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EXPOCHIMICA San Lazzaro (Bologna) 26 novembre 2015.

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Presentazione sul tema: "EXPOCHIMICA San Lazzaro (Bologna) 26 novembre 2015."— Transcript della presentazione:

1 EXPOCHIMICA San Lazzaro (Bologna) 26 novembre 2015

2 Verso la COP 21 di Parigi Cambiamenti climatici e mitigazione Sulla base degli impegni presi finora dagli Stati (aggiornati a settembre 2015), le emissioni di CO2eq al 2030 saranno pari a 55-60 miliardi di tonnellate, mentre gli scenari compatibili con l’obiettivo di 2 gradi centigradi di aumento massimo della temperatura media del Pianeta, fissato dagli scienziati dell’IPCC, richiedono di non superare i 40 miliardi. Bisogna quindi che sia a Parigi sia dopo la COP 21, i governi si impegnino a colmare questo gap. La conferenza dell’Onu sul clima COP21 che si terrà a Parigi il prossimo dicembre segnerà una tappa importante verso il raggiungimento di un accordo, si spera, vincolante in questa direzione. Parigi, tuttavia, è solo il primo passo, sostiene Lord Nicholas Stern: ci vuole un accordo che preveda revisioni periodiche per valutare le azioni adottate, condividere le esperienze e individuare nuovi percorsi. Come ha riconosciuto il summit di quest’anno del G7 ad Elmau (Germania), livelli elevati di emissioni nei prossimi 20 anni imporranno di azzerare le emissioni nella seconda metà del secolo. Per mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi “un terzo delle attuali riserve di petrolio, la metà delle riserve di gas e oltre l’80% delle riserve di carbone a livello mondiale dovrebbero rimanere nel terreno e non essere utilizzate prima del 2050” (“The geographical distribution of fossil fuels unused when limiting global warming to 2°C” studio realizzato da Christophe McGlade e Paul Ekins dell’Institute for Sustainable Resources dell’University College London (Ucl) e finanziato dall’UK Energy Research Centre, pubblicato su Nature 8 gennaio 2015).

3 Cambiamenti Climatici un problema economico, sociale e per la sicurezza Come ha riconosciuto nel 2007 il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, i cambiamenti climatici sono una minaccia per la pace e la sicurezza che può agire da moltiplicatore dal momento che hanno effetti su risorse naturali cruciali come l’acqua, la terra, le aree costiere e possono complicare i conflitti. Contese per il controllo delle risorse naturali, migrazioni originate dal degrado ambientale (in seguito ad aumento della desertificazione e degli eventi meteo estremi, innalzamento del livello dei mari), scarsità di cibo e diffusione di malattie causate dagli eventi meteo estremi sono ormai una realtà. Come attesta, ad esempio, la gestione del bacino del Giordano minacciata dalle ricadute negative dei c.c. sulle riserve d’acqua. Secondo uno studio pubblicato a marzo 2015 sui Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States, l’estrema siccità che ha colpito la Siria tra il 2007 e il 2010 aggravata dal riscaldamento globale è stata una concausa dello scoppio dei disordini sociali dando origine alla rivolta del 2011. Il che significa che i rifugiati che fuggono dalle guerre cominciano a coincidere con I rifugiati ambiemntali. Il rapporto 2012 sui diritti umani e le migrazioni presentato dal Segretario dell’Onu all’Assemblea Generale riportava le stime di uno studio secondo il quale, a causa delle conseguenze dei c.c., a metà di questo secolo si potranno registrare sul pianeta dai 50 ai 250 milioni di migranti, sia (prevalentemente) all’interno dei confini dei loro Paesi sia transfrontalieri, a livello sia temporaneo sia permanente. Gli abitanti delle isole del Pacifico meridionale, intanto, sono diventati i primi rifugiati ambientali Il rapporto finale 2015 dei Millennium Development Goals sostiene che “i cambiamenti climatici e il degrado ambientale minano il progresso raggiunto e che i poveri ne soffrono di più … perchè le loro vite dipendono più direttamente dalle risorse naturali e perchè spesso vivono nelle aree più vulnerabili”.

4 Cambiamenti climatici e danni alla salute I danni causati dall’uso dei combustibili fossili, in aggiunta all’incremento dei cambiamenti climatici, sono immensi: basti pensare all’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla nostra salute, che causa il decesso di decine di milioni di esseri umani ogni anno (nelle città cinesi respirare equivale a fumare 40 sigarette al giorno). Ciononostante considerando i costi sanitari ogni anno si spendono oltre 5mila miliardi (5300) in sussidi diretti e indiretti ai combustibili fossili (stima del FMI, 2015).

5 Green economy e fonti rinnovabili soluzione win-win Green economy e fonti di energia rinnovabile sono strumenti già disponibili per raggiungere l’obiettivo della transizione all’era post fossile creando al contempo nuova occupazione pulita e battendo la strada all’economia ambientalmente sostenibile. Tanto più che, ci ricorda Lord Nicholas Stern fin dal primo rapporto uscito a sua firma nel 2006, costa di più il mancato intervento per contrastare i cambiamenti climatici degli investimenti richiesti per contrastarli, essendo l’impatto dell’aumento oltre i due della temperatura media del Pianeta potenzialmente catastrofico per l’economia mondiale. Inoltre, rispetto all’epoca in cui uscì quel primo rapporto, lo sviluppo tecnologico ha ridotto in maniera straordinaria i costi previsti della transizione post-fossile: ad esempio, il costo del fotovoltaico è crollato a un decimo rispetto ad allora, come pure le auto elettriche si stanno diffondendo sul mercato,mentre avanzano nuove opportunità legate all’economia digitale, che facilita l’accesso all’uso condiviso dei beni superando il concetto di proprietà, come fa il car sharing. Green economy, economia circolare, sharing economy sono già realtà e non meri concetti o ipotesi di lavoro.

6 La crescita mondiale dell’economia verde C’è bisogno di imprimere urgentemente una svolta verde alle politiche per affrontare i c.c. insieme alla disoccupazione di massa (giovanile in particolare), per stabilizzare socialmente le nostre comunità contrastando al contempo le sfide ambientali. La buona notizia è che a livello mondiale si stanno facendo dei progressi. Prendiamo ad esempio l’uso delle fonti rinnovabili (FER): dal 2005, in 8 anni, il numero dei Paesi che si è dato obiettivi nell’uso delle FER è triplicato (da 48 a 138); metà di questi sono Paesi in via di sviluppo (Achim Steiner, UNEP executive director, Stato del Vaticano, 10-11 settembre 2015). Gli investimenti mondiali in FER (esclusi i mega impianti idro) nel 2014 hanno toccato i 279 miliardi di dollari, con un incremento di quasi il 17% rispetto al 2013. Nel 2014 quasi la metà degli investimenti in impianti per la produzione di elettricità è andato alle rinnovabili (A.Steiner). Il potenziale dei green job è immenso: da una ricerca svolta nel 2012 dall’ ITUC risulta che con adeguati investimenti nell’arco di 5 anni in appena 12 Paesi si potrebbero creare 48 milioni di nuovi posti di lavoro. L’ILO e l’UNFCC hanno dichiarato che stando alla loro ricerca gli investimenti nel contrasto ai c.c. potrebbero portare alla creazione di 60 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi vent’anni.

7 Verso il phase-out anche culturale da stili di vita basati sull’uso dei fossili La transizione verso un’economia decarbonizzata deve essere supportata anche sul piano culturale-comportamentale: dal modello economic del possesso dell’auto a quello dell’accesso in condivisione all’uso, dall’importazione ambientalmente insostenibile del cibo alo consume a km.zedro, dall’economia che depreda la natura ad una produzione con la natura, dall’economia delo spreco e della produzioen di rifiuti all’economia circolare e della condivisione (circular and sharing economy). La buona notizia è che abbiamo già un vasto repertorio di buone pratiche a cui attingere, senza dover ripartire da zero. a lot of best practices to be reproduced, we do not always need to start everything from zero. Per affrontare il phase-out culturale dobbiamo agire non solo top-down ma anche bottom-up, e coltivare la desiderabilità del cambiamento: less is more, less is better/sobrietà non povertà/ solidarietà invece di competizione. Sappiamo quanto è difficile cambiare le nostre abitudini quotidiane, soprattutto se le alternative green non sono disponibili. Quanti oggi sono venuti con la propria auto e quanti con mezzi pubblici o car sharing o car pooling? E’ solo un esempio. La sfida dei c.c. comunque riguarda tutti gli individui, oltre che i Paesi negoziatori della COP 21 e i soggetti economici. C’è bisogno di un accordo internazionale responsabile che stimoli un green new deal e di una evoluzione culturale coerente. La tecnologia può aiutarci. Ma anche la cultura e l’informazione hanno un proprio ruolo da svol gere.

8 Cambiamenti Climatici e Giustizia Ambientale L’Enciclica di Papa Francesco Laudato si’ invoca una conversione ecologica che riguarda – rispetto ai modelli di consumo – sia gli individui sia la comunità internazionale che finora non ha agito a sufficienza “per mancanza di volontà politica”. I Paesi ricchi stanno depredando quelli poveri mentre sale la temperatura del Pianeta. “Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni”. “Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico. In diversi modi i popoli in via di sviluppo, dove si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. E’ necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile.” “E’ tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa”.

9 Cambiamenti Climatici e Giustizia Ambientale Lord Nicholas Stern (Stato del Vaticano, 10 settembre 2015): “Abbiamo di fronte due sfide: gestire i cambiamenti climatici e eliminare la povertà. Se non riusciremo a gestire i c.c. creeremo un ambiente così ostile che impedirà la vita umana. D’altro canto, se contrasteremo i c.c. creando degli ostacoli contro il superamento della povertà, non riusciremo a costruire quelle coalizioni di cui abbiamo bisogno per vincere la sfida dei c.c. Se falliamo contro una delle due sfide, falliamo anche contro l’altra”. Una crescita migliore vuol dire anche un clima migliore. L’approccio etico è cruciale: distruggere l’ambiente con i c.c. o in altro modo priva troppi esseri umani, in particolare le popolazioni più povere (e le future generazioni) del diritto di progredire, di lavorare per migliorare il proprio standard di vita. Oggi però è possibile combinare in maniera efficace l’aumento del livello di qualità della vita con una gestione responsabile dei c.c.

10 Cambiamenti climatici e sicurezza Tagliare i sussidi ai fossili e le spese militari Un approccio contemporaneo e sostenibile al tema della sicurezza deve spingersi oltre il tradizionale orizzonte delle minacce esercitate tra gli Stati. La stabilità mondiale in futuro deve essere assicurata attraverso il benessere individuale e la sicurezza esistenziale nei Paesi in via di sviluppo, assumendo la responsabilità collettiva nei confronti delle minacce legate ai cambiamenti climatici. Già oggi constatiamo la portata della sfida, per i Paesi settentrionali del bacino del Mediterraneo, e del rischio, per i migranti, dell’ondata di migrazioni dal Sud del mediterraneo ai Paesi della Ue. Si tratta di un fenomeno che può mettere a rischio la coesione sociale nei Paesi di destinazione delle ondate migratorie. In questo contesto, i Paesi del Mediterraneo potrebbero svolgere un ruolo d’avanguardia rispetto alla questione delle migranti ambientali sia con ambiziosi target di mitigazione, sia promuovendo lo sviluppo sostenibile locale tramite un “Marshall Plan 2030” in chiave di Green New Deal che dovrebbe coinvolgere i Paesi del Sud e del Nord del Mediterraneo. Questo Marshall Plan 2030 può essere finanziato sia recuperando risorse dai sussidi ai fossili, sia con la riduzione delle spese militari. Secondo l’Annuario 2015 del Sipri, nel 2014 le spese military in Europa sono state pari a 386 miliardi di dollari (+ 0,6 rispetto al 2013), così distinte: 93,9 miliardi (+8,4%) nei Paesi ad est, e 292 miliardi (-1,9%) nei Paesi europei occidentali. Altro strumento di peace building: lo sviluppo della rete di organizzazioni istituzionali e grass-root impregnate a raggiungere l’obiettivo di un Mediterraneo de carbonizzato.

11 Silvia Zamboni zambonisilvia@tiscali.it www.silviazamboni.it EXPOCHIMICA San Lazzaro (Bologna) 26 novembre 2015


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