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Università della Calabria Sociologia delle comucazioni di massa

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Presentazione sul tema: "Università della Calabria Sociologia delle comucazioni di massa"— Transcript della presentazione:

1 Università della Calabria Sociologia delle comucazioni di massa
Comunicazione & Media Prof.ssa Giovannella Greco

2 Premessa L’espressione “comunicazioni di massa” allude a un processo di produzione, trasmissione e diffusione di informazione (testi, immagini, suoni) atto a raggiungere in tempo reale un grande numero di persone dislocate su vasto spazio e, per lo più, non in relazione tra loro. Gli strumenti utilizzati per attuare questo processo (tradizionalmente: stampa, cinema, radio, televisione) sono detti “mezzi di comunicazione di massa” o, con un ibrido anglo-latino, “mass media”. I materiali da questi diffusi, ovvero i contenuti delle comunicazioni di massa, sono designati in blocco con l’espressione “cultura di massa”. 2

3 Il campo di studi sulle comunicazioni di massa prende avvio nel corso degli anni Trenta del secolo scorso, sotto l’impulso dell’impiego massiccio da parte dei regimi nazista e fascista di giornali e radio a fini di propaganda. Una ulteriore spinta in questa direzione si ebbe durante la II guerra mondiale, a causa dell’importanza che la radio veniva assumendo come strumento di attacco psicologico contro le popolazioni nemiche e di informazione e propaganda tra quelle amiche, in un momento in cui le operazioni belliche avevano compromesso il regolare funzionamento degli altri mezzi. È, proprio, in questo periodo che negli Stati Uniti entra in voga l’espressione comunicazione di massa che si diffonde, ben presto, anche in altre parti del mondo. 3

4 Fasi  Quale influenza? Prima fase (MANIPOLAZIONE): media onnipotenti
Seconda fase (PROPAGANDA): verifica teorie sui media onnipotenti Terza fase (PERSUASIONE): riscoperta del potere dei media Quarta fase (INFLUENZA): influenza negoziata dei media Quale influenza? 4

5 I FASE (1900-1930) Media onnipotenti
5

6 dagli integrati, agenti della modernizzazione e della democrazia;
La fase di avvio degli studi sulle comunicazioni di massa è caratterizzata da una contrapposizione tra due diverse posizioni teoriche: una a favore e l’altra contro i mass media. Entrambe queste posizioni, pur nella loro diversità, tendono riduttivamente ad attribuire ai media una funzione unica o nettamente prevalente rispetto alle altre possibili. I media sono ritenuti: dagli integrati, agenti della modernizzazione e della democrazia; dagli apocalittici, agenti del dominio e del controllo autoritario delle coscienze (1). I termini apocalittici e integrati sono stati utilizzati per la prima volta da Umberto Eco. Cfr. U. Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano 1964. 6

7 Integrati La prima posizione, sostanzialmente ottimista, sulla scia della tradizione illuminista e positivista, considera la moderna società industriale come figlia del progresso. La nuova società è di massa perché, diversamente dal passato, la grande massa della popolazione ha la possibilità di accedervi, abbandonando le posizioni di marginalità nelle quali si trovava precedentemente relegata. In questa prospettiva, la società di massa è caratterizzata da un processo di democratizzazione politica, sociale, culturale e da una enfasi sulla dignità della persona e sui diritti individuali. 7

8 Secondo questo approccio, i media contribuiscono a:
attenuare le barriere tra le diverse classi sociali, proponendo a tutti le stesse informazioni, le stesse opportunità d’intrattenimento e di evasione, le stesse sollecitazioni culturali; estendere e rafforzare la partecipazione sociale e politica, e quindi la democrazia, creando una opinione pubblica più informata e consapevole, favorendo l’integrazione sociale e, nel contempo, sollecitando il cambiamento. 8

9 Apocalittici La seconda posizione, sostanzialmente pessimista, considera la società e la cultura di massa come esito di un processo degenerativo, imputato (da destra) all’avvento delle masse popolari sulla scena politica e sociale e (da sinistra) alla logica spietata dello sviluppo capitalistico. La società industriale è rappresentata come una società dei consumi di massa, ovvero come una società organizzata in funzione del soddisfacimento delle esigenze della produzione di massa. Elemento centrale della critica è la convinzione che i media siano utilizzati come strumenti di propaganda, dandone per scontata l’efficacia. 9

10 Entrambe queste posizioni, nonostante la diversa valutazione degli effetti delle comunicazioni di massa (di segno positivo o negativo), finiscono per condividere una stessa concezione dei media, cui fa da corollario uno stesso modo di rappresentare il pubblico. Emergono, così, una concezione dei media come agenti di effetti forti e una corrispondente concezione del pubblico come entità indifferenziata, e di fatto passiva, sulla quale i media esercitano una influenza diretta, senza che intervenga alcuna mediazione di ordine psicologico, sociale o culturale nel rapporto tra media e pubblico. 10

11 In altre parole: se il potere dei media è illimitato, il pubblico è una massa, ovvero un aggregato di individui ciascuno dei quali, solitario fruitore (influenzabile e persuadibile) dei messaggi da essi veicolati, ne viene inevitabilmente influenzato e persuaso. 11

12 La teoria ipodermica Il concetto di società di massa è fondamentale per comprendere la teoria ipodermica, nella cui prospettiva la massa può essere considerata come un aggregato omogeneo di individui (anche se provenienti da ambienti eterogenei) passivi, isolati gli uni dagli altri, con scarse possibilità di interagire tra loro. La massa inoltre, per definizione, è priva di proprie tradizioni e regole di comportamento. 12

13 Nell’enfasi di questa presunta onnipotenza dei media (benevola o malevola che sia), prende forma la teoria dell’ago ipodermico (Hypodermic Needle Theory) o del proiettile magico (Magic Bullet Theory), il cui assunto di base è già espresso nelle metafore con cui la si denomina. Secondo questa teoria, come un ago ipodermico è capace d’inoculare qualsiasi sostanza nell’organismo, e come un proiettile magico riesce sempre a colpire il suo bersaglio, così i messaggi veicolati dai media influenzano in maniera diretta il destinatario esercitando su di lui l’effetto voluto dalla fonte. 13

14 Postulati della teoria ipodermica
Il pubblico dei media è costituito da una massa indifferenziata e atomizzata di individui. I messaggi costituiscono potenti, diretti e immediati fattori di persuasione.  Gli individui sono essenzialmente indifesi nei confronti dei messaggi loro rivolti. 14

15 Modello comunicativo della teoria ipodermica
Comportamentismo = S  R La teoria ipodermica trova fondamento nella psicologia comportamentista che si viene affermando, in quegli stessi anni, a opera di J.B. Watson (1). Secondo l’approccio comportamentista, l’individuo è libero solo apparentemente, dal momento che ogni suo comportamento è direttamente imputabile a cause indipendenti dalla sua volontà che possono essere variamente manipolate. (1) J.B. Watson, Psychology from the Standpoint of a Behaviorist, J.B. Lippincot, Philadelfhia 1919; Id., Behaviourism, University of Chicago Press, Chicago 1924. 15

16 In altre parole: ogni atto individuale è inteso come un comportamento assimilabile a una relazione causale di tipo lineare, secondo lo schema (S)timolo(R)isposta, da cui deriva l’idea che è possibile orientare (se non, addirittura, condizionare) il comportamento umano, predisponendo stimoli adeguati. 16

17 In questa prospettiva, la ricezione e l’accettazione da parte dei destinatari dei messaggi veicolati dai media sono processi che la fonte può condizionare intervenendo, con opportune strategie di persuasione, sui contenuti e sull’articolazione dei messaggi stessi. Se si considerano i processi di influenza e persuasione in tale prospettiva, i messaggi proposti dai media sono assimilati a stimoli che, se opportunamente predisposti e veicolati, possono indurre nei destinatari reazioni nella direzione voluta dalla fonte: ad esempio, un determinato comportamento elettorale o di acquisto. 17

18 Unanimemente collocata nella fase iniziale delle riflessioni e degli studi sulle comunicazioni di massa, la teoria ipodermica si configura come il primo tentativo di individuazione e sistematizzazione del rapporto tra individui e media. Questa teoria ha goduto di uno strano destino: è stata più volte ripudiata e, allo stesso modo, più volte recuperata, specialmente laddove si voleva evidenziare il carattere massificante e manipolatorio dei media. 18

19 Ulteriori elementi a sostegno di questa prospettiva sono proposti dalla psicoanalisi e dalle opportunità di accesso all’inconscio che essa sembra offrire: se l’inconscio svolge un ruolo determinante nell’orientare l’agire individuale senza che l’individuo possa averne consapevolezza, allora è possibile influenzare atteggiamenti e comportamenti individuali attivando le motivazioni inconsce con adeguate strategie di persuasione. L’attenzione si rivolge alla suggestione e, portando alle estreme conseguenze le originarie indicazioni di S. Freud (1), si percorrono nuove strade nel tentativo di mettere a punto modalità di persuasione sempre più efficaci. (1) S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), in Opere, Boringhieri, Torino 1971. 19

20 Desideri inconsci, bisogni latenti, motivazioni diventano le parole chiave di un approccio che riconsidera i processi d’influenza e di persuasione alla luce della psicologia del profondo, con una rinnovata fiducia nelle potenzialità dei media, in particolare di quelli che consentono l’uso delle immagini (cinema). Numerosi studi avviati negli anni Trenta cominciano a porre l’accento sulle dinamiche inconsce del comportamento di consumo e sulla conseguente necessità di riferire a queste le strategie di marketing e la comunicazione pubblicitaria. 20

21 II FASE (1930-1960) Verifica delle teorie sui media onnipotenti
21

22 Gli studi di questo periodo riguardano un particolare tipo di effetti a breve termine (persuasori e comportamentali), imputabili non alle comunicazioni di massa nel loro complesso ma a singoli messaggi o insieme di messaggi, al fine di valutare la specifica influenza che essi possono esercitare sui processi di formazione, consolidamento e mutamento di singole opinioni, atteggiamenti e comportamenti individuali. Non a caso, la maggior parte delle teorie elaborate fino agli anni Sessanta riguardano gli effetti dei media nei processi di influenza e persuasione, ovvero le conseguenze immediate e dirette che essi inducono su opinioni, atteggiamenti e comportamenti del pubblico. 22

23 La ricerca motivazionale
Sulla base degli studi avviati negli anni Trenta e dei loro successivi sviluppi, negli anni Cinquanta prende avvio la ricerca motivazionale, esplicitamente finalizzata a scoprire l’incidenza dell’inconscio sulla scelta, l’acquisto e l’uso (non soltanto funzionale ma, soprattutto, simbolico) dei prodotti per definire, in riferimento a questa, nuove strategie di persuasione. Gli operatori del settore cominciano a comprendere che, per essere veramente efficace, la pubblicità deve attivare le motivazioni inconsce che sottendono l’acquisto e il consumo dei prodotti e interagire con queste, oppure aggirare le resistenze profonde e i blocchi emozionali che un prodotto può suscitare. 23

24 In questo stesso periodo, alle ottimistiche valutazioni dei motivazionisti sull’efficacia della pubblicità fanno eco le pessimistiche valutazioni sulla libertà del consumatore, espresse da quanti, all’epoca, insorsero contro la ricerca motivazionale la quale, mediante la pubblicità, rendeva il consumatore vittima indifesa delle nuove tecniche di manipolazione. Il manifesto di questa reazione contro la “pubblicità del profondo” è rappresentato da I persuasori occulti di V. Packard (1), un libro sul cui sfondo troviamo l’America dell’abbondanza e della folla solitaria, descritta da D. Riesman (2), ovvero la società in cui ha inizio la carriera del consumatore, caratterizzata dalla continua tensione a incrementare la propria capacità di consumo, che diventerà ben presto l’indicatore più immediato del raggiunto benessere e del successo individuale. V. Packard, I persuasori occulti (1957), Il Saggiatore, Milano 1968. D. Riesman, La folla solitaria (1950), Il Mulino, Bologna 1956. 24

25 Il modello di Lasswell Una sorta di filiazione della teoria ipodermica è rappresentata dal modello di Lasswell, che ne costituisce una eredità ma, anche, una evoluzione. Secondo Lasswell (1), il processo di comunicazione di massa è asimmetrico, con un emittente attivo che fornisce lo stimolo e un ricevente passivo che, colpito dallo stimolo, reagisce. (1) H.D. Lasswell, “The Structure and Function of Communication in Society”, in L. Bryson (ed), The Communication of Ideas, Institute of Religious and Social Studies, New York 1948. 25

26 says what (dice cosa = messaggio) to whom (a chi = destinatario)
Il modello mette a fuoco gli elementi principali del processo di comunicazione: who (chi = fonte) says what (dice cosa = messaggio) to whom (a chi = destinatario) in which channel (attraverso quale canale = mezzo) with what effects (con quali effetti) Gli studi successivi hanno considerato gli elementi del modello di Lasswell come contenitori o categorie al cui interno isolare le variabili da analizzare nell’ambito del disegno di ricerca. Si è tentato, così, di individuare per ogni singolo elemento le componenti operazionabili. 26

27 La Communication Research
Nel clima culturale, scientifico e di opinione, che andava determinandosi tra gli anni Quaranta e Cinquanta, prende avvio (negli Stati Uniti prima e più rapidamente che altrove) la Communication Research, il cui sviluppo è segnato da una prevalente impronta empirista e dall’orientamento pragmatico che caratterizzano, fin dall’inizio, la sociologia statunitense. Caratterizzata inizialmente dal proliferare d’indagini empiriche su problemi circoscritti e, prevalentemente, da ricerche sugli effetti dei media e sui contenuti da essi veicolati (analizzati sempre in funzione degli effetti), la ricerca sociale sulle comunicazioni di massa (1) nasce come studio integrato (dal punto di vista sociale, culturale, psicologico) del processo comunicativo e dei suoi effetti. (1) Coloro che per primi si dedicarono alla ricerca sociale sulla comunicazione non furono tanto sociologi o psicologi, bensì scienziati politici (come Lasswell) o studiosi di retorica. 27

28 Il sovrapporsi di condizioni dettate dalla committenza a esigenze conoscitive di carattere scientifico possono spiegare perché, in questa fase, proliferino indagini su problemi circoscritti, relativi non tanto al processo di comunicazione nel suo complesso quanto, piuttosto, ad una o all’altra delle componenti di tale processo, considerata separatamente da tutte le altre. Vengono condotte, così, ricerche empiriche settoriali sulle aziende e sugli operatori dei media (fonte), sui contenuti da essi veicolati (messaggio), sulla esposizione e sulle modalità di fruizione da parte dei destinatari (pubblico), sulla influenza dei media sul pubblico (effetti), in termini di formazione, consolidamento e mutamento di opinioni, atteggiamenti, comportamenti individuali (effetti a breve termine). 28

29 In particolare, il prevalere d’indagini sugli effetti dei media e sui contenuti da essi veicolati (analizzati sempre in funzione degli effetti) può essere attribuito alla necessità di disporre di dati empirici per la messa a punto, da un lato, di modalità di realizzazione di prodotti mediali tali da raggiungere una vasta audience e, dall’altro, di adeguate strategie di propaganda (commerciale e politica). Per queste sue caratteristiche, e per la conseguente tendenza a privilegiare le esigenze metodologiche e tecniche della ricerca rispetto a quelle teoriche, la Communication Research (come, del resto, la ricerca sociale in genere) è, fin dall’inizio, oggetto di accese discussioni nell’ambito della riflessione più generale tra teoria ed empiria nelle scienze sociali. 29

30 Risale, infatti, ai primi anni Quaranta la polemica tra Lazarsfeld e Adorno, che ha segnato una frattura apparentemente insanabile tra ricerca amministrativa (quella che persegue, appunto, obiettivi di conoscenza utili per le aziende dei media) e teoria critica (che persegue, invece, mete di tipo teorico volte a svelare il presunto progetto manipolatorio messo in atto dai media). Alla contrapposizione tra queste due posizioni corrisponde un approccio sostanzialmente differente allo studio dei media, fondato su una altrettanto differente concezione dei media stessi. 30

31 La teoria critica La teoria critica si fonda su un approccio che studia, secondo una prospettiva totalizzante, fenomeni complessi a livello macrosociologico e persegue l’obiettivo di svelare presupposti, strategie e finalità di un siffatto progetto manipolatorio e repressivo, cui fa da sfondo una concezione dei media come strumenti di legittimazione del consenso, funzionali alla riproduzione di visioni del mondo dominanti. Questa teoria si può identificare con il gruppo di studiosi che fa capo all’Istituto per la Ricerca Sociale fondato nel 1923 a Francoforte. 31

32 La Scuola di Francoforte si propone di svelare i meccanismi disumani e alienanti della società capitalistica, assimilando questo tipo di società a un grande sistema che predetermina tutto ciò che l’individuo è o fa, mediante l’imposizione a priori di bisogni indotti e modi di pensare precostituiti. Nell’ottica dei francofortesi, questo grande sistema ha il suo braccio di azione proprio nella industria culturale (1). La manipolazione del pubblico passa attraverso i mezzi di comunicazione di massa, mediante effetti che si realizzano sui livelli latenti dei messaggi. Il messaggio latente è ritenuto più efficace di quello palese, poiché sfugge ai controlli della coscienza e penetra direttamente nella mente dell’individuo, contribuendo a formare la sua visione del mondo. (1) M. Horkheimer e T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo (1947), Einaudi, Torino 1966. 32

33 La ricerca amministrativa
La ricerca amministrativa si fonda, invece, su un approccio empirico che studia fenomeni circoscritti con procedimenti quantitativi e tecniche standardizzate di raccolta, misurazione e analisi dei dati (Content Analysis), al fine di fornire indicazioni utili per il conseguimento di obiettivi dettati da esigenze di mercato, cui fa da sfondo una più o meno esplicita concezione dei media come mezzi neutrali che, in un contesto pluralistico, operano in vista del conseguimento di più obiettivi concreti, definiti dai responsabili dei media stessi secondo logiche aziendali. 33

34 La teoria degli effetti limitati
A partire dai risultati delle ricerche empiriche condotte da P.F. Lazarsfeld e suoi collaboratori (1), si viene affermando la teoria degli effetti limitati, il cui postulato fondamentale è che gli effetti dei media nei processi d’influenza e di persuasione non sono diretti, bensì mediati dalla realtà relazionale vissuta dall’individuo, dunque da condizioni e fattori di ordine psicologico, sociale e culturale che agiscono da filtro nel rapporto tra media e pubblico. (1) P.F. Lazarsfeld, B. Berelson, H. Gaudet, The People’s Choise, Columbia Universiity Press, New York 1948; E. Katz, P.F. Lazarsfeld, L’influenza personale nelle comunicazioni di massa (1955), ERI, Torino 1968. 34

35 Questo paradigma, per lungo tempo dominante negli studi sulle comunicazioni di massa, è stato spesso male inteso o sottoposto a forzature nel tentativo di generalizzarne le implicazioni: molti hanno creduto, e alcuni credono tuttora, che parlare di effetti limitati dei media significasse, e significhi, disconoscerne o ridimensionarne drasticamente il potere di influenza. 35

36 Quasi a ribaltare l’antica ipotesi dell’onnipotenza dei media, la teoria degli effetti limitati è stata interpretata – e, in casi estremi, banalizzata – come un approccio teso a postulare una sorta di impotenza dei media, ovvero come un paradigma secondo il quale i media sortirebbero sul pubblico effetti di scarsa efficacia, estensione e intensità. 36

37 In realtà gli assunti di base di questa teoria sono ben altri: con essa non si postula che i media producono effetti quasi nulli sul pubblico, ma, piuttosto, che la loro eventuale influenza sull’individuo non è diretta, bensì mediata da condizioni e fattori di natura psicologica, culturale e sociale; inoltre non si fa riferimento a una generica influenza dei media, ma all’influenza specifica che essi possono esercitare sui processi di formazione, consolidamento e mutamento di singole opinioni, atteggiamenti e comportamenti individuali. 37

38 È per queste ragioni che Gianni Losito ha proposto di denominare questo approccio teoria dell’influenza mediata. In ogni caso, a prescindere dalla sua denominazione, sarebbe opportuno considerare questa teoria per come essa in realtà si propone: non una teoria generale degli effetti, qualunque essi siano, e dunque una teoria dell’impatto sociale dei media, bensì una teoria relativa a un particolare tipo di effetti a breve termine (persuasori e comportamentali), imputabili non alle comunicazioni di massa nel loro complesso, ma a singoli e specifici messaggi o insieme di messaggi (commerciali e politici) veicolati dai media. (1) G. Losito, Il potere dei media, NIS, Roma 1994. 38

39 Le conclusioni di Klapper
Verso la fine degli anni Cinquanta, le ricerche empiriche sugli effetti a breve termine dei media raggiungono una serie di conclusioni sintetizzate da J.T. Klapper (1). (1) J.T. Klapper, Gli effetti delle comunicazioni di massa (1960), Etas Kompas, Milano 1964. 39

40 a) Le comunicazioni di massa non sono cause necessarie e sufficienti di effetti specifici sul pubblico; esse, semmai, interagiscono con altri fattori e fonti d’influenza che intervengono a mediare il rapporto tra media e pubblico. b) L’esito di tale interazione si configura, prevalentemente, come un effetto di rafforzamento, piuttosto che di consistente e duratura modificazione di condizioni (opinioni, atteggiamenti, comportamenti) preesistenti. 40

41 c) Laddove si verificasse un effetto di modificazione, esso sarebbe imputabile o al venir meno dei fattori di mediazione sopra menzionati o a questi stessi fattori che eccezionalmente, invece di favorire il rafforzamento, si fanno essi stessi promotori della modificazione. d) Nel caso di messaggi esplicitamente finalizzati a incidere su opinioni, atteggiamenti e comportamenti dei destinatari (messaggi persuasori), l’efficacia delle comunicazioni di massa dipende non soltanto dai media o dalla comunicazione persuasoria in quanto tale, ma anche e soprattutto dalla situazione specifica (contesto) in cui la comunicazione avviene. 41

42 Tali conclusioni evidenziano alcune rilevanti implicazioni sul piano teorico:
1) L’abbandono del tradizionale modello comportamentista nello studio dei processi di comunicazione e persuasione, precedentemente assimilati a un meccanismo del tipo stimolo-risposta. 2) L’abbandono della tradizionale concezione del pubblico come massa, ovvero come aggregato amorfo d’individui passivi, socialmente isolati e incapaci d’interagire in modo significativo tra loro. 3) L’enfasi posta sull’intervento di fattori sociali nei processi di comunicazione e persuasione, con particolare riferimento alla mediazione esercitata dai gruppi primari (famiglia, scuola, gruppo dei pari) e, in seno ad essi, dai leaders d’opinione. 42

43 L’ipotesi del two step-flow
Su quest’ultima implicazione, si può fare riferimento all’ipotesi del two step-flow (flusso di comunicazione a due fasi), avanzata da E. Katz e P.F. Lazarsfeld (1), secondo cui il flusso di comunicazione, e quindi l’eventuale influenza dei media sul pubblico, va generalmente da questi ai leaders d’opinione, e da quest’ultimi agli altri individui all’interno dei gruppi sociali. (1) E. Katz, P.F. Lazarsfeld, L’influenza personale nelle comunicazioni di massa, op. cit. 43

44 Per leadership d’opinione s’intende un’autorevolezza esercitata casualmente, talvolta involontariamente e inconsapevolmente, da alcuni individui all’interno dei gruppi caratterizzati dalla presenza di relazioni faccia-a-faccia (familiari, vicini, amici, colleghi, ecc.). Il leader d’opinione è colui che occupa una posizione strategica nella rete di comunicazione all’interno del gruppo stesso e, conseguentemente, colui che più frequentemente ha contatti con gli altri membri del gruppo e con la realtà esterna al gruppo; dunque, anche chi più frequentemente si espone alle comunicazioni di massa. 44

45 L’approccio usi e gratificazioni
Gli studi sul consumo multimediale sviluppatisi verso la fine degli anni Cinquanta negli Stati Uniti, e successivamente in Gran Bretagna, utilizzano un approccio denominato usi e gratificazioni (1) il quale, ponendo l’accento sui nessi esistenti tra situazione sociale, motivazioni individuali e schemi tipici d’uso dei media, si basa su un modello teorico che può essere sintetizzato nel seguente modo: (1) E. Katz, “Mass Communication Research and the Study of Popular Culture”, Studies in Public Communication, 2, 1959, pp. 1-6; A.M. Rubin, “Uses, Gratifications, and media Effects Research”, in J. Bryant, D. Zilmann (eds), Perspectives on Media Effects, Erlbaum, Hillsdale 1986, pp 45

46 a) la situazione sociale genera determinati bisogni negli individui;
b) i media sono considerati, da ciascun componente del pubblico, capaci di soddisfare alcuni di questi bisogni e, per questo, vengono usati; c) dall’uso dei media, in vista della soddisfazione di bisogni, il pubblico ricava delle gratificazioni che aiutano ad affrontare la situazione sociale e ad alleviare eventuali condizioni di disagio da essa prodotte. 46

47 Questo modello presenta una sostanziale continuità con alcune premesse che stanno alla base del paradigma degli effetti limitati, o dell’influenza mediata, ravvisabile nel riconoscimento del ruolo attivo del pubblico nel rapporto con i media. Addirittura, l’accento posto sull’autonomia di ciascun fruitore nell’operare una selezione tra le molteplici proposte mediali risulta ancora più evidente in questo approccio, laddove si assimila la fruizione a un uso strumentale in vista della soddisfazione di bisogni individuali. 47

48 Riscoperta del potere dei media
III FASE ( ) Riscoperta del potere dei media 48

49 A partire dalle seconda metà degli anni Settanta, a seguito dei mutamenti intervenuti nel sistema e nell’offerta mediale, nella vita collettiva e nella domanda di conoscenza sui media, si assiste a uno spostamento d’interesse nello studio dei media e, nello stesso tempo, a una rinnovata enfasi sul loro potere d’influenza. L’attenzione degli scienziati sociali comincia a rivolgersi, così, agli effetti a lungo termine che i media possono indurre sui processi di socializzazione e di costruzione sociale della realtà. Il che porta a considerare come centrale un’area del fenomeno precedentemente ritenuta secondaria e accidentale, ovvero le conseguenze graduali e indirette che una prolungata esposizione ai media può produrre sull’attività cognitiva e percettivo-rappresentazionale dell’individuo. In questa prospettiva, sono elaborate nuove teorie e strategie d’indagine più complesse. 49

50 Quanto al riproporsi dell’idea dei media come agenti di effetti forti, questa – come osserva J. Carey – pur non presentando un andamento ciclico sembra accentuarsi in periodi e in contesti in cui la società è debole, cioé in crisi o in una fase di transizione: non a caso, negli anni Trenta, si attribuirono effetti forti ai media perché la depressione economica e la situazione politica dell’epoca crearono un terreno fertile per certi tipi di effetti; la normalità degli anni Cinquanta e Sessanta ha consentito, invece, la formulazione del modello degli effetti limitati, mentre la guerra, la conflittualità politica e la crisi economica degli ultimi anni Sessanta hanno contribuito a rendere il tessuto sociale più permeabile all’influenza dei media e, così, si è ritornato a parlare di media onnipotenti. (1) J. Carey, “The ambiguity of Policy Research”, Journal of Communication, 2, 1978. 50

51 In ogni caso, i risultati prevalenti delle ricerche empiriche condotte nell’ultimo trentennio del secolo scorso, piuttosto che una radicale contrapposizione, sembrano suggerire una sostanziale continuità tra vecchie e nuove acquisizioni, tanto che anche negli approcci teorici più recenti si può intravedere una sostanziale continuità con il paradigma della influenza mediata, laddove si evidenzia che il potere dei media è inversamente proporzionale al potere di altre possibili fonti d’influenza. Nel corso degli anni Settanta, tre ordini di fattori inducono gli scienziati sociali a un rinnovato e più inventivo sforzo d’indagine empirica e di riflessione teorica sugli effetti dei media. 51

52 Il primo fattore è relativo ai mutamenti intervenuti nel sistema dei media e nell’offerta mediale: le comunicazioni di massa, sempre più diffuse nella vita quotidiana di larghe fasce della popolazione, propongono al pubblico una offerta mediale sempre più ampia e differenziata; la televisione comincia a imporsi come medium pervasivo, tale da raggiungere una rilevanza sociale pari o superiore alle tradizionali agenzie di socializzazione e da essere considerato uno dei principali agenti costruttori della realtà. 52

53 Il secondo fattore riguarda i mutamenti intervenuti nella vita collettiva. Si assiste, soprattutto nelle grandi città industrializzate, a una progressivo svuotamento della dimensione comunitaria, a un deficit di socialità, intesa come essere con e per gli altri, con il conseguente venir meno della centralità dei rapporti interpersonali. Questa tendenza concorre a creare un indebolimento delle funzioni di mediazione svolte dalle tradizionali agenzie di socializzazione. 53

54 Il terzo fattore riguarda, invece, i mutamenti intervenuti nella domanda di conoscenza sui media. Come si è già accennato, gli studi sulla comunicazione di massa, dopo essersi rivolti prevalentemente agli effetti a breve termine sui processi di influenza e persuasione, cominciano ora a concentrarsi prevalentemente sugli effetti a lungo termine nei processi di socializzazione e di costruzione sociale della realtà. 54

55 L’ipotesi dei powerful mass media
Sulla base di queste mutate condizioni, alcuni studiosi ripropongono l’ipotesi dei media come agenti di effetti forti: erano ormai presenti – come sostenne, allora, E. Noelle-Neumann (1) – le condizioni per un recupero della nozione di powerful mass media. Tale considerazione si basa sulla constatazione di tre evenienze che, dagli anni Settanta in poi, caratterizzano il sistema dei media e il suo operare. (1) E. Noelle-Neumann, “Return to the Concept of Powerful Mass Media”, Studies of Broadcasting, 9, 1973. 55

56  In primo luogo, la presenza sempre più pervasiva dei media, e in particolare della televisione, nella vita quotidiana (ubiquità).  In secondo luogo, l’accentuarsi della loro funzione di dispensatori di rappresentazioni e informazioni sostanzialmente omogenee, trattate allo stesso modo nei diversi mezzi (consonanza);  In terzo luogo, la ripetitività, ovvero la trattazione reiterata di determinati temi e personaggi, collocati costantemente in primo piano e imposti all’attenzione del pubblico (cumulazione). 56

57 La teoria dell’agenda setting
Su tali considerazioni prende forma la teoria dell’agenda setting (1) che si riferisce a un ambito specifico delle comunicazioni di massa: quello dell’informazione giornalistica. L’assunto di base di questa teoria è che il potere d’influenza dei media si manifesta nel fatto che essi presentano al pubblico una sorta di elenco di eventi, temi e personaggi sui quali è necessario essere informati. In tal modo, i media possono distorcere la realtà, attribuendo particolare importanza a determinati fatti piuttosto che ad altri. (1) M. E. McCombs e D. L. Shaw, “The Agenda-Setting Function of the Press” (1972), Public Opinion Quarterly, 36, pp ; E.F. Shaw, “Agenda-Setting and Mass Communication Theory”, Gazette, 2, 1979, pp 57

58 Per questa via, il pubblico sa o ignora, considera o trascura, elementi specifici della vita pubblica. Gli individui, infatti, tendono generalmente a includere o a escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dai propri contenuti, e ad attribuire agli eventi, ai temi e ai personaggi proposti dai media una importanza corrispondente all’enfasi con la quale essi sono trattati. 58

59 In altre parole, il potere dei media consiste nel fatto che essi, descrivendo in un certo modo la realtà, attirano l’attenzione del pubblico su ciò di cui parlano, e nella misura in cui ne parlano, determinandone di conseguenza l’importanza. Pertanto, più che proporre opinioni, i media propongono (o impongono) l’ordine del giorno su cui è necessario essere informati e discutere, ovvero i temi su cui avere una opinione. 59

60 Si possono distinguere almeno tre tipi di salienza:
L’effetto di agenda è un effetto cumulativo che si manifesta in termini di salienza dei temi al centro dell’attenzione del pubblico. Si possono distinguere almeno tre tipi di salienza: a) la salienza individuale, che corrisponde all’importanza attribuita autonomamente da ciascuno a un tema, in base a un proprio ordine di priorità; b) la salienza percepita, che corrisponde all’importanza che ciascuno ritiene che gli altri attribuiscano a un tema; c) la salienza comunitaria, che corrisponde all’importanza attribuita a livello collettivo a un tema. 60

61 I primi due tipi di salienza, relativi alla sfera personale, rappresentano effetti di natura cognitiva; mentre il terzo, relativo alla sfera interpersonale, rappresenta un effetto di natura comportamentale, con conseguenze sulle azioni e sulle relazioni sociali. Gli studi sull’argomento hanno evidenziato che i soggetti più sensibili ad un possibile effetto di agenda sono quelli con elevati livelli di esposizione ai media e con bassi di livelli d’integrazione e di comunicazione interpersonale nei gruppi sociali (risultati, questi, già emersi nelle ricerche degli anni Quaranta e Cinquanta sul comportamento elettorale). Anche in questo approccio emerge, dunque, l’importanza dell’influenza dei rapporti interpersonali e del patrimonio cognitivo individuale come agenti di mediazione nel rapporto tra media e pubblico. 61

62 L’ipotesi della spirale del silenzio
La premessa che sta alla base della teoria dell’agenda setting, secondo cui i media indicano su cosa avere un’opinione e non quale opinione avere, è ribaltata da Noelle-Neumann (1) in coerenza con la sua ipotesi dei powerful mass media: attraverso i media, i gruppi di potere possono esprimere ripetutamente e con maggiore forza le proprie opinioni; il che lascia supporre al pubblico che queste siano più diffuse e condivise di quanto non sia effettivamente nella realtà. Tale supposizione finisce con il configurarsi come una sorta di profezia che si autoadempie, nel senso che le opinioni considerate maggioritarie, pur non essendolo, finiscono col diventarlo realmente. (1) E. Noelle-Neumann, “Turbulence in the Climate of Opinion: Methodological Application of the Spirale of Silence”, Public Opinion Quarterly, 41, 1977. 62

63 Ciò accade perché coloro che sono portatori di opinioni diverse da quelle dominanti, sentendosi socialmente isolati, tacciono rinunciando a far valere il proprio punto di vista. Questo processo, che porta all’annullamento simbolico delle opinioni minoritarie (avverse a quelle dominanti) è denominato spirale del silenzio. Un elemento importante, messo in rilievo da questa ipotesi, riguarda il concetto di opinione pubblica la quale, per via di quella caratteristica squisitamente sociale dell’essere umano che porta a evitare l’isolamento, tenderebbe generalmente a conformarsi alle idee dominanti. 63

64 La teoria della coltivazione
Anche la teoria della coltivazione (o dell’incubazione culturale) è riconducibile all’ipotesi dei powerful mass media. Formulata da G. Gerbner (1) sulla base dei risultati di un programma pluriennale di ricerca, condotto tra gli anni Sessanta e Settanta, essa si occupa dell’influenza della televisione sui processi di costruzione sociale del sapere comune, considerandone la funzione di agente costruttore della realtà. (1) G. Gerbner, “Toward Cultural Indicators: the Analysis of MassMediated Public Message System”, Audiovisual Communication Review, 2, 1969; Id., “Living with Television: the Dynalic of Cultivation Process”, in J. Bryant, D. Zillman (eds), Perspectives on Media Effects, Erlbaum, Hillsdale 1986. 64

65 L’ipotesi sulla quale si fonda questa teoria è che il processo di trasmissione e di eventuale accettazione delle immagini di realtà proposte dalla televisione è un processo di coltivazione a lungo termine, cumulativo e non intenzionale. A questa ipotesi fa da sfondo una concezione della televisione, e della sua funzione sociale, che si basa sulle stesse prerogative dei media indicate da Noelle-Neumann (ubiquità, consonanza, cumulazione), estendendone la portata dall’informazione giornalistica a tutti gli altri prodotti mediali, e in particolare alla fiction. 65

66 Agli effetti di coltivazione della televisione sono sensibili, soprattutto, i telespettatori più assidui che, rispetto a quelli meno assidui, sarebbero maggiormente portati a rappresentare la realtà secondo modelli televisivi, anche se – come sottolinea lo stesso Gerbner – altri fattori, oltre all’esposizione ai programmi televisivi, intervengono a determinare le differenze tra i due tipi di telespettatore quali, ad esempio, un basso livello d’istruzione, di mobilità sociale e di aspirazioni, un alto livello di ansietà e altre variabili quali il sesso, l’età, l’etnia. 66

67 Secondo Gerbner, i forti consumatori di programmi televisivi, e in particolare di fiction, assorbono immagini della realtà congruenti più con i contenuti televisivi (television answers) che non con la realtà vissuta. Conseguentemente, essi percepiscono la realtà in maniera totalmente differente da coloro che, invece, guardano poco la televisione. I primi manifestano, inoltre, una vasta gamma di stati emotivi e cognitivi comprendenti un’accentuata mancanza di autostima, una insoddisfazione per il proprio stile di vita, una marcata sfiducia nei rapporti interpersonali, un forte timore di rimanere vittime della criminalità. 67

68 Tra le critiche sollevate contro questo approccio emerge, innanzi tutto, un dato empirico: le ricerche sull’argomento condotte in contesti nazionali diversi dagli Stati Uniti non hanno fornito medesimi risultati; di conseguenza, si può supporre che il processo di coltivazione non è generalizzabile in modo indifferenziato, ma va circoscritto a un determinato contesto sociale e culturale. 68

69 Oltre a ciò, si può aggiungere anche un dato di natura teorica: guardare la televisione è un’attività che avviene secondo differenti modalità di consumo e di percezione; un importante elemento di variazione, in questo ambito, è rappresentato dai differenti gradi di realtà attribuiti dai telespettatori alle rappresentazioni televisive. 69

70 In altre parole, si possono avanzare nei confronti della teoria della coltivazione le stesse considerazioni critiche relative all’ipotesi della spirale del silenzio, le quali rinviano all’opportunità di tenere in debito conto anche le condizioni psicologiche, sociali e culturali che differenziano il pubblico nel suo rapporto con la televisione e i suoi possibili effetti. 70

71 Infatti, nella Cultivation Analysis sono considerate, rilevate e controllate soltanto le variabili socio-demografiche di base (sesso, età, etnia, livello d’istruzione) e quelle relative al consumo televisivo (alta e bassa esposizione), mentre rimangono fuori dal disegno della ricerca (e, quindi, dai dati e dalla teoria che su questi si basa) le variabili relative alla personalità del telespettatore, alle sue esperienze di socializzazione, alle modalità di ricezione, comprensione e interpretazione dei contenuti televisivi, con una inevitabile sottostima del loro ruolo di variabili intervenienti nella relazione tra esposizione televisiva e concezioni della realtà ispirate ai modelli televisivi. 71

72 Il modello del knowledge gap
Gli studi sulla diffusione delle conoscenze veicolate dai media costituiscono la cornice di riferimento del modello del knowledge-gap (differenziale o scarto di conoscenza), formulato da P. Tichenor (1) e altri. Le ricerche sull’argomento hanno dimostrato che, generalmente, coloro che appartengono a un livello socio-economico elevato rivelano alte predisposizioni nei confronti della stampa; coloro che invece appartengono a un livello socio-economico basso rivelano predisposizioni nei confronti di radio e televisione. Inoltre la parte di popolazione motivata ad acquisire le informazioni, e per la quale le informazioni sono funzionali, tende ad acquisirle più velocemente rispetto a chi non è motivato, così che lo scarto di conoscenza tra ricchi d’informazione e poveri d’informazione inevitabilmente aumenta. (1) P. Tichenor ed al., “Mass Media and and Differential Growth in Knowledge”, Public Opinion Quarterly, 34, 1970, pp 72

73 Il paradigma degli scarti di conoscenza, dopo aver subito una certa marginalità tra gli anni Settanta e Ottanta, sta conoscendo negli ultimi tempi maggiore fortuna a seguito dei problemi posti in essere dalle nuove tecnologie digitali della comunicazione che agirebbero da agenti di disuguaglianza intervenendo a marcare dinamiche di differenziazione sociale. 73

74 Alcuni Autori evidenziano, al riguardo, una rottura di continuità tra il modo in cui operavano i mass media e quello messo in atto dai new media. In ogni caso, al di là delle possibili differenze d’iniquità tra media tradizionali e nuovi, è significativa l’attualità del nucleo origario di questa teoria: i media producono scarti di conoscenza tra le classi e i gruppi sociali; così facendo, aprono nuove forme di disuguaglianza e questo impatto, oltre che evidente, è altrettanto rilevante della loro presunta capacità di omogeneizzare e appiattire ogni differenza. 74

75 Anche in questo caso, si può osservare una stretta relazione con il paradigma dell’influenza mediata, laddove si tende a rafforzare l’ipotesi che l’offerta multimediale è ampia e differenziata, l’esposizione ai media è selettiva (al pari della percezione, memorizzazione, comprensione e interpretazione dei messaggi da essi veicolati) e, dunque, l’impatto dei media sul pubblico non è lo stesso per tutti. 75

76 La teoria delle rappresentazioni sociali
Alla fine degli anni Sessanta, a partire dal presupposto che il nostro rapporto con la realtà è mediato da rappresentazioni che esprimono la condivisione sociale d’immagini e significati senza i quali nessuna collettività potrebbe operare, la teoria delle rappresentazioni sociali (1) postula che le rappresentazioni della realtà proposte dai media esercitano una influenza nei processi in virtù dei quali l’individuo:  apprende quanto è richiesto per vivere in una data società in un determinato momento storico (socializzazione); costruisce il suo sapere sul mondo (costruzione sociale della realtà). (1) R.M. Farr, S. Moscovici, Rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna 1989. 76

77 La realtà, per l’individuo, è in grande misura determinata da ciò che è socialmente accettato come realtà. Kurt Lewin 77

78  la percezione (di oggetti, persone, eventi);
Le informazioni che ricaviamo dal rapporto con l’ambiente attivano un processo nel quale intervengono, simultaneamente:  la percezione (di oggetti, persone, eventi);  la memoria (del già noto);  l’elaborazione concettuale (categorizzazione). 78

79 Poiché il mondo con cui abbiamo a che fare è sociale, il nostro rapporto con la realtà è mediato da rappresentazioni sociali (RS) che condividiamo con altri culturalmente situati e alle quali si adatta il nostro sistema percettivo, cognitivo, valoriale. Anche se siamo noi a crearle, sono esse a costruirci come attori sociali, ovvero a costruire il nostro comportamento simbolico in società. G. Greco, Comunicazione, cultura e rappresentazioni sociali, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997. 79

80 Le rappresentazioni sociali rappresentano ciò che è socialmente rappresentato.
Serge Moscovici 80

81 Secondo Moscovici, le RS sono fatti che sono sociali nella misura in cui hanno a che fare con l’universo consensuale, ovvero nella misura in cui esprimono una condivisione sociale della realtà. La sua concezione deriva, con originali innovazioni, dal concetto di rappresentazioni collettive elaborato, a suo tempo, da Émile Durkheim. É. Durkheim, Le formes élémentaires de la vie religieuse (1912), trad. it. Le forme elementari della vita religiosa, Edizioni di comunità, Milano 1971. 81

82 Ma, mentre Durkheim ha considerato le rappresentazioni nella loro funzione teorica, ritenendole essenzialmente una entità esplicativa (un concetto), Moscovici, ritenendole invece un fenomeno sociale, è interessato a studiarne la dinamica. Le rappresentazioni di cui si occupa Moscovici non sono quelle delle società primitive, né le loro vestigia che giacciono nel sottosuolo della cultura dai tempi della preistoria, bensì quelle della società attuale. 82

83 I media hanno accelerato questa tendenza:
Nella società contemporanea, l’importanza delle RS tende ad aumentare in proporzione diretta alla eterogeneità e alla fluttuazione dei sistemi unificanti – scienza, religione, ideologia – e ai cambiamenti che esse devono intraprendere per penetrare la vita quotidiana e divenire parte della realtà comune. I media hanno accelerato questa tendenza: siamo circondati da parole, idee, immagini che ci penetrano le orecchie, gli occhi, la mente, che ci sollecitano senza che ne siamo per lo più consapevoli. S. Moscovici, Le rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna 2005. 83

84 Ciò premesso, il primo punto da prendere in considerazione è il seguente: perché creiamo delle rappresentazioni sociali della realtà? L’intuizione avanzata da Moscovici è che lo scopo di tutte le rappresentazioni è quello di rendere qualcosa di inconsueto, o l’ignoto stesso, familiare. L’atto di rappresentazione è, dunque, un mezzo per trasferire ciò che ci disturba, ciò che minaccia il nostro universo consensuale, dall’esterno all’interno, da un luogo lontano a uno spazio prossimo. 84

85 Le rappresentazioni che noi fabbrichiamo sono sempre il risultato dello sforzo costante di rendere consueto (familiare) e reale (concreto) qualcosa che è inconsueto o ci dà un senso di estraneità. Attraverso le RS noi dominiamo ciò che non conosciamo e lo integriamo nel nostro universo consensuale. Tale processo ci rassicura e ci conforta, restituiendoci un senso di continuità. 85

86 I meccanismi fondamentali che consentono questo processo sono:
Ma in che modo le RS rendono familiare e concreto ciò che ci appare inconsueto ed estraneo? I meccanismi fondamentali che consentono questo processo sono:  l’ancoraggio, che porta a familiarizzare l’insolito e il non noto nel contesto cognitivo conosciuto;  l’oggettivazione, che comporta la trasformazione dall’astratto al concreto e trasforma gli oggetti mentali in cose che esistono nella realtà quotidiana. 86

87 Se accettiamo l’idea che, in qualunque ambiente, esiste sempre un certo grado di autonomia e un certo grado di costrizione, possiamo ritenere che le RS hanno – per così dire – una doppia natura: convenzionale e prescrittiva:  In primo luogo, le RS convenzionalizzano gli oggetti, le persone, gli eventi che incontriamo nel nostro percorso, fornendo loro una forma precisa, assegnandoli a una data categoria e definendoli quale modello di un certo tipo, distinto da un altro ma, comunque, socialmente condiviso.  In secondo luogo, le RS prescrivono cosa dobbiamo pensare circa gli oggetti, le persone, gli eventi che incontriamo nel nostro percorso. 87

88 Qual è, dunque, il ruolo dei media nei processi di formazione, consolidamento e mutamento delle RS?
I media propongono, implicitamente o esplicitamete, RS la cui influenza appare quanto mai evidente nei processi di socializzazione e di costruzione sociale della realtà, anche se le valutazioni sugli esiti di tale influenza risultano differenti. 88

89 Gli studi, in questo ambito, si sono prevalentemente concentrati sull’antinomia uniformità/diversità; così, la questione attorno alla quale si sono interrogati gli studiosi è stata: i media uniformano o diversificano le persone, inducono consenso o dissenso, educano al conformismo o alla devianza? Impostata in questi termini, la questione, però, ha finito con l’assumere i toni e gli esiti di una sterile contrapposizione. G. Losito, Il potere dei media, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994. 89

90 In realtà, pur assumendo modalità tendenzialmente analoghe a quelle delle agenzie tradizionali (famiglia e scuola), la funzione di socializzazione dei media presenta rilevanti differenze. Analizziamo perché. 1. L’offerta multimediale è, attualmente così ampia e differenziata da consentire margini di scelta individuali più ampi di quelli possibili nell’interazione con le agenzie tradizionali. 90

91 2. Essendo orientata da competenze, bisogni e motivazioni individuali, l’esposizione ai media è selettiva: ogni attore sociale costruisce i suoi percorsi di consumo in riferimento a segmenti trasversali ai media, cercando nei vari strumenti il genere o i generi che preferisce e ai quali abitualmente si espone. 3. Altrettanto diversificata è la percezione, memorizzazione e assimilazione dei messaggi dei media. 91

92 Pertanto, mentre determinati percorsi di consumo, centrati su un sotto-genere prevalente (come, ad esempio, la fiction), sono al loro interno tendenzialmente omogenei, altri invece, centrati su più generi e, dunque, sollecitati da contenuti quantitativamente e qualitativamente diversificati, sono al loro interno eterogenei, al punto che, piuttosto che uniformare, tendono a differenziare sul piano cognitivo e valoriale i consumatori. 92

93 Questo significa che i media possono contribuire a favorire sia conformità che devianza e indurre, dunque, sia consenso che dissenso. Dunque, ancora una volta, l’impatto dei media non è lo stesso per tutti. 93

94 L’influenza dei media sui processi di socializzazione è tanto più rilevante quanto più deboli e inefficaci sono le altre agenzie di socializzazione, quanto più poveri sul piano cognitivo e culturale sono gli individui che a essi si espongono, quanto più i media costituiscono per loro il prevalente, se non l’unico, contatto con il mondo esterno. L’influenza dei media può risultare più forte per quanti sono coinvolti in un processo di crisi o destrutturazione della sub-cultura di cui sono partecipi. 94

95 In questo quadro generale, che riferisce la funzione di socializzazione dei media al contesto socio-culturale in cui essa si esplica, vanno considerati anche i loro effetti sui processi di costruzione sociale della realtà; ovvero l’influenza dei media su quello che la gente ‘conosce’ come ‘realtà’ nella vita quotidiana (senso comune). P.L. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969. 95

96 Le RS esprimono la condivisione sociale del senso comune, quella forma di comprensione che crea il substrato di immagini e significati senza i quali non potremmo interagire e comunicare: noi organizziamo i nostri pensieri in base ad un sistema che è condizionato dalle RS che condividiamo, e vediamo solo ciò che esse ci permettono di vedere, per lo più senza esserne nemmeno consapevoli. 96

97 Ciò non significa che non siamo in grado di divenire consapevoli dell’aspetto convenzionale della realtà e di sottrarci ai vincoli che questo impone alla nostra percezione e al nostro pensiero. Ma, poiché non riusciremo mai ad essere liberi da tutte le convenzioni o a eliminare tutti i pregiudizi, piuttosto che cercare di evitare o negare gli uni e le altre, una strategia migliore potrebbe essere quella di scoprire e rendere esplicita una determinata rappresentazione sociale, portando al centro della scena ciò che sta dietro le quinte. 97

98 L’individuazione e la descrizione sul piano empirico di una determinata rappresentazione sociale, nonché l’accertamento dell’eventuale influenza dei media sulla stessa, comportano innanzi tutto una definizione delle dimensioni che la caratterizzano. Sulla base di quanto evidenziato fin qui, è possibile individuarne almeno tre: 98

99  l’informazione, ovvero l’insieme delle conoscenze relative all’oggetto della rappresentazione sociale;  il campo di rappresentazione, ovvero l’organizzazione gerarchizzata degli elementi costitutivi della rappresentazione sociale;  l’atteggiamento, ovvero l’orientamento generale, di segno positivo o negativo, nei confronti dell’oggetto della rappresentazione sociale. 99

100 I media costituiscono una componente di primaria importanza del contesto in riferimento al quale si realizzano i processi (oggettivazione e ancoraggio) di formazione, consolidamento o trasformazione di una rappresentazione sociale. Essi, infatti: 100

101  forniscono informazioni nuove e/o riproducono informazioni già disponibili relative all’oggetto di una data rappresentazione sociale;  gerarchizzano tali informazioni, attribuendo a esse un senso nell’ambito di schemi organizzati sulla base di un riferimento esplicito e/o implicito a valori; essi, cioè, contribuiscono con le altre possibili fonti d’influenza a costituire il “campo” di quella determinata rappresentazione sociale;  possono influenzare gli atteggiamenti degli individui nei confronti dell’oggetto di quella data rappresentazione sociale. 101

102 L’influenza dei media nei processi di socializzazione e di costruzione sociale della realtà non sortisce gli stessi effetti sugli individui che a essi si espongono, perché:  l’esposizione ai media, essendo orientata da competenze, bisogni e motivazioni individuali, è selettiva (1). la percezione e la memorizzazione dei messaggi e delle immagini veicolate dai media, essendo mediata da condizioni e fattori di natura psicologica, sociale e culturale che pertengono all’individuo e al contesto sociale in cui egli vive, sono anch’esse selettive. (1) Ogni individuo, infatti, costruisce percorsi di consumo in riferimento a segmenti di offerta multimediale trasversali ai media, piuttosto che in riferimento ai media stessi, cercando nei vari strumenti di comunicazione il genere o i generi che preferisce e ai quali abitualmente si espone. 102

103 Il ricorso alla teoria delle rappresentazioni sociali consente, in ultima analisi, di valutare in modo più cauto il potere dei media, consapevoli che il rapporto tra media e pubblico non avviene in un vuoto sociale e culturale, e che il potere dei media va riconsiderato in termini di influenza mediata anche nel caso degli effetti a lungo termine (1). Tale teoria consente, inoltre, di considerare la continuità tra la ricerca sugli effetti a breve termine e quella sugli effetti a lungo termine e, conseguentemente, l’opportunità di reintegrare questi due filoni d’indagine e, con essi, anche le dimensioni micro e macrosociale. (1) Ovviamente, sempre che il sistema dei media sia pluralistico e regolamentato, e siano operanti i fattori e le condizioni che rendono possibile la mediazione, ribadendo con ciò la relatività del potere dei media il quale è direttamente proporzionale alla presenza/assenza di altre possibili fonti d’influenza. 103

104 Infine, si può ipotizzare che il quadro teorico di riferimento per questa operazione di ri-connessione vada rintracciato, piuttosto che in una teoria dei media, in una teoria dell’azione sociale, in cui i media siano considerati insieme alle altre fonti d’influenza e in relazione con esse, e che il filone di ricerca sulle RS possa dunque indicare un possibile percorso per realizzarla sul piano empirico. 104

105 Influenza negoziata dei media
IV FASE (dal 1980) Influenza negoziata dei media 105

106 Negli ultimi decenni, l’intero sistema dei media è stato investito da profonde trasformazioni tecnologiche, che ne hanno rivoluzionato le caratteristiche operative e sociali. Per questa via, mentre nuovi media sono intervenuti a modificare il nostro modo di comunicare, conoscere e svolgere numerose attività (creative, ludiche, professionali), anche i media tradizionali si sono trasformati, tanto che oggi il panorama appare multimediale e globale. Contestualmente, si è ulteriormente trasformata la nostra esperienza del mondo, le modalità di interagire con le sue diverse realtà, con gli altri, con noi stessi. 106

107 Con l’avvento del digitale, oggi si pongono (o si ripropongono sotto una nuova luce) tutta una serie di questioni che richiedono un rinnovato e più inventivo sforzo di indagine empirica e riflessione teorica da parte della ricerca sociale (1). Le questioni poste dagli studi più recenti evidenziano l’inadeguatezza di buona parte delle teorie e metodologie fino a oggi utilizzate. Tuttavia l’avvento di una nuova realtà (antropologica oltre che tecnologica) interviene a riaprire il dibattito sull’influenza dei media non solo su temi di ordine metodologico e teorico ma, anche e soprattutto, su temi di ordine sociale, politico, culturale, educativo (1). (1) G. Greco (a cura di), Mediamorfosi. Conversazioni su comunicazione e società, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000; G. Greco (a cura di), ComEducazione. Riflessioni su comunicazione e educazione, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002; G. Greco, L’avvento della società mediale. Riflessioni su politica, sport, educazione, FrancoAngeli, Milano 2004; G. Greco (a cura di), La svolta comunicativa. Uno sguardo sull’universo giovanile, Aracne, Roma G. Greco (a cura di), La comunicazione nelle scienze dell’educazione, Anicia, Roma 2009. 107

108 La crescente mediatizzazione dell’esperienza, cui si può fare riferimento per descrivere la configurazione che essa tende ad assumere nella postmodernità, rimanda a una crescita esponenziale dei rapporti interpersonali, attraverso molteplici e differenti tecnologie di comunicazione. 108

109 L’interconnessione abituale con uno schermo, e tramite questo con altri, intervenendo a modificare in profondità il modo di considerare il corpo e la mente, noi stessi e gli altri, ovvero il modo in cui pensiamo e sentiamo, sta svolgendo un ruolo determinante nella nascita di una nuova sensibilità culturale e sociale, particolarmente evidente nell’universo giovanile (1). (1) S. Turkle, Life on the screen (1996), trad. it. La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet, Apogeo, Milano 1997. 109

110 Alla costante ricerca di punti di riferimento e di connessione, i giovani tendono oggi a coltivare una vita sullo schermo in cui apprendono pratiche di superficie che, in quanto tali, non richiedono l’impegno di andare in profondità e a trasferire, poi, questa abitudine anche nella vita quotidiana (al di qua dello schermo) e, persino, nella sfera dell’intimità. 110

111 Tra le conseguenze più rilevanti di questo ulteriore processo di trasformazione dell’esperienza, si può ipotizzare l’emergenza nell’universo giovanile di nuove forme di socialità che, se da una parte sembrano poter fare a meno della presenza e del contatto fisici, dall’altra sembrano intervenire a sollecitare una pubblica sovraesposizione della propria intimità. 111

112 È, questo, uno dei risultati più interessanti emersi da uno studio condotto presso l’Università della Calabria (PRIN 2005), il quale individua nell’universo giovanile: un cambiamento nel modo di percepirsi e di mostrarsi agli altri; una crescente difficoltà di espressione delle emozioni in situazioni d’interazione in presenza; un diffuso utilizzo delle tecnologie della comunicazione mediata, che sembrano rendere più agevole la comunicazione e condivisione delle emozioni. 112

113 Sembra farsi strada una nuova cultura dell’intimità fondata, al tempo stesso, sul disimpegno emotivo in situazioni di comunicazione in presenza e su una sovraesposizione delle proprie emozioni in situazioni di comunicazione mediata. 113

114 Un esempio emblematico è rappresentato dalle pratiche di condivisione materiale e affettiva attivate dai siti di social network (1), la cui popolarità nel corso degli ultimi anni è sensibilmente aumentata anche nel nostro Paese, soprattutto (ma non solo) tra i giovani, che li utilizzano come parte integrante delle loro pratiche di vita quotidiana (2). d. boyd, N.B. Ellison, Social Network Sites: Definition, History and Scholarship, in «Journal of Computer-Mediated Communication», 13(1), II, 2007. M. Ito et al., Living and Learning with New Media: Summary of Findings from the Digital Youth Project, MacArthur Foundation, Chicago 2008. 114

115 Stando ai risultati delle ricerche internazionali, l’uso prevalente di questi siti appare legato alla estensione in senso qualitativo e quantitativo dei rapporti esistenti, più che alla creazione di nuovi legami con soggetti conosciuti in rete. Questa prevalente tendenza verso pratiche «guidate dall’amicizia» non esclude, tuttavia, la presenza di pratiche «guidate dall’interesse» che sollecitano l’esigenza di ampliare il proprio network di conoscenze per includere soggetti con cui condividerlo. 115

116 È lungo questa linea di demarcazione fra mantenimento ed estensione del proprio capitale sociale che si pone, oggi, la ristrutturazione della distinzione fra pubblico e privato, cui rimanda anche il neologismo publicy, forma contratta dei due termini inglesi “public” e “privacy”, che allude alla commistione tra una dimensione pubblica e una privata, propria di molte forme di comportamento del nostro tempo e tipica forma comunicativa del web. 116

117 Certo è che i contenuti generati e pubblicati dagli utenti nei SNs sono, in un certo senso e al tempo stesso, più pubblici e più privati (1): se da una parte la necessità di privacy sembra essere ancora molto sentita, come dimostra il successo di Facebook che permette di scegliere i confini della propria esposizione in pubblico, dall’altra essa tende a sfumare a fronte di una sovraesposizione delle proprie vite in cui l’intimità diventa pubblica sotto forma di foto, commenti, note e stati d’animo estemporanei. (1) F. Giglietto, “Io, i miei amici e il mondo: uno studio comparativo su Facebook e Badoo in Italia”, in L. Mazzoli (a cura di), Network effects. Quando la rete diventa pop, Codice edizioni, Torino 2009. 117

118 Altrettanto evidente appare il fatto che l’intimità digitale consente di vivere forti condivisioni emotive senza che queste siano, necessariamente, un preludio alla capacità di dare vita a relazioni profonde. In altre parole: ci troviamo in presenza di uno stato nuovo di sperimentazione della relazione, in cui si produce un vicinato digitale senza necessità di profondità relazionale; è uno stato di difficile gestione emotiva e affettiva che rende complesso pensare oggi se stessi in chiave relazionale nell’equilibrio fra ambienti quotidiani reali e ambienti quotidiani digitali (1). (1) G. Boccia Artieri, “SuperNetwork: quando le vite sono connesse”, in L. Mazzoli (a cura di), op. cit. 118

119 Tali considerazioni inducono ad approfondire lo studio della ridefinizione in atto nelle forme della relazione sociale e, contestualmente, nelle pratiche di costruzione dell’identità (PRIN 2009). 119


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