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Rischio Vesuvio e Protezione Civile

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Presentazione sul tema: "Rischio Vesuvio e Protezione Civile"— Transcript della presentazione:

1 Rischio Vesuvio e Protezione Civile
Mauro Biafore Dirigente Responsabile del Centro Funzionale della Campania

2 Corso di Formazione: Rischio Vesuvio e Protezione Civile
Pomigliano d’Arco (NA) 19 novembre 2012: Inquadramento del ruolo e delle competenze della protezione civile, in relazione al vigente ordinamento giuridico nazionale (statale, regionale, provinciale e comunale) e ai rapporti tra protezione civile, pianificazione territoriale e difesa del suolo. Concetto di rischio e aspetti correlati in ambito di protezione civile. L’impianto legislativo e ordinamentale della protezione civile in Italia e in Campania Assetto istituzionale e organizzativo del Servizio Nazionale della Protezione Civile; Attività di previsione, prevenzione, gestione dell’emergenza e soccorso alla popolazione Componenti e strutture operative del Servizio Nazionale della Protezione Civile Ruolo e competenze di regioni, province e comuni nell’attuale impianto della Protezione Civile italiana Pianificazione territoriale, Difesa del Suolo e Protezione Civile: terminologia, concetti fondamentali, competenze e aspetti funzionali di interferenza e/o complementari; Concetto di rischio: analisi e quantificazione in ambito di protezione civile Rischi naturali e antropici: caratterizzazione e riferimenti legislativi Rischio sismico, vulcanico e incendi; rischio ambientale, sanitario, nucleare e industriale Il rischio idrogeologico: frane e alluvioni Pianificazione del rischio idrogeologico: piani di bacino, piani stralcio, PAI e strumenti attuativi

3 Corso di Formazione: Rischio Vesuvio e Protezione Civile
Pomigliano d’Arco (NA) L’impianto legislativo e ordinamentale della protezione civile in Italia e in Campania Legge n. 100 del 12 luglio 2012 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, recante disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile". modifica e integra la legge n. 225 del 24 febbraio 1992, istitutiva del Servizio Nazionale della Protezione Civile IN VIGORE DAL 14 LUGLIO 2012

4 (Riforma della protezione civile)
Legge n. 100 del 12 luglio 2012 (Riforma della protezione civile) Art. 1, comma b-bis … I piani e i programmi di gestione, tutela e risanamento del territorio devono essere coordinati con i piani di emergenza di protezione civile, con particolare riferimento a quelli previsti all'articolo 15, comma 3-bis, e a quelli deliberati dalle regioni mediante il piano regionale di protezione civile … La norma novellata ribalta la precedente impostazione che prevedeva che fossero le attività di protezione civile a doversi armonizzare, in quanto compatibili con le necessità imposte dalle emergenze, con i programmi di tutela e risanamento del territorio (art. 3, comma 6, l. 225/92.

5 PROTEZIONE CIVILE, DIFESA DEL SUOLO E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
Nell’ambito della moderna pianificazione territoriale, dove sempre più forti sono le istanze di conservazione e salvaguardia ambientale, determinante è il contributo che la Protezione Civile può apportare, in termini di conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e di efficace attuazione degli interventi di difesa del suolo, fornendo un forte sostegno alla “governance” dei processi. La governance è definita dalla Commissione Europea come l’insieme delle differenti modalità con le quali gli individui e le istituzioni, pubbliche e private, gestiscono gli interessi comuni, con riferimento ai principi di: apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza. Legge 100/2012 Legge 225/1992 Pianificazione territoriale Protezione civile Difesa del suolo Protezione civile Pianificazione territoriale Difesa del suolo

6 PROTEZIONE CIVILE, DIFESA DEL SUOLO E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
In Italia, lo sviluppo incontrollato, per lungo tempo, degli insediamenti antropici su un territorio ad elevata vulnerabilità ha creato condizioni di rischio inaccettabili, in termini di danno atteso per la vita umana. L’assenza di efficaci strumenti di pianificazione e l’uso scriteriato delle risorse ambientali, in un contesto socio-economico estremamente delicato, hanno determinato situazioni di degrado pressochè irreversibili, rendendo destinate al fallimento strategie di controllo e contrasto dei fenomeni quali quelle, ad esempio, mirate alla delocalizzazione degli insediamenti abitativi o basate sulla realizzazione di consistenti, ed economicamente insostenibili, interventi di messa in sicurezza del territorio. In un tale contesto, reso ancora più precario dai cambiamenti climatici in atto, il ricorso alla previsione e prevenzione, ad es., dei rischi naturali, in grado di consentire, eventualmente, l’attivazione di un sistema di allertamento e primo contrasto degli effetti indotti dagli eventi attesi, diventa il mezzo più efficace, se non l’unico, per garantire la sicurezza delle popolazioni e la salvaguardia dell’ambiente.

7 Difesa del Suolo e Protezione Civile AMBITI TEMPORALI DI INTERVENTO
ATTIVITÀ ORDINARIE DI PIANIFICAZIONE E DI PROGRAMMAZIONE DI INTERVENTI CHE GARANTISCANO CONDIZIONI PERMANENTI ED OMOGENEE PER LA PROMOZIONE, LA CONSERVAZIONE ED IL RECUPERO DI CONDIZIONI AMBIENTALI E TERRITORIALI CONFORMI AGLI INTERESSI DELLA COLLETTIVITÀ E ALLA QUALITÀ DELLA VITA Difesa del Suolo tempo differito ATTIVITÀ, ANCHE STRAORDINARIE E TEMPORANEE, CHE CONCORRONO A GARANTIRE AZIONI URGENTI ED INDIFFERIBILI FINALIZZATE ALLA TUTELA DELL’INTEGRITÀ DELLA VITA, DEI BENI, DEGLI INSEDIAMENTI E DELL’AMBIENTE DAI DANNI DERIVANTI DA EVENTI PERICOLOSI Protezione Civile tempo reale

8 (Riforma della protezione civile)
Legge n. 100 del 12 luglio 2012 (Riforma della protezione civile) Art. 1, comma 1, lettera e Il comune approva con deliberazione consiliare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione (12 ottobre 2012), il piano di emergenza comunale previsto dalla normativa vigente in materia di protezione civile, redatto secondo i criteri e le modalita' di cui alle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e dalle giunte regionali. Il comune provvede alla verifica e all'aggiornamento periodico del proprio piano di emergenza comunale, trasmettendone copia alla regione, alla prefettura-ufficio territoriale del Governo e alla provincia territorialmente competenti. Dall'attuazione …. non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

9 Legge n. 100 del 12 luglio 2012 (Riforma della protezione civile)
Art. 1 bis – Piano regionale di protezione civile Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (14 gennaio 2012), le regioni possono approvare con propria deliberazione il piano regionale di protezione civile, che puo' prevedere criteri e modalita' di intervento da seguire in caso di emergenza sulla base delle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e il ricorso a un piano di prevenzione dei rischi. Il piano regionale di protezione civile puo‘ prevedere, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l'istituzione di un fondo, iscritto nel bilancio regionale, per la messa in atto degli interventi previsti dal medesimo piano per fronteggiare le prime fasi dell'emergenza.

10 PROTEZIONE CIVILE, DIFESA DEL SUOLO E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE
La conoscenza approfondita dei fenomeni, l’analisi sistematica delle relazioni causa-effetto e la ricalibrazione dei modelli predittivi delle dinamiche ambientali costituiscono, oggi, gli elementi necessari e qualificanti delle attività che le istituzioni e la comunità scientifica devono svolgere per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e riqualificazione dell’ambiente. Piano territoriale Piano di bacino Piano di protezione civile Fondamentale è, dunque, la perfetta integrazione e mutua coerenza degli strumenti di pianificazione, atteso che l’efficacia delle misure attuative richiede l’adozione, da parte degli addetti al settore, di sinergie operative volte all’aggiornamento continuo, in ambito multidisciplinare, delle conoscenze dei fenomeni naturali e alla conseguente definizione di misure di adattamento alle variazioni ambientali e socio-economiche.

11 PIANO PER LA GESTIONE DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO
(art. 30 Norme di attuazione del P.A.I.) Piano strategico degli interventi per la gestione del rischio (interventi strutturali o materiali) Piano di protezione civile (anche redatto in forma speditiva e/o nei termini di piano urgente di emergenza – interventi non strutturali o immateriali) In sintesi i piani di emergenza sono documenti, finalizzati alla salvaguardia dei cittadini e dei beni che: affidano responsabilità ad amministrazioni, strutture tecniche, organizzazioni ed individui per la attivazione di specifiche azioni, in tempi e spazi predeterminati, in caso di incombente pericolo o di emergenza che superi la capacità di risposta di una singola struttura operativa o ente, in via ordinaria; definiscono la catena di comando e le modalità del coordinamento interorganizzativo, necessarie alla individuazione ed alla attuazione degli interventi urgenti; individuano le risorse umane e materiali necessarie per fronteggiare e superare la situazione di emergenza.

12 PIANO PER LA GESTIONE DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO
(art. 30 Norme di attuazione del P.A.I.) Autorità di Bacino Campania Centrale (già Nord-Occidentale)

13 Rosi, Cioni, Neri, 2006

14 ATTIVITA’ E COMPITI DELLA PROTEZIONE CIVILE
PREVISIONE PREVENZIONE SOCCORSO ED ASSISTENZA IN CASO DI EMERGENZA SUPERAMENTO DELL’EMERGENZA La prevenzione consiste nelle attivita' volte a evitare o a ridurre al minimo la possibilita' che si verifichino danni conseguenti agli eventi di cui all'articolo 2, anche sulla base delle conoscenze acquisite per effetto delle attivita' di previsione. La prevenzione dei diversi tipi di rischio si esplica in attivita' non strutturali concernenti l'allertamento, la pianificazione dell'emergenza, la formazione, la diffusione della conoscenza della protezione civile nonche' l'informazione alla popolazione e l'applicazione della normativa tecnica, ove necessarie, e l'attivita‘ di esercitazione.

15 PREVENZIONE NON STRUTTURALE
ALLERTAMENTO PIANI DI EMERGENZA FORMAZIONE DEGLI OPERATORI ESERCITAZIONI DIFFUSIONE DI UNA CULTURA DI PROTEZIONE CIVILE INFORMAZIONE ALLA POPOLAZIONE COMUNICAZIONE IN EMERGENZA AUTOPROTEZIONE L. 3 agosto n “Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla L.8 giugno 1990, n.142 ” Trasferisce al Sindaco le competenze, attribuite dall’art. 36 del DPR n.66/1981 al Prefetto, per quel che concerne l’informazione alla popolazione circa situazioni di pericolo per calamità naturali.

16 AGGIORNAMENTO DEL PIANO NAZIONALE DI EMERGENZA PER IL VESUVIO
• Linea nera - Limite dell’area esposta al rischio di invasione da flussi piroclastici validato dalla Commissione Grandi Rischi – Settore Rischio Vulcanico, raccogliendo le indicazioni del Gruppo di lavoro sulla modifica dei confini della zona rossa. Tale limite è stato definito sulla base del lavoro “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma Vesuvius based on geological record” di Gurioli et al. (20101) che, utilizzando dati di letteratura e nuovi dati di campagna, determina la frequenza di invasione da flussi piroclastici al Vesuvio per tutti i tipi di eruzioni avvenute negli ultimi anni. In particolare, individua le aree che in questo arco temporale sono state invase da flussi piroclastici nel corso di una sola eruzione (a bassa frequenza di invasione), di 2 eruzioni (media frequenza) e di 3-6 eruzioni (alta frequenza). La linea nera sulla mappa si riferisce al limite dell’area a media frequenza, che include anche l’area ad alta frequenza. • Celle colorate - Le aree evidenziano l’indice di rischio di crollo delle coperture degli edifici per effetto dell’accumulo di depositi piroclastici (ceneri e lapilli), ottenuto dall’analisi combinata delle curve di carico del deposito di ricaduta, fornite dalle simulazioni per diverse direzioni del vento, con i dati di vulnerabilità delle coperture (Progetto SPeeD2). Mappa n. 1 – Rappresentazione grafica dell’area esposta al rischio di invasione da flussi piroclastici (linea nera), dell’indice di rischio relativo al crollo delle coperture degli edifici per carico di depositi piroclastici - ceneri e lapilli (celle colorate), dei limiti della zona rossa del precedente piano e dei limiti amministrativi dei Comuni e delle Municipalità del Comune di Napoli ricompresi nella nuova zona rossa.

17 AGGIORNAMENTO DEL PIANO NAZIONALE DI EMERGENZA PER IL VESUVIO
Mappa n. 2 – Rappresentazione grafica sintetica dei 24 Comuni e delle 3 Municipalità del Comune di Napoli che presentano porzioni di territorio in zona rossa, ossia che sono esposti al pericolo di invasione da flussi piroclastici e/o ad elevato rischio collassi coperture, e che pertanto vanno evacuati preventivamente. I singoli Comuni, d’intesa con la Regione Campania, potranno proporre per i propri territori confini della nuova “zona rossa” diversi dai limiti amministrativi – mai, però, inferiori rispetto alla delimitazione prevista per la zona esposta all’invasione di flussi piroclastici. Per fare questo dovranno dimostrare di essere in grado di gestire evacuazioni parziali delle proprie comunità e, nelle aree a rischio crolli, di aver rafforzato le coperture degli edifici vulnerabili esposti alla ricaduta di ceneri e lapilli.

18 AGGIORNAMENTO DEL PIANO NAZIONALE DI EMERGENZA PER IL VESUVIO
La nuova zona rossa è stata ampliata, rispetto a quella prevista nel Piano del 2001, comprendendo i territori di 24 Comuni e tre circoscrizioni del Comune di Napoli. Oltre ai 18 indicati già in zona rossa (Boscoreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Pompei, Portici, Sant’Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Sebastiano al Vesuvio, San Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase), saranno ricomprese le circoscrizioni di Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio del Comune di Napoli, i Comuni di Nola, Palma Campania, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano e Scafati, e l’enclave di Pomigliano d’Arco nel Comune di Sant’Anastasia

19 (Il piano di protezione civile)
I piani costituiscono, sia a livello provinciale che a livello comunale, lo strumento unitario di risposta coordinata del sistema locale di Protezione Civile a qualsiasi tipo di situazione di crisi o di emergenza, avvalendosi delle conoscenze e delle risorse disponibili sul territorio. Inoltre, devono tenere conto ed integrare i piani operativi di emergenza di enti, strutture tecniche, gestori di servizi pubblici ed essere completati con procedure tecniche di dettaglio, necessarie all'attivazione. I piani devono essere integrati con l’eventuale livello regionale e statale e/o interprovinciale di pianificazione e gestione dell’emergenza. I piani devono contenere almeno le procedure necessarie per effettuare una rapida ed ordinata evacuazione e/o assistenza dei cittadini e dei loro beni, presenti in un’area a rischio preindividuata o a seguito di segnalazione di un pericolo incombente o di un’emergenza in atto. I Piani sono costituiti dagli scenari di evento attesi e dai modelli d’intervento I piani di emergenza devono prendere in esame, in riferimento agli scenari possibili per il territorio, le tipologie di evento naturale o connesso con l’attività dell’uomo che per loro natura ed estensione territoriale, richiedono l’intervento coordinato di più Enti e amministrazioni competenti in via ordinaria.

20 (Il piano di protezione civile)
SCENARI DEGLI EVENTI ATTESI Per una puntuale ed efficace pianificazione dell'emergenza è necessario procedere alla definizione degli scenari di evento rispetto ai quali delineare i modelli di intervento. Per Scenario d’evento atteso si intende: la descrizione sintetica della dinamica dell’evento; la perimetrazione anche approssimativa dell’area che potrebbe essere interessata dall’evento; la valutazione preventiva del probabile danno a persone e cose che si avrebbe al verificarsi dell’evento atteso. l’individuazione delle criticità da utilizzare per specifiche azioni da prevedersi nel piano di emergenza.

21 (Il piano di protezione civile)
INFORMAZIONI NECESSARIE PER PRODURRE GLI SCENARI DI EVENTO Le analisi di pericolosità contenute nei Piani di assetto idrogeologico o nei piani stralcio delle Autorità di Bacino, il Piano regionale di protezione delle foreste contro gli incendi e altri documenti di analisi territoriale elaborati dalle Province, nell’ambito deL P.T.C., dagli Enti locali e dalle strutture scientifiche, costituiscono base fondamentale per la definizione degli scenari attesi, della dinamica del fenomeno e della perimetrazione dell’area. Per la valutazione preventiva del danno atteso è necessario procedere al censimento degli elementi esposti a rischio compresi nelle aree predefinite. Bisogna tenere presente che la perimetrazione dell'area non sempre è definibile a priori ovvero l'evento può manifestarsi in un area diversa o non coincidente con quella ipotizzata. In questo caso si procederà alla perimetrazione dell'area minacciata o interessata dall’evento imminente o avvenuto e contestualmente si provvederà al rilevamento del danno atteso o verificatosi.

22 (Il piano di protezione civile)
Il Piano DEVE contenere, quindi, i seguenti elaborati: Descrizione sintetica della dinamica dell'evento, nei documenti stralcio dovrà essere predisposta opportuna scheda descrittiva; Carta dello scenario, la carta dovrà essere predisposta dalle Province nelle due forme di dettaglio da utilizzare nella pianificazione comunale e di sintesi provinciale, ad opportuna scala da valutarsi in funzione del rischio e da definire esattamente nei documenti stralcio; Valutazione del danno atteso, si deve intendere il numero di unità relative ad ognuno degli elementi esposti.

23 (Il piano di protezione civile)
IL MODELLO DI INTERVENTO I modelli di intervento devono essere delineati sulla base degli scenari di evento e articolati per tipologia di rischio. Bisogna però tenere presente che i fenomeni naturali o connessi all'attività dell'uomo, in relazione alla prevedibilità, estensione ed intensità possono essere descritti con livelli di approssimazione di grado anche molto diverso (prevedibili quantitativamente - prevedibili qualitativamente - non prevedibili). Per modello di intervento si deve intendere la definizione dei protocolli operativi da attivare in situazioni di crisi per evento imminente o per evento già iniziato, finalizzati al soccorso ed al superamento dell'emergenza. I protocolli individuano le fasi nelle quali si articola l'intervento di protezione civile, le componenti istituzionali e le strutture operative che devono essere gradualmente attivate rispettivamente nei centri decisionali della catena di coordinamento (DI.COMA.C – S.O.U - C.C.S. - C.O.M. - C.O.C) e nel teatro d'evento, stabilendone composizione, responsabilità e compiti.

24 (Il piano di protezione civile)
EVENTO CON PREANNUNCIO Nel caso di eventi calamitosi con possibilità di preannuncio (alluvioni, frane, eventi meteorologici potenzialmente pericolosi, eruzioni vulcaniche) il modello di intervento prevede le fasi di attenzione, preallarme e allarme e per gli incendi boschivi è limitata alla fase di attenzione. L'inizio e la cessazione di ogni fase vengono stabilite sulla base della valutazione dei dati e delle informazioni trasmesse dagli enti e dalle strutture incaricati delle previsioni, del monitoraggio e della vigilanza del territorio, e vengono comunicate agli organismi di Protezione Civile territorialmente interessati. Per gli eventi di tipo c) (ad esempio le eruzioni vulcaniche) queste funzioni vengono svolte dal Dipartimento della Protezione Civile che assume la Direzione di Comando e Controllo (DI.COMA.C.)

25 (Il piano di protezione civile)
La fase di attenzione viene attivata quando le previsioni e le valutazioni di carattere meteorologico e i dati del monitoraggio vulcanico fanno ritenere possibile il verificarsi di fenomeni pericolosi. Essa comporta il raggruppamento dei servizi da parte della S.O.U. e degli Enti e strutture preposti al monitoraggio e alla vigilanza. La fase di preallarme viene attivata quando i dati pluviometrici e/o idrometrici superano determinate soglie in presenza di previsioni meteo negative e/o di segnalazioni provenienti dal territorio su pericoli incombenti o quando i parametri fisici, chimici e geologici del monitoraggio vulcanico superano determinate soglie. Essa comporta la convocazione, in composizione ristretta degli organismi di coordinamento dei soccorsi (S.O.U. - C.C.S. - C.O.M. - C.O.C) e l'adozione di misure di preparazione ad una possibile imminente emergenza. La fase di allarme viene attivata quando i dati pluviometrici e/o idrometrici superano determinate soglie, con previsioni meteo negative e segnalazioni di fenomeni pericolosi incombenti o in atto provenienti dal territorio. L'evento calamitoso preannunciato ha quindi elevata probabilità di verificarsi. Essa comporta l'attivazione completa degli organismi di coordinamento dei soccorsi e l'attivazione di tutti gli interventi per la messa in sicurezza e l'assistenza alla popolazione che devono essere pertanto dettagliatamente previsti nei Piani Provinciali, Comunali e intercomunali. E' possibile che l'evento atteso si verifichi o inizi prima della completa attuazione delle misure previste dal Piano per la fase di allarme, determinando una situazione di emergenza con due diversi momenti di risposta.

26 (Il piano di protezione civile)
PRIMI SOCCORSI Posti di coordinamento (C.C.S. – C.O.M. – C.O.C.) attivati nella fase di allarme non sono ancora a regime. I primi soccorsi urgenti vengono effettuati dalle strutture operative già presenti sul luogo o in prossimità. SOCCORSI A REGIME I Posti di coordinamento (C.C.S. – C.O.M. – C.O.C.) e relative sale operative attivate nella fase di allarme, ed organizzati secondo le funzioni del Metodo Augustus, sono a regime e perseguono gli obiettivi del Piano con priorità rivolta alla salvaguardia e all'assistenza della popolazione. E’ opportuno che tutti i piani provinciali e comunali si conformino ad un unico schema (tipo) del modello di intervento per i rischi con possibilità di preannuncio, contenente il sistema di comunicazioni - informazioni, i livelli di attivazione nelle varie fasi e le risposte da parte degli Organismi di Protezione Civile.

27 (Il piano di protezione civile)
EVENTO CON PREANNUNCIO Comprende i fenomeni per i quali non è possibile prevedere in anticipo l'accadimento (eventi temporaleschi spazialmente concentrati e non prevedibili, terremoti, incidenti chimico-industriali) mentre è comunque possibile elaborare scenari di rischio. In tali casi devono essere immediatamente attivate, per quanto possibili nella situazione data, tutte le azioni previste nella fase di allarme-emergenza, con priorità per quelle necessarie per la salvaguardia delle persone e dei beni.

28 (Il piano di protezione civile)
IN SINTESI: Il successo di un piano di emergenza dipende da: • buona perimetrazione delle zone esposte al rischio; • conoscenza dello scenario dei fenomeni attesi in caso di evento; • individuazione dei punti critici dei corsi d’acqua e dei versanti da sottoporre a vigilanza (attività di presidio); • qualità delle previsioni meteorologiche e del monitoraggio pluviometrico, idrometrico e delle frane; • livello di preparazione e dalla capacità di risposta delle strutture di protezione civile; • livello di informazione e di preparazione all’emergenza dei cittadini.

29 (Il piano di protezione civile)

30 che il Sindaco deve conseguire per fronteggiare l’emergenza
OBIETTiVI che il Sindaco deve conseguire per fronteggiare l’emergenza 1. Funzionalità del sistema di allertamento locale 2. Coordinamento operativo locale - Presidio Operativo Comunale/Intercomunale - Centro Operativo Comunale/Intercomunale 3. Attivazione del Presidio territoriale 4. Funzionalità delle telecomunicazioni 5. Ripristino della viabilità e dei trasporti – controllo del traffico 6. Misure di salvaguardia della popolazione Informazione alla popolazione Sistemi di allarme per la popolazione Censimento della popolazione Individuazione e verifica della funzionalità delle aree di emergenza (Aree di emergenza)‏ Soccorso ed evacuazione della popolazione Assistenza alla popolazione 7. Ripristino dei servizi essenziali 8. Salvaguardia delle strutture ed infrastrutture a rischio Definizione degli obiettivi Strategia operativa per raggiungere gli obiettivi

31 IL PIANO DI EMERGENZA EX ORDINANZA 3606/2007
(CONTENUTI) - elenco dei componenti l’UTMC e dei dati relativi agli automezzi e alle ricetrasmittenti in dotazione identificazione del modello di intervento adottato che indichi: le fasi in cui si articola il piano, le azioni da sviluppare in ogni fase, i soggetti che devono svolgere le diverse azioni individuazione delle aree di attesa e di ricovero per la popolazione e le aree di ammassamento individuazione delle risorse di uomini e mezzi da utilizzare prima che si manifesti l’evento per le azioni di salvaguardia dopo che si è verificato l’evento per il soccorso alla popolazione colpita

32 IL PIANO DI EMERGENZA EX ORDINANZA 3606/2007
(CONTENUTI MINIMI) individuazione degli Scenari di Rischio con delimitazione delle aree vulnerabili (in assenza di studi specifici le aree a rischio di frana e di inondazione coincidono con le aree così identificate dal PAI) identificazione del Responsabile comunale di protezione civile e del suo sostituto con recapiti telefonici identificazione della sede da adibire in caso di necessità a Sala Operativa, dotata di almeno un fax e una linea telefonica identificazione di un numero di fax e/o di un indirizzo di posta elettronica sempre attivi

33 PIANIFICAZIONE DI EMERGENZA PER IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
Il successo di un piano di emergenza dipende da: buona perimetrazione delle zone esposte al rischio conoscenza dello scenario dei fenomeni attesi in caso di evento individuazione dei punti critici dei corsi d’acqua e dei versanti da sottoporre a vigilanza (attività di presidio) qualità delle previsioni meteorologiche e del monitoraggio pluviometrico, idrometrico e delle frane livello di preparazione e dalla capacità di risposta delle strutture di protezione civile livello di informazione e di preparazione all’emergenza dei cittadini.

34 PIANIFICAZIONE DI EMERGENZA PER IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
Attenzione Ciascuno stato è attivato dalla S.O.R.U. sulla base dei valori dei precursori e/o indicatori e delle informazioni provenienti dai presidi territoriali STATI DI ALLERTA Pre-allarme Allarme MODELLO DI INTERVENTO Definizione dei protocolli operativi da attivare in situazioni di crisi per evento imminente o per evento già iniziato, finalizzati al soccorso ed al superamento dell'emergenza. I protocolli individuano le fasi nelle quali si articola l'intervento di protezione civile, le componenti istituzionali e le strutture operative che devono essere gradualmente attivate rispettivamente nei centri decisionali della catena di coordinamento (DI.COMA.C – S.O.U - C.C.S. - C.O.M. - C.O.C) e nel teatro d'evento, stabilendone composizione, responsabilità e compiti.

35 PIANIFICAZIONE DI EMERGENZA PER IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
STATO DI ALLARME Il Settore, verificato che i precursori pluviometrici puntuali o areali hanno superato i valori di soglia di allarme in condizioni meteo avverse persistenti o che gli indicatori idrometrici hanno superato i valori di livello “straordinario”, prima del passaggio del colmo di piena, e tenendo conto anche delle informazioni provenienti dagli ingegneri delegati, ove esistenti, dai presidi territoriali, ove costituiti e dai sindaci, anche avvalendosi delle strutture della Sala Operativa Regionale Unificata, svolge le seguenti azioni: attiva lo stato di allarme; comunica l’avvenuta attivazione dello stato di allarme al Presidente della Regione e all’Assessore regionale delegato alla Protezione Civile; comunica a mezzo fax o telefono lo stato di allarme ai soggetti territorialmente competenti di cui alla Tabella A, nonché alla Struttura Commissariale ex O.M.I. n° 2787/1998 e alle altre strutture commissariali che operano nella Regione a seguito di altre emergenze idrogeologiche, secondo l’ordine di priorità che a ragion veduta risulti più idoneo rispetto al tipo di rischio temuto e con la massima celerità possibile tenuto conto dei mezzi di comunicazione e del personale operativo a disposizione; con le medesime modalità, tiene costantemente informati i soggetti di cui al punto precedente sull’evolversi della situazione meteorologica, pluviometrica ed idrometrica, anche in base alle informazioni provenienti dal territorio trasmesse dagli Enti e dalle strutture preposte al presidio territoriale e alla vigilanza; mantiene, anche attraverso i propri rappresentanti, contatti costanti con i C.C.S. e i C.O.M.; dispone, se del caso, eventuali interventi urgenti e di somma urgenza per la rimozione del pericolo incombente determinatosi; informa i Prefetti sulle disposizioni da impartire agli Enti gestori di dighe; adotta le misure di competenza regionale previste nei piani di emergenza e, in stretto contatto con i prefetti, vigila sull’efficacia della risposta dei vari soggetti; a ragion veduta, dispone l’attivazione e l’invio della Colonna Mobile dell’Amministrazione Regionale e del Volontariato; attiva gli interventi per il censimento e la valutazione dei danni; dichiara e comunica la cessazione dello stato di allarme sulla base dei dati idrometrici, pluviometrici, delle previsioni meteorologiche e delle informazioni provenienti dal territorio.

36 PIANIFICAZIONE DI EMERGENZA PER IL RISCHIO IDROGEOLOGICO
STATO DI ALLARME Tabella A Elenco dei destinatari delle comunicazioni di attivazione o cessazione gli stati di allerta Dipartimento della Protezione Civile Consorzi di Bonifica(*) Prefetture(*) Province(*) Comuni e Comunità Montane(*) Direzione regionale VV.F. e Comandi Provinciali(*) Coordinamento provinciale del volontariato di protezione civile(*) Coordinatore regionale C.F.S. Capitanerie di Porto(*) Registro Italiano Dighe (R.I.D.) (*) Settori Regionali – Unità di Crisi – Sanità – C.O.R.E. – Autorità di Bacino(*) Enti gestori sistemi di trasporto: Anas – Società Autostrade – RFI – Trenitalia – Circumvesuviana – Alifana – Autorità Aeroportuali Enti gestori servizi di telecomunicazione (Telecom), distribuzione acqua, gas e energia (Enel) (*) Territorialmente interessati


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