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Sensi ed espressioni di un paesaggio letterario

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Presentazione sul tema: "Sensi ed espressioni di un paesaggio letterario"— Transcript della presentazione:

1 Sensi ed espressioni di un paesaggio letterario
Mario Morcellini Il medium (di)vino Sensi ed espressioni di un paesaggio letterario

2 "...ho sentito urlare, cantare, giocare a pallone; col buoi, fuochi e mortaretti; hanno bevuto, sghignazzato, fatto la processione; tutta la notte per tre notti sulla piazza è andato il ballo e si sentivano le macchine, le cornette, gli schianti dei fucili pneumatici, stessi rumori, stesso vino, stesse facce di una volta…” Cesare Pavese, La luna e i falò, cap. II

3 “… Questi discorsi li facevamo sullo stradone, o alla sua finestra bevendo un bicchiere, e sotto avevamo la piana del Belbo, le albere che segnavano quel filo d’acqua, e davanti la grossa collina del Gaminella, tutta vigne e macchie di rive. Da quanto tempo non bevevo quel vino?...” Cesare Pavese, La luna e i falò, cap. III

4 “…Adesso sapevo perché ogni tanto sulle strade si trovava una ragazza strangolata in un'automobile, o dentro una stanza o in fondo a un vicolo. Che anche loro, questa gente, avesse voglia di buttarsi sull'erba, di andare d'accordo coi rospi, di esser padrona di un pezzo di terra quant'è lunga una donna, e dormirci davvero, senza paura? Eppure il paese era grande, ce n'era per tutti. C'erano donne, c'era terra, c'era denari. Ma nessuno ne aveva abbastanza, nessuno per quanto ne avesse si fermava, e le campagne, anche le vigne, sembravano giardini pubblici, aiuole finte come quelle delle stazioni, oppure incolti, terre bruciate, montagne di ferraccio. Non era un paese che uno potesse rassegnarsi, posare la testa e dire agli altri: "Per male che vada mi conoscete. Per male che vada lasciatemi vivere". Era questo che faceva paura. Neanche tra loro non si conoscevano; traversando quelle montagne si capiva a ogni svolta che nessuno lì si era mai fermato, nessuno le aveva toccate con le mani. Per questo un ubriaco lo caricavano di botte, lo mettevano dentro, lo lasciavano per morto. E avevano non soltanto la sbornia, ma anche la donna cattiva. Veniva il giorno che uno per toccare qualcosa, per farsi conoscere, strozzava una donna, le sparava nel sonno, le rompeva la testa con una chiave inglese…” Cesare Pavese, La luna e i falò, cap. III

5 “…Fa un sole su da questi bricchi, un riverbero di grillaia e di tufi che mi ero dimenticato: qui il caldo più che scendere dal cielo esce da sotto terra, dal fondo tra le viti che sembra si sia mangiato ogni verde per andare tutto in tralcio. È un caldo che mi piace, sa un odore: ci sono dentro anch'io, a quest'odore, ci sono dentro tante vendemmie e fienagoni e sfogliature, tanto sapori e tante veglie che non sapevo più di avere addosso. Così mi piace uscire dall’Angelo e tenere d’occhio le campagne; quasi quasi vorrei non aver fatto la mia vita, poterla cambiare; dar ragione alle ciance di quelli che mi vedono passare e si chiedono se sono venuto a comprar l’uva o che cosa. Qui nel paese più nessuno si ricorda di me, più nessuno tiene conto che sono stato servitore e bastardo…" Cesare Pavese, La luna e i falò, cap. V

6 “… La luna, - disse Nuto, - bisogna crederci per forza
“… La luna, - disse Nuto, - bisogna crederci per forza. Prova a tagliare a luna piena un pino, te lo mangiano i vermi. Una tina la devi lavare quando la luna è giovane. Perfino gli innesti, se non si fanno ai primi giorni della luna, non attaccano. Allora gli dissi che nel mondo ne avevo sentite di storie, ma le più grosse erano queste. Era inutile che trovasse tanto da dire sul governo e sui discorsi dei preti se poi credeva a queste superstizioni come i vecchi di sua nonna. E fu allora che Nuto calmo calmo mi disse che superstizione è soltanto quella che fa del male, e se non adoperasse la luna e i falò per derubare i contadini e tenerli all’oscuro, allora sarebbe lui l’ignorante e bisognerebbe fucilarlo in piazza …” Cesare Pavese, La luna e i falò, p. 46

7 “… Una vigna ben lavorata è come un fisico sano, un corpo che vive, che ha il suo respiro e il suo sudore. E di nuovo, guardandomi intorno, pensavo a quei ciuffi di piante e di canne, quei boschetti, quelle rive - tutti qui nomi di paesi e di siti là intorno - e fa piacere posarci l'occhio e saperci i nidi. Le donne, pensai, hanno addosso qualcosa di simile. Io sono scemo, dicevo, da vent'anni me ne sto via e questi paesi mi aspettano. Mi ricordai la delusione ch'era stata camminare la prima volta per le strade di Genova - ci camminavo un po' in mezzo e cercavo un po' d'erba. C'era il porto, questo sì, c'erano le facce delle ragazze, c'erano i negozi e le banche, ma un canneto, un odor di fascina, un pezzo di vigna, dov'erano? Anche la storia della luna e dei falò la sapevo. Soltanto, m'ero accorto, che non sapevo più di saperla …” Cesare Pavese, La luna e i falò, p. 47

8 "… L’avevo creduto, e mi ero anche detto “Se riesco a fare questi quattro soldi, mi sposo una donna e la spedisco col figlio in paese. Voglio che crescano laggiù con me”. Invece il figlio non l’avevo, la moglie non parliamone – che cos'è questa valle per una famiglia che venga dal mare, che non sappia niente della luna e dei falò? Bisogna averci fatto le ossa come il vino e la polenta, allora la conosci senza bisogno di parlarne, e tutto quello che per tanti anni ti sei portato dentro senza saperlo si sveglia adesso al tintinnìo di una martinicca, al colpo di coda di un bue, al gusto di una minestra, a una voce che senti sulla piazza di notte …" Cesare Pavese, La luna e i falò, p. 49

9 “… Il sor Matteo […] aveva avuto la mania delle donne – lo diceva anche Cirino – come suo nonno e suo padre, aveva avuto la mania della roba e messo insieme le cascine . Erano un sangue così, fatto di terra e di voglie sostanziose, gli piaceva l’abbondanza, a chi il vino , il grano, la carne, a chi le donne e i marenghi . Mentre il nonno era stato uno che zappava e lavorava le sue terre, già i figli eran cambiati e preferivano godersela. Ma ancora adesso il sor Matteo a un’occhiata sapeva dire quanti miria doveva fare una vigna …” Cesare Pavese, La luna e i falò, p. 77

10 “… certi giorni ch'ero nei beni, nelle vigne sopra la strada zappando al sole, e sentivo tra i peschi arrivare il treno e riempire la vallata filando o venendo da Canelli, in quei momenti mi fermavo sulla zuppa , guardavo il fumo, i vagoni, guardavo Gaminella, la palazzina del Nido, verso Canelli e Calamandrana verso Colosso, e mi pareva di aver bevuto del vino, di essere un altro, di essere come Nuto, di arrivare a valere quanto lui, e un bel giorno avrei preso anch'io quel treno per andare chi sa dove ... “ Cesare Pavese, La luna e i falò, p. 85

11 “… Con Nuto viene un momento, quando avevo già sedici diciassette anni e lui stava per andare al soldato, che o lui o io arraffavamo una bottiglia in cantina, e poi ce la portavamo sul Salto, ci mettevamo tra le canne se era giorno, sulla proda della vigna se c’era la luna, e bevevamo alla bocca discorrendo di ragazze …” Cesare Pavese, La luna e i falò, p. 87

12 Il Vino Triste La fatica è sedersi senza farsi notare. Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate e ritorna la voglia di pensarci da solo. Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii, ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro (l'uomo solo non può non pensare al lavoro) ridiventa l'antico destino che è bello soffrire per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.

13 Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire, pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi. Può sbucare una donna e distendersi in strada, bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo come un tempo una donna gemeva con lui. Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire e la vita non è che un ronzio di silenzio. Il Vino Triste

14 A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe che in quest'uomo trascorrono tiepide vene dove un tempo la vita bruciava? Nessuno crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze su quel corpo e baciato quel corpo, che trema, e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme. Il Vino Triste

15 La terra e la morte Anche tu sei collina e sentiero di sassi
e gioco nei canneti, e conosci la vigna che di notte tace. Tu non dici parole. C'è una terra che tace e non è terra tua. C'è un silenzio che dura sulle piante e sui colli. Ci son acque e campagne. Sei un chiuso silenzio che non cede, sei labbra e occhi bui. Sei la vigna. È una terra che attende e non dice parola. Sono passati giorni sotto cieli ardenti. Tu hai giocato alle nubi. È una terra cattiva la tua fronte lo sa. Anche questo è la vigna. Ritroverai le nubi e il canneto, e le voci come un'ombra di luna. Ritroverai parole oltre la vita breve e notturna dei giochi, oltre l'infanzia accesa. Sarà dolce tacere. Sei la terra e la vigna. Un acceso silenzio brucerà la campagna come i falò la sera. 30‒31 ottobre '45


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