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Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

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Presentazione sul tema: "Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia"— Transcript della presentazione:

1 Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia
Anno Accademico Offerta Formativa Didattica Opzionale (ADO) LA TUTELA DEL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE IN SANITÀ Tutti i Venerdì dal 27 febbraio al 3 aprile 2009 Ore 14,30 -16,30 1a. lezione Le origini del consenso informato : il cambiamento del paradigma etico tradizionale Mariella Immacolato Direttore U.O. Medicina Legale Az. USL 1 di Massa Carrara Presidente Comitato Etico Locale Az. USL 1 di Massa Carrara Prof- ADO di bioetica corso di laurea Medicina e Chirurgia Università di Pisa Docente di Medicina Legale Assicurativa scuola di spec. medicina legale Università di Siena Commissione regionale di Bioetica (Toscana) Direttivo Consulta di Bioetica Milano U.O. Medicina Legale Az. USL 1, Via Risorgimento, 18 – Massa - Tel. 0585/ fax 0585/493050 E –mail :

2 La medicina, la vita, la malattia
La malattia e la morte, esperienze inevitabili e fondatrici dell’esperienza umana, hanno da sempre suscitato la ricerca del perché, la proposta di ragioni, la necessità di spiegazioni.

3 La malattia e la morte hanno dato origine in tutte le civiltà a miti, riti, pratiche, relazioni, strutture, a tre diversi livelli: 1) nei rapporti di presa in carico interpersonale e collettivo della sofferenza dell’altro; 2) nella creazione di spazi adeguati a tale presa in carico, siano essi il rifugio familiare, la capanna dello sciamano, il tempio del sacerdote, la clinica, il gabinetto del medico, l’ospedale; 3) la ricerca del perché, di una spiegazione.

4 Medicina Teurgica Nelle prime fasi , la medicina occidentale era la medicina teurgica, in cui la malattia era considerata un castigo divino, concetto che si trova in moltissime opere greche, come l’Iliade, e altre. Col passare del tempo la medicina prese sempre più le distanze dalla religione sino ad arrivare alla medicina razionale di Ippocrate, che segnò il limite tra razionalità e magia

5 Medicina razionale La nascita della medicina razionale, in Grecia nell’epoca classica, al momento stesso della nascita dell’arte e della filosofia, in altre civiltà in periodi storici diversi, definisce un preciso luogo la polis, la città, e pone come elemento epistemologico discriminante la riflessione sulla causalità e sull’ordine delle cose.

6 La medicina razionale Ciò che caratterizza la medicina razionale non è la generica ricerca delle cause, ma la riflessione teorica sui nessi logici fra causa ed effetto, fra eventi e condizioni. Lo statuto epistemologico (natura del sapere) della medicina razionale è caratterizzato dal dualismo di fondo fra sapere e pratica. Lo stesso termine utilizzato per definire la medicina (iatrikè (conoscenza) tecnh (pratica, arte), espressione resa insufficientemente in italiano con “arte medica”) comprende due nozioni: l’arte e la scienza, la pratica e la conoscenza. La tecnh si definisce in rapporto al suo opposto, il caso : « se non ci fosse l’arte del medico ... il caso reggerebbe completamente la sorte dei malati » (Ippocrate, Dell’arte medica, 6).

7 La medicina razionale Discriminante fra il medico e il profano, la base razionale ed etica della professione (dell’arte). La tecnh è il regno della capacità selettiva, dell’individuazione della differenza e della percezione della coerenza delle cose, della regolarità dell’ordine naturale, come delle relazioni sociali. Il sapere medico iatrikè, proprio in quanto luogo di sintesi fra conoscenza e pratica, opera al tempo stesso distinzioni ed unificazioni, elabora etiologie e previsioni, ed esclude il caso, la fortuna, regno dell’indistinto e dell’imprevedibile

8 epistemologia della medicina
L’epistemologia della medicina è secondo tale accezione una filosofia della scienza speciale, che si distingue dalla filosofia della biologia e da altre filosofie della scienza speciali (della chimica, della fisica, ovvero della psicologia, delle scienze sociali ecc.) per la peculiarità del proprio oggetto: le conoscenze biomediche e la pratica terapeutica.   Filosofia della medicina e consulenza filosoficaM.Biscuso  Filosofia della medicina e consulenza filosofica. di Massimiliano Biscuso Che cos’è la filosofia della medicina: una definizione allargata In una ricostruzione sintetica molto equilibrata Gilberto Corbellini ha di recente ricordato come la riflessione, che da trent’anni a questa parte può legittimamente essere definita “filosofia della medicina”, si sia applicata da un lato alla “natura del sapere medico”, dall’altro alle “dimensioni etiche della medicina”. La filosofia della medicina includerebbe dunque sia l’epistemologia della medicina sia l’etica medica. Questa è quella che io chiamo una “definizione ristretta” di filosofia della medicina. L’epistemologia della medicina è secondo tale accezione una filosofia della scienza speciale, che si distingue dalla filosofia della biologia e da altre filosofie della scienza speciali (della chimica, della fisica, ovvero della psicologia, delle scienze sociali ecc.) per la peculiarità del proprio oggetto: le conoscenze biomediche e la pratica terapeutica. Proprio la dimensione terapeutica assegna alla medicina un carattere particolare rispetto alle altre scienze naturali, perché la medicina non è un’attività puramente conoscitiva, ma anche, e costitutivamente, una pratica di cura. Di qui il problema che le altre scienze naturali non si pongono, perché pensano già in partenza di aver risolto la questione della loro natura, mentre la medicina deve porsi il problema se sia “una scienza a tutti gli effetti, una scienza applicata o, come spesso si sente dire, una scienza umana”. La filosofia della medicina, intesa come epistemologia della medicina, ha a che fare dunque con questioni quali lo statuto epistemologico della medicina, e quindi la “definizione dei rapporti tra i contenuti scientifici e gli scopi pratici, con la natura della spiegazione causale delle malattie, con la struttura del ragionamento medico, e con le definizioni di salute e malattia”. Intesa invece come etica medica, coincide oggi con la parte più rilevante della riflessione bioetica (definibile, secondo la più recente e anche più perspicua proposta di Eugenio Lecaldano, come “tutto l’insieme delle riflessioni sulle questioni etiche che nascono dai nuovi problemi pratici posti negli ultimi decenni dai nuovi modi di operare sulla vita umana, sull’ambiente e sugli animali”. È evidente che gran parte della riflessione bioetica si occupa di questioni concernenti i problemi etici propri della medicina, quali il rapporto medico-paziente, le questioni riguardanti l’inizio e la fine della vita, la sperimentazione biomedica su soggetti umani ecc., ma è altrettanto vero che appartengono alla riflessione bioetica questioni di etica animale e ambientale). La radice comune alle riflessioni sulla “natura del sapere medico” e alle riflessioni sulle “dimensioni etiche della medicina” è nella medicina stessa, la quale, come già si è accennato e come è stato ripetutamente osservato, è sia un sapere scientifico sia un’arte, che ha come oggetto la conoscenza delle malattie o, se preferisce, dei malati in vista della loro cura. Essendo la dimensione terapeutica lo scopo e la ragione stessa dell’esistenza della medicina, e rivolgendosi la cura a persone, ossia a soggetti morali, la riflessione filosofica sulla medicina non potrà che essere al tempo stesso una riflessione sulla natura del sapere medico e sui dilemmi morali sollevati dalla medicina, nella duplice dimensione di scienza e di pratica terapeutica. Ora, sia la medicina sia la filosofia si sono profondamente trasformate nel corso del tempo. Perciò le varie nozioni che sono oggetto di riflessione nella filosofia della medicina, basti pensare ai concetti di salute e malattia, hanno una dimensione storica, che dà loro profondità e spessore. Affrontare lo studio dei temi della filosofia della medicina, prescindendo dalla loro storia, si rivela un approccio filosoficamente ingenuo e soprattutto scorretto, poiché solo una quanto più completa comprensione della storia di tali questioni permette di coglierne appieno la valenza e le implicazioni. Si pensi, ad esempio, al concetto di “normalità”, che non è definibile se non all’interno di un determinato mondo storico. Sicché non mi sembra possibile restringere la filosofia della medicina alla epistemologia e alla etica della medicina, proprio perché concetti e problemi etici hanno una dimensione storica che è impossibile ignorare: si cadrebbe, altrimenti, nella “fallacia storica”, vizio che accomuna tante attuali indagini epistemologiche ed etiche. Bisogna perciò concludere che la filosofia della medicina deve tener ferma, accanto alla rigorosa analisi concettuale, anche la dimensione storica; o, meglio, deve unire analisi concettuale e consapevolezza storica del suo oggetto. Il che significa che deve valersi sia della storia della filosofia che della storia della medicina, sia della storia delle idee che della storia delle scienze, che sono intimamente intrecciate tra di loro. È questa quella che io chimo una “definizione allargata” di filosofia della medicina. Filosofia della medicina e consulenza filosofica Aprire lo studio della filosofia della medicina alla storia della medicina e della filosofia significa aprire la possibilità di cogliere il nesso tra filosofia della medicina e pratiche filosofiche, cioè quell’“arte della vita”, che è stata oggetto di tanta parte della filosofia antica e che sembra stia risorgendo, in forme profondamente mutate eppure con una comune ispirazione, sotto forma della attuale “consulenza filosofica”. La filosofia si è infatti proposta nella sua storia non solo come sapere teoretico, fine a se stesso, o ricerca dei principi primi dell’essere e del pensare, ma anche come sapere terapeutico, che guarisce i mali dell’anima, come la medicina guarisce i mali del corpo. Già Democrito (V-IV sec. d.C.) scriveva: “La medicina è l’arte che cura le malattie del corpo, la filosofia quella che sottrae l’anima al dominio delle passioni”. E questo è possibile in quanto medicina e filosofia, come scrisse Plutarco di Cheronea (I-II sec. d.C.) nei De tuenda sanitate praecepta, condividono lo stesso spazio teorico, hanno in comune cioè “un’unica regione” dell’essere, perché il loro elemento centrale è il pathos, ossia, secondo l’efficace definizione di Georges Canguilhem, il “sentimento di vita impedita”, sentimento che sorge dalla sofferenza della malattia e dall’impotenza dell’ignoranza e delle altre passioni. Ma ciò significa anche che la loro genesi è comune. “È perché gli uomini si sentono malati che vi è una medicina”, scriveva Canguilhem; è perché, aggiungiamo noi, che gli uomini avvertono l’impotenza dell’ignoranza che vi è la filosofia. Questo significa che la medicina (e, più in generale, l’arte della guarigione) nasce “dall’angoscia provocata dalla malattia”; e che la filosofia sorge dal suo opposto, dal subire (pathos) lo smarrimento dinanzi ai fenomeni naturali e alle più semplici difficoltà teoriche, di cui si ignorano le cause, e quindi dall’esigenza di riaversi dall’impotenza generata dalle passioni. A partire da questa genesi comune, la filosofia e medicina, arte della vita e arte della guarigione, hanno avuto sviluppi autonomi, anche se le influenze reciproche e più ancora i conflitti sono stati rilevanti. La filosofia della medicina mi sembra quindi un osservatorio privilegiato dal quale guardare la consulenza filosofica perché, intesa nel senso allargato che ho cercato brevemente di argomentare, è anche attenta alla storia della filosofia e dei suoi rapporti con la medicina, e perciò alla vocazione terapeutica che la filosofia ha avvertito a lungo nella sua storia. Questa vocazione era evidente nell’arte della vita dell’antichità (“L’antica filosofia morale – ha scritto di recente Christoph Horn – si basava sul principio della consulenza filosofica (etica del consiglio) e di conseguenza forniva una serie di tecniche per la terapia della personalità umana”). Nel moderno mondo occidentale religione e scienza hanno sottratto alla filosofia, salvo qualche rara eccezione, la sua vocazione pratica, terapeutica: salvezza dell’anima e cura delle malattie psichiche hanno soppiantato la filosofia come cura di sé. Conseguentemente la filosofia si è sviluppata come sapere teorico, fine a se stesso. La consulenza filosofica, più delle altre pratiche filosofiche (“caffè filosofici”, philosophy for children ecc.), sembra essere oggi l’erede della antica “arte della vita”. In realtà accanto ad alcuni elementi vistosi di somiglianza (convinzione che la filosofia debba guidare la vita, che abbia a che fare con gli individui e non solo con i concetti, che la consapevolezza di sé possa aiutare a realizzare un progetto di vita buona, uso della pratica dialogica ecc.), vi sono almeno altrettanti elementi di differenza (la consulenza filosofica è una pratica professionale, non è una “terapia” dell’anima perché non deve curare le passioni, o, meglio può essere solo metaforicamente definita una terapia, perché non intende curare ma prendersi cura, il consulente non deve proporre la propria filosofia al consultante né invitarlo a seguirla ecc.). Né bisogna nascondersi i rischi che potrebbero venire da una moda che faccia della consulenza filosofica una sorta di “medicina alternativa” alle varie forme di psicoanalisi o, peggio, di psichiatria. Al meglio essa deve essere pensata come la forma contemporanea della “cura di sé”, che si realizza non attraverso le proprie forze intellettuali, ma tramite l’aiuto di un filosofo che sappia riorientare il consultante nella realizzazione del suo progetto di “vita buona”.  

9 epistemologia della medicina
Proprio la dimensione terapeutica assegna alla medicina un carattere particolare rispetto alle altre scienze naturali, perché la medicina non è un’attività puramente conoscitiva, ma anche, e costitutivamente, una pratica di cura. Di qui il problema che le altre scienze naturali non si pongono, perché pensano già in partenza di aver risolto la questione della loro natura, mentre la medicina deve porsi il problema se sia “una scienza a tutti gli effetti, una scienza applicata o, come spesso si sente dire, una scienza umana”.   Filosofia della medicina e consulenza filosoficaM.Biscuso  Filosofia della medicina e consulenza filosofica. di Massimiliano Biscuso Che cos’è la filosofia della medicina: una definizione allargata In una ricostruzione sintetica molto equilibrata Gilberto Corbellini ha di recente ricordato come la riflessione, che da trent’anni a questa parte può legittimamente essere definita “filosofia della medicina”, si sia applicata da un lato alla “natura del sapere medico”, dall’altro alle “dimensioni etiche della medicina”. La filosofia della medicina includerebbe dunque sia l’epistemologia della medicina sia l’etica medica. Questa è quella che io chiamo una “definizione ristretta” di filosofia della medicina. L’epistemologia della medicina è secondo tale accezione una filosofia della scienza speciale, che si distingue dalla filosofia della biologia e da altre filosofie della scienza speciali (della chimica, della fisica, ovvero della psicologia, delle scienze sociali ecc.) per la peculiarità del proprio oggetto: le conoscenze biomediche e la pratica terapeutica. Proprio la dimensione terapeutica assegna alla medicina un carattere particolare rispetto alle altre scienze naturali, perché la medicina non è un’attività puramente conoscitiva, ma anche, e costitutivamente, una pratica di cura. Di qui il problema che le altre scienze naturali non si pongono, perché pensano già in partenza di aver risolto la questione della loro natura, mentre la medicina deve porsi il problema se sia “una scienza a tutti gli effetti, una scienza applicata o, come spesso si sente dire, una scienza umana”. La filosofia della medicina, intesa come epistemologia della medicina, ha a che fare dunque con questioni quali lo statuto epistemologico della medicina, e quindi la “definizione dei rapporti tra i contenuti scientifici e gli scopi pratici, con la natura della spiegazione causale delle malattie, con la struttura del ragionamento medico, e con le definizioni di salute e malattia”. Intesa invece come etica medica, coincide oggi con la parte più rilevante della riflessione bioetica (definibile, secondo la più recente e anche più perspicua proposta di Eugenio Lecaldano, come “tutto l’insieme delle riflessioni sulle questioni etiche che nascono dai nuovi problemi pratici posti negli ultimi decenni dai nuovi modi di operare sulla vita umana, sull’ambiente e sugli animali”. È evidente che gran parte della riflessione bioetica si occupa di questioni concernenti i problemi etici propri della medicina, quali il rapporto medico-paziente, le questioni riguardanti l’inizio e la fine della vita, la sperimentazione biomedica su soggetti umani ecc., ma è altrettanto vero che appartengono alla riflessione bioetica questioni di etica animale e ambientale). La radice comune alle riflessioni sulla “natura del sapere medico” e alle riflessioni sulle “dimensioni etiche della medicina” è nella medicina stessa, la quale, come già si è accennato e come è stato ripetutamente osservato, è sia un sapere scientifico sia un’arte, che ha come oggetto la conoscenza delle malattie o, se preferisce, dei malati in vista della loro cura. Essendo la dimensione terapeutica lo scopo e la ragione stessa dell’esistenza della medicina, e rivolgendosi la cura a persone, ossia a soggetti morali, la riflessione filosofica sulla medicina non potrà che essere al tempo stesso una riflessione sulla natura del sapere medico e sui dilemmi morali sollevati dalla medicina, nella duplice dimensione di scienza e di pratica terapeutica. Ora, sia la medicina sia la filosofia si sono profondamente trasformate nel corso del tempo. Perciò le varie nozioni che sono oggetto di riflessione nella filosofia della medicina, basti pensare ai concetti di salute e malattia, hanno una dimensione storica, che dà loro profondità e spessore. Affrontare lo studio dei temi della filosofia della medicina, prescindendo dalla loro storia, si rivela un approccio filosoficamente ingenuo e soprattutto scorretto, poiché solo una quanto più completa comprensione della storia di tali questioni permette di coglierne appieno la valenza e le implicazioni. Si pensi, ad esempio, al concetto di “normalità”, che non è definibile se non all’interno di un determinato mondo storico. Sicché non mi sembra possibile restringere la filosofia della medicina alla epistemologia e alla etica della medicina, proprio perché concetti e problemi etici hanno una dimensione storica che è impossibile ignorare: si cadrebbe, altrimenti, nella “fallacia storica”, vizio che accomuna tante attuali indagini epistemologiche ed etiche. Bisogna perciò concludere che la filosofia della medicina deve tener ferma, accanto alla rigorosa analisi concettuale, anche la dimensione storica; o, meglio, deve unire analisi concettuale e consapevolezza storica del suo oggetto. Il che significa che deve valersi sia della storia della filosofia che della storia della medicina, sia della storia delle idee che della storia delle scienze, che sono intimamente intrecciate tra di loro. È questa quella che io chimo una “definizione allargata” di filosofia della medicina. Filosofia della medicina e consulenza filosofica Aprire lo studio della filosofia della medicina alla storia della medicina e della filosofia significa aprire la possibilità di cogliere il nesso tra filosofia della medicina e pratiche filosofiche, cioè quell’“arte della vita”, che è stata oggetto di tanta parte della filosofia antica e che sembra stia risorgendo, in forme profondamente mutate eppure con una comune ispirazione, sotto forma della attuale “consulenza filosofica”. La filosofia si è infatti proposta nella sua storia non solo come sapere teoretico, fine a se stesso, o ricerca dei principi primi dell’essere e del pensare, ma anche come sapere terapeutico, che guarisce i mali dell’anima, come la medicina guarisce i mali del corpo. Già Democrito (V-IV sec. d.C.) scriveva: “La medicina è l’arte che cura le malattie del corpo, la filosofia quella che sottrae l’anima al dominio delle passioni”. E questo è possibile in quanto medicina e filosofia, come scrisse Plutarco di Cheronea (I-II sec. d.C.) nei De tuenda sanitate praecepta, condividono lo stesso spazio teorico, hanno in comune cioè “un’unica regione” dell’essere, perché il loro elemento centrale è il pathos, ossia, secondo l’efficace definizione di Georges Canguilhem, il “sentimento di vita impedita”, sentimento che sorge dalla sofferenza della malattia e dall’impotenza dell’ignoranza e delle altre passioni. Ma ciò significa anche che la loro genesi è comune. “È perché gli uomini si sentono malati che vi è una medicina”, scriveva Canguilhem; è perché, aggiungiamo noi, che gli uomini avvertono l’impotenza dell’ignoranza che vi è la filosofia. Questo significa che la medicina (e, più in generale, l’arte della guarigione) nasce “dall’angoscia provocata dalla malattia”; e che la filosofia sorge dal suo opposto, dal subire (pathos) lo smarrimento dinanzi ai fenomeni naturali e alle più semplici difficoltà teoriche, di cui si ignorano le cause, e quindi dall’esigenza di riaversi dall’impotenza generata dalle passioni. A partire da questa genesi comune, la filosofia e medicina, arte della vita e arte della guarigione, hanno avuto sviluppi autonomi, anche se le influenze reciproche e più ancora i conflitti sono stati rilevanti. La filosofia della medicina mi sembra quindi un osservatorio privilegiato dal quale guardare la consulenza filosofica perché, intesa nel senso allargato che ho cercato brevemente di argomentare, è anche attenta alla storia della filosofia e dei suoi rapporti con la medicina, e perciò alla vocazione terapeutica che la filosofia ha avvertito a lungo nella sua storia. Questa vocazione era evidente nell’arte della vita dell’antichità (“L’antica filosofia morale – ha scritto di recente Christoph Horn – si basava sul principio della consulenza filosofica (etica del consiglio) e di conseguenza forniva una serie di tecniche per la terapia della personalità umana”). Nel moderno mondo occidentale religione e scienza hanno sottratto alla filosofia, salvo qualche rara eccezione, la sua vocazione pratica, terapeutica: salvezza dell’anima e cura delle malattie psichiche hanno soppiantato la filosofia come cura di sé. Conseguentemente la filosofia si è sviluppata come sapere teorico, fine a se stesso. La consulenza filosofica, più delle altre pratiche filosofiche (“caffè filosofici”, philosophy for children ecc.), sembra essere oggi l’erede della antica “arte della vita”. In realtà accanto ad alcuni elementi vistosi di somiglianza (convinzione che la filosofia debba guidare la vita, che abbia a che fare con gli individui e non solo con i concetti, che la consapevolezza di sé possa aiutare a realizzare un progetto di vita buona, uso della pratica dialogica ecc.), vi sono almeno altrettanti elementi di differenza (la consulenza filosofica è una pratica professionale, non è una “terapia” dell’anima perché non deve curare le passioni, o, meglio può essere solo metaforicamente definita una terapia, perché non intende curare ma prendersi cura, il consulente non deve proporre la propria filosofia al consultante né invitarlo a seguirla ecc.). Né bisogna nascondersi i rischi che potrebbero venire da una moda che faccia della consulenza filosofica una sorta di “medicina alternativa” alle varie forme di psicoanalisi o, peggio, di psichiatria. Al meglio essa deve essere pensata come la forma contemporanea della “cura di sé”, che si realizza non attraverso le proprie forze intellettuali, ma tramite l’aiuto di un filosofo che sappia riorientare il consultante nella realizzazione del suo progetto di “vita buona”.  

10 Scienza iatrikè e arte tecnh
La radice comune alle riflessioni sulla “natura del sapere medico” e alle riflessioni sulle “dimensioni etiche della medicina” è nella medicina stessa, la quale è sia un sapere scientifico sia un’arte, che ha come oggetto la conoscenza delle malattie o, se preferisce, dei malati in vista della loro cura. Essendo la dimensione terapeutica lo scopo e la ragione stessa dell’esistenza della medicina, e rivolgendosi la cura a persone, ossia a soggetti morali, la riflessione filosofica sulla medicina non potrà che essere al tempo stesso una riflessione sulla natura del sapere medico e sui dilemmi morali sollevati dalla medicina, nella duplice dimensione di scienza e di pratica terapeutica.

11 Medicina Ippocratica Al centro della concezione di Ippocrate c’era l’uomo e non la malattia. Questo fece la fortuna della scuola ippocratica nei confronti della scuola Rivale di Cnido, che invece era focalizzata sulla malattia con una concezione riduzionistica, simile a quella odierna. La scuola di Ippocrate prevalse proprio perché si occupava dell’uomo, mentre l’altra occupandosi delle malattie e non avendo gli elementi necessari per farlo si estinse, quella di Ippocrate proseguì Nato sull’isola di Cos in una data imprecisata dal 460 al 450 a.C. IPPOCRATE A cura di Diego Fusaro "La vita è breve, l'arte lunga, l'esperienza ingannevole, il giudizio difficile". Nato sull’isola di Cos in una data imprecisata che può spaziare dal 460 al 450 a.C., Ippocrate è destinato a diventare nei secoli il simbolo stesso dell’arte medica. A quest’aura di leggenda, che sempre circondò la sua figura, si devono le innumerevoli e fantasiose tradizioni fiorite intorno alla sua esistenza e il confluire sotto il suo nome di uno stuolo di opere appartenenti ad altri autori, note nel loro complesso col titolo di Corpus Hippocraticum. Le uniche notizie piuttosto attendibili sulla vita di Ippocrate (che dovette terminare la propria esistenza poco dopo il 380 a.C.) sono quelle che lo vogliono figlio del medico Eraclide e dedito a frequenti viaggi: molto probabilmente, egli soggiornò infatti ad Atene e pure ad Abdera, dove fu in contatto con Democrito, concludendo infine la propria esistenza in Tessaglia. L’esistenza di un sistema ippocratico, che trascende le semplici osservazioni empiriche sulle varie affezioni, pare confermato da un passo del Fedro (270 c) di Platone, in cui il metodo del medico di Cos si dice finalizzato alla conoscenza del corpo in connessione con la natura del tutto, secondo quella corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo già intuita da Alcmeone: anche per lui, come per Ippocrate, la salute consiste nell’equilibrio degli opposti, identificati nei quattro umori circolanti nel corpo (sangue, flegma, bile gialla e bile nera). Riportiamo il breve passo del Fedro platonico: "Per ciò che riguarda la natura, esamina che cosa mai dicono Ippocrate e il ragionamento veritiero. Non occorre forse ragionare così riguardo alla natura di qualsiasi cosa? Innanzitutto, bisogna vedere se l’oggetto di cui vorremo essere esperti noi stessi e capaci di rendere tale un altro è semplice o multiforme. In secondo luogo, qualora sia semplice, occorre esaminare quale potenza abbia per natura, a che cosa si rivolga quando è attivo o da che cosa dipenda quando è passivo. Qualora invece abbia molte forme, dopo averle enumerate, bisogna esaminare ciascuna di esse come si è fatto per la forma unica, per vedere con quale forma ciascuna agisca naturalmente e che cosa faccia, o con quale forma subisca, che cosa subisca e per effetto di che cosa". Null’altro si può affermare con certezza sulla dottrina di Ippocrate, e sterminate sono state le discussioni sulla paternità ippocratica dei singoli scritti (una settantina circa) confluiti nel Corpus Hippocraticum.Un relativo accordo fra gli studiosi sussiste comunque per due di tali scritti: quello sulla Malattia sacra e quello su Arie, acque, luoghi. Sempre al pensiero di Ippocrate paiono potersi ricondurre i due trattati chirurgici sulle Fratture e sulle Articolazioni, nonché il Prognostico e le Epidemie (ovvero i "soggiorni" di medici in città straniere). Lo scritto sulla Malattia sacra tratta in termini antisuperstiziosi e scientifici l’epilessia, tradizionalmente intesa come un morbo inviato dagli dei e perciò detto "sacro". Nello scritto su Arie, acque, luoghi la salute umana è posta in rapporto con l’influsso esercitato dal clima, e vi trova spazio anche un piacevole excursus etnografico sulle varie regioni d’Europa e d’Asia. Merita poi di essere brevemente menzionata – nel secondo capitolo del Prognostico – la descrizione dei segni che preannunziano la morte, quella che è passata alla storia come facies hippocratica. L’impressione generale che si ricava dalla lettura degli eterogenei scritti confluiti nel Corpus Hippocraticum (e che naturalmente non possono essere tutti attribuiti al solo Ippocrate) è, innanzitutto, quella di una mescolanza tra elementi di arcaicità e di innovazione. Spesso la descrizione dei sintomi e la prescrizione della terapia da adottare ricalca antichissime formule presenti nei testi mesopotamici ed egizi, in cui a una proposizione condizionale contenente le manifestazioni del male (ad esempio, "se un uomo ha dolori allo stomaco"), segue l’indicazione del rimedio ("allora occorrerà che assuma il tale farmaco"). Lo schema logico/sintattico del "se x, allora y" riproduce formalmente quello adoperato nelle pratiche divinatorie, in cui l’osservazione dei segni implicava la possibilità di reinterpretare il volere divino. Ma nel caso degli scritti ippocratici l’analogia è solo esteriore: l’autore del secondo Prorrhtikon (Manuale delle predizioni) compreso nella seconda raccolta contesta aspramente l’applicazione del metodo mantico alla diagnostica, contrapponendo al "divinare" (manteuesqai) il "congetturare" (tekmairesqai) in base ai sintomi (shmeia) del male. L’assunzione di tale forma di ragionamento deduttivo (logismoV) applicato alla ricorrenza di certi sintomi ebbe un influsso enorme sul pensiero greco e si estese anche all’ambito filosofico e storiografico: Jaeger sottolinea a tal proposito il debito del metodo socratico nei confronti della scienza medica, e lo stesso può dirsi a proposito di Erodoto e di Tucidide. Il carattere stesso della materia trattata e l’origine non omogenea degli scritti componenti il Corpus Hippocraticum rendono problematico esprimere un giudizio sulle qualità letterarie di questa produzione, in cui a pagine redatte in un arido stile classificatorio se ne alternano altre di piglio vivacemente polemico nei confronti delle credenze tradizionali (nella Malattia sacra e nel Manuale delle predizioni), ossia pervase di una curiosità tipicamente ionica per le terre lontane e favolose (è il caso di Arie, acque, luoghi). Ciò che anima questi scritti è in ogni caso l’ansia del conoscere e la fiducia nella ragione. Quasi certamente più antico di Ippocrate è il celebre Giuramento, che praticamente fino ai giorni nostri è stato alla base dell’etica professionale medica. Questi scritti, non di rado contrastanti tra loro, hanno in parte come destinatari altri medici, cui vengono insegnate terapie adeguate, di tipo dietetico, farmacologico o chirurgico, per la cura delle varie malattie. A volte essi forniscono quadri clinici di singoli pazienti, con indicazioni dei sintomi e dei decorsi delle malattie: è questo il caso dello scritto sulle Epidemie. Sulla base della classificazione di tipi di malattie nella loro sequenza temporale, il medico poteva formulare una previsione del decorso futuro fino alla conclusione (positiva o negativa che fosse). In vista di tale fine era importantissima una valutazione accurata dei dati sintomatici osservabili, cosa a cui provvede il Prognostico. Questo tipo di scritti mette a disposizione di altri medici il sapere acquisito personalmente o ricevuto a propria volta da altri: essi presuppongono, pertanto, che il sapere medico possa essere accumulato e accresciuto gradatamente. Quest’aspetto è evidente anche nel celebre Giuramento ippocratico, che ingiunge esplicitamente di trasmettere gli insegnamenti scritti e orali ai propri figli, ai figli del proprio maestro, agli allievi che hanno prestato il giuramento. In quest’ottica, il sapere medico appare come patrimonio di un gruppo chiuso di specialisti, non di rado legati tra loro da rapporti familiari, il quale è anche tenuto alla trasmissione di tale sapere alle generazioni venture. Un altro gruppo degli scritti costituenti il Corpus Hippocraticum si rivolge invece ad un pubblico colto, non di soli specialisti, interessato a discussioni concernenti la natura dell’uomo, le malattie e i modi per affrontarle e debellarle. Il medico antico appare come un personaggio girovago, che giunge in molte città a offrire i suoi servizi e a mettere a disposizione il proprio sapere: egli si trova dunque in forte competizione coi suoi rivali e deve dimostrare la propria superiorità su di essi non solo nei fatti, ma anche con i propri discorsi. Inoltre, i frequenti insuccessi terapeutici dei medici antichi – per esempio durante la terribile peste che sconvolse Atene nel 429 a.C., mirabilmente descritta da Tucidide – li espongono ad attacchi non solo da parte di altri medici, ma anche da parte di pratiche magiche alternative alla medicina. Il che costringe i medici a riflettere profondamente sui caratteri metodici della loro disciplina, sulle sue possibilità e sui suoi limiti. Un primo obiettivo polemico è per l’appunto dato da forme di medicina magico/religiosa. Contro di esse, si tratta di mostrare il carattere naturale di tutte le malattie, dovute a cause naturali e non divine e curabili con gli strumenti propri della medicina e non con pratiche magiche: è questo il nucleo dello scritto sulla Malattia sacra. Un ulteriore obiettivo polemico è dato da impostazioni mediche fondate su presupposti filosofici neganti alla radice la possibilità di esistenza di una medicina come terapia dei mali del corpo. Tale è l’eleatismo nella formulazione datane da Melisso, giacchè con la sua rigida concezione dell’unità dell’essere esso esclude dal dominio dell’essere la possibilità di provare dolore e, più in generale, di compiere e subire un’azione. Contro le tesi di Melisso e di quei medici che sostengono che uno solo è il costituente fondamentale del corpo umano scende in campo lo scritto intitolato La natura dell’uomo, considerato da Galeno come l’espressione migliore dell’autentico pensiero di Ippocrate (sebbene Aristotele sostenga che lo scritto deve essere attribuito non già a Ippocrate, bensì al suo genero Polibo); il nucleo di questo scritto è la teoria dei quattro umori, ai quali corrispondono i quattro temperamenti fondamentali dell’uomo: i melanconici, in cui predomina la bile nera; i flegmatici, in cui predomina il flegma; i sanguigni, in cui predomina il sangue, e infine i biliosi, in cui predomina la bile gialla. In netta opposizione con Melisso, l’autore de La natura dell’uomo asserisce che la nozione di malattia presuppone l’esistenza di una molteplicità di elementi in relazione tra loro, cosicché l’alternativa è o negare l’esistenza delle malattie (e, con esse, della medicina) o riconoscere che l’uomo è costituito da una molteplicità di elementi. In questa prospettiva, l’autore dell’opera costruisce una teoria generale dell’uomo come insieme costituito dai quattro umori. Dal rapporto equilibrato di essi scaturisce la salute, mentre la malattia non è che la rottura del loro equilibrio. Questa dottrina conoscerà un’ampia diffusione nella tradizione medica antica e sarà trasmessa fino all’epoca moderna. Un posto a parte, nel Corpus Hippocraticum, occupa lo scritto intitolato La medicina antica, anch’esso percorso da una vena fortemente polemica: il bersaglio di tale polemica è dato soprattutto dalle dottrine generali sul cosmo o sulla natura dell’uomo, come quelle elaborate da Empedocle. Esso pone al centro, invece, la variabilità dei casi individuali, portando alle estreme conseguenze quella consapevolezza della molteplicità e diversità delle situazioni naturali e culturali che aveva attraversato l’intera cultura del V secolo a.C., allorché i Greci erano entrati a contatto con civiltà e mondi diversissimi dal loro. Il medico dev’essere attento alla varietà dei casi individuali nel formulare le sue diagnosi e fare le sue terapie, senza cedere all’illusione filosofica che esista un’unica terapia ugualmente valida per tutti gli infiniti casi possibili. Del resto la scoperta stessa della medicina sta a dimostrare, secondo l’autore dello scritto, come solo procedendo per distinzioni sempre più articolate il sapere medico possa pervenire ad una maggiore precisione ed efficacia. La medicina è, in primo luogo, una terapia mediante alimenti, bevande ed esercizi, ossia ha il suo nucleo portante nella dietetica. Ma quest’ultima, che provvede a fornire a ciascun paziente l’alimento adeguato a curarlo, altro non è se non la conseguenza della scoperta che gli uomini, per sopravvivere, non possono nutrirsi degli stessi cibi di cui si nutrono gli animali, così come i malati non possono ricevere la stessa alimentazione dei sani. La medicina è allora un sapere autonomo capace di crescere in direzione di un sempre maggiore perfezionamento dei suoi strumenti metodici e terapeutici: "la medicina da gran tempo ormai dispone di tutti gli elementi, e il principio e la via sono stati scoperti, grazie ai quali in lungo corso di tempo sono state fatte molte ed egregie scoperte, e il resto nel futuro sarà scoperto". Il pubblico a cui si rivolge questo autore non è costituito esclusivamente da medici: il messaggio centrale che egli vuole trasmettere è che la medicina sta assumendo uno statuto ontologico autonomo e di scienza. La medicina può perfezionarsi solo col tempo e lo scritto si schiera contro ogni medicina "filosofica", che pretende cioè di insegnare il mestiere ai medici a partire da teorie generali sull’uomo e sul mondo: ciò implica un eccesso di generalità che le rende inutilizzabili, giacchè i filosofi (sofistai) non spiegano il rapporto dell’universale col particolare. Non a caso l’autore etichetta queste teorie come "ipotesi", ossia come supposizioni di come stanno le cose, ipotesi a partire dalle quali avanzano la pretesa di aver scoperto chiavi di lettura valide per tutti; e l’autore scaglia i suoi dardi contro Empedocle e contro gli altri pensatori dell’epoca. Il medico, a differenza del filosofo, può rivendicare di dare il bene reale agli uomini: molto marcato è il senso della scoperta della medicina e della sua autonomia indiscutibile, la sua capacità di fare scoperte cosicchè anche "il resto nel futuro sarà scoperto"; non ci si deve, pertanto, fermare alle scoperte fatte, ma bisogna adoperarsi per farne di nuove e questo è possibile solo se le generazioni future faranno tesoro del sapere accumulato dai loro predecessori. Coi profani si deve solamente discutere dei mali che affliggono l’uomo e loro stessi: in quest’ottica, è importantissima l’anamnesi, ovvero la ricostruzione mediante il colloquio col paziente del male passato per costruire il male presente e l’evoluzione che la malattia avrà nel futuro. Questa metodologia non è propria solo dei medici: anche gli storici, in una certa misura, partono dalla convinzione che per prevedere il futuro si debba conoscere bene il passato, perché ciò consente di formulare delle costanti. Ma come è nata la medicina? E’ un sapere naturalissimo, risponde l’anonimo autore del trattato: il momento in cui uomini illuminati si interrogarono se chi soffriva dovesse seguire lo stesso regime alimentare di chi era sano fu la causa scatenante di tale disciplina, nata, in fin dei conti, per la naturalissima esigenza di sopperire alle malattie dell’uomo, necessità ineliminabili. Il passaggio dallo stato ferino alla civiltà sta, ad avviso dell’autore, nella scoperta del fuoco e nella cottura dei cibi. Proprio così si scopersero quali cibi erano utili e quali no: il sapere medico è nato nel momento in cui l’uomo è passato ad uno stato "umano" e al progresso della condizione umana è legato quello della disciplina medica. Non c’è da meravigliarsi se i primi scopritori di quest’arte erano visti come divinità, anche se, in realtà, erano uomini che esercitavano una tecnica tipicamente umana. Ma addirittura per sapere cosa è la natura è necessario partire da studi di medicina: il medico sa cosa è l’uomo e lo deduce da ciò che l’uomo mangia e beve, studiandone la salute e la condotta di vita; medico non è, dunque, chi dice che il formaggio è un cibo cattivo, ma chi dice che il formaggio è cattivo perché genera questi determinati mali. In un brano tratto da un saggio del Corpo ippocratico Sulla tecnica è tratteggiata una sorprendente teoria della scoperta scientifica: "Scopo e compito della scienza (episthmh) è lo scoprire qualcosa che prima non era scoperto e il cui esser scoperto sia preferibile al restare ignoto". Assai interessante è anche lo scritto dal titolo Arie, acque, luoghi: il messaggio basilare dell’opera è che il medico deve prestare particolare attenzione ai luoghi, all’aria e all’acqua che caratterizzano l’ambiente, giacchè egli deve scientemente tenerne conto nella prescrizione delle diete e nella diagnosi delle malattie (che trovano nell’aria uno dei principali veicoli di trasmissione). L’ulteriore messaggio che emerge dallo scritto è che le arie, le acque e i luoghi condizionano in maniera imprescindibile la costituzione umana, sia nel bene sia nel male, cosicché il buon medico dovrà conoscere in maniera adeguata l’ambiente circostante per poter così meglio svolgere la sua attività terapeutica. Ci troviamo dunque dinanzi ad un determinismo ambientale assai vicino a quello delineato da Diogene di Apollonia: l’ambiente determina in maniera imprescindibile chi in esso si trova. In questa prospettiva, l’autore dello scritto si lancia in un’autentica fisiognomica ambientale, facendo corrispondere a determinati individui determinati territori (ad esempio, chi è nato in zone boscose presenterà specifiche caratteristiche, e così via); tale corrispondenza si riverbera anche sui popoli: in particolare, l’autore di Arie, acque, luoghi instaura un raffronto tra i Greci e gli Orientali, notando come questi ultimi – poiché viventi in zone calde e secche – siano generalmente indolenti e pigri e, in forza di ciò, facilmente governati da tiranni. Al contrario, il clima solare e felice dei Greci fa sì ch’essi siano particolarmente briosi e agguerriti, pronti al pensiero come all’abbattimento delle tirannidi. Per questa via, l’autore dell’opera anticipa di parecchi secoli le riflessioni fatte da Montesquieu in Lo spirito delle leggi. Stante l’indiscutibile necessità della natura, resta però un interstizio in cui può inserirsi la libertà umana: tale è l’istituzione politica (nomoV), grazie alla quale l’uomo può liberamente ritagliarsi uno spazio d’azione i cui confini non possono essere varcati dall’agire necessitante della natura. Così, le popolazioni orientali sono rette da grandi dispotismi e il nomoV coopera a renderle militarmente inette (manca del tutto l’interesse a ribellarsi alla tirannide); sull’altro versante, il clima e l’ambiente greco sottopongono l’uomo a cambiamenti rapidi, come rapido dev’essere il pensiero: e le istituzioni politiche presso di loro in uso non fanno che cooperare col clima controbilanciandone la necessità. L’uomo può dunque mitigare l’agire necessitante della natura attraverso le istituzioni politiche. Lo spazio riservato dall’autore dello scritto al nomoV è parecchio, tant’è che egli arriva addirittura a riconoscere come il nomoV possa diventare una seconda natura: per chiarire questo punto, egli adduce l’esempio della popolazione dei Macrocefali, presso la quale era segno di prestigio avere la testa schiacciata; per questo motivo, la testa dei bambini veniva schiacciata, cosicché – nota l’autore dello scritto -, a furia di schiacciarla, le generazioni future sarebbero nate già con la testa schiacciata. In questo senso, il nomoV può perfino trionfare sulla fusiV: anzi, nomoV e fusiV sono per l’autore ippocratico due entità combinatisi fra loro. I Sofisti, dal canto loro, tendono a leggerle piuttosto come due realtà opponentisi. Riportiamo qui in forma integrale il celebre Giuramento di Ippocrate: "Affermo con giuramento per Apollo medico e per Esculapio, per Igea e per Panacea – e ne siano testimoni tutti gli Dei e le Dee – che per quanto me lo consentiranno le mie forze e il mio pensiero, adempirò questo mio giuramento che prometto qui per iscritto. Considererò come padre colui che mi iniziò e mi fu maestro in quest’arte, e con gratitudine lo assisterò e gli fornirò quanto possa occorrergli per il nutrimento e per le necessità della vita; considererò come miei fratelli i suoi figli, e se essi vorranno apprendere quest’arte, insegnerò loro senza compenso e senza obbligazioni scritte, e farò partecipi delle mie lezioni e spiegazioni di tutta intera questa disciplina tanto i miei figli quanto quelli del mio maestro, e così i discepoli che abbiano giurato di volersi dedicare a questa professione, e nessun altro all’infuori di essi. Prescriverò agli infermi la dieta opportuna che loro convenga per quanto mi sarà permesso dalle mie cognizioni, e li difenderò da ogni cosa ingiusta e dannosa. Giammai, mosso dalle premurose insistenze di alcuno, propinerò medicamenti letali né commetterò mai cose di questo genere. Per lo stesso motivo mai ad alcuna donna suggerirò prescrizioni che possano farla abortire, ma serberò casta e pura da ogni delitto sia la vita sia la mia arte. Non opererò i malati di calcoli, lasciando tal compito agli esperti di quell’arte. In qualsiasi casa entrato, baderò soltanto alla salute degli infermi, rifuggendo ogni sospetto di ingiustizia e di corruzione, e soprattutto dal desiderio di illecite relazioni con donne o con uomini sia liberi che schiavi. Tutto quello che durante la cura ed anche all’infuori di essa avrò visto e avrò ascoltato sulla vita comune delle persone e che non dovrà essere divulgato, tacerò come cosa sacra. Che io possa, se avrò con ogni scrupolo osservato questo mio giuramento senza mai trasgredirlo, vivere a lungo e felicemente nella piena stima di tutti, e raccogliere copiosi frutti della mia arte. Che se invece lo violerò e sarò quindi spergiuro, possa capitarmi tutto il contrario". INDIETRO MI 27/03/2017

12 Il triangolo ippocratico
Le tre M : malato, malattia, medico. « Nelle malattie occorre avere presenti due cose : essere utile o almeno non nuocere. L’arte [tecnh] si compone di tre termini : la malattia, il malato e il medico. Il medico è il servitore dell’arte; occorre che il malato aiuti il medico a combattere la malattia». (Hippocrate, Epidemie 1, 2, 5).

13 Medicina Ippocratica Per la medicina classica, da Ippocrate in poi, il ruolo del medico è quello di guida del malato e del sano, capace di suggerire il regime equilibrato o di ristabilire un equilibrio perturbato, di proporre delle regole di vita atte ad allontanare tutte le possibili discrasie, fonti di pericolo. Il medico è l’alleato del malato nella sua lotta contro la malattia. Il suo imperativo etico è quello di essere a fianco del malato e di mettere a sua disposizione la sua conoscenza per aiutarlo nella sua lotta. Il medico non può attendere la certezza filosofica per agire, ma deve intervenire in ogni caso, alla sola condizione di non nuocere al malato, anche quando la sua conoscenza non gli permette di comprendere la causa e dunque di fare delle previsioni.

14 Medicina Ippocratica Il suo operare non ha come base esclusiva un ‘criterio di verità’ ma anche un ‘criterio di valore’ (l’utilità per il malato e l’efficacia) implicita in ogni attività pratica, in ogni tecnh. Per questo la medicina è una ‘scienza applicata’, che lega insieme conoscenza, principi etici e pratica. In quanto scienza iatrikè richiede una epistemologia, una teoria della conoscenza; in quanto ‘applicata’ richiede una teoria della congruenza fra azione e risultati possibili.

15 Medicina ippocratica La medicina ha contenuti immediatamente antropologici e sociali in quanto portatrice, all’interno stesso della sua struttura disciplinare, di ‘criteri di verità’ e di ‘criteri etici di valore’.

16 Medicina Ippocratica Gli ippocratici erano una ristretta minoranza nella medicina greca, ma hanno avuto fortuna su due punti. Il primo, ancora valido, riguardante l’inizio della ‘medicina razionale’ nel senso di escludere la magia. MI 27/03/2017

17 Medicina Ippocratica L’altro riguarda il Giuramento, che sta alla base dell’aspetto morale qui in discussione. Il Giuramento ha incontrato difficoltà col mondo cristiano, ma si è poi diffuso diventando una sorta di ecumene per la prassi medica occidentale. MI 27/03/2017

18 Il giuramento di Ippocrate
Giuro su Apollo medico, su Esculapio, su Igiene e su Panacea, su tutti gli dei e le deesse, chiamandoli a testimone che realizzerò, secondo le mie forze e le mie capacità, il giuramento e l’impegno seguente:

19 L’ingresso in una ‘famiglia allargata’
Porrò il mio maestro sullo stesso livello degli autori dei miei giorni, condivederò con lui i miei averi, e, se si rendesse necessario, provvederò ai suoi bisogni. Considererò i suoi figli come fratelli e, se desidereranno apprendere la medicina, sarò il loro insegnante senza salario né impegno.

20 La partecipazione a una struttura disciplinare e sociale
Condividerò i precetti, le lezioni orali e il resto dell’insegnamento con i miei figli, con quelli del mio maestro e con i discepoli legati da un impegno e da un giuramento secondo la legge medica, ma con nessun altro.

21 L’atteggiamento verso il malato
Indirizzerò il regime dei malati a loro vantaggio, secondo le mie capacità e il mio giudizio, e mi asterrò da ogni male e da ogni ingiustizia. Non darò a nessuno del veleno, se me lo si chiede, ne prenderò l’inizitiva di una simile proposta; allo stesso modo, non fornirò ad una donna nessun prodotto abortivo.

22 L’utilità del malato Passerò la mia vita ed eserciterò la mia arte (tecnh ) in innocenza e purezza. Non praticherò l’operazione del taglio della pietra, la lascerò alle persone che se ne occupano. In qualsiasi casa in cui entrerò, lo farò per l’utilità del malato, guardandomi da ogni misfatto volontario e corruttore, e soprattutto dalla seduzione delle donne e dei fanciulli, liberi o schiavi.

23 Il segreto medico Qualsiasi cosa io veda od ascolti nella società durante l’esercizio od anche fuori dall’esercizio della mia professione, io tacerò ciò che non ha bisogno di essere divulgato, considerando in questo caso la discrezione come un dovere. Se mi terrò a questo giuramento senza infrangerlo, che mi sia dato di godere felicemente della vita e della mia professione, per sempre onorato tra gli uomini; se lo violo e divento spergiuro, possa io avere la sorte contraria.

24 Il Malato nel paradigma Ippocratico
Il malato è un ignorante che non possiede le conoscenze, la capacità intellettuale nè l’autorità morale per opporsi e contrastare il volere e le decisioni del medico che, al contrario, conoscendo i meccanismi della vita, che è sempre buona in se, conosce anche il bene.

25 V Sec. a.C. Trattato di chirurgia
“….bisogna cercare di evitare quei casi, soprattutto se si ha una bella scusa perché le speranze sono poche e i pericoli molti… Il rispondere a dirittura …ed esporre il proprio parere, cioè il determinare, massime nella prima visita, la causa del male e la medicatura da tenersi, sovente non è il caso. Istruire l’ammalato della natura d’ogni rimedio che gli si dà, è un aprir continue frivole questioni con chi ha debito di restar persuaso. E per conseguenza è un imbarazzare il corso alle medicature che la mente medica ha concepito

26 V Sec. Trattato di chirurgia
“…Pur alle volte bisogna pronosticare, o quasi pronosticare; ed è allora ed è allora quando l’infermo ha da sapere lo stato suo minaccioso e pericolante, onde a sé provveda ed alle altre cose sue. Al dolore del vedere l’uomo che va a mancare, ci si aggiunge l’altro del doverglielo palesare. Tuttavia tale annuncio non sempre ci tocca doverlo noi all’infermo partecipare. A congiunti primieramente, agli amici, a sacerdoti, a chi si crede più vicino al cuor del malato e più fornito di zelo e di buona maniera, se ne può dare l’incarico; e solo quando altro mezzo non v’abbia. Il medico stesso debbe dirglielo, ma sempre con quella blanda insinuazione che il caso vuole, e la carità ci impone…”

27 Erodoto, V sec. a.c., fonte “le Storie II, 84,85,86… “
…Fa tutto quello con calma e competenza, nascondendo il più delle cose al paziente mentre ti occupi di lui. Dà gli ordini necessari con voce lieta e serena, distogliendo la sua attenzione da ciò che gli viene fatto; qualche volta dovrai rimproverarlo in modo aspro e risentito, altre volte dovrai confortarlo con sollecitudine e attenzione, senza nulla rivelargli della sua condizione presente e futura.

28 Plinio il Vecchio, Historia naturalis, l. 29 23- 24 d.c.
« Il medico è il solo artista di cui ci si fida sulla parola; gli si crede da quando egli si dichiara medico. E tuttavia, non c’è arte in cui l’impostura abbia conseguenze più gravi. Non ci pensiamo per nulla, tanto la speranza di ritrovare la salute ci affascina. Del resto, non abbiamo alcuna legge per punire la sua ignoranza che causa la morte, alcun esempio di vendetta pubblica contro la sua temerarietà. Il medico si istruisce a nostre spese, esperimenta dando la morte. Non c’è il medico al mondo che possa uccidere un uomo con la massima impunità. Che dico? E’ lui che accusa al posto di essere accusato. Egli attribuisce l’insuccesso all’intemperanza del malato. Solo il malato è colpevole della propria morte ».

29 Plinio il Vecchio, Historia naturalis, l. 29
« Ecco cosa Catone prevedeva nella sua collera, e ciò che ha fatto che per seicento anni il senato aveva proscritto una professione così insidiosa, nella quale il medico giusto serve da copertura al ciarlatano, combattendo in questo modo le allucinazioni di qualche spirito malato che pensa che niente sia più salutare di ciò che costa caro ».

30 « La legge » e la regolamentazione della professione nella Grecia del IV e V sec.
La medicina, di tutte le professioni, è la più nobile; e tuttavia, a causa dell’ignoranza sia di quelli che la esercitano, sia di quelli che la giudicano alla leggera, essa è attualmente relegata all’ultimo posto. Un giudizio così falso mi sembra provenire principalmente dal fatto che solo la professione medica è, nelle città, sottomessa a nessuna altra pena che il discredito; ora, il discredito non ferisce le persone che ne vivono.

31 l’origine del consenso informato
Civiltà antiche egiziana, greca, romana

32 l’origine del consenso informato: civiltà antiche egiziana, greca, romana
Dalla documentazione ritrovata risulta che in alcune particolari situazioni l’operato del medico dovesse in qualche modo essere preceduto da una approvazione da parte del malato

33 Civiltà greca: nasce la medicina difensiva
Ippocrate di Cos nel “Prognostico” raccomanda al medico di comunicare al paziente e alla famiglia una corretta diagnosi perché è utile alla cura del paziente, ma è ancora di più utile al medico per guadagnarsi la fiducia del paziente e per prevenire eventuali accuse di responsabilità in caso di esito infausto.

34 Civiltà greca: nasce la medicina difensiva
Nei testi più antichi del Corpus Hippocraticum alla concezione umanitaria della medicina intesa come soccorso al malato si affianca quella fortemente difensiva che nei futuri testi medici tende via via a scomparire soprattutto in quelli deontologici quando la medicina tende ad aprirsi alla virtù e all’etica e viene esercitata da un medico di cultura, un po’ scienziato e un po’ filosofo.

35 Alessandro Magno 356 a. C. – 323 a.C., Civiltà Bizantina395 -1453
QUANDO SI TRATTAVA DI INTERVENIRE SU PAZIENTI ILLUSTRI E POTENTI IL MEDICO, PUR NON ESSENDO NECESSARIO, INFORMAVA E CHIEDEVA L’ASSENSO/permesso di agire prevalentemente alla scopo di salvaguardare e tutelare non solo la loro persona, ma anche la loro vita. L’autorizzazione, più che il consenso e l’informazione, serviva più alla protezione del medico, come tende ad accadere oggi nei vari tipi di medicina difensiva (positiva, negativa, omissiva e commissiva ) che non alla salvaguardia del malato Alessandro Magno colpito da una gravissima malattia durante la campagna in Asia non veniva curato perché i medici erano timorosi e avevano paura di curarlo, temendo l’isuccesso. Solo un eminente medioc militare, Filippo di Acarnania, si assunse la responsabilità di intraprendere la cura, solo dopo una aperta dichiarazione di assoluta fiducia di Alessandro. Un secondo caso riguarda sempre A. M. che ferito gravemente durante una battaglia presso una città della Mallia in India. A.M. venne operatoa dal Critobulo, valentissimo medico al suo seguito, solo dopo aver informato l’imperatore della gravità della sua ferita e questi gli aveva assicurato la piena immunità in caso di insuccesso.

36 Alessandro Magno , Civiltà Bizantina
In queste epoche la relazione tra chi praticava la medicina e chi ne chiedeva la prestazione veniva direttamente a correlarsi con il rispettivo ceto sociale, infatti “… a curare le malattie degli uomini liberi è il medico libero…”. Il rapporto med-paz assumeva differenti caratteristiche in base alla casta e, in particolare, per i paz. nobili e aristocratici, risultava del tutto invertito rispetto a quello paternalistico e autoritario delle epoche successive Alessandro Magno colpito da una gravissima malattia durante la campagna in Asia non veniva curato perché i medici erano timorosi e avevano paura di curarlo, temendo l’isuccesso. Solo un eminente medioc militare, Filippo di Acarnania, si assunse la responsabilità di intraprendere la cura, solo dopo una aperta dichiarazione di assoluta fiducia di Alessandro. Un secondo caso riguarda sempre A. M. che ferito gravemente durante una battaglia presso una città della Mallia in India. A.M. venne operatoa dal Critobulo, valentissimo medico al suo seguito, solo dopo aver informato l’imperatore della gravità della sua ferita e questi gli aveva assicurato la piena immunità in caso di insuccesso.

37 La polis e l’origine del consenso informato
Platone –leggi, IV- « a curare le malattie degli uomini liberi è il medico libero che segue il decorso della malattia, la inquadra fin dall’inizio secondo il giusto metodo, mette a parte della diagnosi il malato e i suoi parenti… egli non farà alcuna prescrizione prima di averlo in qualche modo convinto e cercherà di portare a termine la sua missione che è quella di risanarlo, ogni volta preparandolo e predisponendolo con una opera di convincimento ».

38 l’origine del consenso informato
La ricerca del « consenso » era rivolta solo agli « uomini liberi » Il medico Ippocratico aveva una responsabilità di tipo religioso, morale più che una responsabilità giuridica. Aveva il dovere di perseguire il bene del paziente, che era il ripristino dell’ordine natuarle. Il paziente, di converso doveva obbedire a tutto cio che gli veniva proposto.

39 l’origine del consenso informato
Il medico Ippocratico operava sempre per il bene del paziente anche quando il suo intervento era un insuccesso ciò gli conferiva un forma di irresponsabilità giuridica. Un pò come il sarcedote che quando non riesce a salvare l’anima non ne risponde giuridicamente.

40 Il medico Cristiano il Cristianesimo non modifica
in sostanza l’etica medica di tipo Ippocratico fondata su una visione sacrale della medicina. Il medico medievale investito dell’autorità religiosa che gli deriva dalla professione , guida il paz. e sceglie e decide per lui. Salute e arte medica sono doni di Dio e i medici sono i sacerdoti che li amministrano. La scienza e la coscienza del medico non tengono in alcuna considerazione i desideri, le richieste, le aspettative del paz. che è un minorato nel corpo e nella mente e quindi non ha alcuna voce in capitolo

41 Il medico medioevale In tale epoca se si dovesse ricercare il consenso, questo è implicito e coincide nella stessa richiesta di aiuto del paziente al medico. Mentre il tema dell’informazione rientra nel principio di beneficienza e quando viene data è solo per rendere meno sgradito il trattamento, per rafforzare l’obbedienza oppure è volta a salvaguardare la reputazione del medico

42 Dal paternalismo al consenso informato
I due paradigmi Il paradigma Ippocratico Il paradigma Bioetico Dal paternalismo al consenso informato MI 27/03/2017

43 Paradigma ippocratico : schema o orientamento di fondo sotteso alla medicina tradizionale.
paradigma è usato in un senso più ampio in quanto indica sia lo schema conoscitivo sia l’atteggiamento di fondo verso la realtà o i sentimenti o le relative passioni che le varie azioni o i diversi stati del mondo suscitano in noi. MI 27/03/2017

44 Paradigma ippocratico : schema o orientamento di fondo sotteso alla medicina tradizionale.
Quali sono i cardini salienti del paradigma medico più antico e tradizionale, quello che in Occidente ha informato la pratica clinica per millenni e che oggi viene messo in crisi o scalzato dal caso Eluana? Più che essere formulato in termini teorici e astratti, il paradigma emerge da una serie di indicazioni pratiche in uso in medicina che sono associate al nome di Ippocrate. MI 27/03/2017

45 Scontro di paradigmi I casi di Welby, di Eluana, non comportano uno scontro di paradigmi sul piano conoscitivo, in quanto tutti i contendenti concordano sul paradigma della medicina scientifica, e nessuno invoca il ricorso a forme di medicine complementari o alternative, o altro tipo di pensiero. Le controversie scientifiche e cliniche sono interne ad uno stesso paradigma MI 27/03/2017

46 Scontro di paradigmi Lo scontro riguarda l’aspetto emotivo del paradigma, ossia la parte che riguarda l’atteggiamento o il modo di sentire circa la vita umana, e i sentimenti e le passioni al riguardo. MI 27/03/2017

47 Scontro di paradigmi Sul piano scientifico e conoscitivo, più nessuno oggi difende l’ippocratismo. Da questo punto di vista il paradigma ippocratico è sicuramente morto e sepolto da molto tempo: ha al massimo valore di curiosità storica A noi qui interessa la parte morale del paradigma, ossia quella affettiva ed emotiva che continua ad avere una forte presa sulla pratica medica. MI 27/03/2017

48 Scontro di paradigmi Di fatto, ancora oggi molti ritengono che il giuramento d’ Ippocrate sia il vertice insuperato e insuperabile dell’etica medica, la cui validità dovrebbe essere indiscussa. Sul piano conoscitivo, l’ippocratismo ha l’enorme merito di aver proposto l’abbandono della concezione magica della malattia a favore dell’assunzione di un atteggiamento scientifico. MI 27/03/2017

49 Paradigma ippocratico
Il fatto che la vita (umana) sia sempre stata circondata da un forte senso di mistero fa sì che il paradigma ippocratico sia pervaso dalla sacralità, da cui deriva poi l’inviolabilità e la indisponibilità della vita. MI 27/03/2017

50 Paradigma ippocratico
C’è così una sorta di sinergia tra i due aspetti: da una parte il divieto assoluto di interferire o di manomettere le inclinazioni essenziali della vita umana protegge la sacralità della vita impedendo incursioni conoscitive nel mondo vitale, dall’altra parte il mistero che avvolge la vita alimenta la sacralità della stessa. MI 27/03/2017

51 Medicina Ippocratica Secondo il modello ippocratico il mondo è buono in sé. Il termine ‘ippocratismo’ è usato per indicare una prospettiva teorica che ha le seguenti caratteristiche: .è ancora diffusa e difesa in ambito medico; .è precedente alla rivelazione cristiana e prescinde da essa; .è compatibile con la dottrina cattolica romana nell’indirizzo sostanziale. MI 27/03/2017

52 Medicina Ippocratica le caratteristiche del paradigma morale ippocratico sta nell’assumere la presenza di divieti assoluti, ossia che non ammettono eccezioni. Il medico ha il divieto di non dare certi farmaci, ad esempio il divieto di fornire pozioni contraccettive o abortifacenti, o di pozioni tese ad anticipare la morte. MI 27/03/2017

53 Medicina Ippocratica Questo perché il compito specifico e precipuo del medico è quello di proteggere e tutelare la vita del paziente dalle malattie fornendo rimedi per la guarigione e facendo tutto il possibile per procrastinare la morte considerata il peggiore dei mali. MI 27/03/2017

54 Medico ippocratico Il medico non guarda la qualità della vita, ma semplicemente è un aiutante della vita la sua speciale conoscenza consente di individuare il finalismo e suo compito è aiutarlo.

55 Paradigma ippocratico
La presenza di divieti assoluti era peraltro aspetto comune e normale nell’etica tradizionale due interpretazioni diverse del modo di intendere l’assolutezza dei divieti morali circa il rispetto della vita: MI 27/03/2017

56 Paradigma ippocratico
La prima posizione interpreta l’ippocratismo come una versione medica di “utilitarismo inconscio”, secondo cui le norme morali sono il risultato di un calcolo dei costi e benefici delle diverse azioni che porta a concludere per quelle della massimizzazione. I divieti che appaiono assoluti e immutabili non sono altro che il frutto di una cristalizzazione o di un consolidamento di quei calcoli dell’utilitarismo inconscio. MI 27/03/2017

57 Paradigma ippocratico
L’altra prospettiva, invece, afferma che i divieti valgono in sé, per ragioni dipendenti dalla struttura stessa della prospettiva ippocratica. Avendo abbandonato in via iniziale la concezione magica della malattia, il medico ippocratico si è trovato di fronte a una varietà di fenomeni tanto intricata da lasciare letteralmente sgomenti. La vita (umana e non) è così variegata e multiforme da apparire un mistero insondabile, tanto complicato da superare le capacità dell’umano intelletto. MI 27/03/2017

58 Paradigma ippocratico
Il medico in particolare si trova a contatto diretto con la misteriosità della malattia. Era così difficile capire da che cosa dipendesse esattamente, che ancora a fine ’800 si riteneva che le malattie avessero poco a che fare con la biologia: era la rottura di un equilibrio che non è necessariamente di tipo fisico-biologico. MI 27/03/2017

59 Paradigma ippocratico
Ci volle un genio come Pasteur per mostrare il contrario, anche se in molte parti del mondo il medico non studia ancora l’anatomia, ritenuta inutile per la cura dei pazienti. Questo sfondo di mistero che circonda il vivente umano si connette e alimenta la sacralità della vita, ossia l’atteggiamento che emana da un oggetto ritenuto inviolabile e intoccabile. MI 27/03/2017

60 Paradigma ippocratico
La sacralità della vita fonda il divieto assoluto di interferire o manomettere le inclinazioni essenziali della vita umana, ed a sua volta è sostenuta dalla proibizione netta. Sacralità dell’oggetto (vita umana) e assolutezza del divieto sono due facce di una stessa medaglia: la sacralità riguarda il piano (o punto di vista) della conoscenza dell’oggetto, mentre l’assolutezza del divieto riguarda il piano dell’azione (morale) circa l’ambito in questione. MI 27/03/2017

61 Paradigma ippocratico
L’assolutezza del divieto è il cancello eretto a protezione della sacralità, la quale a sua volta si alimenta del mistero insondabile. Deve essere chiaro che la sacralità della vita non riguarda affatto la semplice uccisione delle persone, ossia il divieto di “non uccidere!”. quest’aspetto diventa palese non appena si consideri che il non uccidere è un divieto prima facie, ossia che ammette eccezioni, mentre dalla sacralità della vita discende un divieto assoluto, che non ammette eccezioni di sorta. MI 27/03/2017

62 Paradigma ippocratico
L’uccisione delle persone è giustificata in varie occasioni, mentre non è mai giustificato la violazione del ‘nucleo’ della vita, quell’aspetto che il medico conosce per la particolare competenza della vita stesse. La conoscenza del medico è tale per cui il medico nel suo campo sa quello che è il bene del paziente. MI 27/03/2017

63 Paradigma ippocratico
Per questo c’è il paternalismo e la posizione di garanzia (della salute) che danno al medico alcuni privilegi (ad esempio il privilegio terapeutico che consente di non dire la verità circa lo stato di salute) o anche quello di intervenire senza il consenso. MI 27/03/2017

64 Paradigma ippocratico
Qui sta il paternalismo medico: come il buon padre di famiglia sa qual è il bene dei figli, così il medico ippocratico conosce il bene del paziente. MI 27/03/2017

65 Paradigma ippocratico
In breve, il paradigma morale ippocratico ha i seguenti tre assunti fondamendali: .la vita umana è sacra ed ha sempre un valore positivo; .la vita umana presenta una sorta di trasparenza che fornisce indicazioni circa la condotta; .gli atti medici hanno un significato peculiare tale da giustificare uno status ‘quasi religioso’ per il medico – intervenendo su un oggetto ‘sacro’. MI 27/03/2017

66 Il cambiamento del paradigma
Dopo la pubblicazione dell’importante libro di Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962 e 1970) è diventato comune indicare col termine ‘paradigma’ lo schema di pensiero o il modo di organizzare il discorso. MI 27/03/2017

67 Il cambiamento del paradigma
Come storico della scienza, Kuhn era critico della prospettiva positivista che vede il progresso scientifico in modo lineare e per accumulazione di sempre maggiori conoscenze. Al contrario, Kuhn osservava come i maggiori avanzamenti fossero avvenuti non per crescita graduale e lineare, ma per cambiamenti bruschi di ‘paradigmi’ ossia di modi di strutturare la realtà. MI 27/03/2017

68 Il cambiamento del paradigma
Il contrasto tra tolemaici e copernicani non dipendeva dal fatto che gli uni avessero meno dati empirici degli altri, ma dal diverso modo di organizzare gli dati stessi, ossia dall’assunzione di un diverso ‘paradigma’. MI 27/03/2017

69 Il cambiamento del paradigma
Ciascuno di noi, nascendo e crescendo in un dato ambiente culturale, fa proprio il modo di vedere, di pensare e di percepire proprio della propria società e della propria epoca. Si è così avviluppati in questa concezione da essere portati a credere che questa sia semplicemente la realtà, punto e basta. MI 27/03/2017

70 Il cambiamento del paradigma
ciascuno di noi parte assumendo una qualche versione di realismo ingenuo, ossia la prospettiva che la realtà è quella che è, punto e basta. un “caso cruciale”, ossia una situazione tale per cui la decisione nell’uno o nell’altro senso comporta l’adesione all’uno o all’altro paradigma, ossia a quella sorta di ‘filtro’ o di ‘schema mentale’ che ci porta a vedere in un modo piuttosto che nell’altro. MI 27/03/2017

71 Il cambiamento del paradigma
Che a volte il nostro modo di vedere o di percepire la realtà sia condizionato dal punto di vista assunto è confermato dagli studi fatto dagli psicologi della Gestalt, i quali hanno mostrato come la visione segua una propria ‘forma’ (in tedesco Gestalt) che in certi contesti ci porta a vedere una figura piuttosto che un’altra. MI 27/03/2017

72 Il cambiamento del paradigma
Interessante è osservare come il passaggio dall’una all’altra visione avvenga immediatamente, in modo repentino: non per gradi ma con un ‘salto’, come quando si ha un’improvvisa intuizione che ci rivela la soluzione di un rebus o di un rompicapo matematico. MI 27/03/2017

73 Il cambiamento del paradigma
Così, ad esempio, a seconda di come fissiamo l’attenzione nelle figure qui riportate possiamo vedere un vaso bianco su uno sfondo nero o il profilo di due persone che si guardano; oppure un anatroccolo invece di un coniglio. Interessante è osservare che vediamo o l’una o l’altra, ma non tutte due contemporaneamente, e che il passaggio dall’uno all’altro avviene istantaneamente e non per gradi, ma con un ‘salto’, come quando si ha un’improvvisa intuizione che ci rivela la soluzione di un rebus o di un rompicapo matematico. MI 27/03/2017

74 MI 27/03/2017

75 Il cambiamento del paradigma
Qualcosa del genere sarebbe capitato anche a Galileo: puntando il cannocchiale verso la Luna la sera del 9 agosto 1609 ha ‘visto’ le montagne, ossia ha riconosciuto che anche quel satellite è come la Terra. Di qui l’esigenza di cambiare il paradigma, col passaggio a quello copernicano, per rendere conto del nuovo dato. Sia chiaro, avrebbe potuto rimanere nel tradizionale paradigma tolemaico, cambiando altri aspetti (aggiungendo un epiciclo, come si dice), ma il nuovo paradigma era preferibile. MI 27/03/2017

76 Il cambiamento del paradigma
Il tema del processo a Galileo è stato un “caso cruciale”, perché dalla risposta al problema se sia il Sole a girare attorno alla Terra o viceversa determina l’accettazione dell’uno o dell’altro paradigma. Questo sarebbe capitato a Galileo, Lavoisier, Darwin, i quali hanno appunto rivoluzionato un qualche ambito della scienza proponendo nuovi paradigmi. MI 27/03/2017

77 Il cambiamento del paradigma
Se consideriamo che, prima d’ora, il paradigma ippocratico non è mai stato messo seriamente in discussione e che dall’inizio della civiltà vige pressoché incontrastato. MI 27/03/2017

78 Il cambiamento del paradigma
Quello ippocratico è un paradigma (e non il paradigma), che può essere confrontato con un nuovo paradigma che sta affermandosi in campo biomedico. Quello di Eluana è un ‘caso cruciale’ perché la diversa risposta data al riguardo comporta l’adesione al tradizionale paradigma ippocratico oppure al un nuovo paradigma in via d’affermazione. MI 27/03/2017

79 Ippocratismo L’ippocratismo affonda le radici nella religiosità protonaturale in cui si dà per scontato che la realtà vera sia quella sacra, assoluta, e che il resto sia solo apparenza. MI 27/03/2017

80 Paradigma bioetico Il nuovo paradigma non ha ancora un ‘santo protettore’ riconosciuto (come Ippocrate), e per identificarlo possiamo chiamarlo paradigma bioetico. MI 27/03/2017

81 Paradigma bioetico Infatti, caratteristica centrale della bioetica è l’interdisciplinarità, criterio che sottrae l’ambito biomedico all’esclusiva competenza degli addetti ai lavori (gli operatori sanitari) facendo sì che il loro atteggiamento quasi religioso si confronti con altri atteggiamenti provenienti dalla società civile, col risultato di operare una sorta di secolarizzazione della vita. MI 27/03/2017

82 Paradigma bioetico Se vale l’interdisciplinarità, allora il medico non ha più il privilegio di sapere (per specifica competenza) sin dall’inizio qual è il finalismo e il bene del paziente che è insito nella vita stessa, ma deve confrontarsi con le altre esigenze perdendo così la regalità o supremazia: la sua posizione è una tra altre, e può capitare che debba cedere il passo ad altre considerazioni. MI 27/03/2017

83 Paradigma bioetico Per queste ragioni strutturali il nuovo paradigma bioetico si contrappone al tradizionale paradigma ippocratico. MI 27/03/2017

84 Paradigma ippocratico
la caratteristica fondamentale che distingue i due paradigmi è la seguente: nel paradigma ippocratico è la vita stessa che ‘parla’ ed indica, se guardata in filigrana, le proprie richieste, per cui la moralità medica affonda le radici nelle indicazioni offerte dalla vita stessa, dalla natura. MI 27/03/2017

85 Paradigma ippocratico
La moralità è, quindi, un’istituzione naturale, cioè dettata dalla natura: i divieti morali essenziali sono immutabili e assoluti perché inscritti sin dall’inizio nella natura delle cose. Non dipendono da alcun legislatore né da qualche volontà umana, ma l’uomo li deve solo riconoscere per quel che sono, ed alcuni ‘esperti’ (teologi e medici nello specifico) hanno una specifica competenza per farlo, avendo una peculiare conoscenza dei dinamismi naturali. MI 27/03/2017

86 Paradigma ippocratico
I divieti individuati vanno rispettati di per sé, senza considerare eventuali conseguenze: la loro violazione o sequela produrrà anche effetti positivi o negativi, ma il rispetto è dovuto perché asseconda la bontà di fondo della natura. MI 27/03/2017

87 Paradigma bioetico Nel paradigma bioetico, invece, la moralità è un’istituzione sociale costituita dai valori e norme che nelle diverse circostanze storiche garantiscono (assieme ad altri istituti) la coordinazione sociale necessaria per avere un adeguato livello di ‘qualità della vita’, ossia di benessere e di autorealizzazione MI 27/03/2017

88 Paradigma bioetico La moralità diventa qualcosa di analogo ad una lingua: come non esiste la lingua ‘naturale’, immutabile e data una volta per tutte, così non esiste la morale ‘naturale’, con divieti assoluti e immutabili. MI 27/03/2017

89 Paradigma bioetico La nuova concezione della moralità si estrinseca in altre forme specifiche che riguardano: .lo sfaldamento della sacralità della vita umana; .la distinzione tra mera ‘vita biologica’ e ‘vita biografica’; .l’irrilevanza del finalismo; .la perdita della quasi religiosità degli atti. MI 27/03/2017

90 Paradigma bioetico Oggi la sacralità della vita umana è in crisi non per la malvagità delle persone, ma perché gli straordinari progressi della conoscenza biomedica vengono a illuminare il mistero che sino a ieri ha avvolto la vita. MI 27/03/2017

91 Paradigma bioetico La medicina ha compiuto un balzo straordinario facendo più progressi negli ultimi 40 anni che nei precedenti C’è stata una vera e propria ‘esplosione delle conoscenze’, la cui applicazione ha prodotto risultati inaspettati. Collegandosi più strettamente con la biologia è diventata biomedicina, aumentando notevolmente la capacità di controllo della vita come confermato dagli interventi di ‘ingegneria genetica’. MI 27/03/2017

92 Paradigma bioetico Grazie all’ausilio delle tecnologie informatiche ed elettroniche la biomedicina ha dato l’avvio ad una vera e propria ‘Rivoluzione biomedica” che è sotto gli occhi di tutti: trapianti d’organo, fecondazione assistita, cellule staminali con la prospettiva di una ‘medicina riparativa’, e via dicendo. MI 27/03/2017

93 Paradigma bioetico L’aumento delle conoscenze ha spogliato gli astri del loro manto sacrale e la aumentata capacità di controllo del mondo inorganico ha favorito la Rivoluzione industriale con un radicale cambiamento delle relazioni umane. Questo grandioso processo si estende ora alla vita: la Rivoluzione biomedica è la continuazione della Rivoluzione industriale. MI 27/03/2017

94 Paradigma bioetico Il metodo scientifico non è né neutrale né innocente rispetto ai paradigmi etici. Non solo la sua rigorosa applicazione al mondo organico sta sfaldando il mistero e la sacralità della vita, ma ancor di più perché presuppone (o incorpora) in sé il principio di indifferenza della natura. Il ricercatore che studia la vita, in quanto scienziato, parte assumendo che non sia né buona né cattiva e prescinde da giudizi di valore. MI 27/03/2017

95 Paradigma bioetico Il principio d’indifferenza della natura sotteso al metodo scientifico ha anche un’altra enorme conseguenza. Per l’homo religiosus la vita (come la realtà) è satura d’essere e quindi buona in sé. Per lo scienziato che applica il principio d’indifferenza, invece, la vita (umana e non) è buona se, e solo se, ha contenuti positivi che sono intrinsecamente buoni e la rendono intrinsecamente buona. In altre parole, la vita è buona se (e solo se) il soggetto interessato ha esperienze positive. MI 27/03/2017

96 Paradigma bioetico Questo ci porta a distinguere la mera vita biologica dalla vita biografica: la prima non ha alcun valore intrinseco, perché questo valore è proprio della vita biografica che ha contenuti: come diceva Amleto, Non c’è né bene né male, ma è il pensiero che lo rende tale. MI 27/03/2017

97 Paradigma bioetico /consenso informato
Quello individuato è un punto cruciale perché spiega la centralità assunta dal consenso informato. Se la vita è di per sé satura d’essere e buona, il medico sa che basta assecondare le inclinazioni della vita per realizzare il bene del paziente, e non c’è bisogno di chiederglielo. Se, invece, ad essere buona è solo la vita biografica, per sapere quando c’è vita buona è necessario chiederlo all’interessato. Di qui l’esigenza del consenso informato. MI 27/03/2017

98 Paradigma ippocratico: atto medico
la differenza profonda tra il paradigma ippocratico che affonda le radici nella concezione dell’homo religiosus e il paradigma bioetico informato al principio d’indifferenza della natura. Anche l’atto medico aveva un intrinseco significato quasi-religioso, dal momento che interveniva su quel particolare oggetto sacro che è la vita (umana), cosicché il medico si coniugava col sacerdote – assumendo appunto una valenza quasi-religiosa. MI 27/03/2017

99 Paradigma bioetico: atto medico
Per chi oggi pratica la medicina scientifica la situazione è completamente diversa. Gli organi umani e le loro funzioni hanno perso il tradizionale valore religioso. L’oggetto ‘vita’ è stato spezzettato in mille frammenti ed ha perso l’aura di sacralità che aveva all’origine. Inoltre, lo stesso atto medico non è più esclusivo né unitario: viene praticato da figure diverse (che vanno poi coordinate) ed è parcellizzato in una serie di analisi su aspetti specifici. Infine, è ormai un atto che non rimanda più alla dimensione cosmica ed ha perso ogni dimensione simbolica. MI 27/03/2017

100 Il ruolo del consenso nella medicina di oggi.
. L’idea che si sta realizzando è che oggi vale non più la vita in sé, ma la vita buona. Per quanto riguarda l’assegnazione di bontà abbiamo due criteri. Il primo è quello individualistico che fa riferimento al consenso. Questa è la strada seguita negli Stati Uniti e ora anche in Italia. L’altra è quella seguita in Gran Bretagna nel caso Tony Bland: non importa la volontà ma il fatto che ormai la vita è meramente biologica. MI 27/03/2017

101 Il ruolo del consenso nella medicina di oggi.
Qui sta la questione della qualità della vita. La vita non è più buona in sé, ma va giustificata. MI 27/03/2017

102 Eluana Englaro è morta dopo oltre 17anni di SVP.
Il padre ha chiesto dal ’97 la sospensione della nutrizione - idratazione artificiale per rispettare la volontà della figlia MI 27/03/2017

103 Piergiorgio Welby nato il 26 dicembre 1945.
Affetto dall’età di 16 anni da distrofia muscolare, malattia che gli impediva di parlare e di compiere qualsiasi movimento. Il 20 dicembre 2006 è morto, sotto sedazione, dopo che gli è stato staccato il respiratore, secondo la sua volontà MI 27/03/2017

104 "There is nothing either good or bad, but thinking makes it so."
Hamlet, W. Shakespeare; Act II, scene II MI 27/03/2017


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