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IL MARE Proviamo a pensare quando, per la prima volta, abbiamo trattato del mare in diverse materie oggetto dei nostri studi. Ricordate qualcosa? In.

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1 IL MARE Proviamo a pensare quando, per la prima volta, abbiamo trattato del mare in diverse materie oggetto dei nostri studi. Ricordate qualcosa? In geografia come ambiente naturale, in storia quando abbiamo affrontato le civiltà orientali si è parlato di talassocrazia (il dominio sul mare) oppure quando si è affrontata la civiltà romana si è parlato del mare Mediterraneo come di mare nostrum.

2 Studiando le lingue classiche abbiamo arricchito anche il nostro lessico e come prima cosa vorrei esaminare tutti i modi di dire “mare” in latino e greco cogliendone anche le differenze. Cominciamo dalla lingua latina: Pontus, i maschile Pelagus,i neutro Mare, is neutro Aequor, oris neutro (poetico)

3 Dal termine “pontus” deriva, ad esempio, la regione dell'agro Pontino nel Lazio, chiamata così perché un tempo ricco di paludi. Dal termine “pelagus” deriva l'aggettivo pelagico, che indica sia la flora sia la fauna tipiche del mare aperto. Dal termine “aequor” deriva il ricercato aggettivo poetico “equoreo”, aggettivo poetico che significa appunto “marino” utilizzato da Gabriele D'Annunzio in “Sinfonia marina”. Più evidente la derivazione del termine italiano dal sostantivo latino mare .

4 Proviamo ora a esaminare il termine in greco:
femminile femminile maschile

5 Dal termine deriva il termine già ricordato talassocrazia (il dominio sul mare), ma deriva anche il termine medico talassemia, (malattia del sangue tipica delle popolazioni che si affacciano sul mare). Dal termine deriva la parola salsedine, elemento tipico del mare e non dei fiumi. Infine è evidente il legame tra la parola greca  e il corrispettivo latino “pontus”.

6 IL MARE IN LETTERATURA Partendo dalle origini della letteratura greca iniziamo con Omero, in cui, soprattutto nell'Odissea, il mare ricopre un ruolo fondamentale, addirittura da protagonista, oltre che da sfondo a tutte le avventure vissute da Odisseo e dai suoi compagni. Ruolo più marginale riveste nell'Iliade, ma tuttavia anche nella sua prima opera epica Omero crea versi sapienti di descrizione marina.

7 In Omero spesso il mare viene citato in quelli che sono definiti versi formulari, versi che si ripetono sempre uguali nel corso della narrazione epica e che avevano lo scopo di attirare l'attenzione dell'ascoltatore e che sono prova dell'origine orale dei racconti epici. Speso il termine mare viene accostato ad aggettivi che sono detti epiteti. Perciò spesso il mare più che descritto lungamente viene semplicemente citato accanto a questi aggettivi. Leggiamo insieme qualcuno di quei versi:

8 ILIADE Come già detto spesso il mare, nelle varie accezioni, è accostato a un aggettivo. Vediamo insieme i più ricorrenti: Libro I, vv : Ἀλλ' ἤτοι μὲν ταῦτα μεταφρασόμεσθα καὶ αὖτις, νῦν δ' ἄγε νῆα μέλαιναν ἐρύσσομεν εἰς ἅλα δῖαν Ma certamente tratteremo di queste cose anche dopo, ora presto una nave nera spingiamo nel mare divino. L'aggettivo δῖαν è strettamente legato anche al termine latino dies che significa giorno e che è collegato anche alla sfera semantica della luce

9 Libro I, v.157: θάλασσά τε ἠχήεσσα: il mare sonante o urlante.
Anche qui, dal punto di vista etimologico, l'aggettivo ἠχήεσσα è strettamente legato al termine eco, che richiama anche la figura mitologica della giovane fanciulla sventurata.

10 ODISSEA Già nel proemio il sommo poeta ci dice:
Odissea, libro I v. 1-4: Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλὰ πλάγχθη, ἐπεὶ Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσε· πολλῶν δ’ ἀνθρώπων ἴδεν ἄστεα καὶ νόον ἔγνω, πολλὰ δ’ ὅ γ’ ἐν πόντῳ πάθεν ἄλγεα ὃν κατὰ θυμόν, Soffrì molti dolori sul mare

11 E ora vediamo una descrizione più ampia, in cui il poeta ci presenta un locus horridus, caratterizzato da un ambiente spaventoso, che ci introduce in una situazione tragico-dinamica e che ricorre spesso non solo in Omero, ma anche in Virgilio e che esamineremo in seguito. Leggiamo i versi:

12 Odissea, libro IX vv νηυσὶ δ' ἐπῶρσ' ἄνεμον βορέην νεφεληγερέτα Ζεὺς λαίλαπι θεσπεσίῃ, σὺν δὲ νεφέεσσι κάλυψε γαῖαν ὁμοῦ καὶ πόντον· ὀρώρει δ' οὐρανόθεν νύξ. αἱ μὲν ἔπειτ' ἐφέροντ' ἐπικάρσιαι, ἱστία δέ σφιν τριχθά τε καὶ τετραχθὰ διέσχισεν ἲς ἀνέμοιο. καὶ τὰ μὲν ἐς νῆας κάθεμεν, δείσαντες ὄλεθρον, αὐτὰς δ' ἐσσυμένως προερέσσαμεν ἤπειρόνδε. ἔνθα δύω νύκτας δύο τ' ἤματα συννεχὲς αἰεὶ κείμεθ', ὁμοῦ καμάτῳ τε καὶ ἄλγεσι θυμὸν ἔδοντες.

13 TRADUZIONE Contro le navi Zeus che addensa le nubi suscitò borea con tremendo uragano, e con le nubi ravvolse e terra e mare:dal cielo era sorta la notte. Di traverso esse furono spinte, la forza del vento squarciò loro le vele in tre e quattro lembi. Paventando la fine, le tirammo giù nelle navi, e spingemmo queste a forza di remi alla riva. Restammo lì due giorni e due notti di seguito, rodendoci l'animo a un tempo con fatiche e dolori.

14 COMMENTO SUL MARE Il mare in tempesta è un locus horridus nel quale la forza d'animo e il coraggio dell'eroe vengono messi a dura prova. Spesso il mare rappresenta la via di salvezza, di fuga, ma nello stesso tempo luogo di morte. In esso trovarono la morte vari personaggi, come Ulisse alla fine delle sue avventure secondo la versione che Dante ci offre nella Divina Commedia quando rappresenta Ulisse nel suo estremo folle volo.

15 Oppure Icaro, quando ignaro dei consigli paterni si spinse troppo verso il sole e trovò la morte in quel mare che da lui prese il nome di Icario.

16 Altre volte il mare rappresenta la salvezza: Ulisse attraverso di esso torna alla sua amata Itaca oppure i soldati greci quando dopo una lunga guerra combattuta in Oriente nel loro ritorno in patria, come ci racconta Senofonte, salutano il mare con un urlo!

17 PLINIO IL VECCHIO Gaio Plinio Secondo, detto "il Vecchio"
--- Como, d.C – Stabile, odierna Castellammare, 79 d.C. --- Apparteneva all'ordine equestre romano e comandò a lungo uno squadrone di cavalleria sul Reno. Vero modello di funzionario imperiale, ricoprì anche importanti incarichi amministrativi durante i regni di vari imperatori (Vespasiano e Tito). Prefetto, infine, della flotta di Capo Miseno durante il regno di Tito, egli esercitava ancora questo comando quando trovò la morte, inghiottito dall'eruzione del Vesuvio che seppellì le città campane nel 79 d.C. . Una buona parte delle nostre informazioni su di lui - sulla vita, sul catalogo delle opere, sul suo metodo di lavoro - ci provengono dalla corrispondenza di suo nipote e figlio adottivo, Plinio "il Giovane".

18 PLINIO IL VECCHIO PLINIO IL GIOVANE

19 Plinio il Giovane, suo nipote, ce lo rappresenta come un uomo dedito allo studio ed alla lettura, intento ad osservare i fenomeni naturali ed a prendere continuamente appunti, dedicando poco tempo al sonno ed alle distrazioni. Il racconto della sua morte, contenuto in una lettera del nipote Plinio il Giovane, ha contribuito all'immagine di Plinio come protomartire della scienza sperimentale (definizione di Italo Calvino), anche se, sempre secondo il resoconto del nipote, si espose al pericolo anche per recare soccorso ad alcuni cittadini in fuga dall'eruzione. Il presunto teschio di Plinio il Vecchio è conservato a Roma.

20 Tuttavia, per noi, Plinio è soprattutto un "enciclopedista", le cui straordinarie conoscenze si trovano compendiate nei 37 libri della sua "Naturalis historia"("Storia naturale"), vasta indagine (finita nel 77-78) su tutto ciò che esiste in natura, partendo dalla "centralità" dell'essere umano, e su argomenti che spaziano dall'arte alla medicina: una vera e propria "summa", quindi, del sapere reperibile fino a quel momento, in autori greci (soprattutto) ma anche latini.

21 La Naturalis historia fu pubblicata nell'anno 77; già nel titolo l'opera si presenta come ricerca a carattere enciclopedico sui fenomeni naturali: il termine historia conserva il suo significato greco di indagine, e va notato che la formula ha dato la denominazione alle scienze biologiche, cioè alla storia naturale nel senso moderno della locuzione. Il primo libro fu completato dal nipote Plinio il Giovane dopo la morte dello zio, contiene la dedica a Tito, il sommario dei libri successivi ed un elenco delle fonti per ciascun libro. Partendo dal lavoro di Lucrezio, l'autore vuole far conoscere all'uomo i vari aspetti della natura, perché possa elevarsi dalla sua condizione animale. L'informazione tratta svariati temi.

22 L’opera, aperta da un’epistola dedicatoria e illustrativa rivolta al futuro imperatore Tito, inizia con una prefazione e una "bibliografia" (una vera novità, questa, nel mondo classico), e continua con: La descrizione dell'universo (II libro) La geografia ed etnografia del Bacino del mar Mediterraneo (III-VI libro) L'antropologia(VII libro) La zoologia (VIII-XI libro) La botanica e l'agricoltura (XII-XIX libro)

23  La medicina e le piante medicinali (XX-XXVII libro)
La medicina ed i medicamenti ricavati dagli animali (XXVII-XXXII libro) La mineralogia (XXXIII-XXXVII libro)

24 L'ultima parte, trattando della lavorazione dei metalli e delle pietre, contiene anche una lunghissima digressione sulla storia dell'arte dell'antichità, in particolare riguardo la statuaria, la pittura e l'architettura (ma non mancano notizie relative ai mosaici e ad opere di altro tipo). In sostanza si tratta di un'opera che risente della fretta di chi legge e registra tutto quanto va apprendendo; dello sforzo di mettere ordine nell'immensa materia. Sebbene non si possa chiedere all'autore originalità ed esattezza scientifica, si deve riconoscere l'altissimo valore antiquario e documentario dell'opera, e l'enciclopedismo pratico dell'autore, spesso soffermatosi in credenze superstiziose e gusto del fantastico. Non mancano, inoltre informazioni errate o dati “gonfiati”

25 Plinio il vecchio Naturalis historia, libro III 75-83
75 ab eo ad Siciliam insulam Tuscum, quod ex Graecis alii Notium, alii Tyrrenum, e nostris plurimi Inferum vocant. ultra Siciliam quod est ad Salentinos, Ausonium Polybius appellat, Eratosthenes autem inter ostium oceani et Sardiniam quicquid est Sarodum, inde ad Siciliam Tyrrenum, ab hac Cretam usque Siculum, ab ea Creticum.

26 76 Insulae per haec maria primae omnium Pityussae Graecis dictae a frutice pineo; nunc Ebusus vocatur utraque, civitate foederata, angusto freto interfluente. patent XLVI, absunt ab Dianio DCC stadia, totidem Dianium per continentem a Carthagine Nova, tantundem a Pityussis in altum Baliares duae ei Sucronem versus Colubraria.

27 77 Baliares funda bellicosas Graeci Gymnasias dixere
77 Baliares funda bellicosas Graeci Gymnasias dixere. maior est longitudine, circuitu vero CCCCLXXV. Habet civium Romanorum Palmam et Pollentiam, Latina Guium et Tucim, et foederatum Bocchorum fuit. ab ea XXX distat minor, longitudine XL, circuitu CL. Civitates habet Iamonem, Saniseram, Magonem.

28 78 a maiore XII in altum abest Capraria, insidiosa naufragiis, et e regione Palmae urbis Menariae ac Tiquadra et parva Hannibalis. Ebusi terra serpentes fugat, Colubrariae parit, ideo infesta omnibus nisi Ebusitanam terram inferentibus; Graeci Ophiussam dixere. Nec cuniculos Ebusus gignit, populantes Baliarium messes.

29 79 Sunt aliae viginti ferme parvae mari vadoso, Galliae autem ora in Rhodani ostio Metina, mox quae Blascorum vocatur, et tres Stoechades a vicinis Massiliensibus dictae propter ordinem quo sitae sunt. nomina singulis Prote, Mese, quae et Pomponiana vocatur, tertia Hypaea, ab iis Sturium, Phoenice, Phila, Lero et Lerina adversum Antipolim, in qua Berconi oppidi memoria.

30 80 In Ligustico mari est Corsica, quam Graeci Cyrnon appellavere, sed Tusco propior, a septentrione in meridiem proiecta, longa passuum CL, lata maiore ex parte L, circuitu CCCXXV. Abest a Vadis Volaterranis LXII, civitates habet XXXII et colonias Marianam, a C. Mario deductam, Aleriam, a dictatore Sulla. citra est Oglasa, intra vero, et LX p. a Corsica, Planasia a specie dicta, aequalis freto ideoque navigiis fallax.

31 81 amplior Urgo et Capraria, quam Graeci Aegilion dixere, item Igilium et Dianium, quam Artemisiam, ambae contra Cosanum litus, et Barpana, Menaria, Columbaria, Venaria, Ilva cum ferri metallis, circuitus C, a Populonio X, a Graecis Aethalia dicta. ab ea Planasia XXVIII. ab iis ultra Tiberina ostia in Antiano Astura, mox Palmaria, Sinonia, adversum Formias Pontiae.

32 82 in Puteolano autem sinu Pandateria, Prochyta, non ab Aeneae nutrice, sed quia profusa ab Aenaria erat, Aenaria a statione navium Aeneae, Homero Inarime dicta, Pithecusa, non a simiarum multitudine, ut aliqui existimavere, sed a figlinis doliorum. inter Pausilypum et Neapolim Megaris, mox a Surrento VIII distantes Tiberi principis arce nobiles Capreaea circuiti XI.

33 83 Leucothea extraque conspectum pelagus Africum attingens Sardinia, minus VIII a Corsicae extremis, etiamnum angustias eas artantibus insulis parvis, quae Cuniculariae appellantur, itemque Phintonis et Fossae, a quibus fretum ipsum Taphros nominatur.

34 ENEIDE VIRGILIO Nell'Eneide le descrizioni paesaggistiche non sono frequenti né ampie perché il poema epico ruota generalmente intorno alle imprese dell'Eroe, tuttavia non mancano accenni al paesaggio e splendide descrizioni naturalistiche. Il mare in tempesta spesso ricorre in Virgilio per delineare un ambiente pericoloso e una Natura avversa.

35 Nel primo libro dell'Eneide compare una grande scena di tempesta (I, vv ): il turbine dei venti spazza la terra e sconvolge il mare, immense ondate si abbattono sulle coste e investono le navi che emettono sinistri rumori, terrificante eco alle urla degli uomini. Tuoni e fulmini e nubi minacciose trasformano il giorno nella notte nera.

36 ENEIDE (I, vv.81-91) Haec ubi dicta, cavum conversa cuspide montem impulit in latus: ac venti, velut agmine facto, qua data porta, ruunt et terras turbine perflant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis una Eurusque Notusque ruunt creberque procellis Africus, et vastos volvunt ad litora fluctus. Insequitur clamorque virum stridorque rudentum. Eripiunt subito nubes caelumque diemque Teucrorum ex oculis; ponto nox incubat atra. Intonuere poli, et crebris micat ignibus aether, praesentemque viris intentant omnia mortem.

37 TRADUZIONE DI ANNIBAL CARO
Cosí dicendo, al cavernoso monte con lo scettro d’un urto il fianco aperse, onde repente a stuolo i vènti usciro. Avean già co’ lor turbini ripieni di polve e di tumulto i colli e i campi, quando quasi in un gruppo ed Euro e Noto s’avventaron nel mare, e fin da l’imo lo turbâr sí, che ne fêr valli e monti; monti, ch’al ciel, quasi di neve aspersi, sorti l’un dopo l’altro, a mille a mille volgendo, se ne gian caduchi e mobili con suono e con ruina i liti a frangere. Il grido, lo stridore, il cigolare de’ legni, de le sarte e de le genti, i nugoli che ’l cielo e ’l dí velavano, la buia notte, ond’era il mar coverto, i tuoni, i lampi spaventosi e spessi, tutto ciò che s’udia, ciò che vedevasi rappresentava orror, perigli e morte.

38 Eneide, libro I, vv Talia iactanti stridens Aquilone procella velum adversa ferit, fluctusque ad sidera tollit. Franguntur remi; tum prora avertit, et undis dat latus; insequitur cumulo praeruptus aquae mons. Hi summo in fluctu pendent; his unda dehiscens terram inter fluctus aperit; furit aestus harenis. Tris Notus abreptas in saxa latentia torquet— saxa vocant Itali mediis quae in fluctibus aras— dorsum immane mari summo; tris Eurus ab alto in brevia et Syrtis urget, miserabile visu, inliditque vadis atque aggere cingit harenae. Unam, quae Lycios fidumque vehebat Oronten, ipsius ante oculos ingens a vertice pontus in puppim ferit: excutitur pronusque magister volvitur in caput; ast illam ter fluctus ibidem torquet agens circum, et rapidus vorat aequore vortex. Adparent rari nantes in gurgite vasto, arma virum, tabulaeque, et Troia gaza per undas.

39 Cosí dicea; quand’ecco d’Aquilone una buffa a rincontro, che stridendo squarciò la vela, e ’l mar spinse a le stelle, Fiaccârsi i remi; e là ’ve era la prua, girossi il fianco; e d’acqua un monte intanto venne come dal cielo a cader giú. Pendono or questi or quelli a l’onde in cima; or a questi or a quei s’apre la terra fra due liquidi monti, ove l’arena, non men ch’ai liti, si raggira e ferve Tre ne furon dal Noto a l’Are spinte; - Are chiaman gli Ausoni un sasso alpestro da l’altezza de l’onde allor celato, che sorgea primo in alto mare altissimo - e tre ne fûr dal pelago a le Sirti, (miserabile aspetto) ne le secche tratte da l’Euro, e ne l’arene immerse.

40 Una, che ’l carco avea del fido Oronte con le genti di Licia, avanti agli occhi di lui perí. Venne da Bora un’onda, anzi un mar, che da poppa in guisa urtolla, che ’l temon fuori e ’l temonier ne spinse; e lei girò sí che ’l suo giro stesso le si fe’ sotto e vortice e vorago, da cui rapita, vacillante e china, quasi stanco palèo, tre volte volta, calossi gorgogliando, e s’affondò. Già per l’ondoso mar disperse e rare le navi e i naviganti si vedevano; già per tutto di Troia, a l’onde in preda, arme, tavole, arnesi a nuoto andavano;

41 ENEIDE, libro III vv Postquam altum tenuere rates nec iam amplius ullae apparent terrae, caelum undique et undique pontus, tum mihi caeruleus supra caput astitit imber noctem hiememque ferens, et inhorruit unda tenebris. continuo uenti uoluunt mare magnaque surgunt aequora, dispersi iactamur gurgite uasto; inuoluere diem nimbi et nox umida caelum abstulit, ingeminant abruptis nubibus ignes, excutimur cursu et caecis erramus in undis.

42 N’andavamo a vela con second’aura; e già d’alto mirando, non piú terra apparia, ma cielo ed acqua vedevam solamente, quando oscuro e denso e procelloso un nembo sopra mi stette al capo, onde tempesta e notte ne si fece repente e di piú siti rapidi uscendo imperversaro i vènti; s’abbuiò l’aria, abbaruffossi il mare, e gonfiaro altamente e mugghiâr l’onde. Il ciel fremendo, in tuoni, in lampi, in folgori si squarciò d’ogni parte.

43 Simbolo di Sulmona verso tratto dall'opera di Ovidio “Tristia”

44 OVIDIO Publio Ovidio Nasone è il più importante personaggio di Sulmona. Nato nel 43 a.C. in una famiglia benestante erede di un'antica gens equestre, Ovidio e il fratello Lucio furono mandati a Roma per studiare grammatica e retorica. Lucio, che morirà prematuramente, avrebbe voluto esercitare l'attività forense, mentre Ovidio eccelleva nello scrivere d'istinto versi ingegnosi e brillanti, che ne rispecchiavano il carattere passionale. Così, dopo un lungo viaggio in Grecia, Asia Minore, Egitto e Sicilia , d'obbligo a quei tempi per perfezionare gli studi, tornò a Roma come poeta. Scrisse, come prima opera, una raccolta di elegie amorose intitolata Amores a cui seguì le Heroides, lettere d'amore in versi ad eroi degli antichi miti, scritte dalle loro amanti. Ma il libro che lo rende in poco tempo famoso e chiacchierato è la scandalosa, per l'epoca, Ars Amatoria, scritta in distici elegiaci. Nei primi due libri Ovidio suggerisce agli uomini come conquistare le donne, nell'ultimo insegna alle donne come sedurre gli uomini.

45 La seconda parte, invece, è quella più impegnata e più aderente ai motivi cari all'imperatore Augusto, ossia la moralizzazione della società, l'idealizzazione della storia romana e la salvaguardia degli antichi costumi. Nascerà così il poema capolavoro della produzione ovidiana: le Metamorfosi. Composto da ben 15 libri scritti in esametro, raccoglie la gran parte dei miti di tradizione greco-romana attraverso un susseguirsi di racconti e vicende tutte intrecciate tra loro. Si tratta di un'opera che ha influenzato gran parte della nostra letteratura, da Dante a D'Annunzio. Nel 8 d.C., infatti, l'imperatore emanò un editto col quale gli veniva ingiunto di lasciare l'Italia per Tomi, l'odierna Costanza, alle foci del Danubio. Le cause dell'esilio verranno accennate in un'elegia dallo stesso Ovidio: le due ipotesi riguardano un Carmen, forse l'Ars Amatoria che non era opera gradita all'imperatore, e un Error, ossia un episodio imprudente o riprovevole di cui fu protagonista. L'editto, nonostante le numerose richieste da parte del poeta, non verrà mai ritirato, neanche da Tiberio. La morte lo colse a Tomi nel 18 d.C. e lì venne sepolto.

46 Leggiamo insieme i passi tratti dall'opera di Ovidio intitolata Metamorfosi
I passi che leggeremo sono tratti dal mito di Deucalione e Pirra, mito che è la variante greca del diluvio universale biblico, in cui al posto di Noè e la moglie Vesta gli unici a salvarsi sono Deucalione e Pirra che daranno vita a una nuova generazione di uomini.

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48 Ovidio Deucalione e Pirra I libro Metamorfosi (vv. 285-292)
exspatiata ruunt per apertos flumina campos cumque satis arbusta simul pecudesque virosque tectaque cumque suis rapiunt penetralia sacris. si qua domus mansit potuitque resistere tanto indeiecta malo, culmen tamen altior huius unda tegit, pressaeque latent sub gurgite turres. iamque mare et tellus nullum discrimen habebant: omnia pontus erat, derant quoque litora ponto.

49 Su aperti campi i fiumi scorrono liberi e traggono alberi e uomini e bestie e case ed are divine; e dove una casa rimane, che alla furia poté non travolta resistere, l'onda il tetto ha coperto più alta montando e stanno nascoste le torri oppresse dai gorghi. Tra il mare e la terra non c'era confine: tutto era mare; scomparsi erano i lidi.

50 Ovidio, Eroidi, Ero e Leandro anche in Museo Grammatico
La tragica vicenda è già narrata da Ovidio nelle Eroidi,ed è accennata anche da altri autori, ma deve la sua fortuna soprattutto a un poemetto in esametri di Museo Grammatico de lV o VI secolo. Il giovane Leandro, che viveva ad Abido, amava Ero, sacerdotessa di Afrodite a Sesto, sulla costa opposta, e attraversava lo stretto a nuoto ogni sera per incontrare la sua amata. Ero, per aiutarlo ad orientarsi, accendeva una lucerna. Una notte una tempesta spense la lucerna e Leandro, disorientato, morì tra i flutti. All'alba Ero vide il corpo senza vita dell'amato sulla spiaggia e, affranta dal dolore, si suicidò gettandosi da una torre.

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52 SENOFONTE Proveniva dal demos ateniese di Erchia, e probabilmente apparteneva a una famiglia agiata, forse dell'ordine dei cavalieri. Ciò appare probabile sia in virtù della dimestichezza di Senofonte con l'arte equestre, sia dalla militanza di questi, e dei suoi figli, nella cavalleria ateniese. L'agiatezza delle origini è comunque provata dalla buona educazione ricevuta, che lo vide allievo dei sofisti Prodico e Isocrate. In gioventù, poco più che ventenne, entrò anche in contatto con Socrate, di cui fu discepolo per almeno tre anni.

53 Nel 401 a.C.partecipò ad una spedizione di mercenari greci ingaggiati, dopo la fine dalla Guerra del Peloponneso, da Ciro il Giovane nel suo tentativo di sostituire sul trono di Persia il fratello maggiore imperatore Artaserse II di Persia. Nella battaglia di Cunassa (3 settembre dello stesso anno) i Greci riportarono la vittoria sul loro fronte, ma Ciro, spintosi troppo oltre nel tentativo di uccidere personalmente il fratello, trovò invece la morte. Il contingente greco, che contava circa diecimila uomini (i famosi Diecimila), si trovò sbandato e disorientato, privo di ogni guida, in un territorio ostile, a migliaia di chilometri dalla patria. I soldati seppero però darsi dei buoni condottieri, tra i quali lo stesso Senofonte, e con un'epica marcia verso il nord attraverso l'Armenia, raggiunsero Trapezunte (Trebisonda), sul Mar Nero (allora Ponto Eusino). Di qui si imbarcarono per la Tracia e infine raggiunsero la Grecia. Il racconto di questa impresa è contenuto nella più nota delle opere di Senofonte, l'Anabasi.

54 SENOFONTE, ANABASI 4, 7, 21-25 Kαὶ ἀφικνοῦνται ἐπὶ τὸ ὄρος τῇ πέμπτῃ ἡμέρᾳ· ὄνομα δὲ τῷ ὄρει ἦν Θήχης. ἐπεὶ δὲ οἱ πρῶτοι ἐγένοντο ἐπὶ τοῦ ὄρους καὶ κατεῖδον τὴν θάλατταν, κραυγὴ πολλὴ ἐγένετο. [4.7.22] ἀκούσας δὲ ὁ Ξενοφῶν καὶ οἱ ὀπισθοφύλακες ᾠήθησαν ἔμπροσθεν ἄλλους ἐπιτίθεσθαι πολεμίους· εἵποντο γὰρ ὄπισθεν ἐκ τῆς καιομένης χώρας, καὶ αὐτῶν οἱ ὀπισθοφύλακες ἀπέκτεινάν τέ τινας καὶ ἐζώγρησαν ἐνέδραν ποιησάμενοι, καὶ γέῤῥα ἔλαβον δασειῶν βοῶν ὠμοβόεια ἀμφὶ τὰ εἴκοσιν. [4.7.23] ἐπειδὴ δὲ βοὴ πλείων τε ἐγίγνετο καὶ ἐγγύτερον καὶ οἱ ἀεὶ ἐπιόντες ἔθεον δρόμῳ ἐπὶ τοὺς ἀεὶ βοῶντας καὶ πολλῷ μείζων ἐγίγνετο ἡ βοὴ ὅσῳ δὴ πλείους ἐγίγνοντο, [4.7.24] ἐδόκει δὴ μεῖζόν τι εἶναι τῷ Ξενοφῶντι, καὶ ἀναβὰς ἐφ᾽ ἵππον καὶ Λύκιον καὶ τοὺς ἱππέας ἀναλαβὼν παρεβοήθει· καὶ τάχα δὴ ἀκούουσι βοώντων τῶν στρατιωτῶν --θάλαττα θάλαττα καὶ παρεγγυώντων. ἔνθα δὴ ἔθεον πάντες καὶ οἱ ὀπισθοφύλακες, καὶ τὰ ὑποζύγια ἠλαύνετο καὶ οἱ ἵπποι. [4.7.25] ἐπεὶ δὲ ἀφίκοντο πάντες ἐπὶ τὸ ἄκρον, ἐνταῦθα δὴ περιέβαλλον ἀλλήλους καὶ στρατηγοὺς καὶ λοχαγοὺς δακρύοντες.

55 SENOFONTE, ANABASI 4, 7, 21-25 Il quinto giorno pervennero poi a un monte di nome Teche. Non appena i primi giunsero in vetta e videro il mare, levarono alte grida. 22 Nell'udirle, Senofonte e i suoi della retroguardia pensarono che la testa dell'esercito fosse attaccata da altri nemici: alle spalle infatti erano seguiti dalla gente cui avevano incendiato il territorio. La retroguardia ne aveva ammazzato alcuni e catturati altri in un agguato, impadronendosi di una ventina di scudi di vimini rivestiti di pelle di bue non conciata. 2

56 SENOFONTE, ANABASI 4, 7, 21-25 Il quinto giorno pervennero poi a un monte di nome Teche. Non appena i primi giunsero in vetta e videro il mare, levarono alte grida. 22 Nell'udirle, Senofonte e i suoi della retroguardia pensarono che la testa dell'esercito fosse attaccata da altri nemici: alle spalle infatti erano seguiti dalla gente cui avevano incendiato il territorio. La retroguardia ne aveva ammazzato alcuni e catturati altri in un agguato, impadronendosi di una ventina di scudi di vimini rivestiti di pelle di bue non conciata. 2

57 23 Poiché le grida si facevano più intense e più vicine, i soldati, che man mano giungevano, correvano verso i compagni che continuavano a urlare, e tanto più acuti salivano i clamori quanto più il numero s'ingrossava, per cui Senofonte pensò che si trattasse di qualcosa di veramente grave. 24 Allora scese da cavallo, prese con sé Licio e i cavalieri e corse a prestar soccorso, ma ben presto sentirono i soldati gridare: «Mare, mare». La voce rimbalzava di bocca in bocca. Allora anche tutta la retroguardia si mise a correre, mentre pure le bestie da soma e i cavalli vennero spinti al galoppo. 25 Quando furono tutti sulla cima, cominciarono ad abbracciarsi, strateghi e locaghi, tra le lacrime.


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