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ELENA CIRELLA dipinti 1988 - 2011.

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Presentazione sul tema: "ELENA CIRELLA dipinti 1988 - 2011."— Transcript della presentazione:

1 ELENA CIRELLA dipinti

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6 ELENA CIRELLA dipinti

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8 questa Roma dei figli di Pietro. La zòccola Capitale.

9 Elena Cirella esercito la forma. La mischio nel colore.
non faccio della filosofia. Io faccio la pittura. Non mi vergogno a dire che dipingo. Elena Cirella esercito la forma. La mischio nel colore.

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11 biografia, “oltre la linea d’ombra”
Elena Cirella nasce a Roma, in un luogo di grandi memorie, dove, il nuovo quartiere Ardeatino vive il conflitto ed é simbolo di realtà di Catacombe e di contemporaneo Olocausto. La "vocazione", nel senso di recente delineato da James Hillman ne “Il Codice dell'Anima“, all'arte la porta a frequentare prima il liceo Artistico, poi l'Accademia di Belle Arti di Roma, dove é allieva di Avenali e Trotti. Intraprende quel percorso dell'arte che molto spesso si risolve in un vicolo cieco; in questo sistema dove è difficile trovare punti di riferimento e di guida, la figura antica del maestro, e istituzioni capaci di offrire occasioni e strumenti di formazione e di crescita. L'insoddisfazione di questo ambiente, labirinto, e l'inquietudine di identità e di ricerca la portano ad affrontare un lungo itinerario nel mondo, Stati Uniti, una prima volta nel 1990 e poi con soggiorni prolungati fino al '93. L'esperienza di Stoccarda, il rientro in Italia, con le solite difficoltà e la "volontà" di lavorare, lato della maturazione di donna in madre. Ha cercato momenti di studio in maestri che hanno con la loro opera segnato questo secolo da Munch a Bacon, l'artista più amato, ma anche in quella linea d'ombra di Schiele, e l'altra parte di Kubin. Fino all'irruzione di questa "Visione", dolente e tragica, nel tormento , della difficile "discesa dal territorio degli invisibili" dove é la dimora dell'anima, nel mondo dei visibili, nel corpo, nel quale é il segreto della "crescita", con il solo supporto del sogno, per affrontare i luoghi del quotidiano. La sua ricerca é sofferta tensione a trovare il punto che rende commensurabile l'esistenza all'anima, l'uomo di Leonardo allo spazio curvo di Einstein, il sistema delle nuove tecnologie dell'artificiale e del virtuale al desiderio e al sogno delle stagioni e dei giorni. Elio Mercuri

12 Una corte di vinti, un corteo di morti, una parata di angeli sottomessi alla gravità dei quotidiani malesseri, decomposizioni familiari, cavalieri bolsi in sella a destrieri esausti; doloroso bestiario fantastico dell’inconscio collettivo, in cui tutte le bizzarrie trascolorano in deformità. Vertebre, clavicole, rotule, orbite vuote e pelli glabre, ferite gocciolanti e impronte esangui, cuori spezzati, labbra avvizzite, mani appassite, fiabe mascherate e nude disgrazie, accumulazioni totemiche di segni ancestrali , malie e tarocchi, carte spaiate e corone di cartapesta, gesti frenati e parole interrotte. Tutto questo è materia e sedimento di un’arte medianica e psicopompa, che accompagna lo spettatore in un viaggio metafisico, attraverso foreste di simboli, che rimandano ad una realtà vista sempre come agnizione estetica. Apparizioni mistiche - l’occhio spalancato al centro della ruota di una carrozzina per disabili- che, agendo da veri e propri mutanti memetici, evocano conoscenze lontane, nello spazio e nel tempo, saperi altri, diversi, infrequenti, o forse anche solo dimenticati e rimossi, e costringono l’immaginazione a relativizzarsi, lungo assi le cui coordinate non possono essere determinate secondo i parametri della consuetudine. Si compiono in tal modo le pure metamorfosi della visione. La percezione, spinta a liberarsi dalla certezza ossessiva della verità epistemologica della morte, proiettata oltre l’abisso entropico della caduta di qualsiasi senso, oltre i significati, al di là della possibilità stessa della comunicazione, non più catene verbali, nessuna arma dialettica, o scudo ideologico, nemmeno i contorni di corpi che furono e non possono più essere pensati, nemmeno come cornice, diventa la materia stessa dell’incubo dell’indagine. Dell’indagine vissuta come incubo. Solo il vortice del colore, e, attraverso il colore, riverberi sparuti di luce. Kristian Betti

13 Non capita spesso di trovare in una pittrice tanta energia: Elena Cirella ubbidisce, senza le mediazioni di epidermico edonismo sfruttate per rendere accattivante il linguaggio dell'arte, a delle intimazioni per molti aspetti audaci, trasgressive, impietosamente ignude. Ed è questo un dato di fatto, già di per sé confortante, che rende autonomo il congegno figurale a prescindere dai livelli di merito. Non c'è dubbio che il suo mondo pittorico presenti delle implicazioni ideali (sia pure con ampie consonanze lirico-emotive), ma la visione portata alla soglia della metafora non risulta mai isterilita da diagrammi razionali. Se è legittimo allora, di fronte a tale intensità di cromia e a tanto impulso compositivo, pensare ad una scelta estetica inquadrabile nel neoespressionismo, non ricorrono affatto in Elena Cirella i turgori e le iperboli intellettualistiche che caratterizzano l'Espressionismo storico, sopratutto quello tedesco della Brucke, che conduce al limite del rischio l'opera di artisti come Kirchner, Hodler, Munch (influenzato dalla tragica "malattia" kierkegaardiana) e persino Van Gogh. Qui invece l'impeto evocativo non è umiliato da sottintesi intimistici né, tanto meno, da sovrastrutture teoriche: l'impaginazione ed ancor più il colore si determinano pre­liminarmente come proiezione spirituale. Renato CIvello

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16 Una pittura che nasce da una verità interiormente vissuta, che liberalmente si nobilita nelle suggestioni dell’intelligenza. Una pittura talora affidata all'impeto prorompente dell'estro come pure alla serena ispirazione; talaltra sostenuta da motivazioni e incroci culturali diversi, per altro mai accolti nei suoi dati esteriori, bensì rielaborati e ricondotti ad una misura stilistica e ad un incanto nuovo d'espressione, senz'altro inediti, senz'altro originali. Del resto, in una natura largamente e vivacemente dotata qual è quella di Elena Cirella - personalità sensibilmente quanto intellettualmente ricettiva alle vicende della cultura - tali memorie e sensazioni non contaminano affatto la sostanza e le ragioni significanti di un impegno, che nella nostra pregiata Artista intende celebrarsi al di là delle formule medesime da cui trae appunto sollecitazione e consiglio. La poetica della Cirella risulta, nella maniera più assolu­ta, autonoma, personale, avulsa da ogni ricorso a facili quanto vacui schematismi di occasione. Il distacco dall’ esperienza sensoria, da un dato puramente ottico, consente, pertanto, di scoprire aspetti formali nuovi e di conseguenza nuovi valori espressivi. La sua pittura, motivata dalla istan­taneità e appunto dalla fermezza della visione, si accentra attorno ad un unico tema, ad una martellante iconografia, peraltro, ricca di molteplici interpretazioni non soltanto poetiche. In queste sue rappresentazioni, talvolta mnemoniche, talaltra precipitate nei gorghi di una realtà viva, la pittrice ritrova i fantasmi di una quotidianità passata o presente, nella certezza di scoprire proprio in questi fantasmi i significati e i valori nascosti della vita. Una pittura dove il colore è il basso continuo, la linfa fondamentale di tutta l'opera, per meglio dire il riflesso di uno stato d'animo. Un colore, infine, che mutua variati accenti, rigoglioso e turgido al tempo medesimo, perento­rio, che sgocciola, che s'accende, che s'acquieta: anche se sotto la sua pelle trama di continuo barbagli e fulgori, lascia trapelare luminosissime trasparenze. L'opera pittorica di Elena Cirella fissa le sue argomentazioni conclusive in una sostanziale "classicità", se è vero - volendo concordare con il pensiero di Hegel - che l'essenza del classico risiede nel felice rapporto che inter­corre tra idea e realtà. La pittura della nostra Artista si consuma dunque al fuoco delle idee e quelle idee germinano al cospetto della realtà che le circonda, così la realtà muta essa stessa in idea. Carlo Giacomozzi

17 Siamo dinanzi ad una pittura di immagini estroverse in apparenza
Siamo dinanzi ad una pittura di immagini estroverse in apparenza. E' una apparenza che fa il quadro, che - ed in questo sta la qualità portante di Elena Cirella - universalizza, fa nostro il suo autoritratto continuo. La discesa in sé produce un effetto energetico: automaticamente costringe alla ricerca di scale, da scendere per risalirle dipingendo, per ottenere i massimi significati dal colore. Elena Cirella è favorita da questa sua necessità di accanimento di dare a sé il volto sognato o voluto, in effetti il volto della sua realtà. Questa operazione la porta a scoperte di autentiche voci del colore, questa la bellezza inviolabile, anche se familiare a chi guarda il quadro nei lampi di colore. In tale contesto di ricerca, la "donna", dipinta da Elena Cirella, si trasferisce per automatismo d'arte nella realtà di "ma­schio", a seconda di chi guarda il quadro. E' un risultato raro: la pittura come maternità delle cose e del visibile. Giuseppe Selvaggi

18 Lungo viaggio al termine della notte
L'azione dell'Aldilà, cioè l'appoggio, é solo quasi l'orma di un corpo sparito o non ancora comparso. Le figure debordano nello spazio, neutro, opaco, come ectoplasmi, angeli muti di tutte le creazioni possibili; storie, ombre di storie; anime non debordate dal limbo; messaggi di una rivelazione afona Apparizioni, di desiderio perduto di incontro: quella mano che si protende a toccare il viso in una carezza impossibile; quell'abbrac­cio che si spegne nello stringere aria; é ombra come in un viaggio nel Regno dei Morti, di Odisseo o di Enea, per conoscere solo di là il pro­prio destino. Ombre conse­gnate a questo destino di vite parallele. La pittura di Cirella é percorsa da questa ricerca di ritrovamento, dalla necessità eterna di ritrovamento di sé, dell'al­tro, del mondo oltre l'incubo e il sogno che ci visitano con le loro ombre, come desiderio di vita. E' pittura che vive il rischio, forte, contro ogni tentazione dell'angoscia, del pensiero debole, della paura, del suo stesso smarrimento in un post-umano, senza resurrezione in quella corruzione della carne, che da Otto Dix a Max Beckmann, da Kubin é giunta alla tragedia di Bacon. Le figure sono colte nel loro apparire-sparire; lo spazio é tenuto insieme da struttura impalpabile quella cortina densa e quasi incolore. Dà grande emozione trovarsi di fronte ai quadri che in questi ultimi anni Elena Cirella ha realizzato in una propensione di intensità e maturità che ha segnato la sua "vocazione" invalicabile all'arte. La sua pittura prende corpo nello stato di "veglia", quando non più nel sonno e non ancora svegli tentiamo di rappresentarci le immagini che ci hanno visitato nel sogno. E' un passaggio delicato, attraverso un ponte, che unisce due dimensioni diverse e quando si attraversa il ponte, ci vengono incontro i fantasmi: comincia il regno della notte, della visione, della paura, dell'altra realtà, del sogno. Anche nel "castello" di Kafka si arriva attraverso un ponte: «appena qualcuno fa il passo oltre il ponte, compie un balzo oltre le frontiere della realtà, entra in un altro spazio e in un altro tempo. "Ponte per l'Aldilà" si intitola un disegno di Kubin; ma "aldilà" è l"'altra parte" non l'altra vita; é la parte misteriosa, oscura, inimmagi­nabile, dove abitano i fantasmi, dove ogni regola e ogni rapporto sui quali si basa il nostro mondo sono sovvertiti o non hanno corso. Esprimersi attraverso la pittura, significa allora, anche e soprattutto, liberarsi dalle proprie intime ossessioni. Questa atmosfera, imperforabile, imprigiona la figura sottolineando l'angosciata impotenza dei suoi spasmi vitali e l'assurdità di sperare in una pacifica e armonica convivenza con l’ “altro da sé" non sono altro che il rivelatore di questa terribile condizione umana; la visualiz­zazione di quella gabbia invisibile che l'inconscio costruisce a nostra insaputa, da cui non può sottrarsi neppure la disperata vitalità che pure é in noi, in questo equilibrio instabile, un abitare sui confini. E' sorprendente come questa fragile donna riesca a sostenere l'urto di questa condizione, a cercare nonostante tutto di restituire l'anima alla vita. La pittura della Cirella é tesa a dare evidenza a questa realtà dell'ani­ma; a rendere visibile, l'invisibile, la trama perduta tra anima e corpo, tra le due parti perché entrambe possano essere vita, occasione di felicità, di intimità, che finalmente possa animare il mondo nalle tenebra. Ombre, che remote tracce di simboli rendono identificabili, quell'elmetto tedesco, le divise di guerra, segni della separazione, allusive all'incomunicabilità che, perduta l'anima, consuma il corpo, asciuga il sangue nelle vene, scioglie tessuti ed ossa, e ogni gesto e la paralisi di Godot. Ma la pittura crea il "ponte" non verso il regno dei Morti, ma verso la vita. Siamo allora nella terra dell'Anima, di cui Hillman configura la mappa. Entrare nel mondo infero allude al passaggio dal punto di vista materiale, ciò che vediamo, a quello psichico; un ponte verso il profondo. Non é un percorso facile. Le anime esistono solo perché vedono, e tanto più vedono quanto meno sono. L'Essere assottigliato al vedere sfugge al proprio mutamento e coesiste col mutamento universale. Ma il lungo viaggio verso la Notte, forse, potrà essere viaggio di Resurrezione e la cenere tornerà carne e l'anima corpo. Elio Mercuri

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20 La permanenza nella rappresentazione affidata alla specificità della pittura è l'aspetto immediato che caratte­rizza il dettato figurale di Elena Cirella. Sono figure narrativamente organizzate che campeggiano sullo spazio del supporto. E di questa componente figurativa, di questa apparente schiettezza propositiva, l'artista si rende ben conto, non nascondendo l'evidente rimando storico. Da qui la struttura delle immagini di Elena Cirella: la coppia che comunica nell'assenza accelerando la tensione di un'immagine che non è altro che la proiezione dell'altra; la luce radente che accentua e scontorna le forme; la scialbata di colore che cancella metà del volto perché l'altra metà aggalli come polla dal fondo; l'insistenza sul tema delle mani. Cioè quel continuo mettere alla prova l'impatto figurale attraverso l'energia torbida e misteriosa, che nelle mani può trovare la propria connotazione, sviluppandosi con passaggi che vanno dal gesto intimista alla trasparenza baconiana che in primo piano si fa deposito di memoria e specchio dell'esistenza L'anti­co amore per Ensor e Munch, la tensione espressionista, un certo goticismo nordico qua e là, si affacciano nell'alfabe­to visivo della nostra pittrice, non v'è dubbio. Così come una certa insistenza tematica è vista in chiave di griglia portante e non semplicemente come la rappresentazione contingente, che attende l'evolversi di uno schema più valido. Subito dopo però ecco che dall'analisi delle opere emer­ge una comunicativa immediata ma misteriosa. Le figure si affollano di significati simbolici dove l'evidenza iconografica si congiunge all'inquietudine convogliando gli esiti verso un inconscio in cui si aggirano i fantasmi di un universo onirico e archetipale. Vito Apuleo Ne conseguono categorie di risposte che assumono il linguaggio pittorico come siste­ma di segnalazione in rapporto agli stimoli sensoriali. Stimoli che ora praticano la via dell'eccitazione ora ancora quella della malinconia. Il tutto con al centro la solitudine, il rumore del silenzio. Nel difficile rapporto tra coscienza ed inconscio Elena Cirella vive quindi il dualismo di una situazione che sempre più si conferma condizionata dal contrasto tra apparizione e volume. Ciò realizzato attraver­so le sue figure fantasmatiche, che immerse in colore livido, senza cedimenti al tono accattivante, vivono i tempi di un immobilismo, che la poesia di fondo traduce in emozione. In tal modo l'artista scopre la bellezza del buio, il fascino del vuoto dai cui meandri far scaturire l'immagine, la condi­zione soggettiva di un isolamento, che le consente di trovare un mondo diverso dal reale, più antico, non disturbato dal fragore del contiguo. Se in queste opere dunque sarebbe azzardato voler radicalizzare il concetto di sovrasenso, non v'è dubbio che da esse traspaiano i segni di una qualche energia sotterra­nea, di un subbuglio nascosto, di un qualcosa prima detto e poi negato.

21 Di Elena Cirella va detto subito che le ultime opere segnano un evidente sviluppo della sua qualità pittorica, in lei sempre molto affidata alla forza del colore e agli effetti della materia, che appare impreziosita da una più sapiente elaborazio­ne, un abbandonarsi al suo istinto del colore con una passione più sorvegliata. Le donne di Elena Cirella (nei suoi dipinti le presenze maschili sono solo rare enunciazioni) abitano luoghi (più che altro interni) che escludono l'am­biente; dietro le immagini: solo colori e qualche probabile elemento di fondo impiantato per non creare rotture all'in­terno del quadro e di una pittura che non ammette vuoti. Perché la pittura della Cirella ha un suo spessore e una sua forza impositiva da nota dominante. Non meno che l'oggetto della sua pittura, per lei conta il dipingerlo. Il suo fare arte è sempre impetuosa estroversione, necessità di esprimere se stessa attraverso una pittura felicemente gestuale che si fa chiave di lettura del suo temperamento di donna e di artista. Quei suoi rossi fiammeggianti, quei verdi e quei blu violenti che attraversano le sue tele, sono bagliori che accendono la sua pittura di un colore a cui l'artista trasmet­te una forte e vibrante vitalità. E di questa vitalità sono nutrite le sue figure femminili. Le donne di Elena Cirella appaiono concluse in una dimensione in cui l'energia fem­minile sembra lievitare, al di fuori del tempo e della Storia, di una maturazione liberatoria dalla sua secolare vicenda di immobilità. I corpi di donna che Elena definisce sulla tela appaiono sempre liberati da ogni costrizione, con le loro nudità che, più che rivelarsi, sembrano erompere. Anche se i volti di queste donne adombrano quella malinconia così propria della condizione femminile (come sempre, ancora oggi, per molti versi, vissuta e sofferta). Le creature muliebri di Elena Cirella possono anche apparire piegate; ma non (mai) rassegnate, sempre custodi di una indomita fierezza femminile che le pone in una situazione di forza naturale. Guerriere di questa incessante battaglia della vita che le donne, in ogni loro stagione, sono chiamate da sempre a combattere, giorno dopo giorno. Berenice

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