 Il mondo come spettacolo
“Nel portare tesi a sostegno dell’importanza dello spettacolo, la nostra proposta è che il mondo, e tutto ciò che è al suo interno, viene trattato sempre più come qualcosa a cui si assiste (Chaney, 1993). Nel mondo le persone, gli oggetti, gli eventi non possono essere dati per scontati, ma devono essere inseriti in cornici, guardati, osservati, registrati e controllati. Ciò, a sua volta, suggerisce che il mondo si costituisce come un evento, come una performance; gli oggetti: le persone e gli eventi che fanno parte del mondo sono fatti per mettere in scena performance per coloro che li guardano o osservano intensamente. (Abercrombie, Longhurst)

149 Vedere ed essere visti Più in generale, la vita contemporanea è una questione di spettacolo e lo scopo della vita moderna è quello di vedere e essere visti. Questo perché: 1) il mondo come merce richiede attenzione; inscena performance; 2) la pervasività dei mezzi di comunicazione di massa contribuisce alla presentazione del mondo come uno spettacolo, come una serie di performance. Il landscape diventa mediascape.

150 Il narcisismo La nozione di società narcisista include l’idea che le persone si comportino come se fossero guardate, come se fossero al centro dell’attenzione di un’audience reale o immaginata. Il narcisista incontra difficoltà nel distinguere i confini del sé, nel separare se stesso dagli altri. Il sé narcisista è costruito e mantenuto solo nei riflessi ricevuti dagli altri.

151 Il narcisista “Malgrado le occasionali illusioni di onnipotenza, il narcisismo attende da altri la conferma della sua autostima. Non può vivere senza un pubblico di ammiratori”(Lasch 1979) “Il narcisista non è in grado di recepire nulla di nuovo dal momento che tutto è visto nei termini del sé già esistente”. (Sennet 1977)

152 Performance narcisistica e audience immaginata
Il fatto che il sé sia centrale, non significa che tutto il resto venga cancellato. Per le funzioni proprie del narcisismo, infatti, l’audience deve essere immaginata come qualcosa che contribuisce alla propria immagine narcisista. Il narcisismo coinvolge una performance immaginata di fronte agli altri, che costituiscono un’audience focalizzata sul sé narcisista.

153 Società dello spettacolo, narcisismo e performance
Il narcisismo, dunque, fornisce il lato motivazionale e individuale dello spettacolo. Per rendere il mondo sociale uno spettacolo, le persone devono essere viste come oggetti di spettacolo. Devono essere incitate, motivate, per mettere in atto performance. Lo spettacolo e il narcisismo sono realmente i due lati della stessa medaglia. Entrambi sono effettivamente le conseguenze della diffusione della performance al di fuori dei suoi ambiti originariamente relativamente ristretti. La maggior parte degli eventi che costituiscono la vita quotidiana sono performance per le quali esiste un’audience. Allo stesso tempo, sempre più persone si vedono come performer osservati da altri; il narcisismo è la cura del sé come spettacolo.

154 Audience diffusa e immaginazione
Un mondo di spettacolo, narcisismo e performance richiede il potere dell’immaginazione. L’audience diffusa richiede che i propri membri mettano in campo una mole considerevole di risorse immaginative

155 Fantasticare … Una fondamentale caratteristica dell’esperienza moderna è l’uso da parte degli individui ‘dei loro poteri inventivi e creativi, per costruire immagini mentali da poter consumare grazie al piacere intrinseco che esse forniscono, una pratica meglio descritta come sogno ad occhi aperti o fantasticare’

156 Sogno ad occhi aperti e performance
Chiaramente, le trasformazioni del sé che si sviluppano a partire dalla fantasia, stimoleranno maggiormente il giudizio degli altri - l’audience reale e immaginata che assiste alla performance. L’attitudine moderna del sogno ad occhi aperti significa che le persone sono in grado di immaginarsi mentre mettono in scena performance di fronte ad altre persone e di immaginare, inoltre, le reazioni che gli altri avranno

157 Media, immagini e immaginazione
Le performance quotidiane che costituiscono una società spettacolare e narcisistica sono organizzate frequentemente intorno alle immagini che provengono dai media sullo stile, la personalità, l’abbigliamento, la musica e così via. Oltre ad essere regolatori o costitutivi della vita quotidiana, i media forniscono anche immagini, modelli di performance, o quadri di azione e di pensiero che diventano risorse di routine del quotidiano. Le persone, in altre parole, usano nella vita quotidiana quello che i media forniscono loro.

158 Media e potenziali di immaginazione
Paradossalmente, mentre il cinema, la pubblicità e le riviste forniscono potenti immagini visuali, che sono più rilevanti nel comunicare significati e nel dare piacere alle audience, la televisione, nei fatti, dipende piuttosto dal discorso per raggiungere i suoi effetti. Come medium consiste, realmente, in un discorso illustrato visivamente

159 La tv come risorsa immaginativa
La televisione si rivolge in modo particolarmente diretto alla sua audience, come se stesse avendo luogo una conversazione tra le persone che appaiono nello schermo e quelle che lo guardano. […] La televisione. non è solo composta di parola, ma promuove la parola È soprattutto nei discorsi referenziali che le audience usano effettivamente la televisione come una risorsa immaginativa

160 Il circuito S-N-S (spectacle-narcisism-spectacle)
I media forniscono una risorsa per vedere il mondo in modo spettacolare; creano sistematicamente il mondo come spettacolo. Simultaneamente, forniscono alcuni materiali grezzi per il narcisismo, così che le persone replicano nelle loro vite la relazione performance-audience che ha luogo nei media.

161 Audience come comunità immaginata
Nei sogni ad occhi aperti, le persone immaginano la presenza di altri, che costituiscono l’audience per le loro performance quotidiane. Non c’è bisogno di ripetere che questi altri non sono altri qualsiasi. Essi sono altri significativi, menti con attitudini e gusti simili. Un modo per concettualizzare la relazione tra le persone che formano parte di questa presenza immaginata è descriverle come una comunità. La nostra pretesa è sostenere che l’audience diffusa sia una comunità immaginata

162 La comunità immaginata di Anderson
L’espressione ‘comunità immaginata’ fu coniata da Anderson (1991), interessato alla studio della formazione e della natura dello stato-nazione e dei modi in cui esso può essere definito una comunità, anche se immaginata. L’idea della nazione è molto potente e può mobilitare l’energia di una popolazione, così come la fiducia e la lealtà, in un modo in cui solo poche istituzioni riescono. La nazione è anche una comunità, nel senso che c’è un forte sentimento di appartenenza alla comunità e una condivisione di sentimenti, scopi e storia. Per quanto potente, il senso di comunità all’interno della nazione non si fonda sulle relazioni personali come una normale comunità. Non c’è necessità di conoscere tutte le persone che vivono nella nazione e non ci deve essere neppure la possibilità di questa conoscenza. Ogni membro della comunità-nazione deve essere semplicemente in grado di immaginare ogni altro membro

163 L’audience diffusa come comunità immaginata
L’audience diffusa, intesa come comunità immaginata, viene, in larga misura, se non interamente, liberata dalle restrizioni di spazio e tempo; i membri dell’audience diffusa possono essere immaginati in ogni momento temporale, ma soprattutto, in ogni luogo spaziale. La struttura della comunità può essere pensata come una serie di anelli concentrici intorno all’individuo, che si estendono nello spazio e nel tempo.

164 Una rete di significati da condividere
La società è una rete di significati sostenibile “finché quei significati sono mantenuti in comune, finché sono ripetuti, condivisi, comunicati e, naturalmente, imposti. L’esperienza si costruisce attraverso queste reti di significati, testi e discorsi quotidiani, e l’esperienza a sua volta dipende dalla nostra partecipazione, forzata o meno, alla rappresentazione” (Silverstone, 2002: 117). I media non fanno che enfatizzare questa possibilità fornendo ai soggetti/audience gli strumenti espressivi e la piattaforma condivisa per la gestione delle forme culturali.

165 Come si forma un’audience diffusa
Accettando la proposta di Abercrombie e Longhurst le audience diffuse sono il punto di arrivo di un processo come il seguente: media pervasivi → società dello spettacolo → narcisismo → performatività → audience diffuse.

166 Una performatività più visibile
Tuttavia “parlare di società performativa è assolutamente tautologico: non esiste società in cui non vengono esercitate, quotidianamente, performance da parte dei soggetti che la abitano, allo scopo di essere dentro la società stessa e di rendersi visibili e intelligibili agli altri. Semmai nella società contemporanea questa performatività assume forme di visibilità, per sé e per gli altri, più diffuse (alla portata di quasi tutti), più intense, enfatizzate dalla presenza dei media” (Andò, Marinelli, 2008)

167 Narcisismo non vuol dire Youtube …
Così come leggere il narcisismo come semplice ricerca di visibilità, ci porterebbe a leggere le audience come trasformate nella caricatura di sé offerta dalla reality television o da fenomeni come quello di YouTube. Porre attenzione alla personalità narcisistica non significa affermare che siamo tutti narcisisti in modo più o meno patologico, ma che la caratterizzazione narcisista è quella che è maturata e si è potenziata nella nostra società, rendendoci più consapevoli dell’esercizio di stile e di immagine che la performance quotidiana richiede.

168 Rileggere il concetto di audience diffusa
Piuttosto “è lo status e il ruolo di audience ad essere diffuso, ovvero distribuito e condiviso socialmente; e questo significa che alle audience dovrebbe finalmente essere riconosciuta la capacità di sentirsi audience, di viversi come audience e di leggere il proprio essere audience in relazione e senza soluzione di continuità rispetto al fluire della propria vita quotidiana (Silverstone 1999)” (Andò, Marinelli, 2008).

169 L’audience diffusa e i contenuti mediali
L’attività delle audience somiglia, quindi, ad una quasi naturale appropriazione delle merci-spettacolo “che finiscono per diventare il fondale ordinario, oltre che gli abiti di scena, delle diverse rappresentazioni di sé. Il modello ideale di un’audience diffusa, dunque, agisce nella direzione di sottolineare la normalizzazione di un processo di consumo, uso e produzione di senso” (Andò, Marinelli, 2008)

170 Esercitarsi nel riconoscersi tra audience
più estesa è diventata la penetrazione dei media nella nostra vita quotidiana, più strumenti sono resi disponibili, più ampia è diventata la possibilità per le audience di esercitarsi nello stile e provare la riconoscibilità di questo stile, per così dire mediato, presso le altre componenti delle audience con cui entrano in contatto attraverso le pratiche (on e off line) di consumo mediale.

171 La serializzazione delle audience
L’audience oggi esercita la sua performance (non solo quella sugli schermi televisivi, ma anche quella della vita di tutti i giorni), immaginando di essere parte di un’audience-comunità e di esprimersi per un’audience-comunità, e alimentando quel processo di serializzazione dell’audience di cui parla Matt Hills (2002) riferendosi alla presenza attiva delle audience nelle comunità on line

172 Per media literacy si intende la capacità di accedere, analizzare,
valutare e creare messaggi in diverse forme. (S. Livingstone, “The Changing Nature and Uses of Media Literacy”,2003) Perchè studiare i media? 27/03/2017

173 L’accesso non deve essere inteso solo come la risultante del possesso.
1) Accedere L’accesso non deve essere inteso solo come la risultante del possesso. ma, piuttosto, come capacità di domesticazione delle tecnologie, ovvero come quella capacità del soggetto di rendere familiare un mezzo e i suoi linguaggi attraverso la sua assimilazione all’interno della vita quotidiana e degli ambienti domestici. Perchè studiare i media? 27/03/2017

174 Competenze stratificate
La storia ci ha insegnato a non credere alla logica della sostituzione mediale, quanto a quella della complementarità: le nuove tecnologie non prendono il posto di quelle vecchie, ma tendono a cercare elementi di sinergia e convergenza, che si sedimentano, poi, nelle pratiche e nelle competenze dei soggetti attraverso continui processi di updating. Le competenze richieste per affrontare il digital divide, dunque, aumentano piuttosto che diminuire e il problema dell’accesso si ammanta di interpretazioni decisamente più complesse. Perchè studiare i media? 27/03/2017

175 Le competenze dell’accesso
Rispetto all’accesso/domesticazione si rilevano tre tipi di competenze: le competenze di base o di navigazione (basic functional or navigational competence), come per esempio la conoscenza delle modalità di uso degli sms o la capacità di ritrovare messaggi sui telefoni cellulari. Le competenze di controllo della tecnologia (controlling the technology), che implicano attività avanzate, come gestire una ricerca online o una transazione economica; Le competenze nel regolare le tecnologie (regulating the technology), che includono la capacità di proteggere la privacy e di filtrare condotte inappropriate. Perchè studiare i media? 27/03/2017

176 2) Analizzare e 3) valutare i testi
Un soggetto, oggi, per relazionarsi in modo funzionale ai media deve poggiare l’attività di fruizione-consumo sulla comprensione, nella doppia accezione di decodifica interpretativa dei testi e dei linguaggi e di utilizzo dei media per l’attribuzione di senso alla realtà Oltre che sulla capacità di critica e lettura dei messaggi in termini di riconoscimento dei livelli di oggettività e verità. Perchè studiare i media? 27/03/2017

177 4) Creare messaggi Nella cultura della convergenza al consumatore mediale è richiesto di possedere le capacità per creare contenuti mediali, attitudine che, nelle sue molteplici forme, dal produrre storie digitali (si pensi alle fanfiction) al curare un blog, porta di fatto ad annullare qualunque residua distanza nel processo comunicativo tra fonte e ricevente. Inoltre, le ricerche sul coinvolgimento di minori nella produzione di contenuti mediali dimostrano che una simile esperienza incoraggia tra l’altro lo sviluppo di una propensione alla lettura critica dei media, meno passiva e più decisamente orientata alla performatività Perchè studiare i media? 27/03/2017

178 Creare nuovi contenuti, partendo dalla capacità di leggerli
L’abilità nell’accostamento di contenuti di diverso genere e livello, apparentemente volubile, superficiale e alternativo ai canoni classici, va letta come il sintomo di un utilizzo pronto e talentuoso della vasta enciclopedia comunicativa controllata dalle audience. La capacità di valutare i contenuti, allora, è tanto più cruciale alla luce della complessa configurazione dell’offerta mediale attuale, all’interno della quale le abilità investite nell’orientamento e nella selezione dei materiali diventano strategiche per la costruzione di percorsi di consumo dotati di senso da e per il soggetto stesso. Perchè studiare i media? 27/03/2017

179 Opporsi all’ideologia dominante
“Sebbene il potere ideologico delle contemporanee forme culturali sia enorme, anzi talvolta persino spaventoso, questo potere non è del tutto pervasivo, totalmente vigilante o completo. Ancora esistono interstizi all’interno del tessuto sociale dove l’’opposizione è portata avanti da persone che non sono soddisfatte dal loro posto al suo interno, o dalle ricompense emotive che lo accompagnano”(Radway 1987)


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