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I – Ti aspetto domani sera per cena, daccordo? – concluse Antonio. Leo continuò a strofinare la carta vetrata sulla vernice verde di una vecchia persiana.

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Presentazione sul tema: "I – Ti aspetto domani sera per cena, daccordo? – concluse Antonio. Leo continuò a strofinare la carta vetrata sulla vernice verde di una vecchia persiana."— Transcript della presentazione:

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2 I – Ti aspetto domani sera per cena, daccordo? – concluse Antonio. Leo continuò a strofinare la carta vetrata sulla vernice verde di una vecchia persiana. – Se non hai altri impegni, sintende. Il falegname fermò le mani per un attimo. Stava cercando un impegno plausibile che lo salvasse da quella seccatura. Ma non trovò niente di accettabile per evitare la serata con suo zio e le sue mani ripresero a lavorare. – Vorrei parlare un po con te, – aggiunse Antonio rimirando le sue scarpe nere e lucide tra la segatura che copriva il pavimento. Non trovando altro da dire, si schiarì la voce e alzò lo sguardo verso il nipote. – A domani, allora. Antonio uscì dal laboratorio e la porta si richiuse alle sue spalle, accompagnata dal rumore della vecchia molla cigolante. Leo continuò a strofinare la persiana sempre più̀ forte. Pensò a tutte le scuse che avrebbe potuto trovare. Ora gliene passavano per la testa a frotte. Ho promesso a mia figlia di chiamarla. C'è̀ la finale Recco - Posillipo. Ho un appuntamento con due gemelle svedesi. Si maledisse per la scarsa prontezza che lo contraddistingueva. Antonio Schiaffino era il fratello di sua madre. Non avevano mai legato. Lo zio faceva lavvocato e aveva un elegante studio ereditato dal padre sulla via principale del paese. Era ricco. E questo già bastava a creare una certa distanza, secondo Leo. Lo zio Antonio viveva nella bella villa di famiglia poco sopra il centro storico. Da lì poteva godere di una delle migliori viste mare della costa ligure, da Genova al Monte di Portofino. Era sempre elegantemente vestito e aveva al suo fianco la bella signora straniera dai cappellini a falda larga che aveva sposato in seconde nozze pochi anni prima. Il fatto è che le vite di Antonio e di Leo non si erano incrociate. Ed entrambi non sembravano averne sentito il bisogno. Lo zio non si era mai interessato al nipote, neppure dopo la precoce morte della sorella. È anche vero che Leo aveva lasciato Camogli subito dopo il funerale della madre e che nessuno sapeva esattamente dove fosse stato. Leo spinse la persiana in fondo al bancone e picchiò la testa sul piano di lavoro

3 rimasto vuoto. In quel momento entrò Rocco Schiappacasse, un uomo alto e grosso, un fascio di muscoli che trasportava due porte di legno come fossero fiammiferi. – Ehi, vacci piano! – esclamò divertito. – Ti ricordo che domani ci servi tutto intero. Leo alzò il viso e rimase a fissare lamico cercando di trovare nella sua testa, ancora dolorante per il colpo, qualcosa che desse senso alle parole di Rocco. – Non ti ricordi, eh? Silenzio. – Lo fai spesso? – domandò Rocco aprendosi in una grande risata. – Cosa? – Picchiare la testa in quel modo, dico. Lo fai spesso? – A volte. – Non ti ricordi cosa si fa domani, vero? – No. – Cè la festa della Stella Maris. Si rema fino alla punta. – Già̀, siamo nel turno di vogata per luscita serale. Leo sorrise. Laveva trovata, la sua buona scusa. – Sei dei nostri, vero? – Certo. La processione della Stella Maris si teneva ogni anno la prima domenica di agosto. Di sera, una scia di barche partiva da Camogli in direzione di Punta Chiappa illuminata da piccoli lumini accesi. Molto coreografica, molto noiosa. Ma era una buona occasione per portare il Dragun a farsi un giro per ricordare alla città che esisteva ancora. Che cerano loro, quelli che portavano avanti il loro sogno, nonostante tutto. – Quando me le sistemi? – domandò Rocco riferendosi alle malconce porte di legno che aveva appoggiato a una parete del laboratorio. – Dammi una settimana, daccordo? – Va be, vuol dire che ti gira bene il lavoro. – Abbastanza. Ci sono molti turisti per la stagione. Le case di villeggiatura vengono aperte e molte necessitano di una risistemata. Il salino è mio alleato. Le persiane si sgretolano, in questa città. – E barche?

4 – Niente. Leo riprese la persiana che era finita in fondo al bancone. – O quasi, – disse grattando la carta vetrata sulla vecchia vernice verde. – Cè lo scafo di un vecchio leudo che mi aspetta. – Un leudo? E di chi? – Di mio zio. Schiaffino. – E cosa vuole farci con quello scafo? – Lui niente. Non sa che farsene. Era del mio bisnonno, il Capitano. – Te lo vuole regalare? – Così mi ha appena detto. È venuto qua poco fa per parlarmi della barca. – Qua? Nel laboratorio? – Sì. Non è da lui in effetti. – Già̀. – Vedila come una sorta di eredità. – E tu che ci farai? – Lo restauro. Ci faccio un barcone di quindici metri. Rocco fischiò. – E dove lo tiene lo zio questo relitto di quindici metri? – A Chiavari. In un magazzino. – Lhai visto? – Non ancora. Rocco storse il naso. Era un uomo molto concreto. Non credeva che loro piovesse dal cielo. E anche quando fosse piovuta semplice acqua, doveva bagnarsi una mano per sincerarsene. – E che cosa vuole in cambio il signor zio? – domandò. – Nulla. – Occhi aperti, Leone! È ben strana questa storia. In men che non si dica ti ritroverai a bere il tè con la signora Schiaffino sul bordo della piscina. Leo alzò le spalle. – Un leudo! – disse Rocco ridendo sonoramente. – Niente male. Avremo davvero un Museo Marinaro che prende vita sul mare. Quelli del Dragun ti farebbero una gran festa. Avanti tutta, Leone! A domani sera! E trasportato da unenorme risata, uscì dalla bottega del falegname. Leo guardò lorologio appeso alla parete e decise che per quel giorno ne aveva avuto abbastanza. Sinfilò il costume da bagno e si diresse verso la spiaggia.

5 II La canoa scivolava veloce nel mare calmo che pareva olio. La pagaia solcava lacqua e le pale disegnavano strani cerchi che si ingrandivano e si deformavano. Il tratto di costa tra la spiaggia di Camogli e Porto Pidocchio era muto e deserto. Il Monte di Portofino pareva resistere agli assalti delle barche a motore che lo assediavano da lontano come fossero soldati pronti allattacco. Avanzavano lentamente sempre qualche metro in più̀ rispetto al limite stabilito, con linvadenza dei loro scafi, delle loro scie rumorose, dei loro scarichi di benzina. E se ne stavano lì fermi anche per unintera giornata, ad assediare la cala. Piccoli mostri di fronte allarmonia della natura. Ma era il momento della ritirata: il cielo si tingeva di rosso. A uno a uno gli yacht e i motoscafi abbandonavano il campo di battaglia e scomparivano dietro la punta, verso Portofino o Santa Margherita. Era lattimo della vittoria. Leo amava quellattimo e prese a remare più̀ veloce. Fuggite! Scappate! Via! Via! Ogni estate aveva sempre la stessa sensazione di claustrofobia. I turisti erano invasori che gli rubavano lo spazio vitale. Si sentiva un grosso cetaceo che spalancava la bocca facendo fuggire le barche. Avrebbe voluto essere un capodoglio per sparire sottacqua con un colpo di coda finale. La pagaia era come la coda che sinfilava nel mare. Sempre più̀ veloce. Sempre più̀ in fondo. Lultimo yacht resisteva immobile. Un ferro da stiro su un lenzuolo teso. La canoa virò verso la prua del nemico. Leo spalancava la bocca e sbatteva la coda tra le onde. Il motore si accese e lelica iniziò a girare tra la schiuma biancastra. La canoa fece appena in tempo a uscire dalla rotta del ferro da stiro per non essere travolta. Chissà̀ se era riuscito a spaventarli? Era stato un chiaro attacco frontale o non lo avevano neppure visto? Poco importava: il capodoglio aveva riconquistato il mare. Leo si concentrò sullo sciabordio dellacqua contro le pale della pagaia e in breve raggiunse la riva. Portò il suo natante su una piccola spiaggia tra le rocce e si concesse un bagno. Se ne stava supino, galleggiando sopra il mare, quando gli

6 tornò in mente lo strano invito dello zio. E la storia del leudo. Chissà̀ cosa lo aveva spinto a interessarsi di lui, dopo tanti anni di indifferenza? La vecchiaia, a volte, fa diventare romantici, concluse Leo in mancanza di altre spiegazioni. Be, almeno era salvo per domani sera. Cera la Stella Maris. Pensò che avrebbe dovuto chiamare al più̀ presto Antonio per rifiutare linvito a cena, per via delluscita con il Dragun. E pensò anche che non aveva molta voglia di telefonare allo zio. Nuotò fino alla canoa e la rimise in mare. Riprese a remare lungo la costa del Monte di Portofino che dominava imponente sul golfo. Se lo figurò come un cetaceo ancora più̀ immenso di lui. Se un giorno si fosse stufato di quello sciame di imbarcazioni che lo assediavano, avrebbe aperto la bocca e ingoiato con facilità tutti i motoscafi, per sempre. Quando raggiunse la punta, il sole era già̀ calato allorizzonte. Meglio tornare. Superò al largo la tonnara, preparata per limbroglio della notte. I pesci si sarebbero infilati nella camera della morte per ricomparire in un guazzetto di olive e pinoli. Questo pensiero gli fece gorgogliare lo stomaco. Aveva fame. Pensò al suo frigorifero, vuoto. Il che produsse un altro brontolio del suo apparato digerente. Meglio accelerare il ritmo di vogata. Il frigorifero non aveva prodotto alcun cibo dal giorno precedente. Custodiva solo alcune bottiglie di birra. Leo richiuse lo sportello e si ficcò sotto la doccia insaponandosi corpo e capelli con abbondanza di schiuma. Il telefono del suo appartamento prese a squillare. Tentò un rapido risciacquo e, asciugandosi alla meglio, si precipitò verso lapparecchio inondando il corridoio di acqua. Quando rispose, dallaltra parte del filo avevano già̀ riagganciato. Abbassò il ricevitore imprecando tra i denti. Fissò il telefono per un minuto buono pensando che avrebbe dovuto chiamare lo zio Antonio per rifiutare linvito. Non ne aveva voglia. Si disse che lavrebbe fatto domani mattina, ormai era tardi e non sarebbe cambiato nulla. Avanzò verso la cucina strofinandosi con lasciugamano. Aprì la dispensa e sorrise. Cerano tonno sottolio, fagioli in scatola e cipolle. Si sarebbe preparato unottima cena. Stappò una bottiglia di birra e si diresse verso la camera per vestirsi, bevendo a canna. La casa di Leo era un piccolo appartamento nel centro del paese con un numero imprecisato di ripidi gradini necessari a raggiungerlo. Aveva vissuto in quella casa

7 da sempre, se si escludono i dieci anni successivi alla morte di sua madre. Durante quel periodo, aveva viaggiato per lEuropa vivendo alla giornata, poi si era messo a lavorare in un cantiere di barche di legno a Regensburg, sul Danubio. Amava creare le cose con le sue mani. E a dire il vero era piuttosto bravo con il legno. Così decise di fermarsi un po nella cittadina tedesca. Lì conobbe la bella e bionda Viktoria e si sposò. Leo iniziava a farsi un nome a Regensburg e nellambiente degli amatori di quegli antichi barconi da fiume. La sua passione per questo tipo di lavoro cresceva. Tre anni dopo la nascita della piccola Claudia, il matrimonio era allo sfascio. Leo tornava a casa raramente e passava le notti a lavorare in cantiere. Solo sua figlia lo teneva ancorato a quel posto, ma la bambina stava crescendo e iniziava a capire sempre di più quello che succedeva intorno a lei. Viktoria non cedeva, arroccata sulle proprie posizioni di rottura totale e Leo scelse la soluzione più̀ semplice per tutti: chiuse quel capitolo e tornò a Camogli. La casa di sua madre andava più̀ che bene: aveva due stanze, così cera posto anche per Claudia. La bambina viveva con Leo per un mese allanno, quando Viktoria decideva di concederla alla tutela dellex-marito per non venir meno alle disposizioni del giudice. E cera anche uno scorcio sul porto dalla finestra della sala, dove Leo passava ore e ore a fumare sigarette e a seguire nuvole di fumo. Al suo ritorno dalla Germania, aveva svuotato lappartamento di tutto il vecchio mobilio e aveva dato il bianco alle pareti. Poi aveva cominciato a costruire da solo, con il legno, pezzo per pezzo, tutto ciò̀ di cui aveva bisogno. Aveva realizzato un letto turchese a due piazze e un armadio bianco per la sua camera, un lettino lilla e un piccolo armadio giallo per la camera di Claudia, una dispensa blu e un tavolo verde con due sedie celesti per la cucina. Era una sorta di incubo cromatico che aiutava Leo a rallegrare lanimo cupo che si portava dentro. La sala era lunica stanza rimasta nuda, solo perché́ il pittore falegname non aveva ancora avuto il tempo di agire. Vi erano solo un grande tappeto recuperato dallarredamento di famiglia e qualche cuscino scalcagnato. Qua e là spuntavano torrette di libri, per lo più̀ romanzi. Dopo una breve preparazione, la cena era pronta. Leo aprì la seconda birra e si sedette a tavola. Il telefono squillò di nuovo. E Leo imprecò nuovamente qualcosa su dio e le cipolle e si accovacciò sul pavimento della sala, dove giaceva il rumoroso apparecchio.

8 – Pronto? – Buonasera, mi chiamo Giulia Olivari. Parlo con il signor Leo Oneto? – Sono io. – Mi scusi per lora. Lho svegliata? – Adesso fate le televendite anche di notte? – disse Leo con sarcasmo per liberarsi velocemente della sconosciuta interlocutrice. – Sono un avvocato dello studio Schiaffino. Devo farle una comunicazione importante. Si tratta di suo zio. – Mio zio? – Sì, lavvocato Schiaffino. Di nuovo, pensò Leo. – Che cosa vuole? Non ho molto tempo. Poi coprendo il ricevitore con la mano aggiunse: – Non è niente, tesoro. È una signora che chiama al telefono. Tu dormi. Arrivo subito, non piangere. – Ha un bimbo piccolo. Mi scusi per lora. – Tre, veramente, – disse Leo schiarendosi la voce. – Adesso devo riattaccare. Stia tranquilla, vedrò̀ mio zio domani. Buonasera. – Ehi, aspetti un attimo! È successo un fatto grave. Antonio Schiaffino è morto, – vomitò lavvocato tutto dun fiato. – Morto? È uno scherzo? – Non mi sembra un argomento su cui scherzare. – Ha ragione, – disse Leo cambiando tono. – Il fatto è che ho visto mio zio poche ore fa e mi sembrava in ottima forma. Comè successo? – Un infarto. – Mm… – Ho pensato di avvisarla perché́ lei è lunico parente in vita, oltre alla moglie, ovviamente. Ma la signora Schiaffino non era nelle condizioni di chiamare nessuno e così ho pensato di farlo io. – Ha fatto bene. – I bambini dormono? – Quali bambini? – I suoi tre figli? – Ah! Sì, sì. Fanno sempre un sacco di baccano, ma poi crollano di colpo. – Che cosa pensa di fare? Fa un salto alla villa?

9 – Magari domani mattina. Ora non posso uscire. Non posso lasciare soli i pargoli. Non è prudente. – Buonasera, allora. – Buonasera. Leo restò un po con il ricevitore in mano pensieroso. Poi riagganciò. Tornò in cucina. Buttò la cena in pattumiera e mise le stoviglie nel lavandino. Prese il Catalogo doggetti introvabili 1 da una torre in sala. Era il suo libro preferito per rilassarsi. E sfogliandolo si sdraiò sul letto. 1. Jacques Carelman, Catalogo doggetti introvabili, 1978, Gabriele Mazzotta Editore.


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