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PERCHÉ STILE FLESSIBILE PIÙ EFFICACE?

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Presentazione sul tema: "PERCHÉ STILE FLESSIBILE PIÙ EFFICACE?"— Transcript della presentazione:

1 PERCHÉ STILE FLESSIBILE PIÙ EFFICACE?
Posizione rigida Conflitto Strategie di riduzione del conflitto Screditare la minoranza Le minoranze sono screditate attraverso: l’attribuzione di un errore sistematico (es. dogmatismo) La naturalizzazione (Doise, Deschamps e Mugny, 1980) Attribuendo la causa dei comportamenti a proprietà idiosincratiche della minoranza: Biologizzazione (perché è una donna, perché è tarato) Psicologizzazione (per il carattere, per intelligenza limitata) Riduzione al sociologico (è un comunista)

2 CONDISCENDENZA E CONVERSIONE
Influenza maggioritaria porta a condiscendenza: Un cambiamento a livello manifesto (sociale) Raramente a un cambiamento a livello profondo Influenza minoritaria porta a conversione: Un cambiamento a livello latente, non dovuto ad imitazione della posizione minoritaria Qualche volta a un cambiamento a livello manifesto

3 ESPERIMENTO dell’AFTER EFFECT (Moscovici, Personnaz, 1980)
I FASE (5 prove): coppie di soggetti (soggetto sperimentale e un complice) scrivevano individualmente proprie risposte relative a: Colore di una diapositiva (blu) Colore dell’after effect (su una scala a 9 punti: 1=giallo 9=rosso-porpora) Induzione maggioritaria e minoritaria: ricercatore dà informazioni su come altri hanno risposto al questionario: Condizione maggioritaria: 18.2% blu; 81.8% verde Condizione minoritaria: 81.8% blu; 18.2% verde

4 II FASE: influenza vera e propria
15 prove: risposte date a voce alta e riguardano solo il colore della foto Complice risponde per primo e dice sempre “verde” III FASE: diapositiva proiettata 15 volte. Soggetti danno risposte in privato su: Colore della diapositiva (blu) Colore dell’after effect Fine III fase il complice lascia la sala IV FASE: soggetto partecipa a un’altra seduta di 5 prove su: a) colore della diapositiva (blu) b) colore dell’after effect

5 RISULTATI: Nei risultati della II fase (interazione) non c’era differenza tra le due condizioni (maggioritaria e minoritaria) Nella III fase nella condizione di influenza minoritaria le risposte sull’after effect si orientano verso il colore complementare del verde Il risultato è più evidente quando la fonte di influenza è assente

6 PROCESSI di INFLUENZA MAGGIORITARI E MINORITARI
Dinnanzi a una maggioranza coerente che esprime un messaggio in contrasto con le opinioni sino a quel momento condivise: individuo è portato a considerare il messaggio vero, legittimato dal prestigio, dalla numerosità o dal potere della fonte individuo, se non d’accordo, si sente deviante e si adegua per non essere diverso Processo di confronto

7 Processi di influenza minoritaria richiedono:
Elaborazione più prolungata Attività cognitiva Confronto fra sé e fonte di influenza Validazione della posizione innovativa Processo di convalida

8 AGGRESSIVITÀ E ALTRUISMO
Molteplici prospettive teoriche fattori innati apprendimento emozioni aspetto situazionale e dimensione collettiva dimensione individuale versus

9 In psicologia sociale, ciò che differenzia aggressività e altruismo non è l’esito positivo o negativo di una particolare azione, ma la motivazione e l’intenzione a essa sottese che hanno orientato il comportamento di chi ha agito contro o a favore di qualcun altro

10 AGGRESSIVITÀ MOTIVAZIONE
Molteplicità di espressioni difficoltà ad elaborare una definizione univoca Comportamento aggressivo: insieme di azioni dirette a colpire uno o più individui, tali da infliggere loro sofferenze fisiche e morali, oppure la morte (Baron, 1977) Ha come esito la produzione di un danno ad un’altra persona. Si definisce solo in riferimento alla sua natura intenzionale e assumendo il punto di vista dell’aggressore MOTIVAZIONE

11 AGGRESSIVITÀ EMOZIONALE
emozioni e sentimenti Chi compie un atto aggressivo emozionale prova emozioni forti (es. rabbia), e sentimenti di frustrazione, paura e bisogno di difendersi, il cui insorgere è determinato da una serie di condizioni situazionali. Insieme delle condizioni che si verificano rendono giustificabile, agli occhi dell’aggressore, l’atto violento Cause più frequenti: aggressore sente minacciati autostima e/o status di cui gode nel gruppo di appartenenza (Baumeister, 1997)

12 AGGRESSIVITÀ STRUMENTALE
Aggressore vede la possibilità di ottenere dei vantaggi materiali ai danni della vittima Cause: motivazione alla padronanza  aggressore percepisce in modo peculiare il rapporto tra costi dell’azione aggressiva e benefici che ne derivano  no ruolo preponderante delle emozioni Fattori che possono influenzare tale percezione: forza fisica, abilità nel maneggiare un’arma, mancanza di punizioni, in passato, per aver messo in atto comportamenti aggressivi

13 MODELLI INTERPRETATIVI
3 orientamenti 1) Aggressività come comportamento guidato da istinti e pulsioni. Connaturato alla natura umana e quindi inevitabile (psicanalisi: Freud; etologia: Lorenz) 2) Aggressività come apprendimento sociale. Comportamento aggressivo acquisito attraverso l’esperienza individuale come qualsiasi altro comportamento (Bandura, 1973) 3) Aggressività come reazione emotiva. Ipotesi frustrazione-aggressività (Dollard e Miller, 1939) e suoi sviluppi (Berkowitz 1989, 1990, 1993). Attenzione del ricercatore: fattori interni che mediano il comportamento aggressivo

14 PSICANALISI & ETOLOGIA
L’ISTINTO AGGRESSIVO PSICANALISI & ETOLOGIA Teoria dei due istinti: nelle persone agiscono due istinti fondamentali contrapposti Eros: autoconservazione Thanatos: morte e ritorno allo stato inorganico Aggressività: istinto al servizio della conservazione della specie Disposizione comportamentale innata che ha origine nella selezione naturale e che accresce le probabilità di conservazione e riproduzione della specie Animali: funzione adattiva. Meccanismi inibitori impediscono ai membri di una stessa specie di uccidersi tra di loro Esseri umani: evoluzioni culturali dell’istinto naturale hanno ridotto questi meccanismi

15 MODELLO IDRAULICO Per evitare l’autodistruzione l’individuo deve rivolgere Thanatos all’esterno. Comportamento aggressivo devia l’energia distruttiva e riduce la tensione (fisicità distruttiva, ma anche umorismo o fantasie) Aggressività: fenomeno inevitabile, ma incanalabile e “scaricabile” attraverso manifestazioni aggressive socialmente accettabili (es.: partecipazione, anche solo passiva, a gare sportive)

16 IPOTESI FRUSTRAZIONE-AGGRESSIVITÀ
(Dollard, Dobb, Miller, Mowrer & Sears, 1939) Frustrazione conduce sempre ad una qualche forma di aggressività e l’aggressività è sempre conseguenza di una frustrazione frustrazione aggressività Limiti Non sempre l’aggressività si manifesta in presenza di una frustrazione (es. aggressività strumentale); Frustrazione non produce sempre e solo comportamenti aggressivi, ma può essere accompagnata anche da altri tipi di reazione (pianto, fuga o apatia; es. sindrome da impotenza appresa) condizione psicologica che insorge in chi incontra un ostacolo nel raggiungimento dei propri fini

17 FRUSTRAZIONE-AGGRESSIVITÀ Teoria del segnale-stimolo
Frustrazione induce una risposta aggressiva, che però è solo una delle possibili alternative di risposta a disposizione dell’individuo, anche se rappresenta la tendenza dominante (Miller et al., 1941) Leon Berkowitz Teoria del segnale-stimolo Emozione negativa aggressività SITUAZIONE Condizionamento classico Stimoli aggressivi Effetto arma

18 TEORIA dell’APPRENDIMENTO SOCIALE
Comportamenti umani appresi, modificati e modellati dall’ambiente, attraverso elementi quali: ricompensa e punizione. Persone imparano quali sono i comportamenti appropriati nelle diverse situazioni attraverso i meccanismi classici del rinforzo e dell’imitazione Bandura (1973): teoria del modellamento Problema della violenza nei media

19 DEINDIVIDUAZIONE E NORMA EMERGENTE
RUOLO delle NORME: DEINDIVIDUAZIONE E NORMA EMERGENTE Deindividuazione (Zimbardo): diminuzione della consapevolezza di sé  porta le persone a essere meno capaci di agire secondo le regole sociali che normalmente condividono e applicano Teoria della norma emergente (Turner e Kilian, 1972): maggiore probabilità che un gruppo o una folla producano forme di comportamento estreme legata all’emergere, nel gruppo, di nuove norme, approvate e condivise da tutti i membri in quelle situazioni specifiche

20 ALTRUISMO azioni che un individuo può compiere a vantaggio di una o più persone senza aspettarsi alcuna ricompensa esterna concreta MA azione tesa a produrre il benessere dell’altro non sempre chiara e univoca rispetto a come viene interpretata dai soggetti coinvolti Distinzione tra: 1) altruismo egoistico 2) altruismo altruistico

21 Probabile si verifichi condotta altruistica se:
MODELLI TEORICI Sociobiologia: altruismo geneticamente fondato, basato su un meccanismo attraverso il quale il patrimonio genetico cerca di conservarsi e moltiplicarsi attraverso soggetti consanguinei (figli, fratelli, nipoti, ecc.), così che i geni buoni si accumulino di generazione in generazione  selezione di parentela (Hamilton, 1964) Probabile si verifichi condotta altruistica se: è a vantaggio di un individuo legato da stretto grado di parentela con il benefattore (alta comunanza di geni); prezzo pagato da chi si sacrifica è ripagato dal beneficio complessivo per la conservazione dello stesso patrimonio genetico nella generazione successiva È al fondatore del positivismo, il filosofo Auguste Comte, che si deve il termine altruismo, da lui utilizzato nel 1852 in opposizione ad egoismo. Con questo concetto, Comte si riferisce a una peculiarità naturale dell’essere umano, che esprime un bisogno di socialità e porta ognuno verso l’altro. Questo atteggiamento sociale, che si fonda sul desiderio di vivere per l’altro, sarebbe originato da istinti e motivazioni simpatetiche, che possono essere accresciute e rese dominanti grazie all’educazione positivista. Secondo Comte l’altruismo è un fattore di carattere naturale e innato, eterno e non modificabile. Lavori di Darwin hanno ripreso in parte le indicazioni di Comte, così come pure, in anni molto più recenti, è accaduto per la sociobiologia (Wilson, 1975). Questa prospettiva teorica studia le basi biologiche dei comportamenti sociali, umani e animali, e intende fondare sulla genetica la spiegazione della condotta altruistica in tutte le specie animali, considerandone le conseguenze per l’adattamento dell’essere umano all’ambiente. Selezione di parentela: probabile che una condotta altruistica si verifichi nella misura in cui: 1) reca vantaggio a un individuo legato da uno stretto grado di parentela con il benefattore (alta comunanza di geni); 2) il prezzo pagato da chi si sacrifica, che comporta una più bassa replica dei suoi geni, è ripagato dal beneficio complessivo per la conservazione dello stesso patrimonio genetico nella generazione successiva. Questo meccanismo spiega l’amore e le attenzioni verso i propri figli, i comportamenti altruistici tra individui della stessa famiglia, ecc., ma non prevede, e non è in grado di spiegarli, i comportamenti altruistici verso soggetti con cui non si hanno legami di parentela. Ma: non previsti e non spiegati atti altruistici vs. persone con cui non si hanno legami di parentela

22 Teoria dell’altruismo reciproco (Trivers, 1971): atto altruistico verso chi non è legato da vincoli di parentela è selezionato se: comporta un danno per il benefattore più basso del beneficio che ricava chi viene aiutato ci sono particolari condizioni che rendono probabile che il benefattore, o suoi successori, possano a loro volta essere oggetto di comportamenti altruistici da parte di chi è aiutato In generale: approccio sociobiologico non in grado di spiegare varietà e complessità di tutti gli elementi che entrano in gioco nel comportamento altruistico Teoria dell’apprendimento sociale: attenzione alle variabili ambientali e relazionali e allo studio dei processi alla base dell’assimilazione delle norme sociali Forme di comportamento prosociale: apprese osservando o imitando modelli del contesto sociale (es. genitori o altri adulti significativi) e rappresentano l’esito di rinforzi diretti Il processo di selezione che preserva i “geni altruistici”, ed è in grado di spiegare le condotte altruistiche tra individui che non appartengono alla stessa famiglia, prende il nome di selezione di reciprocità, o teoria dell’altruismo reciproco (Trivers, 1971). In generale l’altruismo biologico è una forma di altruismo pienamente in linea con il principio utilitaristico che, secondo la sociobiologia, regge l’evoluzione della specie. L’elemento centrale per questa teoria non è l’individuo, ma il gene. Teoria dell’apprendimento sociale: negli anni sessanta approccio teorico di riferimento in ambito psicologico. Si è occupata di studiare in particolare la questione della socializzazione, intesa come il processo grazie al quale gli individui interiorizzano e fanno propri i modelli comportamentali, i valori e le norme sociali. Grande attenzione è posta alle variabili ambientali e relazionali e allo studio dei processi alla base dell’assimilazione delle norme sociali. Secondo questa teoria, infatti, le molteplici forme di comportamento prosociale (come quelle aggressive) sono apprese osservando o imitando modelli presenti nel contesto sociale, come i genitori o altri adulti significativi, e rappresentano l’esito di rinforzi diretti. Prospettive più recenti all’interno di questa teoria hanno dato rilievo ai mediatori cognitivi del comportamento = progetti e strategie che gli individui mettono in atto per raggiungere i propri obiettivi. Si postula così che i soggetti sono dotati di cognizioni tra loro collegate e che queste costituiscono una forza motivazionale.

23 Rinforzo, modellamento e imitazione modelli
Teoria dello sviluppo cognitivo (Kohlberg, 1973): studia strutturazione del pensiero e modo in cui il ragionamento si organizza Strutture cognitive non statiche, attraversano una serie di stadi sequenziali e si modificano, costituendo dei processi tesi a comprendere e attribuire significato a ciò che accade nel contesto sociale Bambini costruiscono proprie norme attraverso esperienze personali. No accettazione passiva di norme stabilite dall’esterno Rinforzo, modellamento e imitazione modelli input rielaborati cognitivamente e inseriti in sistemi di idee organizzati, che guidano elaborazione di informazioni successive e orientano il comportamento sociale Anni ’70: primi studi sullo sviluppo dell’altruismo in età evolutiva che, in gran parte, affondano le proprie radici nella teoria dello sviluppo cognitivo  studia la strutturazione del pensiero e il modo in cui il ragionamento si organizza. Sostiene che le strutture cognitive non sono statiche e date una volta per tutte ma, grazie alla crescita, la maturazione e le esperienze che gli individui compiono, attraversano una serie di stadi sequenziali e si modificano, costituendo dei processi volti a comprendere e attribuire significato a ciò che avviene nel contesto sociale. I bambini, secondo questa teoria, non accettano passivamente le norme stabilite dall’esterno, ma ne costruiscono di proprie attraverso le loro esperienze personali. In tale prospettiva rinforzo, modellamento e imitazione dei modelli rappresentano soltanto degli input che vengono rielaborati cognitivamente e inseriti in sistemi di idee organizzati, che guidano l’elaborazione di un’informazione successiva e orientano il comportamento sociale. Strutture cognitive sono fondamentali per lo sviluppo morale e non c’è un solo e univoco processo di interiorizzazione, poiché i livelli cognitivi che i bambini e gli adulti sviluppano si trasformano ripetutamente nel corso della vita. Lo studio del modificarsi, indotto dall’età e dallo sviluppo cognitivo, dei giudizi morali e delle capacità di assunzione di ruoli e prospettive diverse dalla propria hanno dato un apporto importante per comprendere i comportamenti volti a favorire e beneficiare l’altro. Particolarmente rilevanti a questo proposito sono gli studi Kohlberg, in cui è chiaro il ruolo attivo del soggetto. Kohlberg (1969, 1973) delinea diversi stadi in cui avviene lo sviluppo morale, che rappresentano sistemi di pensiero sempre più svincolati da fatti esterni e fisici. Nei primi stadi i bambini stabiliscono i propri diritti e i propri obblighi sulla base di premi e punizioni che provengono dall’esterno. Negli stadi intermedi essi fanno riferimento a fattori di natura “interna”, quali il consenso e il biasimo, consuetudini e regole condivise, rielaborandoli a livello individuale. Negli ultimi stadi, infine, la moralità si basa fondamentalmente su convinzioni personali, astratte e di carattere generale. Gli studiosi che fanno riferimento alla teoria dello sviluppo cognitivo sono d’accordo sulle modalità in cui avviene il processo di interiorizzazione delle norme morali, mentre non lo sono sulle strutture mentali coinvolte: alcuni ricercatori ritengono che si tratti di strutture logiche e cognitive di carattere generale, applicate al campo morale; altri invece sostengono che questo processo sia in parte indipendente da queste strutture logiche. Vedremo più avanti quali sono le norme sociali alla base dell’altruismo. Strutture cognitive fondamentali per sviluppo morale. No unico e univoco processo di interiorizzazione: livelli cognitivi che bambini e adulti sviluppano si trasformano ripetutamente nel corso della vita

24 Più moderna social cognition (anni ’80): mente sistema proattivo, in grado di agire e dar luogo a delle situazioni Sottolineato ruolo dei mediatori cognitivi sul comportamento  permettono al soggetto di raggiungere obiettivi, pianificando e valutando le proprie azioni Ricerche su ruolo dell’empatia e sensi di colpa  ampliato studi sul comportamento altruistico. Preso in considerazione aspetto affettivo oltre che quello relativo al comportamento manifesto. Analizzata connessione tra fattori cognitivi ed emotivi

25 Componenti dell’altruismo:
a) individuali b) situazionali Dimensioni di personalità: no risultati soddisfacenti circa esistenza di un tratto di personalità altruistico. Ma: possibile evidenziare qualche costante  Persone altruiste sembrano avere: buona autostima, elevata competenza sociale, forte senso di responsabilità sociale e senso morale, buona accettazione di sé e alto locus of control interno Studiato quanto umore e stato d’animo possono incidere su propensione o meno ad attuare una condotta altruistica  quando aiutare qualcuno è un modo per rendere migliore proprio stato psicologico, si è disposti ad agire in tal senso. Maggior disponibilità all’altruismo quando si è di buon umore (good mood). Perché? Umore favorirebbe un’attenzione selettiva e renderebbe più facilmente accessibili alla memoria argomenti coerenti con lo stato d’animo positivo, e questi comprendono anche comportamenti sociali positivi Dimensioni di personalità. A lungo si è discusso sulle caratteristiche psicologiche di chi attua comportam. altruistici, chiedendosi se esista o meno una personalità altruistica. Inizio anni ottanta Rushton (1981), sulla base di alcuni studi che avevano rilevato l’altruismo utilizzando delle misurazioni multiple ed evidenziato che alcuni individui attuavano in modo regolare e stabile dei comportamenti prosociali, ha sostenuto l’esistenza di un vero e proprio tratto altruistico  posizione sottoposta a diverse critiche: una di queste rileva come la regolarità comportamentale non sia una condizione sufficiente, per quanto necessaria, affinché si possa sostenere che esiste un tratto disposizionale, tale per cui vi sono individui che possiedono caratteristiche di personalità stabili orientate all’altruismo. Diverse ricerche volte a rilevare questa disposizione interna all’altruismo, in cui sono stati utilizzati anche strumenti psicometrici costruiti appositamente, non hanno fornito nel loro insieme risultati soddisfacenti (Krebs, Miller, 1985) e, in generale, da questi studi emergono relazioni piuttosto deboli tra caratteristiche di personalità e comportamenti altruistici. Malgrado la ricerca della personalità altruista non abbia dato i risultati sperati, e benché secondo alcuni studiosi il problema sia privo di senso date le varie forme di altruismo (Piliavin, Charng, 1990), si può evidenziare qualche costante  persone altruiste paiono avere: buona autostima, elevata competenza sociale, forte senso di responsabilità sociale e senso morale, buona accettazione di sé e alto locus of control interno. Ricerche sulla personalità altruistica sono state oggetto di critiche. Tra le principali debolezze attribuite a questi lavori vi è che, per lo più, sono studi svolti in laboratorio, ponendo i soggetti al di fuori del contesto sociale reale ed esaminando soltanto alcune forme di comportamento considerate altruistiche, senza valutare l’ampia varietà di espressioni di aiuto che esistono al di fuori del laboratorio. Altri studi hanno studiato quanto umore e stato d’animo incidano sulla propensione o meno ad attuare un comport.altruistico  in generale, c’è uno stato affettivo che favorisce l’altruismo e, quando sostenere qualcuno è una forma per rendere migliore il proprio stato psicologico, si è disposti ad agire in tal senso. Evidenziata una maggior disponibilità all’altruismo quando si è di buon umore (good mood). Ragione di ciò dovuta, secondo alcuni (Forgas, 1992), al fatto che l’umore favorirebbe un’attenzione selettiva e renderebbe più facilmente accessibili alla memoria argomenti coerenti con lo stato d’animo positivo, e questi comprendono anche comportamenti sociali positivi. Non altrettanto univoci i risultati relativi all’umore negativo. In alcuni studi si è rilevato che uno stato d’animo non positivo riduce la realizzazione di intenti altruisti e accentua la percezione del costo che deriverebbe dall’aiuto (ibid.). Viceversa in altri lavori è emerso che sentimenti negativi (es. cattivo umore, sentirsi tristi, senso di colpa) aumentano disponibilità all’aiuto. Interpretazione: comportam. altruistico consentirebbe di vincere proprio stato psicologico negativo (Moscovici, 1994).

26 Dimensioni affettive e cognitive: empatia = uno dei mediatori del comportamento altruistico
Attivazione emotiva suscitata dall’osservare qualcuno in stato di disagio provandone simpatia e compassione (Hoffman, 1975, 2000). Associata a un processo cognitivo  capacità di assumere prospettiva di un’altra persona, provando uno stato d’animo analogo al suo e riuscendo a comprenderne le necessità. Questa capacità fa sì che sia probabile intervenire in aiuto di chi si trova in condizioni difficili; spiega anche motivo per cui le persone aiutano più facilmente coloro che riconoscono come più simili a sé


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