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LA LETTURA NON VA IN ESILIO

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Presentazione sul tema: "LA LETTURA NON VA IN ESILIO"— Transcript della presentazione:

1 LA LETTURA NON VA IN ESILIO
                                                  ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE "Enrico Fermi" via Capitano Di Castri FRANCAVILLA FONTANA (BR) tel Progetto Classi: IV A Meccanica e IV A Elettronica Docenti: Maria Crocetta Franciosa Paola D’Ambrosio  Anno Scolastico 2005/2006 LA LETTURA NON VA IN ESILIO

2 Presentazione del progetto “La lettura non va in esilio”
Il progetto “La lettura non va in esilio” proposto dal Centro Astalli in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Direzione generale per i Beni Librari – servizio per la promozione del libro e della lettura) intende sensibilizzare gli studenti al tema dell’asilo politico e approfondire la conoscenza delle problematiche dei richiedenti asilo e dei rifugiati. In particolare vuole favorire la riflessione sul tema dei profughi, attraverso la lettura di autori che hanno scritto sul tema dell’esilio. Da sempre l’esilio rappresenta uno degli eventi più drammatici nella vita dell’uomo. I rifugiati sono persone come noi, che, prima di essere costrette a fuggire avevano una famiglia, una casa, un lavoro. Leggere e conoscere le loro storie, tra cui quelle di personaggi celebri che durante la loro vita hanno cercato rifugio lontano dal paese d’origine, aiuta a comprendere parole capaci di valicare confini, abbattere muri, sorvolare la palude dell’odio e della violenza. Parole che parlano di terre lontane, di paesaggi sconosciuti, di lacrime, di angoscia, di miseria, di sradicamento. Parole che ci invitano a riflettere per costruire una società tollerante. Il progetto ha coinvolto due classi dell’istituto: la IV A Meccanica e la IV A Elettronica, che guidate dalle docenti di lettere hanno letto e schedato i libri messi a disposizione dal Centro Astalli. Dopo questa prima fase, gli alunni della IV A Meccanica, durante una discussione in classe, hanno individuato le tematiche presenti in ogni testo ed enucleato quelle ricorrenti quali: l’ emigrazione, l’ accoglienza, l’ integrazione, i bambini soldato. L’attività di ricerca che è seguita ha dato un taglio sociale al lavoro svolto ed è nata la curiosità di conoscere la situazione dell’ immigrazione e dell’ accoglienza in Puglia, anche attraverso un percorso storico di confronto tra passato e presente.

3 Gli studenti della IV A del corso di Elettronica si sono lasciati conquistare dalla lettura producendo commenti, recensioni, o, prendendo spunto dai testi, anche una poesia e un racconto. In particolare, la dignità di chi parte viene evidenziata nel commento della poesia “Due voci“ di Erri De Luca. Le cause dell’abbandono delle propria terra sono diverse: tra le altre, la guerra civile in Colombia e in Serbia, l’autoritarismo in una famiglia irachena , come nelle testimonianze tratte dalla raccolta di storie “La notte della fuga”, a cura del “Centro Astalli”. Tali testimonianze sono state analizzate nelle relative schede di lettura. Una volta giunti nel paese ospitante ci sono i problemi di integrazione, il bisogno di aprirsi alla nuova realtà. Per superare il disagio si avverte l’appartenenza “ solo a ciò che piace”, come è per la cinese Jie, protagonista dell’omonimo racconto in “Una questione di pelle”; oppure si avverte il disagio della doppia appartenenza, come capita ai personaggi e alla stessa protagonista del romanzo “Rhoda”, di cui è stata scritta la recensione. Ci può essere, però, una volta integrati, il bisogno di tornare alle proprie radici, soprattutto se un padre affabulatore lo ha tratteggiato con i colori del mito ad una bambina che ne ha conservato l’incantesimo nel suo cuore, come avviene per l’Afghanistan dell’”L’albero delle storie”. Ma non tutti fuggono dalla propria terra : c’è chi lotta per liberare il proprio paese dal regime coloniale, come si racconta nel romanzo “La vera vita di Domingos Xavier“, in cui il protagonista in Angola combatte contro il regime coloniale portoghese. Le vicende drammatiche hanno fornito lo spunto per una poesia, una specie di testamento spirituale di Domingos. Partendo da un’esperienza personale, nel breve racconto, “Milo, mani di pietra”, viene descritto un episodio di intolleranza che ha per protagonista un albanese reo di aver apprezzato, semplicemente guardandola, una giovanissima romana. Il valore di tale progetto sta nell’entusiasmo dimostrato dagli studenti e nella prontezza della risposta alle sollecitazioni. Per l’insegnante, ancora una volta, è stata, da una parte, un’occasione di aggiornamento personale, entrando in contatto con una produzione letteraria a volte pregevole, ma sicuramente con il valore della testimonianza; dall’altra, un’occasione in più per invogliare alla lettura e alla produzione, anche creativa, i propri studenti.

4 Indice IV A Meccanica Schede di lettura Immigrazione in Puglia
Accoglienza in Puglia ieri e oggi Il problema dei bambini soldato IV A Elettronica Recensioni Poesia Commento Racconto

5 Schede Di Lettura La Vera Vita Di Domingos Xavier E Venne La Notte
Rhoda Soldatini Di Piombo Migramente Solo Andata Questione Di Pelle La notte Della Fuga Sognando Maldini Allah non è mica obbligato Congedi Balcanici ESCI

6 Congedi Balcanici ESCI Notizie sull’autore:
L’ autore del libro “Congedi balcanici” è Drazan Gunjaca; un ex primo ufficiale della marina militare Jugoslavia a Spalato. Da una decina d’anni vive a Pola, dove esercita la professione di avvocato. Una ventina d’ anni fa scrisse in romanzo”A metà strada del cielo”che non ha mai pubblicato; ha dato alle stampe invece il secondo romanzo ”Congedi balcanici”, e in seguito “Amore come pena”(2002). Ha scritto tutti libri sulla guerra, scritti non per esporre le cause, ma per sperare che un conflitto come quello che ha vissuto nella sua terra non si ripeta più. Notizie sul libro”congedi balcanici” “Congedi balcanici” è uscito in Italia nel 2003 presso Fara Editori tradotto da Sardja Orbanic e Danilo Skomercic, ha rappresentato per Gunjaka un ottimo esordio, infatti ha vinto il premio Satyagraha 2002 (Riccione) ed e stato pubblicato in Germania, Australia, USA, Bosnia Erzegovina, Iugoslavia. E’ un romanzo contro la guerra, in particolare contro tutte quelle difficoltà che la popolazione coinvolta deve affrontare, come, soprattutto, l’ impossibilità di mantenere i legami affettivi ben saldi con gli amici e con le ragazze. Si tratta quindi di problemi degli individui, presi singolarmente perchè più indifesi. Nella narrazione di Gunjaca non si parla di divise, perchè ognuno dei suoi personaggi intreccia le sue “sfortune” con quelle dei suoi nemici. Non ha importanza se il protagonista è serbo o croato, oppure se la sua donna è serba o croata, la sofferenza che mette in risalto l’autore e al di sopra di queste distinzioni. Ogni personaggio entra nel racconto in un momento preciso, mostra la sua storia, per non dire disgrazia, e poi “sparisce”tutto nello stesso capitolo. Sembra che il ruolo del personaggio sia finito ma invece più avanti ritroviamo i personaggi (che sono Aca, Bonis, Mario) però “cresciuti” con la guerra e quindi cambiati. Per alcuni dei personaggi c’è addirittura la morte. Il vero protagonista del brano è Rodi che racconta con la sua quotidianità che cosa è stata la guerra nei Balcani. ESCI

7 Questo romanzo parla di un luogo dove le cose belle sono temporanee, mentre il male, purtroppo, non lo è; qui può succedere qualunque cosa, dove un uomo non può meditare da sobrio nella sua vita, dove nessun ideale si può realizzare perchè come dice Robi nel libro: “Qui gli ideali durano solo dall’ oggi al domani”. E’ un luogo in cui sono successe tante cose, tante battaglie ci sono stati tanti morti che hanno dato la loro vita per la patria, il protagonista passa dal dolore alla rabbia, pensando alle centinaia di persone che sono stati mandati a morire, e anche chi è sopravvissuto si è trovato con la vita distrutta per sempre, ma niente di ciò e successo ai “capi” che tornavano in patria solo per qualche festa, senza perdere la coscienza che in patria c’era la guerra. Vittime assolute risultano solo i giovani volontari, pieni di forza, di speranza e di coraggio, persone contente finchè non è arrivata la guerra, con i suoi morti, i suoi feriti e con traumi psicologici. Vittime assolute sono anche i bambini,che si ritrovavano a dover colmare il vuoto lasciato dai loro padri. Comunque in tutto il romanzo ci sono delle storie a lieto fine, ma ci sono anche personaggi che crollano proprio quando sembra che abbiano raggiunto la loro gioia. ESCI

8 Sognando Maldini La scrittrice è una donna africana, che nel libro racconta la sua storia e quella di alcune persone di un piccolissimo villaggio di un'isola africana. Nel libro spiccano due personaggi, Salie e il suo fratellino Madickè. Salie è una donna che emigrata in francia fa la scrittrice, Madikè uno dei tanti ragazzini che vedendo all'unica televisione del villaggio le partite, è un tifoso di Maldini e sogna di andare in Francia per diventare un calciatore ed incontrare il suo idolo, appunto Maldini. Tra una partita dell'Italia agli Europei del 2000 e l'altra, si svolge tutto il libro. Salie, una figlia illegittima, viene trattata male dal marito della madre e viene cresciuta da sua nonna, una donna a cui deve la sua formazione. Inizia ad andare a scuola di nascosto, ed aiutata dal suo maestro, un politico francese mandato in Africa, in quanto scomodato, riesce a convincere sua nonna a proseguire gli studi. Salie sogna di diventare una giornalista e vuole andare a vivere in Francia. Anche i ragazzini che guardano le partite, sognano di andare a giocare a calcio in una squadra francese, per diventare ricchi e andarsene dal villaggio che non offriva niente. Il desiderio di emigrare viene dai racconti della gente che era andata a lavorare in Francia ed era ritornata in patria ricca, raccontavano che in Francia c'era la vera vita, c'era tutto: profumi, vestiti, televisioni. In uno dei suoi ritorni in patria Salie, scopre che suo fratello ha un sogno, quello di emigrare. Aiutata dal maestro, vuole convincere il fratello ed altri ragazzini che tutto ciò che gli altri dicevano della Francia, non era vero. Salie, gli raccontò la storia di un nonno che aiutato da un benefattore aveva raggiunto la Francia per giocare a calcio. Nessuna squadra fu interessata a lui, e il benefattore per recuperare i soldi spesi lo "vendette". Senza documenti, questo fu trovato dalla polizia e dopo alcuni giorni di carcere, fu rimandato in africa. Tornato in patria si vergognava perchè non era riuscito a guadagnare soldi per aiutare la sua famiglia povera e la vergogna lo portò al suicidio in mare. ESCI

9 Ma i ragazzini non credevano o meglio pensavano che a loro non sarebbe andata così.
Salie, non voleva che il fratello andasse in Francia, sarebbe rimasto deluso, allora decise di mettere da parte un pò di soldi e mandarglieli per aprire un negozio nel villaggio. Alla fine ci riuscì Madikè è aprì il negozio e gli affari andavano bene. Il sogno di raggiungere la Francia era stato messo da parte. Il libro mette in risalto la situazione di molti popoli, che non avendo nulla nel loro paese, sono costretti ad emigrare, credendo che nella parte ricca del mondo, c'è la vera vita. Ma quando provano sulla loro pelle tale esperienze, si rendono conto che trovano solo un mondo che li sfrutta e mortifica la loro dignità umana. Infatti da una realtà, quella dei piccoli villaggi africani, dove il senso di umanità è sentito, passano ad una realtà che non li considera affatto. Il libro fa anche conoscere una realtà e cultura molto diversa dalla nostra. Ancora ci si accorge di quanta parte del mondo è tanto povera da non poter mangiare, lavorare, e dove per avere qualcosa di migliore, si è costretti a lasciare la propria patria per andarsene in una terra sconosciuta lontana da tutti gli affetti. ESCI

10 Allah non è mica obbligato
“Allah non è mica obbligato ad essere giusto in tutte le cose di quaggiù”, su questa frase gira tutto il libro, infatti la frase viene pronunciata dal protagonista, Birahima, durante il mostruoso viaggio effettuato da lui e dal suo compagno Macuba attraverso la Liberia e la Sierra Leone sconvolte dalle guerre tribali. Orfano di padre e di una madre costretta da un’infezione a “camminare sulle chiappe”, il protagonista viene affidato ad una zia che vive in Liberia; accompagnato da Yacumba, il quale era un uomo d’affari e bandito capace di fare lo stregone e di costruire amuleti, nel loro viaggio i due compagni vengono rapiti da un gruppo di uomini armati, e il piccolo Birahima per non essere ucciso è costretto a diventare un bambino soldato; d’ora in poi i due vengono sballottati da un luogo all’altro a secondo dell’evoluzione degli eventi politici e militari, e hanno contatti con pericolosi individui, militari e banditi, ma tutti con un unico obbiettivo il denari e il potere; questa gente senza scrupoli per raggiungere i suoi scopi utilizza i bambini soldato che vengono sfruttati e muoiono per una causa inesistente! ESCI

11 La notte della fuga ESCI
In questo libro il Centro Astalli vuole mettere in evidenza come la vita di un rifugiato o di un migrante sia totalmente diversa dalla nostra, e cosa dovrà affrontare uno di essi per avvalersi dei diritti umani; ma la cosa ancor più preoccupante, è come noi siamo estranei a questi fatti, pur conoscendoli. Si sa che nella vita quotidiana, di migranti e rifugiati si parla raramente, e quando se ne parla, essi sono identificati da un foglio di soggiorno, da una pratica o da un dossier come se fossero uomini e donne senza volto; il principale scopo di questo libro è dare un nome e un volto a queste persone, e soprattutto a farci conoscere meglio il loro dramma, le loro sofferenze vissute, gli affetti familiari spezzati, lo strappo dalla propria terra, i sogni e le speranze di persone in fuga, ed anche per farci capire che essi sono persone umane come noi, e quindi come noi devono avere gli stessi diritti umani. Questa è la storia di un uomo Sudanese, che per aver scritto quello che lui ed altri uomini pensavano sul loro governo, è stato costretto a quaranta giorni di prigionia senza cibo, costretto a bere acqua sporca, ed a dormire con gli scorpioni che camminavano sul viso. Sin da bambino quando giocava con il suo fratello maggiore Tag, il suo sogno era diventare un giornalista, quando nel 1985 frequentando la facoltà di letteratura dell’ università di Khartoum vince una borsa di studio per frequentare la facoltà di giornalismo a Belgrado. Sin da giovane, cominciò ad interessarsi di politica, entrando a fa parte del Fronte Nazionale Democratico, un’ organizzazione di sinistra composta da studenti, che si opponevano al governo. Il giorno prima di partire, andò a trovare il fratello Tag in ospedale, ricoverato in coma per una emorragia celebrale; egli non sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’ avrebbe visto, perché Tag morì qualche tempo dopo. Egli frequentò l’ università di Belgrado dal 1985 al Egli svolgeva una normale vita da studente, e scrivendo alla sua famiglia, scoprì che la loro vita era sempre più difficile, ma non erano in pericolo. ESCI

12 Nel 1989 nel suo paese ci fu l’ ennesimo colpo di stato, e lui essendo presidente dell’ associazione degli studenti Sudanesi a Belgrado, decise insieme ad altri studenti di scrivere e divulgare un documento in cui dichiarava che l’ associazione non riconosceva più il governo Sudanese che si era instaurato con il colpo di stato, e quel documento portava la sua firma. Qualche anno dopo scoppiata la guerra in Jugoslavia, fu costretto a tornare in Sudan, e lì fu accolto come un terrorista. Sceso dall’ aereo fu fatto salire in una macchina bendato, e portato in un posto sconosciuto, dove per quaranta giorni fu costretto a mangiare carne marcia ed a bere acqua sporca, ma soprattutto a dormire con gli scorpioni che gli camminavano sul viso. Dopo essere stato liberato tornò dalla sua famiglia, cosciente che nel Sudan non avrebbe più avuto nessuna prospettiva di lavoro, e così decise di scappare. Così con l’aiuto di suo padre, e con l’aiuto del suo partito “il Fronte di Liberazione Nazionale”, riuscì ad ottenere un biglietto per una nave che salpava da Port Sudan diretto a Napoli. Arrivato in Italia trascorse i primi tempi con qualche lavoretto, e mangiando nelle mense pubbliche, fino a quando non conobbe il Centro Astalli che lo aiutò. Così ora è sposato con una donna Sudanese, da cui alcuni anni fa ebbe una figlia di nome Fatima, e solamente può dichiararsi un uomo libero. Concludo dicendo che un immigrato o un rifugiato non è soltanto una persona bisognosa di aiuto, ma è dotata di una straordinaria maturità umana, acquisita grazie sia alle sofferenze patite, sia all’ incontro con culture diverse. ESCI

13 Campioni senza dimora ESCI
L’ AUTORE: Filippo Podestà (1975) è fotografo. Si occupa di fotografia sociale e in particolare della questione dei migranti in Europa e nel mondo. Haiti, Repubblica Domenicana, Bosnia e Brasile sono alcuni dei Paesi di cui ha documentato situazioni di povertà e ricostruzione. Da anni denuncia col suo lavoro la condizione di chi vive nelle baraccopoli della periferia milanese. CONTENUTO DEL LIBRO: Il libro racconta una storia di una squadra di calcio che diventa campione del mondo. Bogdan e Barbara lasciano Katawice il 27 agosto del 1993 per venire in Italia con 700 euro. Prima si recano a Roma ma dopo un breve periodo decidono di andare a Milano perché Roma non faceva per loro. Non avendo i soldi veruna casa cercano di trovare rifugio tra i campi, qui fondano un’associazione che promuove la dignità degli ospiti del campo “piccoli invisibili topolini metropolitani”. Questa associazione, che ha Bogdan consigliere e Barbara come presidente, lavora con l’associazione “3Febbraio” in collaborazione con i centri sociali Milanesi e MultiEtnica, l’associazione sportiva, punta a dare visibilità alle lotte. Bogdan forma una squadra di calcio composta di rom e di immigrati da vari paesi. La squadra anche affrontando enormi difficoltà dei senza casa e dei senza lavoro e non avendo un campo di calcio in cui allenarsi migliorano di giorno in giorno. La prima partita viene disputata contro i consiglieri comunali di destra e della Lega, i tornei dei Csi, queste partite erano una gioia pei giocatori perché avevano la possibilità di farsi una doccia. Sotto le bandiere della pace prosegue il viaggio fino al 2003 al primo mondiale di “Street soccer” duecento atleti, rifugiati, emarginati, uomini e donne di 18 nazioni e l’Italia che porta a casa un quinto posto. Nel 2004 è prima, in un torneo a 26 squadre, ma l’Italia non si è accorta di niente mentre loro erano a giocarsi tutto. CONSIDERAZIONI PERSONALI: Io sono stato contento di aver letto questo libro “campioni senza dimora” perché mi è piaciuto quello che ha fatto Bogdan che pur di farsi ascoltare fa di tutto fino a creare una squadra di calcio multietnica e alla fine diventano anche campioni del mondo ESCI

14 Questione Di Pelle ESCI
Giovanni Maggi vive a Voghera, ha lavorato a lungo nella redazione della Provincia Pavese e poi ha diretto la “Sentinella del Canavese”. Con la giornalista Marta Rattinelli ha scritto “Sfida al buio”, il “Fantastico Po – Miti, fiabe e leggende”, e “Il Po racconta”, scrivendo per ultimo nell’anno 2005 “Questioni di pelle”. “Questione di pelle” è un libro composto da undici racconti differenti e indipendenti tra loro, di undici ragazzi che hanno in comune il fatto di essere immigrati nel nostro paese, ed il libro tratta quindi da differenti punti di vista, quello che è il tema dell’impatto di ragazzi con una nuova società e tutti i problemi che esso comporta tra cui la differenza di pelle. In alcuni racconti di Giovanni Maggi è anche trattato in secondo piano il tema dell’amicizia e quanto sia importante avere vicino un amico in situazioni difficili. Tra tutti gli undici racconti che ho letto, quello che mi ha maggiormente colpito è stato “Omar”. È la storia di un ragazzo, Omar, che trasferitosi dal suo paese originario qui in Italia con la sua famiglia trova difficile ambientarsi nel nostro ed entrare in contatto con gli altri ragazzi suoi coetanei,ed il padre per proteggerlo gli impedisce di uscire fuori dalla loro abitazione. Ma ogni giorno Omar vede una cosa che gli è completamente sconosciuta, la neve, affacciatosi alla finestra Omar vede questa strana cosa bianca e vedendo gli altri ragazzi rotolarsi nella neve decide di uscire fuori e di imitarli per provare, almeno una volta, una sensazione simile a quella degli altri ragazzi e sentirsi finalmente uguale. Ma rotolarsi nella neve Omar non si rende conto di essere finito in mezzo alla strada, dove passa una macchina ad alta velocità che lo investe e Omar perde la vita. Questo racconto mi ha colpito perché pensando che questo ragazzo ha perso la vita, non perché non aveva mai visto la neve ma perché almeno una volta voleva sentirsi un ragazzo “normale”, provando le loro stesse sensazioni e questo credo che ci deve far riflettere e capire quanto le cose più semplici per un ragazzo che non possiede nulla possano rappresentare un vero tesoro. ESCI

15 La Vera Vita Di Domingos Xavier
Autore:José Luandino Vieira Scritto nel 1961 ma pubblicato soltanto nel 1974 per motivi di censura, “La vera vita di Domingos Xavier” ha conosciuto una diffusione clandestina ed è diventato, come scrive Livia Apa nella prefazione al libro, “il simbolo della vergognosa quanto ormai anacronistica crudeltà del potere coloniale […] e di una guerra coloniale spietata che mieterà migliaia di vittime anche tra gli stessi portoghesi”. José Luandino Vieira, figlio di portoghesi poveri, è nato in Portogallo ma vive, dall’età di un anno, in Angola, dove ha conosciuto la povertà, la vita delle musseque, le bidonville che si arrampicano attorno alle città, alle ville dei coloni ricchi, fatte di baracche di alluminio, di cartone, di fango, ma anche la forza e la dignità di un popolo che ha lottato contro il dominio straniero, ha subito la prepotenza, la tortura, il razzismo, ha visto giovani morire nelle carceri e nei campi di concentramento per difendere l’idea di libertà e di indipendenza.  Attraverso il protagonista del romanzo, Domingos Xavier, il giovane alto e magro, impegnato nel movimento clandestino anticolonialista e che preferirà morire piuttosto che denunciare i compagni di lotta, entriamo nella vita povera ma orgogliosa del popolo angolano, tra i giochi dei bambini e i profumi dei cibi cucinati dalle donne, tra le feste che diventano un momento di unione e di resistenza, con i canti di libertà, e i terribili temporali che in poche ore riescono a travolgere le povere case della periferia di Luanda. Attorno alla figura di Domingos Xavier e alla storia del suo arresto, Vieira racconta del vecchio Petelo, del piccolo Zitinho, del giocatore del Botafogo Xico, di Maria, la moglie di Domingos, e di quella rete di solidarietà, di affetto, di amicizia e di complicità che ha reso possibile la resistenza e ha portato a compimento la lotta per l’indipendenza. Vieira fu arrestato nel 1961 dal regime di Salazar e, come ricorda l’amico e critico letteraio Carlos Everdosa, “con noi quel giorno rimasero oltre all’angoscia e a un dolore immenso, Linda inconsolabile e Xexe nell’innocenza dei suoi tre mesi, estraneo al dramma che stava avendo luogo. Ma riuscimmo a salvare il manoscritto de La vita vera di Domingos Xavier, concluso pochi giorni prima”. Vieira rimarrà in campo di concentramento fino al 1972 e lì scriverà la maggior parte della sua opera. A trent’anni dalla pubblicazione in portoghese, il libro di Vieira viene pubblicato anche in Italia, permettendoci di conoscere un testo importante della giovane e ancora poco conosciuta cultura angolana.  ESCI

16 E Venne La Notte ESCI Autore:Victor Majar
Notizie sull’autore:nasce in Libia nel 1957.Nel 1988 e tra i fondatori del gruppo martivo buber-ebrei per la pace,e dal 1993 al 2001 è stato consigliere comunale di Roma. Attualmente dirige il Dipartimento relazioni internazionali dell’associazione nazionale dei comuni italiani. Notizie sul libro:E venne la notte è la storia di una presa di coscienza, cioè quella di un bambino ebreo in un paese arabo che,travolto da un’improvvisa guerra, riesce a comprendere il legame della propria esperienza è la memoria storica della sua famiglia. Commento: in questo libro il giovane Haym racconta di suo zio che guida da sempre il camion tra città e campagna, e quando insieme al padre decisero di vedere la casa dove erano nati.Durante questi viaggi lui non potè mai dimenticare la sua amata Esther, che andò via in Israele per costruirsi un futuro migliore, che nel suo paese sarebbe stato difficile da realizzare.Parla della sua scuola descrivendo come essa è fatta,i suoi amici, la sua maestra Giulia e di tutte le suore ma in particolare di suor Carmen che era tra le più cattive. Racconta del suo amore mai rilevato per la piccola greca Ivy,sbocciato fra i banchi di scuola. Riguardo alla guerra afferma che essa è una cosa terribile per tutti ma soprattutto per chi doveva combatterla;ad essa non vi facevano parte solo i soldati ma anche i civili, infatti le autorità avevano organizzato diversi campi di concentramento per gli Ebrei che venivano considerati nemici.Il 7 luglio ci fu lo sbarco in Sicilia degli alleati e il 19 si accelerò la caduta del fascismo ma non la fine della guerra.Il clima che si creò tra Ebrei e Inglesi stava cambiando,per questo iniziavano degli scontri in strada;questi furono molto violenti e provocarono molti morti.Racconta delle sue cavalcate sui blue belle, e di quando si spingeva fino alla proprietà di Abd Assan Ben Sayed, che era un notabile col quale parlava come un adulto sui perché e sui problemi della vita. Infine racconta che torna ancora sul porto del lungo mare e pensa a quando veniva qui con suo padre e sui perché della guerra. Riflessioni Personali:il libro che ho letto è stato molto interessante e bello perché parla di un argomento molto importante che ancora oggi sussiste quali la guerra. ESCI

17 Rhoda ESCI Autore: Igiaba Scego
Rhoda è il romanzo di esordio di Igiaba Scego, una giovane autrice italo-somala nata a Roma nel 1974 da genitori somali fuggiti in Italia in seguito al golpe di Siad Barre. In Rhoda l'autrice racconta l'emigrazione dal punto di vista di quattro donne somale, appartenenti a due generazioni diverse. Nel romanzo si incrociano i punti di vista di Barni e Faduma, emigrate da tempo in Italia e ancora legati alle tradizioni e ai valori della Somalia; e quelli di Rhoda e Aisha, le nipoti di Barni, che vivono l’integrazione in maniera differenti. È presente anche un punto di vista maschile e italiano, quello di Pino, un giovane volontario napoletano. La vicenda è raccontata su tre piani temporali diversi in un arco di tempo che va dal 2001 al 2003 e si svolge tra Roma, Napoli e il cimitero di Mogadiscio dove “il tempo non ha più importanza”. Nell’ estate del ’90, a Mogadiscio, durante la semifinale dei mondiali Italia – Argentina Rhoda e Aisha scoprono che lasceranno il loro paese per raggiungere la zia a Roma. Rhoda tenta di integrarsi solo attraverso una relazione con Gianna, una donna italiana, ma fallisce miseramente. Prova sentimenti ambigui, che le fanno desiderare la compagnia di questa donna più grande di lei forse per una ricerca di una figura materna. Il rifiuto di Gianna viene vissuto da Rhoda come un rifiuto del suo corpo, della sua diversità non solo di colore, e decide di prostituirsi. La sua vita finisce tragicamente, malata di Aids, trova la forza di smettere di prostituirsi grazie a Pino, il giovane volontario che l'aiuta a riacquistare amore e fiducia in se stessa. Tornata in Somalia, Rhoda muore non della malattia letale, ma vittima della guerra civile che dilania il suo paese, è pugnalata da una banda di criminali e in seguito la sua tomba viene anche profanata. La zia Barni, sapeva bene l'italiano, avendolo imparato a Mogadiscio in una scuola italiana, anzi ha conosciuto prima la cultura italiana di quella del suo paese, ma in Italia, sentendosi sempre dire "Voi negri non sapete l'italiano", si è adeguata a questo stereotipo Barni alla fine accetta la sua vita nel paese dei gaal (gli europei), complice anche il fatto che può finalmente avere un'attività propria (un negozio etnico) insieme alla sua amica Faduma.La figura di Aisha è in opposizione a quella di Rhoda, a differenza dalla sorella la giovane riesce a fare da collegamento tra le due culture, a trovare aspetti positivi in entrambe e vuole combattere il razzismo con l'arma del dialogo. La vicenda si conclude con il matrimonio tra Pino e Aisha, che incontratisi per ricordare la loro “amata” Rhoda si scoprono innamorati. ESCI

18 Soldatini Di Piombo ESCI
Padre Giulio Albanese, nato a Roma nel 1959, vissuto in Africa dove ha svolto la duplice attività di giornalista e di missionario, fondatore dell’Agenzia di stampa dei missionari, la Misna, la Missionary Service News Agency, la più importante agenzia di informazione e controinformazione sulle aree più depresse del mondo. Collaboratore di varie testate giornalistiche tra cui Radio Vaticana, “Avvenire”, “Espresso” e Radio Rai. Nel 2003 il presidente C.A. Ciampi gli ha dato il titolo di Grande ufficiale della Repubblica italiana per meriti giornalistici nel sud del Mondo. Nel suo libro “Soldatini di piombo” pubblicato nel Maggio del 2005 Giulio Albanese ha affrontato la questione dei bambini soldato. Questo fenomeno è presente in tante zone del mondo, in Colombia, in Birmania, nei Balcani, e in tanti altri stati. Lui si è occupato specialmente dell’ Uganda e della Sierra Leone dove c’è una particolarità: gli eserciti ribelli che hanno arruolato o arruolano i bambini soldato sono tra i pochi ad essere, o essere stati,  quasi esclusivamente composti da bambini sia nel caso del Ruf della Sierra Leone, dove la guerra è finita e il Ruf è stato disciolto,  sia nel caso del Lord’s Resistance Army ugandese, che invece continua a combattere. I bambini vengono rapiti in età pre-adolescienziale, subiscono violenze psicologiche, sono costretti a combattere contro gli stessi villaggi dove sono cresciuti, a commettere delle atrocità. Vengono drogati con sostanze anfetaminiche e sottoposti agli allucinogeni per rimanere soldati. Una volta fuggiti dall’esercito ribelle per i bambini soldato era difficile reinserirsi nella loro famiglia d’origine perché avevano ancora atteggiamenti violenti e a volte venivano rifiutati. Stando ai dati forniti dalla coalizione stop all’uso dei bambini soldato, sono più di 300mila i minori di 18 anni attualmente impegnati in conflitti nel Mondo, ma ci sono reclute anche di dieci anni e la tendenza è verso un abbassamento dell’età. Centinaia di migliaia hanno combattuto nell’ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. ESCI

19 ESCI Ho deciso di riportare queste poche righe, tratte da una delle
“…improvvisamente , uno dei miei compagni si presentò con un neonato che piangeva. Il nostro comandante afferrò il piccolo per una gamba, lo sbattè a terra con un pugnale sventrò il petto, tirando fuori tutto quello che c’era dentro: cuore, stomaco… Il sangue scorreva a fiotti e fu raccolto in una latta e bevuto a piccoli sorsi dal capo come se fosse stata una pozione magica. Fu allora che decisi di fare bella figura di fronte agli altri; gli chiesi di sorseggiare quel sangue…” Ho deciso di riportare queste poche righe, tratte da una delle tante storie vere di questo libro, quella di Johnny un bambino sierraleonese, per sottolineare gli orrendi atti che realizzano i piccoli soldatini di piombo a causa delle pressioni che subiscono dai loro “superiori”. ESCI

20 Migramente AUTORE: Sabatino Annecchiarico (Buenos Aires, 1951) – Figlio di emigranti italiani, dal 1985 vive in Italia.Giornalista militante, esperto di geopolitica latino-americana e politiche migratorie, ha lavorato come fotografo, fotoreporter e giornalista per diversi enti di Buenos Aires.Ha collaborato con il progetto “Sirams” dell’ UNESCO e con l’Università di Architettura di Buenos Aires per la preservazione del patrimonio naturale, artistico e culturale del Cono Sur.E’ stato docente della Direcciòn Nacional de Educaciòn para Adultos (DINEA), lavorando in programmi di alfabetizzazione nei quartieri poveri e nelle villas miserias di Buenois Aires.Collabora con numerosi settimanali, mensili e agenzie di stampa in Italia.Attualmente è socio fondatore e presidente dell’Associazione nazionale di mediatori interculturali “StraniEri”. NOTIZIE SUL LIBRO: L’Agenzia Migra è nata nel 2003 grazie a un finanziamento dell’Unione europea con l’obiettivo di dare la parola sull’immigrazione agli immigrati. In Italia vivono tantissimi bravi giornalisti stranieri che raramente hanno l’opportunità di fare il loro lavoro. Migranews per due anni ha messo insieme “menti” italiane e straniere per fornire notizie, racconti, reportages sull’universo dell’immigrazione italiana, spesso tirando fuori delle vere e proprie “chicche”. Al momento l’agenzia è congelata: i fondi sono finiti.Per l’editrice missionaria italiana (Emi) è però appena uscito un volume che raccoglie i testi più significativi di due anni di lavoro.Si chiama Migramente e verrà presentato a Roma il 16 settembre alle ore 18, alla Feltrinelli di via Emanuele Orlando. COMMENTO: Questo libro espone le storie, i punti di vista di venticinque cittadini del mondo, donne e uomini che hanno vissuto in prima persona il fenomeno delle migrazioni e del razzismo.Come sappiamo l’Italia, precisamente nel meridione, è teatro frequente degli sbarchi di migranti.Molti di questi riescono a sistemarsi, ma alcuni finiscono per essere reclutati dalla malavita locale, non a caso le donne e sfruttamento della prostituzione, sono fra le attività più abusate. Così da anni associazioni e organizzazioni di volontariato cercano di aiutare queste donne a uscire dalla condizione di schiavitù per introdurle a una vita libera, offrendo innanzitutto un rifugio sicuro. Alcune ci sono riuscite, altre però hanno paura, le ritorsioni arrivano anche ai parenti nel Paese d’origine. ESCI

21 E’ il caso ad esempio di Mimì, una giovane nigeriana di venticinque anni che è riuscita a “lasciare” la strada e ora vive una vita diversa. Poi la mafia “immaginaria”. Nell’estate del 2003 Reggio Emilia viene scossa da un duplice delitto. Vengono uccisi due ragazzi cinesi e alcuni dei loro connazionali e coetanei vengono arrestati per gli omicidi. I mass media usano subito un automatismo: usare la frase “mafia cinese” anche se nulla del genere emerge dalle indagini. Tra gli arrestati c’è una ragazza minorenne di quindici anni, C.W.K. Il suo avvocato, colpito dagli indizi pesanti contro i ragazzi, dedicò molta parte del suo tempo lavorativo ad aiutarla. Arrivati al processo, egli è riuscito a salvare la ragazza e ora è in una comunità dove frequenta normalmente la scuola ed è stata brillantemente promossa.”E’ stata dura” afferma in una intervista perché le differenze sull’idea di giustizia sono tante quanto le culture. Un’altra storia è quella di Yohan Cazacun, un ingegnere rumeno che lavorava da operaio piastrellista nella località di Gallarate, in provincia di Varese: aveva preteso dal suo datore di lavoro Cosimo Iannese, un trattamento dignitoso pari a quelli dei lavoratori italiani. Fu bagnato dalla benzina e bruciato vivo, dopo mesi di atroci sofferenze dovute alle bruciature che coprivano quasi il 90% del suo corpo, morì all’ ospedale di Genova. A tre anni dalla sentenza che aveva condannato Iannece a trent’ anni sia in primo che in secondo grado (con il rito abbreviato per evitare l’ergastolo), la Cassazione annullò la condanna per “carente motivazione” da parte dei giudici sulla volontà d’uccidere dell’imputato.”E’ stato bruciato per la seconda volta”, risponde la figlia maggiore di Yohan Cazacu, anche la giustizia è stata ingiusta nei confronti del padre. Ci sono molte vicende che colpiscono in questo libro, quello di Papa un “nero” vittima di razzismo e sfruttamento, delle sorelle C con Radio Padania e la vicenda di Porta palazzo. RIFLESSIONI:Questo libro mi ha colpito tantissimo. Mi hanno colpito le storie, i problemi, le3 ingiustizie di tante persone che soffrono. L’immigrazione non deve essere vista come un fenomeno dai connotati negativi, ma come un fenomeno “comprensivo” per tanti motivi: si emigra per disperazione, per motivi politici, per studio, per amore, si parte per una vita migliore, libera, ripartendo da zero. Avevo molte idee circa le sventure degli immigrati, ma grazie a questo libro mi sono accorto che nessuna era paragonabile a quelle. La vita umana non ha prezzo, non ha colore e soprattutto non ha distinzione fra le culture. ESCI

22 Solo Andata ESCI AUTORE: ERRI DE LUCA
Forse vi chiederete se questo è il solito e banale libro che parla sterilmente e staccatamente della vita dei profughi che fuggono dal loro paese in cerca di una vita migliore.. invece no, tratta principalmente dei sentimenti di questa gente. La sua caratteristica è che è formato solo e soltanto da poesie e che oltre a presentare le sensazioni dell’autore descrive le aspettative, i dubbi, le incertezze e le preoccupazioni di gente che si aspetta tanto dal futuro. Le prime poesie sono dedicate alla descrizione di situazioni riprovevoli avvenute nelle zone colpite dalla guerra e perciò all’analisi attenta degli stati d’animo dei personaggi. Masse di gente che si spostano quasi fossero una mandria di montoni. Una delle poesie che mi ha colpito di più è intitolata ”H2O2”. Questa poesia parla di una madre che per non far entrare sua figlia nei campi di concentramento le tinge i capelli con l’acqua ossigenata. All’ età di otto anni la portò da un chirurgo perché le rifacessero il naso, e sugli album fotografici colorava i suoi occhi di azzurro. La madre fece tutto ciò per paura che i tedeschi le portassero via la cosa più preziosa che avesse, sua figlia. Per farla apparire di razza ariana, la sottopose ad ogni genere di intervento chirurgico. Dopo tanti anni la bambina diventò una donna e ripensando a quei giorni capì quanto “l’acqua ossigenata” le avesse salvato la vita. Ciò sta a dimostrare due cose. Una è la malvagità tedesca che faceva apparire bella agli occhi di tutti la propria popolazione non dando importanza ai sentimenti di quella gente che veniva torturata e uccisa crudelmente. La seconda è l’amore sconfinato di una madre nei confronti della propria figlia. Le altre poesie sono altrettanto emozionanti e intense poiché rispecchiano realmente gli stati d’animo di gente che vive in paesi purtroppo afflitti ancora da guerre. L’attività svolta è stata molto interessante, perché oltre a permettermi di conoscere gli stati d’animo, speranze e aspettative di persone in condizioni di vita particolari, mi ha fatto capire che la poesia è un ottimo mezzo per esprimere le proprie emozioni. ESCI

23 Recensioni AA.VV., La notte della fuga
Giovanni Maggi, Questione di pelle Igiaba Scego, Rhoda Saira Shah, L’ albero delle storie Josè Luandino Vieira, La vera vita di Domingos Xavier ESCI

24 AA.VV., La notte della fuga
Il titolo del libro è “La notte della fuga”. Scritto da più autori, racconta fatti realmente accaduti di gente che è dovuta scappare dal proprio paese a causa prevalentemente della guerra. Le vicende narrate si sviluppano per lo più di notte trattandosi di fughe: solo alcuni di loro hanno potuto lasciare la loro terra alla luce del sole. Il libro è una denuncia per tutta quella gente che a causa della guerra è costretta a scappare in posti sconosciuti senza sapere cosa fare e dove andare. Le vicende sono narrate in prima persona, perché sono testimonianze scritte di proprio pugno spesso per esprimere il dolore provato, riuscendo così a trovare il coraggio e la forza per andare avanti. Proprio per questo motivo il linguaggio è crudo, perché si vuole trasmettere la verità che spesso è stata così crudele. Non mancano riferimenti a minacce e tante volte anche violenza. Lo stile è essenziale perché si deve colpire il lettore ricordandogli che ciò che sta leggendo è tutto vero. Tra le undici storie raccontate però due mi hanno colpito in particolare: le storie di vittime della guerra civile in Colombia e nella ex Jugoslavia. La vittima della guerra civile in Colombia ha perso il padre in giovane età, ucciso dai guerriglieri (almeno questo è quanto affermò la polizia del luogo).Da quel giorno Isabel (così si chiamava la donna)dovette crescere in fretta perché la guerra prima o poi avrebbe colpito anche lei. Molti anni dopo l’accaduto Isabel ebbe una figlia che chiamò Marianna,cresciuta senza il padre, costretto ad allontanarsi per “non mettere in pericolo”né Isabel né Marianna. Una sera mentre la donna cercava di far addormentare la piccola, ebbe una visita indesiderata da parte di un uomo con il volto coperto che le ordinò minacciosamente di abbandonare la Colombia, probabilmente perché aveva assistito all’omicidio di un suo collega nell’ufficio dove lavorava. Fu costretta ad eseguire l’ordine, anche se quel viaggio l’avrebbe portata lontana da sua figlia che avendo solo due anni non avrebbe potuto sopportare le condizioni di vita precaria che si prospettavano per lei. Era costretta a perdere per la terza volta una persona a lei tanto cara: dopo il padre e il marito,ora anche la figlia, affidata alle cure di sua madre. ESCI

25 Arrivata in Italia, decise di non arrendersi e di richiedere subito asilo politico per poi poter richiedere il ricongiungimento. L’attesa fu lunga, ma dopo ventisette mesi poté riabbracciare la sua piccola. Mi è piaciuta molto questa storia perché si sottolinea l’enorme coraggio e la forza d’animo di quella donna che fino alla fine ha combattuto riuscendo a raggiungere i suoi obbiettivi. La storia di Igor invece parla di una insegnante di italiano che si innamora di un serbo. Questo grande amore aiuterà moltissimo il giovane profugo ad inserirsi nella società italiana. In questa storia si può notare la “rinascita”che può scaturire da un amore, e soprattutto si conferma la teoria che un uomo dopo aver vissuto tanti terribili momenti può riprendere da dove ha lasciato, reprimendo (ma non cancellando) quei ricordi dolorosi e riprendendo a vivere. A mio parere la lettura delle storie di questo libro è molto istruttiva perché fa vedere le vicende delle migrazioni da un altro lato, più sensibile, più umano. Con questo voglio dire che i personaggi dei racconti è tutta gente come noi nata in luoghi dove è difficile vivere, ma combattendo è riuscita ad uscirne e a riprendere la propria vita. Ma in queste storie non c’è solo la voglia di ricominciare e l’attesa di un futuro migliore, ma anche il ricordo degli orrori e dei torti subiti. ESCI

26 Giovanni Maggi, Questione di pelle
Questioni di pelle è una raccolta di undici racconti scritti da Giovanni Maggi, giornalista contemporaneo che vive a Voghera. Il problema dell’integrazione degli immigrati in Italia, affrontato in questo libro, è ben visibile anche grazie alla presenza di diverse realtà verosimili raccontate per lo più in prima persona che permettono di vedere come siano difficili e così tanto vicine queste problematiche.I personaggi raccontano il loro viaggio verso l’Italia, visto come un viaggio di speranza che cambierà in meglio la loro vita anche a costo di abbandonare la propria terra. Il gioco vale la candela perché all’interno dei racconti i personaggi si espongono a innumerevoli difficoltà, ma grazie anche all’aiuto di parenti o amici, anche italiani, riescono ad avere la meglio sulle avversità e sui problemi dovuti alla loro situazione. In aggiunta all’importante decisione del viaggio, forse il più importante che faranno nella loro vita, i protagonisti vivono un cambiamento della loro situazione. Questo cambiamento è accompagnato da una successiva trasformazione, ed è questa ‘metamorfosi’ che ci porta a scoprire una nuova realtà in una realtà già nuova per quelle persone. Questo passaggio è considerevole perché ci permette di capire come sia possibile una loro presenza nella nostra società senza differenze e discriminazioni. Esempio di questa metamorfosi è quella vissuta nel quarto racconto” Jie”, dal nome della protagonista. È la storia di una ragazza cinese che, in seguito ad un incontro casuale con un gruppo di ragazzi italiani, prende coscienza di sé arrivando a ribellarsi a chi le dà lavoro. Questa conoscenza di se stessa la porta a rivalutarsi, rendendosi conto che si può uscire dalla situazione di sfruttamento in cui si trova.” Deve vendere, per ora non c’è altro da fare. Ma non lo avverte più come un obbligo, un dovere. Sfiora nella tasca il biglietto che le ha dato il giovane alto. E avverte confusamente che c’è qualche cosa che sino ad oggi le è rimasto sconosciuto: l’appartenenza solo a quello che si desidera, che piace.”Appunto questo è il pensiero chiave della trasformazione, in questo caso da uno stato di sottomissione ad uno di indipendenza. L’autore riporta fedelmente le sensazioni, i dubbi e le speranze dei personaggi dandoci l’impressione di sentirli parlare mentre leggiamo. La presenza dei dialoghi favorisce una lettura più veloce, anche se a volte il linguaggio diventa crudo e volgare. Giovanni Maggi con questo libro ci propone di vedere in maniera diversa gli immigrati che incontriamo nell’arco della nostra vita, ormai quotidianamente, perché la loro presenza non ci deve impaurire o farci vivere in uno stato di difesa, ma aprirci a nuove idee vivendo nel rispetto di chi lascia tutto senza nessuna certezza del futuro in un viaggio pieno di speranze e paure. ESCI

27 Igiaba Scego, Rhoda ESCI Notizie sull’autore:
Igiaba Scego è nata a Roma il 20 Marzo 1974, da genitori somali, rifugiatisi in Italia dopo il colpo di stato militare di Siad Barre (1969) che mise fine alla felice parentesi democratica del paese. È laureata in lingue e letterature straniere all’università La Sapienza di Roma. Ha collaborato con alcune riviste che si occupano di immigrazione tra cui "Latinoamerica", "Carta" e "Migra". Nel 2003 ha vinto il premio letterario Eks&tra per scrittori migranti. Di prossima pubblicazione un suo libro "La nomade che amava Alfred Hitchcock", Sinnos editore. Il suo interesse per il mondo dell’intercultura non è nato solo per le sue radici somale, ma anche grazie all’incontro con persone illuminate (sia nel mondo accademico sia all’esterno). Dopo gli studi infatti ha collaborato con alcune ONG (anche sul triste fenomeno delle mutilazioni dei genitali femminili) ed ha continuato il suo percorso di studi. Nel 2002 ha conseguito un master in peacekeeping and security studies all’Universita Roma Tre e ora sta ultimando il corso di specializzazione in educazione interculturale nella stessa università. Attualmente vive a Roma dove si divide tra la passione per la scrittura e il lavoro. Genere: Il genere del testo è un romanzo in quanto si tratta di una narrazione di vicende di più personaggi che implica una situazione iniziale di cui segue gli sviluppi fino alla conclusione. Trama e personaggi: La trama del testo si basa sui fatti verosimili, inspirati a situazioni reali ma sviluppati in modo fantastico. L’autrice racconta l’emigrazione dal punto di vista di quattro donne somale: Barni e Faduma, emigrate in Italia già da tempo, e Aisha e Rhoda, nipoti di Barni.La storia più travagliata è quella di Rhoda, a cui si ispira il titolo del libro. Rhoda, viene presentata dapprima indirettamente fino a che la sua esperienza viene ripercorsa mediante un ESCI

28 flashback: ella, tornata in Somalia e ormai morta rievoca la sua sofferta esistenza da quando con la sorella Aisha ha dovuto lasciare Mogadiscio per raggiungere in Italia la zia. Un’emigrazione vissuta come un’imposizione, tanto che non ha mai voluto inserirsi (condizionata in questo anche dall’atteggiamento della zia).L’unico tentativo di integrarsi con Gianna, una donna italiana, fallisce. Rhoda desidera questa donna più grande di lei: la ammira, vuole la sua compagnia, ne è attratta, ricerca in lei una figura materna. Il rifiuto di Gianna viene interpretato da Rhoda come un rifiuto della sua diversità. Questa è la scintilla che la induce ad auto-emarginarsi con la prostituzione. Non è la necessità del denaro la causa della prostituzione, ma questa è un espediente per sentirsi desiderata dagli italiani che disprezza ma che invidia ‹…” Io invidiavo quella gente. Sotto sotto avrei voluto essere come loro”…›. La vita di Rhoda finisce tragicamente: malata di AIDS trova la forza di smettere di prostituirsi,torna in Somalia dove muore, non per la malattia, bensì per una banda di criminali che la pugnalano mentre è ancora in corso la guerra civile. Verrà profanata anche la sua tomba. La ritroviamo in un luogo in cui “il tempo non ha importanza”, nel cimitero di Mogadiscio. Mentre per tutti è ormai morta, lei riesce ancora a sentire gli odori, percepire presenze: è questo il momento di chiedersi il senso della propria esistenza, di capire a pieno le ragioni del suo auto-distruggersi. Sulle stesse ragioni si interrogano anche gli altri personaggi, fra cui Aisha, primo personaggio del libro, presentata in una situazione spiazzante: quel suo tagliarsi i capelli in maniera così netta sarà dettato dalla sua scarsa vanità o è un taglio che rappresenta un rimedio al dolore? Aisha è una figura antitetica a quella di Rhoda. Lei riesce a rapportarsi sia alla cultura somala che a quella italiana, vuole dimostrare che attraverso il dialogo si può superare il razzismo e trova in entrambe le culture degli aspetti positivi. Aisha è triste e questa tristezza porta il nome di Rhoda. E’ presente anche il punto di vista di un italiano: Pino, un giovane volontario napoletano che si lega a Rhoda e la aiuta a smettere di prostituirsi. Il duo Barni-Faduma è ossessionato dal ricordo di Rhoda. Si trovano di fronte a un dolore improvviso. La zia Barni in particolar modo, dopo la morte di Rhoda, comprende che il suo atteggiamento negativo verso l’Italia e gli italiani le ha impedito di vivere veramente.Alla fine Barni riesce ad aprire un negozio etnico, attività che le permette di mediare la cultura somala e quella italiana e riesce così ad accettare di vivere nel Paese dei “gaal”. La vicenda è ambientata nell’Italia contemporanea fra Roma e Napoli, ma sono presenti alcune digressioni; si sviluppa su piani temporali diversi. ESCI

29 Struttura narrativa:L’autrice fa parlare Rhoda e gli altri personaggi in prima persona usando il monologo interiore per evocare ricordi, pensieri e situazioni. Il discorso che prevale è quello indiretto. La costruzione sintattica è varia mentre per ciò che riguarda le scelte lessicali,l’autrice spazia nella scelta del lessico utilizzando termini somali, espressioni gergali e talvolta volgari, tipiche del linguaggio parlato. Lo stile è incisivo, ma talora ampio. Tematica/problematica: L’autrice affronta il tema della doppia identità e della emigrazione. Il suo punto di vista rispetto all’argomento è significativo avendo vissuto egli stessa tali problematiche. Questo le permette di osservare la realtà con gli occhi di una somala e contemporaneamente con quelli di un’italiana. Sembra addirittura ritrovare un’alter ego nella figura di Aisha che come lei, sa prendere il meglio dei due mondi, conscia del fatto che vivere in una società come quella attuale, che si sta appena aprendo al multiculturalismo, comporta delle difficoltà. E’ convinta d’altra parte che per abbattere i pregiudizi, che talvolta si basano sull’ignoranza, è necessario far conoscere la propria cultura. Valutazione critica: questo libro a me è piaciuto in quanto si propone come denuncia di una triste realtà che purtroppo dilaga nel nostro Paese e ci permette di comprendere l’isolamento di chi emigra e si trova a vivere ai margini della società ospitante. L’atto di prostituirsi può essere inteso come metafora della situazione del migrante, unasituazione che porta Rhoda a essere vittima di una società che vede la donna straniere solo attraverso gli stereotipi della modella o della prostituta. E’ certamente duro vivere sapendo che in Italia una donna nera ha nell’immaginario comune spazio solo come “femmina disposta a vendersi per pochi spiccioli”. Anche la zia Barni è vittima dei pregiudizi: ella sapeva bene l’italiano ma sentendosi sempre dire “voi negri non sapete l’italiano”, si è adeguata a questo stereotipo. Penso che l’importanza di tale libro risieda nell’evidenziare i problemi dei giovani che appartengono alla terza generazione dei migranti e nel comprender come sia difficile sviluppare una doppia appartenenza. ESCI

30 Saira Shah, L’ albero delle storie
L’albero delle storie è la storia della scoperta dell’Afghanistan da parte di Saira Shah, giornalista di channel 4 , più volte inviata di guerra, che visita la terra dei suoi avi in più riprese tra gli anni ’80 e il Il testo è una testimonianza sull’ Afghanistan: infatti, Saira Shah, giornalista di guerra ed autrice del testo, ripercorre le fasi dei vari viaggi, alternando ai ricordi in presa diretta del primo contatto con la patria, a fianco dei mujahidin, alle immagini della guerra civile degli anni ’90, a quella dell’uscita dei talebani, fino al reportage realizzato nel 2001, prima e dopo l’11 settembre. E’ un paese semidistrutto dai bombardamenti, quello di Saira Shah, dilaniato dalle rivalità fra etnie, con una popolazione decimata da vent’anni di violenze, fame, un paese che nonostante la bellezza del suo aspetto sta andando in rovina. Le città-gioiello, i giardini, i palazzi blu sotto un cielo altrettanto blu sono spariti. Ma Saira Shah non rinuncia a cercarli: è cresciuta in un verde villaggio inglese del Kent dove suo padre non hai smesso di raccontarle le storie della sua nobile famiglia e di quel paesaggio magico: l’amata Kabul. Nel 1982, Saira Shah, allora adolescente, si avvicina finalmente alla sua amata terra di origini, in occasione del matrimonio di un suo cugino, in Pakistan. Nella casa dello zio, nuove storie, innumerevoli episodi famigliari e vivaci storielle si aggiungono a quel patrimonio che fa di lei quella che è: due persone in una, una ragazza di classe media e pacifista, cresciuta in Occidente, e un “nobile combattente che non ha paura di nulla”. Quest’ultima parte emerge soprattutto nella sua lunga convivenza con i mujahidin, durante la guerra contro l’Unione Sovietica. Durante questo periodo Saira si identifica con questi combattenti, i quali non hanno paura di perdere la loro vita per difendere la loro patria, la loro amata terra. Nel 1986 Saira Shah entra finalmente in Afghanistan, come giornalista. Si è preparata al viaggio con tutta la cura che impone l’amore per il paese natale: ne ha studiato le lingue, la storia, l’archeologia e conosce bene il Corano tollerante dei suoi avi. Da allora ci è tornata molte altre volte. È a Kabul nel 1992, quando i mujahidin vincitori entrano nella capitale; è tornata a Kabul nel 1996 per raccontare la presa del potere da parte del movimento talebano. Saira in questo libro documenta la distruzione e l’orrore, ma anche il prolungamento di una memoria passata. La nostra autrice scopre che la realtà è diversa dai suoi miti, e che la verità si trova in un territorio mitologico. Infatti scrive: “Il mio viaggio fin qui è durato vent’anni. Mentre cercavo di raggiungerlo, il luogo che aveva ispirato il mito è stato distrutto. Ma solo grazie al mito ( la mappa delle storie che la mia famiglia ha disegnato ESCI

31 per me in quegli anni ormai lontani) posso riconoscere la bellezza in questa rovina “. Ed ancora, ricordando le parole del padre,” Le storie sono come un albero che si staglia all’orizzonte. Tu avanza verso l’albero, così manterrai il tuo cammino su una linea retta. Ma la tua meta non è l’albero in sé. Appena l’avrai raggiunto ignoralo, e scegli un altro punto più lontano”, l’Autrice aggiunge: “ Io non sono mai riuscita a trovare l’Afghanistan mitico che ho passato tanti anni a cercare, ma il viaggio mi ha portato in luoghi di cui all’inizio non avrei mai nemmeno immaginato l’esistenza. E alla fine ho imparato il vero valore del lascito di mio padre. Porto queste storie nel mio cuore: quando le ascolto, esse sono con me dovunque io vada.” Saira narra tutto ciò che ella ha vissuto, in prima persona, soffermandosi a volte su alcuni comportamenti di sottomissione delle donne afgane, messe a confronto con le donne occidentali. Il linguaggio è molto realistico, particolarmente dettagliato quando analizza il modo di agire e di pensare, ad esempio dei mujahidin o del diverbio fra le sue due zie in Pakistan. Lo stile è discorsivo e ampio, a volte la narrazione di alcuni episodi diventa ripetitiva. Per quanto riguarda i miei orizzonti di lettura questo libro non è molto affine al mio genere. Nonostante ciò, ne consiglio la lettura perché mette in evidenza i modi di pensare di queste popolazioni che si rivelano per noi occidentali completamente fuori dal comune, ed inoltre aiuta a capire il perché di una cosi grave situazione che vi è in quel territorio martoriato dalla guerra. ESCI

32 Josè Luandino Vieira, La vera vita di Domingos Xavier
Prefazione alla poesia Questa poesia è stata scritta prendendo spunto dal romanzo intitolato “La vera vita di Domingos Xavier” che comunica al lettore valori morali e sociali essenziali per il vivere civile molto profondi. Il libro appena citato è stato scritto da José Luandino Vieira nel 1961, ma per motivi di censura è stato pubblicato nel La storia del trattorista Domingos, un giovane negro alto e magro impegnato nel movimento clandestino anticolonialista presente in Angola, si articola in un romanzo che ritrae la crudeltà dei colonizzatori portoghesi nel territorio africano. Il momento cruciale, dal quale dipendono le varie vicissitudini del racconto, è la cattura da parte della PIDE (polizia segreta portoghese guidata dal regime dittatoriale di Salazar) dell’innocente Domingos. A questo punto nel romanzo sono evidenti i toni bassi ed aspri che accentuano l’insopportabile sofferenza del protagonista all’interno della prigione, pronto a subire continue umiliazioni e ad essere martoriato disumanamente. Nonostante il suo corpo martoriato, Domingos tace completamente alle domande fattegli dal capo della polizia ironico, ma razzista al tempo stesso. Il giovane senza nessuna speranza di salvezza preferisce essere ucciso piuttosto che riferire tutti i nomi dei suoi collaboratori, compreso quello del bianco Bernardo de Sousa. C’è da dire che buona parte di quanto raccontato nel romanzo da Vieira è davvero accaduto e le personaggi, con nomi inventati, ricalcano persone esistite realmente. La poesia qui riportata è stata realizzata immaginando che l’innocente ed indifeso Domingos l’abbia scritta di proprio pugno durante il periodo di prigionia salutando con tono nostalgico tutti i suoi amici collaboratori, suo figlio ancora bambino e sua moglie, Maria, pensando a lei che addolorata lo starà cercando ansiosamente. Inoltre, questa poesia è dedicata al protagonista e a tutti quelli che, purtroppo, hanno avuto il suo stesso crudele destino. ESCI

33 Poesia ESCI Un eroe fedele al suo popolo
Mi vedo lì, alle nostre feste, al sol pensiero mi sento triste. L’odore buono di cibi e pietanze, i giochi, i canti e le danze. In quelle baracche che a noi sembravan castelli passammo i momenti più belli. Sarà la lotta contro lo straniero a rendere il nostro popolo fiero. La camionetta blu ed il soldato severo mi hanno fatto prigioniero, tra i baobab fioriti e giganti si udì dei miei amori grida e pianti. E la cella dal cattivo odore rende ancor più cupo il mio dolore. Ma a voi amici rimango fedele con umiltà sopporto le pene. Semmai vinceremo questa battaglia solo un pensiero mi attanaglia, abbandonare un’anima sola che ora per me si addolora. ESCI

34 ESCI Erri De Luca: Solo andata
Erri De Luca , nato a Napoli nel è scrittore e giornalista italiano. Dopo la militanza politica degli anni giovanili nell’estrema sinistra e un lungo periodo di lavoro come operaio, muratore e camionista, nel 1989 esordì come scrittore con il romanzo Non ora non qui. Al volume d’esordio fecero seguito numerosi racconti e romanzi brevi, caratterizzati da uno stile asciutto e incisivo e da una forte tensione etica. L’interesse per la cultura ebraica, che lo ha spinto a studiare da autodidatta l’ebraico, lo portò a tradurre con uno stile letterario molto personale alcuni libri dell’Antico Testamento di cui curò l’edizione tra il 1994 e il Nel 1997 uscì una raccolta di articoli (Alzaia) scritti per il quotidiano "L’Avvenire", una delle testate giornalistiche con cui ha collaborato come opinionista. PARAFRASI E COMMENTO DELLA POESIA : DUE VOCI Siete del sud: no, veniamo dall’equatore, che divide la terra in due metà. La nostra pelle è di colore scuro, per la luce più forte, ci allontaniamo dalla metà del mondo, non dal sud. A piedi, con il vento contro nel deserto del Sahara, luogo di bellezza della notte con le stelle che sembrano essere appese nel cielo. Ci muoviamo carichi d’acqua su una spalla, di cibo sull’altra, con il mantello, la camicia e il libro di preghiera. Il cielo è alto, il cammino già scritto, più corto della crosta terrestre. La sera, ricuciamo i nostri sandali di cuoio con filo di budella e ago d’osso, ogni attrezzo ha un valore, ma vale di più il coltello . Dio della terra che ci hai creato poveri e al tempo stesso padroni dell’universo infinito, ci hai dato anche un nome per invocarti. ESCI

35 Commento In questa poesia l’Autore ci parla di migranti provenienti dal Sahara, che hanno “ la pelle annerita dalla più dritta luce” . Vi è rappresentato il percorso che compiono, il cammino faticoso “ a spinta di calcagno”, il vento del deserto incessante, poche e umili cose personali con sé: l’acqua, il fagotto, il mantello per ripararsi dal caldo del giorno e dal freddo della notte, la camicia. Non manca il libro di preghiere, per invocare il” Signore del mondo” nei momenti di solitudine e sconforto, ma neanche l’ago d’osso per poter ricucire “il cuoio dei sandali col filo di budello” e il coltello, che ha più “valore” più di tutti gli altri “arnesi”, per potersi difendere. Il Poeta esalta la bella visione della natura del deserto nella notte con “tutte le stelle appese” che suscita un piacere immenso negli animi dei migranti, ma, d’altra parte, li fa sentire dei miserabili costretti a spostarsi in cerca di fortuna, disprezzati dalla “prima voce” che chiamandoli del “sud “li fa sentire inferiori. Quando a parlare è la “seconda voce”, la voce dei migranti che vengono dal sud, si può vedere la loro dignità messa in risalto, nel momento in cui rispondono che non vengono dal sud, ma vengono dal “ parallelo grande, dall’equatore centro della terra ” e si sentono “padroni delle immensità” del creato. Possiamo vedere la loro umiltà, anche nel momento in cui l’Autore li raffigura durante la sera, quando per loro anche la possibilità di poter ricucire i sandali, e quindi poter proseguire questo viaggio, è un segno divino, è già un traguardo . Rassegnati al destino che si beffa della loro condizione di ricchezza e miseria al tempo stesso, innalzano l’invocazione finale come conforto al Signore del mondo nel momento in cui intraprendono il loro viaggio. ESCI

36 Milo,mani di pietra ESCI
Di bambini virus è piena la piazza. sono dappertutto. Loro e i loro motorini. Li senti da lontano che si chiamano tra loro: urlano, ballano, cercano il fumo. O stai con loro o ti affacci dalle balaustre del centro commerciale e ti metti a guardare: c’è chi dice che sembra di stare allo zoo. I bambini virus non superano i venticinque anni, si sporgono alti dalle scarpe con la zeppa color oro, argento o fucsia shocking e hanno i capelli più strani del mondo: ciuffi stinti di biondo o di rame, dritti e pungenti. Oppure rape rasate come quadri con i peli messi a disegnare croci celtiche in altorilievo o scritte tipo viva il duce. I bambini virus si pomiciano le ragazze restando seduti sui motorini e si calano pasticche a tuttandare. Il bello di stare a guardarli è che ogni tanto qualcuno scolla il sedere dal sellino del motorino e comincia a muoversi a scatti, in preda alla pasticca della sera prima che risale quando meno te l’aspetti: sono gli scatti della danza techno. E se un bambino virus, dove sta sta, comincia la sua danza, presto diventano in tanti a muovere a scatti testa, braccia e gambe e a fare gli occhi stralunati, mentre con la bocca riproducono i suoni della musica techno modulando i toni della sillaba bo: “Bo. bo, bobobo. ho. ho, bobobo, ho. ho. bobobo, bobobo, bobobo, bo. bo, bobo...” La musica finisce all’improvviso. Le chiappe adagiate su una sella di scarabeo, le mani strette sopra al didietro di qualche ragazza. magari i bambini virus decidono di farsi una canna: “Bo, ho. bobobo, aoh! Che ce l’hai ‘na sigheretta? E n’avvorgibile’? Aoh! Te voi dì a Coso da passamme n’avvorgibile, tacci tua...” “Bo, ho, boboho, che voi? N’avvorgibile’? Ce l’ha Coso: Aoh! Ah Coso! Te vo Coso.” “Che voi?” “Che me passi n’avvorgibile’?” “Aoh! N’te ‘e comprà mai ‘e cartine, sa. Io te passerebbi ‘na sveglia. artro che n’avvorgibile. tacci tua...” “Bo, ho, bobobo, aoh! Ah Secco! Che me fai accenne. ah Secco! Oh! Ah Secco! E damme d’accenne!” Stranamente, dopo tutto quel chiedere, i bambini virus non si passano la canna seguendo un giro preciso: la droga, per loro, è un consumo non un rito. Chi c’ha il fumo fuma per conto suo o al massimo passa la canna all’amichetto o alla ragazza e si sbriga pure per paura di un possibile colpo di mano di qualche bambino virus ingordo e senza fumo. ESCI

37 Infatti chi non c’ha il fumo si sbatte come può per scroccare tiri di canna il più possibile, naturalmente urlando: “Ah Coso porcoddue, t’ho chiesto se me lasciavi du’ tiri!” “Aoh! Vedi d’annà a.... tacci tua: compratelo er fumo così poi te fai tutti i tiri che te pare.” “Vabbè. oh! E che t’ho detto? Lasciameli du’ tiri porcoddue...” Dalla balaustra del centro commerciale agli striminziti giardini della piazza, i discorsi dei bambini virus arrivano sotto forma di strilli, sgasate improvvise, bestemmie e pomiciate. Seguo dall’alto le monotone evoluzioni dei bambini, lunghe da motorino a motorino e finalizzate allo scambio di occhiali di plastica trasparente, da provare subito, di fronte allo specchietto: ciò che mi stupisce di più è la loro alterigia nei confronti di me stesso. I bambini virus portano le scarpe con la zeppa e girano in scarabeo, stanno le ore a pensare di rasarsi i capelli in un certo modo e poi vanno in discoteca con gli occhiali da sole giallo fosforescente e si calano l’ecstasy e la ketamina. Tutto è vero in loro: le loro cose e le loro azioni formano messaggi coincidenti. La gerarchia delle loro cose e delle loro azioni ne fornisce il senso. Inutile cercare ambiguità. Come nella pornografia e nella pubblicità, così nei bambini virus: quello che si mostra è quello che si mostra e basta. Smetto di pensare quando sento che si urla ancora più forte: c’è qualcosa che non va, forse una rissa. C’era, spintonato in un angolo, un uomo sulla trentina. Dalla pettinatura - capelli lunghi sulle spalle e rasati ai lati - sembra un albanese. Una ragazza gli strilla forte in faccia che cosa cavolo c’ha da guardare. Pure io mi metto a guardare la ragazza: minigonna striminzita con il filo del tanga in rilievo tra i fianchi stretti, calze a giarrettiera e camicetta trasparente, dodici anni al massimo. Un mucchio di bambini virus hanno fatto gruppo intorno all’albanese, gli vanno sotto a turno e lo insultano: “Che te guardi!” “Qui stai a casa nostra l’hai da tenè bassi l’occhi quanno cammini!” “Tornatene ar paese tuo, pezzente ‘nfame!” L’albanese, in ogni caso, conosce il fatto suo e resta tranquillo. Per un po’ prova persino a fornire delle giustificazioni: “Amico, io no stava guardando.” Lui ci voleva mettere una pietra sopra ma i bambini virus no, insistono. Basta alzare una mano ed è subito troppo: all’albanese parte subito uno sganassone che arriva al bambino virus che si è fatto troppo sotto a mano aperta sulla faccia. Mano da lavoro pesante, mano che viene dalle cave di tufo che stanno sulla Teverina. ESCI

38 Ottanta sacchi al giorno, sedici ore di lavoro: strappare tufo dalla montagna, tagliarlo a squadra, impilarlo sulle pedane. La sera a dormire nelle casupole di lamiera in mezzo alle ruspe con altre cinque, sei persone e sempre poca birra, una sigaretta veloce e poi sotto le lenzuola. pensando ad altro. La sveglia è alle cinque di mattina: sono blocchetti non appena aperti, gli occhi. C’è solo un giorno libero a settimana, il giorno sbagliato dei bambini virus. Il primo a prendere lo schiaffo dall’albanese rincula dieci metri e s’accascia sul cofano di una punto marrone con lo stampo del cinque impresso sulla faccia, Il galletto della situazione pensa di farla finita con un cazzotto a tradimento: si becca un calcione nello stomaco e poi sono pizzoni made in Albania per tutti i bambini virus che si fanno avanti. Alla fine c’è rimasto solo l’albanese, al centro della piazza. Io, a un certo punto. avevo smesso di guardare, per scendere in piazza ad aiutare l’albanese contro tutti quei coatti. Quando arrivo, però, sono in tempo solo per calmarlo: “Io no guardare, io camminare e lei in mezzo a strada e se passare per strada io guarda quello che mi pare.” “Hai ragione, come ti chiami?” “Milo, io lavorare in cava di pietra.” “Avranno chiamato le guardie. ti conviene andare.” Milo. senza fretta, se ne va. Dei bambini virus, adesso, non c’è traccia. Alla ragazza che si era arrabbiata tanto chiedo: “Ma che t’ha fatto?” “Aoh, me stava a guarda’!” Così, nemmeno fatta sera, niente più bambini virus in piazza: stanno dal dottore o si sono spostati in qualche bisca a tramare vendetta. Della loro recente presenza restano solo chiazze di catarro sul marciapiede e cicche di canna in abbondanza. Questa volta, ai bambini virus è andata male. ESCI

39 Bambini soldato:Situazione, Cause, Conseguenze
Più di minori di 18 anni sono attualmente impegnati in conflitti nel mondo. Centinaia di migliaia hanno combattuto nell'ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell'età. Decine di migliaia corrono ancora il rischio di diventare soldati. Il problema è più grave in Africa (il rapporto presentato nell'aprile scorso a Maputo parla di soldati con meno di 18 anni) e in Asia ma anche in America e Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro forze armate. Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come "portatori" di munizioni, vettovaglie ecc. e la loro vita non è meno dura e a rischio dei primi. Alcuni sono regolarmente reclutati nelle forze armate del loro stato, altri fanno parte di armate di opposizione ai governi; in ambedue i casi sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria. Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono reclutate e frequentemente soggette allo stupro e a violenze sessuali. In Etiopia, per esempio, si stima che le donne e le ragazze formino fra il 25 e il 30 per cento delle forze di opposizione armata. Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente etnica, religiosa e nazionalista. I "signori della guerra" che le combattono non si curano delle Convenzioni di Ginevra e spesso considerano anche i bambini come nemici. Secondo uno studio UNICEF, i civili rappresentavano all'inizio del secolo il 5 per cento delle vittime di guerra. Oggi costituiscono il 90 per cento. ESCI

40 L'uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile l'arruolamento dei minori; oggi un bambino di 10 anni può usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi, inoltre, non chiedono paghe, e si fanno indottrinare e controllare più facilmente di un adulto, affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei territori nemici come spie). Inoltre la lunghezza dei conflitti rende sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite. Quando questo non è facile si ricorre a ragazzi di età inferiore a quanto stabilito dalla legge o perché non si seguono le procedure normali di reclutamento o perché essi non hanno documenti che dimostrino la loro vera età. Si dice che alcuni ragazzi aderiscono come volontari: in questo caso le cause possono essere diverse: per lo più lo fanno per sopravvivere, perché c'è di mezzo la fame o il bisogno di protezione. Nella Rep. Democratica del Congo, per esempio, nel '97 da a adolescenti hanno aderito all'invito, fatto attraverso la radio, di arruolarsi: erano per la maggior parte "ragazzi della strada". Un altro motivo può essere dato da una certa cultura della violenza o dal desiderio di vendicare atrocità commesse contro i loro parenti o la loro comunità. Una ricerca condotta dall'ufficio dei Quaccheri di Ginevra mostra come la maggioranza dei ragazzi che va volontario nelle truppe di opposizione lo fa come risultato di una esperienza di violenze subite personalmente o viste infliggere ai propri familiari da parte delle truppe governative. Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS. Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute. ESCI

41 L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell'area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri. Qualche volta i bambini soldato possono rappresentare un rischio anche per la popolazione civile in senso lato: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal grilletto facile". Una forma di sfruttamento Per quanto molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di bambini soldato può essere considerato come una forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni. Ricerche ONU hanno mostrato come la principale categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in tempo di pace. La maggioranza dei bambini soldato appartiene a queste categorie: ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single) provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati) ragazzi che vivono nelle zone calde del conflitto. Chi vive in campi profughi è particolarmente a rischio di essere sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e la situazione è di grande incertezza. I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi armati. ESCI

42 ESCI Perché escludere gli under-18 dalle forze armate
I 18 anni sono l'età minima per votare nelle legislazioni nazionali della stragrande maggioranza degli stati e segnano il momento formale di transizione tra l'adolescenza e l'età adulta. La Convenzione dei Diritti dell'Infanzia del 1989 ha definito come "minore" ogni essere umano inferiore ai 18 anni. La maggior parte dei Paesi non recluta minori e non permette che questi prendano parte ai conflitti armati. L'uso dei bambini-soldato deve essere considerato come uno sfruttamento illegale di minori per la natura pericolosa del lavoro in cui questi si trovano coinvolti. I 18 anni sono l'età minima stabilita dai trattati internazionali per accedere a lavori pericolosi. ESCI

43 ESCI

44 Sierra Leone Liberia Costa D’Avorio Uganda ESCI

45 Liberia ESCI La storia della Liberia
Fin dall’inizio degli anni ‘80 la storia della Liberia è stata un susseguirsi di attentati, a volte reali a volte solo presunti, che hanno portato a massicce detenzioni ed esecuzioni. In generale può dirsi che due principali filoni di conflitti interni hanno insanguinato la Liberia. Il primo, in qualche modo risoltosi con il colpo di stato del 1980, si è consumato tra gli Americo-Liberiani e la maggioranza delle popolazioni indigene, ed ha visto le famiglie con ascendenze statunitensi pronte a riprendere il proprio posto nella politica, mentre continuavano a detenere anche il potere economico. ESCI

46 In questo primo filone si inseriva il piccolo gruppo di ribelli armati capeggiati da Charles Taylor, esponente della stirpe Americo-Liberiana (scappato in Costa d'Avorio qualche anno prima per sottrarsi ad accuse di saccheggio), e che ancora nel dicembre dell'89 invase la Contea di Nimba sfruttando i contrasti già in atto tra la tribù Kran, a cui apparteneva Mr. Doe, capo della Forza Armata di Liberia-Armed Forces of Liberia (AFL), cioè l'iniziale esercito nazionale trasformatosi poi in fazione guerrigliera, e le tribù del nord Gio e Mano. Il secondo filone di conflitti della Liberia si consuma infatti proprio tra gli stessi gruppi etnici indigeni, e si basa sul desiderio, da un lato, di rivendicare antichi risentimenti etnici, e dall'altro, di assicurarsi il potere politico. I conflitti sono diminuiti nel maggio del '96, consentendo di ripristinare un certo controllo nella città di Monrovia, mentre nell'agosto dello stesso anno è stato firmato ad Abuja (Nigeria) il secondo accordo di pace. Ma i combattimenti e le uccisioni eseguite dai soldati della AFL sono state così violente da condurre la popolazione a supportare proprio Mr. Taylor ed il suo National Patriotic Front of Fileria (NPFL). In pratica, la percepibile voglia di dominazione e la spietata crudeltà del pressante regime del gruppo etnico Kran di Mr. Doe, ha consentito a Mr. Taylor addirittura di vincere, nel luglio '97, le elezioni alla presidenza del Paese con più del 75% dei voti. La gran parte dei consensi da parte del popolo liberiano è stata infatti accordata proprio per paura delle possibili devastanti conseguenze di una eventuale mancata vittoria da parte di Mr Taylor. In ogni caso, la vittoria di Mr Taylor, sostenuta dal National Patriotic Party (NPP), è stata vista dagli osservatori quantomeno come una parziale riasserzione del potere Americo-Liberiano. Ancora alla fine degli anni ‘90 sembrava però che ogni fazione della guerra civile liberiana si fosse abbandonata alla messa in opera di stermini etnici e torture, mentre il perenne conflitto ha creato nuovi focolai di lotte intestine e rivendicazioni inter-etniche che potrebbero in ogni momento far scoppiare ulteriori disordini. ESCI

47 Nell'euforia post-elettorale del 1997 il futuro della Liberia sembrava dipendere dalla capacità del presidente Taylor di creare le necessarie condizioni per una riconciliazione successiva alla guerra civile ed un rinnovamento economico. Ancora nel 1999, a circa due anni dalla sua salita al potere, si constatava invece che una nuova minaccia per la stabilità e la sicurezza montava in Liberia, dal momento che Taylor aveva fino ad allora dimostrato una carenza sia nella volontà che nelle risorse per affrontare le crescenti difficoltà politiche ed economiche, ed allo stesso tempo, era apparso anche incapace di raccogliere le sfide di un ambiente regionale sempre più ostile. La strategia del governo liberiano fino alla fine del 1999 è sembrata infatti orientata semplicemente ad una propaganda dai presupposti viziati, a tutto svantaggio della situazione politico-economica generale del Paese, già aggravata da sette anni di guerra civile. All'indomani della conquista di Taylor della presidenza, era già opinione comune che semplici misure di accrescimento economico non sarebbero state sufficienti per il popolo. Gli investitori internazionali, la comunità internazionale dei finanziatori, i liberiani rifugiati all'estero e la classe media delle città, erano tutti attenti a constatare se Mr. Taylor fosse riuscito a mettere in pratica ciò che aveva promesso. In particolare restava da vedere se egli sarebbe riuscito a mantenere nella nazione un sistema di diffusa legalità, mentre il clima pacifico delle relazioni con le contrarie forze politiche costituiva la vera sfida per il suo governo. Nel generale fallimento di tali aspettative, gli osservatori hanno continuato inoltre a valutare se i membri della famiglia di Taylor che siedono nel governo, fossero effettivamente competenti o stessero soltanto traendo vantaggi di tipo nepotistico. Come conseguenza si è registrato l’allontanamento dei donatori Occidentali che sono rimasti in attesa di assicurazioni sul fatto che Mr. Taylor fosse realmente convinto circa il ripristino della democrazia. ESCI

48 Un certo sblocco nella situazione generale della Liberia si è cominciato a realizzare invece nel corso del Infatti, pur restando il potere concentrato nelle mani del presidente Taylor, le crescenti pressioni esercitate sul suo governo per la creazione di sostanziali condizioni che favoriscano una genuina riconciliazione post-bellica e le forti istanze per una concreta ripresa di vigore nell’economia, stavano cominciando a far perdere al National Patriotic Party (NPP) ed allo stesso presidente Taylor anche l’appoggio dei suoi stessi sostenitori. Alcuni proficui cambiamenti nella gestione politica ed economica del Paese, considerati vitali per la popolarità futura dell’amministrazione, sono così stati implementati tra la fine del ’99 ed il 2000, tanto che ad aprile del 2000 il Fondo Monetario Internazionale ha rilasciato il più completo rapporto sullo stato dell’economia della Liberia dall’inizio della guerra civile nel Una generale carenza di dati statistici aveva infatti finora impedito di formulare prospettive sull'evoluzione economica del Paese. Invece, sulla base di dati raccolti da un team che ha visitato la Liberia a novembre del 1999, per dare anche l’avvio ad un nuovo dibattito con i funzionari liberiani, il rapporto ha indicato numerosi segni di ripresa nell’economia liberiana. La produzione domestica è infatti fortemente risalita dopo la fine della guerra civile, sebbene rimanga a circa un terzo dei livelli pre-guerra. La crescita del Pil è stimata essere raddoppiata nel 1997 e cresciuta di circa il 25-30% nel 1998, grazie agli incrementi nelle produzioni di cibo e nei raccolti. La crescita è rimasta alta anche nel 1999, stimata intorno al 23%, secondo un trend che tuttavia appare in discesa già nel 2000, con crescita intorno al 15%. Secondo il FMI si stima che il Pil pro capite sia indicativamente compreso tra i 150 ed i 200 US$. La corsa verso le elezioni legislative e presidenziali del 2003 costituì la più difficile sfida per il presidente Taylor, per il governo e per la stessa opposizione liberiana, in un generale clima di ribellione, che infiammò soprattutto il nord del Paese, e in vigenza delle sanzioni delle Nazioni Unite. ESCI

49 Il presidente Taylor ha allora cercato di recuperare la sua immagine internazionale. Taylor è stato infatti molto attivo nella recente crisi della Sierra Leone, rispetto alla quale le sue strette relazioni con il Fronte Unito Rivoluzionario-Revolutionary United Front (RUF) della Sierra Leone gli hanno consentito di rivestire la vantaggiosa posizione, allo stesso tempo, di messaggero e di mediatore per conto delle Nazioni Unite. In conseguenza di tali interventi, anche le relazioni con il Fondo Monetario Internazionale e con la Banca Mondiale sono state avviate verso una normalizzazione, sebbene il governo liberiano avrà bisogno nel prossimo futuro non solo di attuare le riforme raccomandate dal FMI, ma anche di rassicurare le organizzazioni dei diritti umani ed i membri del Congresso Statunitense riguardo all’impegno di rispetto dei diritti umani. Anche gli Stati Uniti, ad ogni modo, si sono da ultimo dimostrati inclini ad assistere la Liberia nella sua spinta per lo sviluppo. Gli ultimi eventi indicano pertanto che il presidente Taylor sembra aver abbandonato la politica di ignorare completamente i finanziatori occidentali ed internazionali in genere, considerato anche che la ricostruzione della Liberia si preannuncia sicuramente costosa, mentre il debito del paese è stimato intorno ai tre miliardi di US$ e il governo è praticamente in bancarotta. ESCI

50 Costa d’Avorio GUERRA NEL PAESE DEL CACAO La Costa d'Avorio, ex colonia francese, conquistò l'indipendenza il 7 agosto 1960 e il 27 novembre dello stesso anno venne eletto presidente Felix Huophouet-Boigny, ex parlamentare ed ex Ministro del governo francese . Huophouet-Boigny governò lo stato africano per sette mandati consecutivi rimanendo in carica sino alla sua morte avvenuta nel dicembre Durante questo lungo periodo resse in maniera efficace le sorti del suo paese, portandolo ad un invidiabile sviluppo economico. Boigny ottenne buoni risultati economici soprattutto grazie al gran numero di francesi rimasti nella ex colonia,anche se alcune sue iniziative  procurano danni all'economia e all'immagine del paese come, ad esempio, la deforestazione sistematica per vendere il legname e la costruzione di un enorme basilica nel suo paese natale Yamoussoukro (seconda per dimensioni solo a San Pietro) che provocò l'indignazione del Papa. ESCI

51 Ma l'errore più grande commesso da Huophouet-Boigny fu quello di non riuscire a scegliersi un successore. Resosi conto della stagnazione politica a cui si avviava il paese, nel 1990 tentò di  aprire la scena politica ivoriana al multipartitismo.Purtroppo tale apertura rappresentò  uno degli elementi dirompenti della situazione interna poichè, invece di portare il paese verso la democrazia, fu all'origine di frequenti lotte di potere. Il 24 dicembre 1999 un ammutinamento dei militari si trasformò in colpo di stato e minacciò di far precipitare il paese in una guerra a sfondo etnico. In quell'occasione il generale Robrt Guei depose il presidente Konan Bedie. Alla fine di ottobre del 2000 Laurent Gbagbo viene eletto presidente con elezioni regolari e promette di portare la pace nel paese; ma l'insurrezione del settembre 2002 ha gelato le speranze. La Costa d'Avorio è tornata nel caos, sono iniziati gli scontri in quello che fino a pochi anni fa era considerato uno dei pochi paesi africani politicamente stabili e con condizioni economiche relativamente buone. La ribellione è iniziata il 19 settembre 2002 con lo scoppio di violenti combattimenti nella capitale commerciale Abidjan, a cui hanno fatto seguito le uccisioni di alcuni responsabili della sicurezza, del Ministro dell'interno, della famiglia,di quello della difesa e del comandante militare della città di Bouaké, anch'essa teatro di scontri tra l'esercito governativo ed i rivoltosi che hanno tentato di rovesciare il governo di Laurent Gbagbo. All'origine di questi drammatici eventi ci sarebbero lo scontento di una parte delle Forze armate nazionali  e le ambizioni di rivalsa dei protagonisti del precedente tentativo di golpe, oggi esiliati. In seguito ad un'ordinanza emessa dal governo due guarnigioni stavano per essere smobilitate e i militari si sono rivolti ai loro predecessori in esilio perché li aiutassero a organizzare la loro protesta.   La protesta è immediatamente degenerata in un tentativo di golpe, i ribelli, che hanno iniziato a farsi chiamare  "Movimento patriottico della Costa d'Avorio", hanno attaccato simultaneamente caserme e armerie in tre città e si sono dimostrati ben attrezzati, disciplinati ed organizzati; inoltre dispongono di armamenti pesanti, prelevati dai magazzini dell'esercito ivoriano.Secondo alcuni osservatori i rivoltosi dispongono anche di armamenti molto moderni che non sono normalmente in dotazione alle truppe governative. Dopo tre settimane di scontri e di tentativi di mediazione falliti, i ribelli mantenevano il controllo di buona parte del nord del Paese, compresa l'importante città di Bouakè. Secondo gli osservatori presenti i rivoltosi possono contare su un certo appoggio da parte della popolazione locale del nord, in maggioranza musulmana (al sud invece la religione più diffusa è il cristianesimo). ESCI

52 Il presidente Laurent Gbagbo  ha accusato il vicino Burkina Faso di essere coinvolto nell'organizzazione del tentativo di  golpe ma finora nulla conferma la fondatezza di queste accuse. Dal canto suo il Burkina Faso , come anche il Mali, rimprovera alla Costa d' Avorio di avere espulso e perseguitato migliaia di suoi cittadini immigrati, presi come capri ispiratori della crisi economica. Da una prima analisi dei fatti, oltre che dalla debolezza istituzionale del presidente Laurent Gbagbo, la rivolta potrebbe essere giustificata con la crisi politica, economica e di identità che da quattro anni interessa la Costa d'Avorio. Il paese è il primo produttore mondiale di cacao, ma la caduta dei prezzi di questo prodotto lo ha fortemente colpito. Non ha grossi giacimenti di petrolio ma occupa una posizione strategica di fronte al golfo di Guinea, i cui giacimenti  offshore rappresentano una fonte prioritaria di approvvigionamento per gli Stati Uniti.L'industria petrolifera non ha però finora inciso significativamente sulla bilancia commerciale dela Costa d'Avorio, così dal 1999 l'economia del "Paese del cacao" è in recessione.Le ricette economiche consigliate dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale non hanno fatto altro che aggravare l'indebitamento estero del Paese. In questo momento (14 ottobre 2002) il Presidente Gbagbo sta conducendo una durissima repressione della rivolta, peraltro con esiti incerti. Tutti i tentativi di mediazione operati dai diplomatici della comunità africana dell' ECOWAS sono falliti dimostrando che il governo non ha alcuna intenzione di scendere a patti coi ribelli. Già dai giorni immediatamente seguenti la rivolta un contingente di circa 900 uomini dell'esercito francese è presente sul territorio ivoriano; ufficialmente i soldati francesi non partecipano alle ostilità ma offrono supporto logistico ed organizzativo alle truppe governative. La Francia, ex "padrone coloniale", è da sempre partner privilegiato per la Costa d'Avorio. A tutt'oggi il governo ivoriano non ha sovranità sulla moneta nazionale le cui fluttuazioni sono decise da Parigi. Se gli amici francesi riusciranno nell'impresa di riappacificare la Costa d'Avorio dovranno poi supportare il Paese nella conduzione di un'altra battaglia: quella sul mercato mondiale contro la diminuzione del prezzo del caffè e del cacao, le due principali fonti di reddito del Paese. ESCI

53 Sierra Leone Il 27 Aprile 1961, la Sierra Leone raggiunge l’indipendenza. Il governo di Londra si ritira e l’amministrazione del paese è affidata a un primo ministro sierraleonese, Sir Milton Margai, dal 1951 leader del Partito popolare della Sierra Leone. Purtroppo la democrazia non riesce a imporsi e il paese deve conoscere continue dittature militari e colpi di stato. La Sierra Leone è ricca di risorse minerarie e la coltivazione di cacao e caffè da esportazione è già ben sviluppata dai tempi dell’indipendenza. Nonostante queste ricchezze, a causa della guerra civile il paese sta diventando gradualmente uno dei più poveri e indebitati al mondo. ESCI

54 Il 19 Aprile 1971, la Sierra Leone si stacca completamente e definitivamente dalla corona britannica e diventa una repubblica. I problemi si acuiscono negli anni settanta sotto la presidenza di Siaka Stevens, laeder del partito di opposizione Congresso di tutto il popolo (All People’s Congress, Apc). Nel 1978, in base alla nuova costituzione approvata dal governo, l’Apc diventa partito unico. La vita economica e lo sviluppo della Sierra Leone sono condizionati pesantemente dalla corruzione governativa e burocratica, le ricchezze vengono sistematicamente depredate e la competizione per impossessarsene si fa sempre più violenta. Nel 1986 Joseph Sidu Momoh, ex capo di stato maggiore, diventa presidente. Eredita un paese che si dibatte ormai in una penosa crisi economica, ma sotto il suo governo le condizioni generali di vita della popolazione non migliorano affatto e la Sierra Leone comincia a dipendere quasi completamente dagli aiuti internazionali. È proprio in questo periodo che, contro la corruzione governativa, nasce un movimento armato guidato da Foday Sankoh, ex caporale dell’esercito. All’ inizio è un piccolo nucleo di combattenti formato da studenti universitari, ribelli fedeli al leader liberiano Charles Taylor e alcuni mercenari del Burkina Faso, ma in poco tempo si trasforma nel feroce e repressivo Fronte rivoluzionario unito (Revolutionary United Front,Ruf). La ribellione del Ruf si rivela fin dalle prime battute strettamente collegata con la guerra civile liberiana. Il 23 Aprile 1991 il Ruf invade la Sierra Leone dalla vicina Liberia, con l’obiettivo di rovesciare il governo monopartitico dell’Apc e porre fine al saccheggio delle ricchezze:così ha inizio la guerrea civile. La guerriglia si estende rapidamente in gran parte del paese e le azioni di difesa dell’esercito governativo, mal equipaggiato e demotivato, si rivelano inefficaci e nono riescono a contenere l’avanzata dei seguaci di Sankoh. Grazie all’appoggio economico e militare della Liberia, in poco tempo i guerriglieri del Ruf si trasformano in feroci milizie che compiono ogni genere di nefandezze contro i civili. Nel 1991, un referendum popolare approva una nuova costituzione che ripristina il multipartitismo. Il presidente Momoh invita i ribelli del Ruf a prendere parte al nuovo processo politico e cerca di avviare delle trattative per fermare la ribellione, ma senza alcun esito. ESCI

55 Nel 1992, un colpo di stato guidato dal giovanissimo capitano dell’ esercito Valentine Strasser rovescia Momoh e crea il Consiglio di governo provissorio nazionale (National Provisional Ruling Council, Nprc). Il Nprc offre ai ribelli l’amnistia, ma i tentativi negoziabili falliscono in quanto Strasser non esita ad accusare Sankoh e i suoi seguaci di essere dei banditi al soldo di Taylor e con l’intento dichiarato di distruggere la Sierra Leone. Nel 1996, la Sierra Leone è scossa da un nuovo colpo di stato. Strasser viene rovesciato dal generale Julius Maada Bio che promette elezioni multipartitiche e l’avvio di trattative con il Ruf. Nelle elezioni parlamentari di marzo, le prime realmente democratiche tenutesi dai tempi dell’indipendenza, è eletto presidente Ahmad Tejan Kabbah, ex alto funzionario delle Nazioni unite e candidato del partito popolare,il Slpp. Il 30 Novembre il governo firma con i ribelli del Ruf un accordo di pace che prevede il cessate il fuoco, il disarmo, la smobilitazione, l’amnistia per i guerriglieri ed il ritiro di tutte le forze straniere. Nel Gennaio 1997 però gli attacchi riprendono con la ferocia di sempre. Il 25 Maggio il governo di Kabbah è costretto all’esilio nella vicina Guinea da una rivolta armata guidata dal maggiore Johnny Paul Koroma, capo del Consiglio rivoluzionario delle forze armate. La costituzione viene sospesa , i partiti vengono messi al bando e inizia un periodo di repressione politica. La comunità internazionale naturalmente condanna il golpe e le Nazioni unite impongono un embargo totale sulla vendita di armi e di petrolio. Kabbah chiede alloral’aiuto della Nigeria e della Sandline International, una compagnia mercenaria con sede a Londra. Dopo una settimana di feroci combattimenti nella capitale viene cacciata e reinserito il presidente Kabbah. Nella ritirata, gli uomini di Koroma e i ribelli del Ruf si danno al saccheggio di tutte le missioni cattoliche. Nel frattempo, una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite stabilisce che l’embargo sulle armi rimanga in vigore esclusivamente per le forze ribelli. I ribelli riescono in breve tempo ad organizzare un’imprevista contoffensiva e a estendere il loro controllo sulle più importanti zone del paese; alla fine del 1998 sono padroni di più della metà del territorio nazionale. Il paese risulta così diviso in due: il sud e la zona costiera sono presidiati delle forze governative e filogovernative, mentre tutto il resto del territorio, cioè i bacini diamantiferi, sono saldamente in mano al Ruf e all’Afrc. ESCI

56 Tutte le vie di comunicazione sono bloccate e la popolazione si trova così tra due fuochi, costretta a subire inaudite violenze da ambo le parti. Per la maggior parte i combattimenti ribelli sono preadolescenti o adolescenti e hanno nomi fatti apposta per incuter terrore. La crisi assume dimensioni catastrofiche. Si ferma ogni attività produttiva, molte infrastrutture sono distrutte. Dopo due mesi di spietati combattimenti i ribelle vengono sconfitti e costretti a ritirarsi, ma i loro attacchi proseguono nell’interno del paese, soprattutto nelle provincie del nord e del sud-est dove continuano le uccisioni, le mutilazioni e gli stupri. La comunità internazionale comincia a premere affinchè si avvii ad una soluzione pacifica del conflitto. In Maggio , il presidente Kabbah decide perciò di rilasciare Sankoh e avvia le trattative per la pace. Il 7 luglio a Lomè, in Togo, viene firmato un accordo di pace che prevede il disarmo dei ribelli, il rilascio dei civili, dei bambini soldato e dei prigionieri di guerra, l’amnistia generale per tutti i crimini, la creazione di una Commissione di verità e riconciliazione che si occupi della violazioni dei diritti umani, il libero accesso agli aiuti umanitari, il ritorno dei rifugiati e l’ammissione del Ruf nel governo. La decisione di perdonare gli ex ribelli e condividere con loro il potere fa discutere e molti gridano alla sconfitta della democrazia. Le Nazioni unite condannano la decisione dell’amnistia. A ottobre l’ONU invia i caschi blu dell’Unamsil con il compito di vigilare sulla pace, disarmare i combattenti e difendere i civili dalle violenze, ha così inizio il Programma di disarmo, smobilitazione e reintegro dei combattenti. Si verificano continue violazioni del cessate il fuoco e la situazione rimane precaria. Nei primi mesi del 2000, comunque, molti bambini soldato vengono rilasciati e consegnate alla organizzazioni governative. Alla fine di aprile sono millesettecento i bambini inseriti nel Programma di disarmo, smobilitazione e reintegro; ottocento vengono riuniti alle famiglie mentre gli altri rimangono nei centri di assistenza. ESCI

57 A partire dalla metà del 2001 i ribelli iniziano a rispettare gli accordi e le clausule riguardanti il disarmo. L’incubo si conclude definitivamente nel maggio del 2002 con le elezioni che sanciscono non solo la fine della guerra, ma anche la scomparsa del Ruf. ESCI

58 Uganda Dalla fine degli anni '80 la parte settentrionale del Paese è teatro di violenti conflitti armati tra forze governative e tre diversi gruppi di ribelli alleati fra loro: l'Esercito di Resistenza del Signore (LRA), che vuole instaurare un regime basato sui dieci comandamenti cristiani, il Fronte della Sponda Occidentale del Nilo (WNBF) e le Forze Democratiche Alleate (ADF). ESCI

59 Tutto incominciò nel 1987 quando, anno in cui inseguito ad una sconfitta militare, di Alice Lakwena, leader di una fazione antigovernativa denominata esercito dello” Spirito Santo”,inflitta per mano di Musevena distrusse il controllo che aveva acquisito fino ad allora quella fazione. Fu così che questo gruppo di guerriglieri cominciò a fare ricorso alla violenza uccidendo tutti coloro che si opponevano, sia con la ragione che con la forza al loro disegno. Così furono assaltate le missioni cattoliche, gente e bambini furono picchiati a sangue. Nel 1994 questo gruppo di guerriglieri,cominciò ad attuare i suoi primi obbiettivi assieme all’esercito Sudanese, e lo fece reclutando bambini e ragazzi prevalentemente dagli otto,ai diciotto anni; mentre l’esercito sudanese li riforniva con le armi e munizioni. L’arruolamento è un rituale messo a punto apposta per far credere ai bambini di essere protetti dalle pallottole e dalla morte, e crea un legame tra <<bambino e padrone>> indissolubile.Fino ad ora sono stati sequestrati oltre venticinquemila bambini, e uccise oltre centoventimila persone. Ai civili tocca rispettare ben precisi come l’impossibilità di spostarsi o di vivere stabilmente su strada principali. I bambini sono quelli che stanno peggio, vivono in condizioni pessime non mangiano, sono malati, ma il problema maggiore è l’infanzia negata, questi ragazzi vengono strappati dalle loro famiglie e sono costretti alla violenza. In queste zone poi, l’ambiente e l’indifferenza hanno mantenuto nell’ombra questo dramma :solo ora la realtà sta cambiando, e la radio cominciano a raccontare gli episodi e in tragici eventi accaduti fino ad ora nei distretti nord Ugandesi. Ma questo non è l’unico paese in cui c’è questo problema, l’altro paese è il Sierra Leone; Il Sierra Leone si presenta come un paese affascinante, un paese il cui paesaggio è mozzafiato. Settantamila chilometri quadrati di straordinari paesaggi esotici, piante esotiche e foreste esotiche. Nel 1986 Joseph Soidu Momoh, ex capo di stato maggiore, divenne presidente, ed eredita questo paese, in crisi economica. ESCI

60 Durante questo suo governo la situazione non migliora affatto e la Sierra Leone cominciò a dipendere solo dagli aiuti internazionali. Così nacque un governo guidato da leaders Liberiani, e formato da studenti universitari, che fin da subito cominciò a trasformarsi in un fronte rivoluzionario unito. Nel 1991, ha inizio la guerra civile, perché questo gruppo di guerriglieri attacca invadendo il governo della Sierra Leone. La guerra si estende rapidamente in tutto il paese, anche perché le azioni di difesa si rivelano inefficaci o quasi inesistenti. I ribelli vogliono dimostrare come lo stato così come è, non possa assicurarsi protezione. Così nel 1991 un referendum popolare, approva la nuova costituzione, che ripristina il multi Partitismo.Il nuovo presidente cerca di fermare la ribellione ma non ottiene nessun risultato. Ecco che nel1992 un colpo di stato crea un nuovo governo provvisorio, grazie a questo si creano delle forze speciali che si schierano con lo stesso.Sempre nello stesso anno i ribelli prendono possesso di una zona diamantifera del paese. La guerra continua ancora, infatti nel 1996 la Sierra Leone è scossa da un nuovo colpo di stato. Nel novembre dello stesso anno viene firmato un patto con il quale si sarebbe dovuto avere la cessazione della guerra e il disarmo, ma questo non avvenne e gia nel1997 la guerra riprese con la ferocia di sempre. Però la comunità internazionale comincia a premere per la pace e nel luglio del 1999 viene firmato il disarmo e il rilascio dei civili, passo importante verso la fine. Nel 2000 vengono rilasciati molti bambini soldato. E nel 2001 dopo tante reticenze si cominciano a rispettare gli accordi. Nel 2002 viene dichiarata guerra finita ma la scomparsa dei ribelli avviene totalmente nel 2004. ESCI

61 ACCOGLIENZA IN PUGLIA: Ieri ed Oggi
I PROFUGHI NELLA STORIA Con il termine di profugo si indica un individuo costretto ad abbandonare il luogo abituale di dimora a causa di catastrofi naturali, di eventi bellici o di conflitti di varia natura (etnici, politici, religiosi), più o meno violenti. Nel XX secolo il problema dei profughi è andato assumendo enormi proporzioni; tra le cause vi furono le complesse questioni nazionali, le immani distruzioni provocate dalle due guerre mondiali e le successive ridefinizioni territoriali degli stati, spesso accompagnate da massicce espulsioni di popolazione. Nel dopoguerra il fenomeno fu alimentato dai conflitti che accompagnarono la decolonizzazione e da quelli provocati dalla Guerra Fredda tra i “blocchi” occidentale e orientale. Da un punto di vista prettamente storico, il problema dei profughi è strettamente correlato allo scoppio del secondo conflitto mondiale, causa maggiore della fuga da parte di intere popolazioni di diversa etnia, vittime delle violenze e dei massacri delle milizie antisemitiche, dalle proprie dimore in territori più propensi all’accoglienza. Da sempre la Puglia è terra di frontiera. Popoli diversi per lingua e costumi vi si sono avvicendati, spesso sovrapposti e talvolta violentemente respinti. Terra, nel medioevo, famosa per i suoi pellegrinaggi, per l’imbarco e sbarco di Crociati; terra di mercanti,di guerrieri e di devoti. All’indomani dell’8 settembre del 1943, la Puglia, primo lembo dell’Europa libera, offrì ad ex internati, rifugiati, sfollati italiani e stranieri, in particolare ebrei e slavi, ospitalità nei campi profughi allestiti. ESCI

62 Profughi ed ex internati in Puglia durante la seconda guerra mondiale.
LA PUGLIA COME TERRA DI FRONTERA Profughi ed ex internati in Puglia durante la seconda guerra mondiale. Nel settembre del 1943, dopo un lungo periodo di guerre, di saccheggi e di distruzioni da parte delle milizie tedesche, un gran numero di sfollati e profughi d’ogni genere, dagli extra comunitari agli stessi italiani come i militari sbandati e civili derubati della loro proprietà, cercavano rifugio in territori accoglienti nei quali le condizioni politiche e sociali di solidarietà presenti lo permettevano. Proprio per la presenza di queste prerogative la regione pugliese diviene meta di un vasto flusso di profughi, militari e sfollati che si dislocarono per tutto il territorio. Il capoluogo pugliese inoltre era occupato dalle truppe anglo-americane, accolte con vivido fervore dagli abitanti del luogo, impegnate nella liberazione dell’Italia meridionale dalle truppe naziste. La rilevante presenza di questi soggetti in territorio pugliese evidenzia la situazione di un paese trasformato in una grande area d’accoglienza. Furono, infatti, allestiti campi profughi per stranieri e per italiani stessi in tutta la regione. In primo luogo vi fu un flusso di sfollati jugoslavi in fuga dai territori occupati dall’esercito del terzo Reich, perlopiù erano ebrei con dimora nei balcani che cercavano rifugio raggiungendo la costa pugliese. La presenza di militari alleati che assumono la veste di occupatori del luogo, sottolinea la quantità di stazionamenti, campi e varie strutture che la regione doveva impegnarsi a portare avanti con peculiari valori di solidarietà. Un vasto numero di profughi in genere era costituito da italiani del nord e del centro Italia e prevalentemente operai comunisti o gente che assumeva posizioni politiche diverse nei confronti della dittatura fuggiti alla deportazione tedesca. Vi era inoltre un alto numero di ex prigionieri e fuggitivi provenienti dalla Jugoslavia, Serbia, Montenegro e pochi ebrei fortunati provenienti da altre zone dell’Europa accompagnati da gruppi di zingari perseguitati e invalidi di ogni genere. Infine affluirono i congiunti di operai in Germania, Albania bloccati in Italia, ex sussidiati e direttamente stipendiati dai ministeri, congiunti marittimi bloccati nei porti e naufraghi sbarcati rimasti privi di tutto. ESCI

63 ESCI Strutture per l’accoglienza e l’assistenza.
Negli anni in cui avveniva la seconda guerra mondiale, l’unico rimedio moderno e democratico per minimizzare il problema riguardante l’aumento dell’arrivo di profughi sfollati, consisteva perlopiù nell’apertura di un ampio sistema di centri d’accoglienza dislocati per tutta la regione. E’ il caso del commissariato dell’ECA e dei campi profughi UNRRA che operarono prevalentemente a partire da alcuni mesi prima della conclusione del conflitto. Si trattava precisamente di comitati interministeriali o meglio dire organi collegiali del governo, i quali, costituiti da gruppi di coordinamento tra diversi ministeri e con l'assistenza di collaboratori della regione, che avevano lo scopo di coordinare le iniziative rivolte alla ripresa della vita economica dopo la seconda guerra mondiale e alla distribuzione degli aiuti alleati e ai profughi accolti in centri di smistamento. Tali centri erano perlopiù campi di concentramento istituiti dal fascismo del Mezzogiorno, come l’ex campo militare di Torre Tresca, che dopo la liberazione furono affidati all’UNRRA per il sostentamento della gente che arrivava. Anche gli istituti religiosi svolsero un importante ruolo in questo periodo; si documenta, infatti, che nel solo capoluogo furono organizzati ventisei centri che garantivano la refezione a migliaia di bambini tratti dalla strada. Per effetto dei patti stipulati tra le forze d’occupazione e la regione, l’afflusso di truppe alleate per la liberazione dai nazisti, influì notevolmente sul settore alimentare e in maggior modo su quello degli alloggi del luogo. Furono così impegnate vaste aree logistiche nel salento per la sistemazione di truppe alleate in particolare per offrire vari soccorsi ai partigiani feriti e ammalati. Secondo l’accordo sopraccitato, inoltre, in Puglia dovevano essere garantite le basi dell’esercito jugoslavo di Tito le quali dovevano svolgere la funzione di assistenza sanitaria dei feriti in guerra. Per accogliere i seguaci di Tito che si erano rifugiati in Puglia, furono persino requisite scuole e appartamenti privati. Sono un esempio il liceo ginnasio, il liceo classico Archita di Taranto e le scuole medie di Trani, Otranto, Gallipoli e Manduria. Altri centri operanti del periodo furono le masserie di città come Grottaglie e Santa Maria di Leuca, considerati più che altro rifugi precari. ESCI

64 ESCI Condizioni di vita
La difficoltà di garantire assistenza a migliaia di profughi si fa sentire essenzialmente sulla popolazione del luogo che, già traumatizzata da crisi economiche interne dovute alla guerra, è costretta a subire le continue pretese di approvvigionamenti e locali da parte di profughi civili e militari. A rendere più drammatica la situazione s’inseriscono le precarie condizioni igienico-sanitarie dei borghi cittadini dovute all’assenza di acqua potabile e fognatura e causa di numerosi decessi. La Puglia ospita cittadini di tutte le razze, si suppone che in quel periodo siano rappresentate almeno quaranta nazioni e tali accolti vivono in precarie condizioni salutari e destinati a permanere in centri di accoglienza che li riforniscono del minimo indispensabile; il loro numero inoltre cresceva sempre di più e con il passare del tempo i campi profughi gestiti dagli alleati divennero inabitabili. La requisizione d’edifici pubblici come le scuole, accompagnata dall’occupazione delle truppe slave, fece modo che questi ultimi avrebbero assunto atteggiamenti ostili nei confronti degli abitanti del luogo. Testimonianze affermano, infatti, che tali soggetti, spesso ubriachi, manifestarono atteggiamenti ostili nei confronti della popolazione come ad esempio, violenze di ogni genere su donne e bambini, accompagnati da abusi di potere e rapine in edifici civili. In linea di massima, i militari slavi vengono descritti come persone scellerate con condizioni igieniche precarie che, pur essendo considerati alleati liberatori ,provocano uno stato permanente di pericolo per l’ordine pubblico in quanto, molto spesso, sfilate di dette formazioni con comportamenti intimidatori, costringono i cittadini a restare spesso chiusi in casa per evitare che taluni compiessero atti di vandalismo. Nonostante ciò, la presenza dell’esercito di Tito ebbe un ruolo attivo nell’organizzazione della resistenza contro le truppe tedesche. Essi parteciparono, infatti, alla lotta armata facendosi spesso promotori grazie all’esperienza in tecniche di sabotaggio e guerriglia. ESCI

65 L’UNRRA L’UNRRA (United Natìons Relief Rehalbilitation Administration) iniziò l’opera di assistenza e di riabilitazione nel maggio 1945 con l’affidamento di alcune migliaia di persone che abitavano fuori dai campi profughi. In un memorandum dell’aprile 1945 si fissò la definizione di Desplaced Persons (D P) per i destinatari dell’assistenza: «tutti i cittadini privati della loro cittadinanza, i perseguitati a causa della loro razza, religione o credo politico, qualunque fosse la loro cittadinanza». Erano inoltre definiti profughi «coloro che si trovavano nei confini della loro patria ma fuori dell’abituale domicilio», A partire dal 1946 vennero affidati all’UNRRA tutti i profughi stranieri presenti nei campi alleati. I requisiti richiesti per l’assistenza dell’ UNRRA erano i seguenti: «Il profugo (deve appartenere ad una delle Nazioni Unite oppure deve essere stato costretto ad espatriare per motivi di razza o di religione o per attività svolta a favore delle Nazioni Unite. I suoi precedenti politici devono essere soddisfacenti ed inoltre deve dar prova di aver effettivo bisogno di soccorso. Viene aiutato con l’intesa che, appena se ne presenti l‘occasione, verrà rimpatriato o che, se non vuole rimpatriare, verrà sistemato in un altro paese». ESCI

66 ESCI I profughi nel dopoguerra.
Dopo la resa della Germania il flusso di profughi, soprattutto di quelli provenienti dai campi di concentramento, assunse le dimensioni di un vero e proprio fenomeno di massa. Il trattato di Parigi scaturito dopo la fine del conflitto, comportò per l’Italia una serie di misure gravose che toccarono direttamente le dolorose rinunce. In base ad esso l’Italia, da un punto di vista finanziario e militare doveva riparare i danni bellici provocati nel conflitto mentre dal punto di vista territoriale, perdeva le sue colonie dell’ Africa orientale, cedeva alla Iugoslavia l’Istria, Fiume, Zara, Ragusa e le isole dell’Adriatico e alla Grecia il Dodecaneso. Trieste, inoltre, veniva costituita in “territorio libero”, diviso in una zona sotto controllo alleato e in un’altra sotto controllo iugoslavo. La conseguenza di queste rinunce riguardò così la sorte degli italiani residenti nei territori ceduti e quelli vincitori poiché furono costretti a ritornare in patria. Si trattava, però, di gran parte di profughi italiani che avevano vissuto nei territori ceduti per decenni, o addirittura di gente radicata da alcune generazioni in quei luoghi e che dell’Italia avevano solo un’idea approssimativa, motivi per i quali, dopo il loro arrivo nella penisola, potevano essere considerati profughi a tutti gli effetti. Erano persone che non conoscevano la lingua italiana e ci si trovava così di fronte ad una tipologia particolarissima di profughi costituita prevalentemente da ex immigrati (in maggior numero meridionali), che nella seconda metà dell’Ottocento, preferirono al Nuovo Mondo l’area del bacino del Mediterraneo (in cui si estendevano le province dell’impero ottomano), nonché quella dell’Africa orientale. Si trattò, dunque, di un’emigrazione diretta verso formazioni politico-economiche meno sviluppate, che per giunta non partecipavano ancora al processo di «nazionalizzazione» dello Stato moderno. Si ritrovano così scacciati dalle restaurate autorità e perseguitati in condizioni gravose le quali li costringono a ritornare in un’Italia prostrata dalla guerra. I numeri di questi profughi sono alquanto approssimativi ma possono dare un’idea i provenienti dalla Libia, dall’Etiopia, dall’Eritrea, dalla Somalia insieme ai provenienti dalla Dalmazia e l’Istria. I provvedimenti giuridici per il rimpatrio di questi esuli consentirono l’istituzione di centri di recupero come l’Opera per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati o la Federazione nazionale profughi e italiani d’Africa che s’impegnarono nel difficile reintegro di taluni. In questo contesto rientra anche il passaggio della gestione dei profughi dall’UNRRA all’IRO(Internazional Refugees Organization) la quale stipulò accordi diretti e diplomatici con datori di lavoro o garanti per agevolare l’accoglienza dei profughi oltre poi agli aiuti umanitari offerti dalla Croce rossa internazionale e pontificia. ESCI

67 I profughi ebrei Nel corso della seconda guerra mondiale si sviluppò un’avversione nei confronti degli ebrei che si traduce in forme di discriminazione e di persecuzione, spesso cruenta e culminata nello sterminio di milioni di persone all’interno di campi di concentramento. I sopravvissuti all’antisemitismo ormai senza dimora furono costretti a spostarsi da una parte all’altra dell’Europa per sfuggire alla nuova situazione politica che si era venuta a creare soprattutto nei paesi dell’Est e così il flusso di ebrei rifugiati in Italia divenne sempre maggiore. Un quadro d’insieme della presenza di profughi ebrei in Puglia scaturisce dalle molte testimonianze, giù riportate, che confermano una nuova ondata di tali soggetti come l’instaurazione di una comunità israelitica nel territorio di Bari e nel Salento. tale Comunità si è costituita a Bari ed è rappresentata da un Consiglio fondato dai seguenti promotori: il professor Angelo Sullarn, ex presidente della Comunità israelitica di Venezia, e il presidente del Comitato italiano di assistenza agli emigranti ebrei, in qualità di presidente della Comunità di Bari; Isidoro Mandler, della Comunità di Trieste, in qualità di segretario; Ermanno Rocca già vicepresidente della Comunità di Ancona, anche se oriundo della Venezia-Giulia; il dottor Aldo Ascarelli, della Comunità di Bologna, provvisoriamente assistente alla Clinica Neurologica della Regia Università di Bari; il ragioniere Davide Ascarelli, della Comunità di Roma; il signor Alberto Levi, unico ebreo già abitante con la famiglia a Bari. Lui, la moglie e le due figlie sono i soli ebrei rimasti a Bari dopo la promulgazione delle leggi razziali perché parecchi ebrei isolati hanno preferito rientrare nelle città d’origine al Centro-Nord, temendo che rimanere a Bari, dove gli ebrei sono pochi fosse più pericoloso. Tutti questi uomini, ovviamente con l’eccezione di Alberto Levi, capo dell’unica famiglia ebrea residente a Bari prima della guerra, hanno attraversato le linee del fronte tra l’ottobre e il dicembre 1943 Ci sono, poi, a Bari, tra gli iscritti nella Comunità, altri nomi importanti dell’ebraismo italiano: Sua Eccellenza l’ingegner Mario Fano, sottosegretario alle Comunicazioni; Sua Eccellenza l’ammiraglio Aldo Ascoli (che nella prima guerra mondiale ha comandato 11 famoso reggimento San Marco), l’ingegner Guido Luzzatti; il dottor Giovanni Terracina, procuratore della Commerciale Italiana; il dottor Alfonso ESCI

68 Russi dell’omonima società farmaceutica, l’unica nell’Italia centrale
Russi dell’omonima società farmaceutica, l’unica nell’Italia centrale. E poi l’ingegner Piero Foàdi Firenze con il fratello Arnoldo, un giovane attore alle prime armi, con il ruolo di speaker nella trasmissione Italia combatte di Radio Bari, l’altro attore Cesare Polacco e altri. Il Salento divenne l’area di maggiore concentrazione degli ex internati ebrei provenienti soprattutto dai paesi dell’Est europeo che si sistemarono nelle stesse località occupate nei mesi precedenti dai profughi jugoslavi e albanesi. Secondo i calcoli del ministero degli Esteri, si erano stabiliti in Italia, in attesa di trasferirsi in Israele, alcune decine di migliaia di ebrei (gran parte di essi risultava dislocata nel Salento). Per ospitare la nuova massa di «rifugiati» vennero utilizzate gran parte delle ville classiche dette delle Cenate, comprese in una vasta area tra Nardò e la costa (le frazioni di Santa Caterina e Santa Maria al Bagno). In quest’ultima località si costituì un’altra comunità per l’assistenza ai molti profughi che tentavano di trasferirsi in Palestina. A Santa Maria al Bagno vennero utilizzate villa Saetta come residenza dei capi dell’emigrazione e villa Personè come sede della «municipalità» e delle altre attività pubbliche degli ebrei; altre ville, Fonte e Falco, vennero attrezzate a mensa e a scuola di formazione; mentre sedi dei Kihuz divennero villa Foscarini e Masseria Mondo Nuovo dove vennero accolti anche molti bambini orfani. Nelle altre località della penisola salentina, Santa Cesarea Terme, vennero requisiti il palazzo Corvaglia e altre abitazioni lungo il corso principale per essere adibiti alle attività religiose, associazionistichee politiche dei profughi. La stessa situazione si determinò a Tricase dove si reperirono diverse ville signorili di proprietà delle famiglie Ayinone, Codacci Pisanelli, Guerrieri che hanno fatto si che segni della presenza ebraica nei centri sopra indicati siano visibili un cor oggi. Nel corso del XX secolo il flusso migratorio in Puglia non si è praticamente mai arrestato. Il continuo spostamento, infatti, di individui singoli, di famiglie, di intere comunità ha motivazioni molto complesse, che sono inerenti alla loro necessità di "fuga" e al bisogno di sentirsi accolti in un territorio socialmente attivo da questo punto di vista come quello pugliese. ESCI

69 Accoglienza Oggi Costruire una società multiculturale e garantire un'accoglienza dignitosa a chi ha deciso di abbandonare il proprio Paese. E' questo l'impegno preso dall’Italia, in particolare dalla Regione Puglia nei confronti delle migliaia di persone che ogni anno sbarcano sulle sue coste.  Il fenomeno dello sbarco sulle nostre coste è iniziato nel 1991 quando a Bari, in coincidenza con la caduta del regime instaurato da Enver Hoxha (capo del governo albanese dal 1946 al 1954 e capo dello Stato e segretario del Partito Comunista Albanese dal 1954 al 1985, anno della sua morte) approdò la prima nave con a bordo albanesi. I problemi di accoglienza che seguirono furono enormi. Da allora numerosi sbarchi si sono succeduti a Bari, Lecce e Brindisi. Il culmine è stato raggiunto nel 1999 quando, in seguito alle crisi del Kosovo e del Kurdistan, sono sbarcate più di persone. Due le misure adottate dalle istituzioni pugliesi per fronteggiare l'emergenza: l'allestimento di Centri di Accoglienza e l'intensificazione delle attività di controllo sul territorio. In realtà, istituire Centri di Accoglienza non basta. Un grande impegno è richiesto non solo alle istituzioni, ma a tutta la società civile. Inoltre occorre esercitare un controllo sul territorio in grado di arginare fenomeni come la prostituzione e il traffico di armi e di droga, che spesso accompagnano l'immigrazione. Nei C.P.T. (Centri di Permanenza Temporanea) vengono avviate la pratiche di accertamento della loro identità. Questo deve avvenire entro 60 giorni al termine dei quali, quasi sempre, anche se viene accertata l’identità, vengono rimpatriati. Coloro invece che, al momento dello sbarco, si dichiarano rifugiati politici, religiosi, etc… (cioè quelli appartenenti al punto n° 2) vengono avviati nei Centri di Prima accoglienza dove, entro un mese, devono essere ascoltati dalla Commissione Territoriale. La Commissione Territoriale, rilascia o meno lo status di rifugiato. A quel punto vengono avviati ai Centri di Seconda Accoglienza. Tali Centri, con la legge Bossi-Fini sono diventati Centri per l’Integrazione. Gli ospiti quindi dovrebbero essere supportati dagli Associazioni, Enti etc…. che li gestiscono per attuare il processo di integrazione nel territorio Italiano, attraverso corsi di formazione, lingua Italiana, Informatica, orientamento sociale ed al lavoro. ESCI

70 Tutte le azioni e le attività previste nei Centri sono mirate innanzitutto a garantire la continuità del processo di scolarizzazione dei minori ad attivare occasioni di formazione professionale per gli adolescenti ed i giovani. La presenza di famiglie numerose e di donne con minori, dove sono presenti, ha permesso di avviare un lavoro di inserimento scolastico e di elaborare attività ludico-ricreative per i minori. Il territorio ed in particolare tutto il mondo scolastico, ha risposto positivamente al bisogno di socializzazione di queste persone. Durante il periodo di accoglienza nei centri, ai beneficiari sono forniti alcuni servizi che vanno dall’iscrizione al servizio sanitario nazionale, all’iscrizione a scuola per i minori, dai corsi di alfabetizzazione per gli adulti, alla diffusione di informazioni legali sulle procedure della domanda di asilo. Per quanto riguarda l’inserimento nelle scuole pugliesi degli alunni stranieri è incominciato in ritardo rispetto ad altre regioni italiane, e si è man mano ampliato. La scuola, quella elementare in particolare, dove ci sono stati inserimenti più massicci, è pronta all’accoglienza, per cui i docenti che hanno cominciato a vedere le loro classi arricchirsi di nomi e colori inusuali, hanno accettato la novità senza problemi ed hanno continuato serenamente il loro lavoro. I problemi sono sorti in seguito, quando le presenze, diventate più consistenti, hanno costretto a riflettere sulla necessità che l’impostazione pedagogico-didattica fosse rivista e modificata: gli alunni “diversi” non potevano essere considerati come gli altri, dovevano diventare una risorsa culturale che allargasse gli orizzonti del lavoro scolastico. Questo passo in avanti è stato più difficile da realizzare. Pur non mancando di rispetto all’alunno nella sua specificità , non tutti i docenti sono ancora consapevoli della possibilità di arricchimento che può portare un alunno straniero nella classe. Il minore ha comunque diritto all’istruzione anche nel caso di “irregolarità”, quindi i minori appartenenti a famiglie non in regola con il permesso di soggiorno, sono tenuti all’obbligo scolastico come qualsiasi minore italiano. La scuola diventa luogo di accoglienza, d’incontro - confronto - scambio fra culture con un carico di responsabilità notevole dovute ad una accoglienza ed integrazione, nel rispetto e nella valorizzazione della lingua e della cultura di origine; alla promozione di una cultura del dialogo e della reciprocità mediante percorsi educativi che coinvolgano tutti gli alunni italiani e non, in una formazione che proceda alla consapevolezza di sé all’accoglienza dell’altro, ESCI

71 all’acquisizione di un’identità multipla che superi gli angusti confini etnocentrici per lasciarsi contaminare da altre culture. I progetti per il futuro sono diversi a Bari e Brindisi sono già stati istituiti sportelli gestiti dal Consiglio Italiano per i Rifugiati, impegnati a dare le prime informazioni a chi sbarca. Altra iniziativa, nata in collaborazione con il ministero dell'Interno e il ministero dell'Economia, è il progetto Welcome, il cui obiettivo è fornire assistenza agli immigrati che cercano casa e lavoro o necessitano di prestazioni sanitarie.  Inoltre, nei comuni della provincia di Bari con più di abitanti - prosegue - è prossima la firma di una convenzione che intende rafforzare l'integrazione fra immigrati e cittadini locali. A breve, è previsto anche un incontro tra i quattro prefetti delle province pugliesi e il Comitato Regionale per le Pari Opportunità, durante il quale si metterà a punto un progetto di recupero rivolto alle donne costrette a prostituirsi. Gli sbarchi e l’accoglienza nel territorio di Lecce I dati per leggere il femomeno Nel 2000 erano stati i rintracci effettuati dalla questura di Lecce; l’anno successivo il dato si è dimezzato e così nel 2002 (ultimo anno di rilevazione) quando gli immigrati non in regola rintracciati sul territorio di Lecce sono stati poco più di tremila. In assenza di elementi che facciano presumere un allentamento dei controlli delle coste e del territorio da parte delle forze dell’ordine, si presume che l’andamento dei rintracci rappresenti una stima ragionevole dell’andamento negli ultimi anni del fenomeno dell’ingresso di immigrati non in regola. Già la prima lettura dei dati permette di considerare un ridimensionamento del peso del territorio di Lecce come terra di approdo per i flussi di immigrazione. Al riguardo è possibile fare alcune ipotesi. Una prima ha a che fare con la fine di emergenze politiche che nel corso degli anni ’90 hanno visto Lecce e le sue coste il principale luogo di approdo di popolazione proveniente dai Balcani e dall’Albania. In secondo luogo – come mettono in evidenza gli inquirenti – il governo albanese avrebbe condotto proprio a partire dalla primavera del 2002 – quando è possibile notare una netta riduzione dei rintracci – una efficace politica di contrasto, bruciando nel porto di Valona un gran numero di gommoni appartenenti ai trafficanti di uomini. ESCI

72 Tab. 1 - Clandestini rintracciati in provincia di Lecce per mese ( ) e variazioni percentuali Var. % Gennaio ,6 Febbraio ,7 Marzo ,8 Aprile ,2 Maggio ,6 Giugno ,3 Luglio ,3 Agosto ,8 settembre ,2 Ottobre ,0 novembre ,6 dicembre ,0 Totale ,8 Fonte: Procura della Repubblica di Lecce ESCI

73 Secondo gli inquirenti, e come emerge dall’analisi dei dati, se in generale la consistenza del fenomeno è data soprattutto dai flussi di immigrati provenienti dall’Albania, che in virtù della vicinanza hanno tradizionalmente scelto il territorio di Lecce come luogo d’approdo, rimane comunque significativo il flusso di curdi (che comunque interessa in misura di gran lunga maggiore le coste calabresi). Questo secondo tipo di flusso presenta delle caratteristiche specifiche. Mentre nel caso degli albanesi vengono utilizzate piccole imbarcazioni come i gommoni, nel caso dei curdi si utilizzano le cosiddette “carrette del mare”, ossia navi in precario stato e destinate alla demolizione che affrontano l’ultimo viaggio della loro carriera stipate di gente che fugge. Nel corso degli ultimi cinque anni sono state 12 le navi mandate alla deriva, che hanno trasportato complessivamente più di 4 mila persone provenienti dai vari territori di diffusione dell’etnia curda. In questo caso la via prevalentemente utilizzata è stata quella della Turchia, anche se – come emerge dalle ultime inchieste – pare che qualche cosa sia cambiato nell’ultimo periodo, coinvolgendo, nella geografia del flusso, le coste greche. Inoltre, mentre il fenomeno albanese sembrerebbe essere prevalentemente gestito da organizzazioni criminali impropriamente chiamate mafiose, nella gestione di quello curdo è rilevabile – sempre secondo le valutazioni degli inquirenti – la partecipazione di organizzazioni politiche turhe (per esempio i partiti clandestini). ESCI

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75 ESCI 4. La costruzione dell’accoglienza
La storia degli sbarchi nel territorio di Lecce e, quindi, dell’accoglienza, è anche la storia di un continuo adattamento ad una situazione iniziale in cui tutto era affidato all’organizzazione dei singoli. Si è trattato di un processo lento e per nulla scontato che, se da un lato ha messo in luce la buona volontà dei singoli, dall’altro ha anche rivelato contraddizioni e disfunzioni, soprattutto nel rapporto con le istituzioni e con la politica. Su questi elementi critici si innesta poi una campagna sociale e politica di crescente intolleranza nei confronti delle strutture di accoglienza degli immigrati paragonati – con alcune campagne di stampa – a veri e propri lager. Tutto ciò non soltanto mette in discussione un particolare modello di accoglienza, ma fa crescere anche il malcontento tra gli operatori che denunciano un clima di sfiducia nei loro confronti e di attacco al loro lavoro. Prima fase: la gestione della “normalità della disperazione” Le coste della provincia di Lecce, ed in particolare la spiaggia della cittadina di Otranto, data la vicinanza con l’Albania, sono luoghi tradizionalmente prediletti per gli sbarchi di persone provenienti dai paesi balcanici e da gran parte delle zone di crisi di tutto il continente asiatico. Fino a circa la metà degli anni ’90 il fenomeno degli sbarchi rientrava in una sorta di gestione della normalità della disperazione, che si consumava tra l’indifferenza dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica italiana. Si trattava, prevalentemente, di piccole imbarcazioni che trasportavano gruppi di albanesi, curdi, afgani e, sempre più spesso indiani e cingalesi che sfuggivano alle persecuzioni o a situazioni di povertà. Tuttavia, gli sbarchi erano continui e ponevano problemi di gestione quotidiana al territorio. Quanti allora hanno potuto seguire le vicende parlano di periodi in cui ogni notte sbarcavano trenta o quaranta persone. ESCI

76 Le istituzioni locali trascuravano il fenomeno o si appoggiavano completamente ad una rete di organizzazioni del volontariato, parrocchie e gente comune che, alla buona e contando sulla volontà dei singoli, davano un primissimo soccorso agli sbarcati e cercavano una sistemazione presso le famiglie del luogo, tra Otranto e Lecce. Si trattava, quindi, di un intervento quanto mai disorganizzato e spesso la buona volontà non era sufficiente gestire una situazione drammatica. Un operatore intervistato ha detto: <<allora si gestiva l’accoglienza senza avere i requisiti per farlo>>. Questo era soprattutto vero nel caso di quanti venivano nel nostro paese sfuggendo da situazioni di persecuzione etnica, personale, o che sfuggivano da teatri di guerra. Si percepiva il fatto che queste persone necessitavano, dopo un primo pasto e dopo un letto, di servizi di assistenza attuati da professionisti, in grado di prendersi carico delle condizioni di salute, psicologiche o delle esigenze di tipo legale. Seconda fase: le emergenze albanesi, dalle piramidi finanziarie alla crisi del Kosovo Le vicende interne dell’Albania dalla seconda metà degli anni ’90 in poi sono state decisive nella trasformazione del fenomeno, facendolo entrare nella sua fase emergenziale, da un lato creando situazioni che hanno incrementato il numero degli sbarchi e, dall’altro, impressionando l’opinione pubblica italiana con il “pericolo profughi”. Inoltre, cominciavano ad emergere degli elementi che rendevano ancora più preoccupante il fenomeno. Secondo gli inquirenti, infatti, gli scafisti utilizzavano i gommoni per introdurre in Italia sostanze stupefacenti. In altri casi queste sostanze erano direttamente messe in vendita dagli immigrati che tentavano, in questo modo, di pagare almeno una parte del costo del viaggio, - sempre secondo quanto è dato apprendere dalle testimonianze degli inquirenti. Il primo momento di crisi è stato segnato dal cosiddetto “scandalo delle Piramidi finanziarie”. Nel 1997 in Albania sono venuti al pettine i nodi di un’economia costruita sul nulla e con la forte intromissione delle mafie internazionali. Una sommossa armata, fomentata sulla pelle di gente disperata, determinò la caduta del governo di Sali Berisha e una spinta per molti ad abbandonare il paese. A partire dal 1998, si sono aggiunti i fatti del Kosovo, che hanno creato un’ulteriore spinta per molti ad abbandonare terre ormai teatro di guerre e di persecuzione. E’ questo l’anno della massima intensità del fenomeno, quando i rintracci sulle coste leccesi superavano le 26 mila unità (dato Procura di Lecce). ESCI

77 Di fronte a questi fatti, l’Italia ha reagito in maniera dura e ottusa al contempo, cercando di arginare l’emergenza a Valona, sull’onda di emotività dell’opinione pubblica italiana. Furono istituiti presidi militari e mandate navi sulle coste albanesi e il risultato fu la verifica della totale inadeguatezza di questi strumenti a contenere il fenomeno. Secondo alcuni operatori dell’accoglienza, sarebbe servita allora, da parte delle istituzioni italiane ed europee, la capacità di programmare e gestire i flussi, criteri la cui assenza ha determinato un ulteriore rafforzamento delle reti criminali. Queste, infatti, per decine di migliaia di disperati rappresentavano l’unica speranza per sfuggire al dramma di quelle terre. Per la provincia di Lecce il periodo dell’emergenza profughi è stato un momento fondamentale, nel quale si è passati da un modello di accoglienza semispontanea ad una sua organizzazione. Il Ministero degli interni si è attivato con la Prefettura perché facesse da stimolo a questo processo, investendo le organizzazioni del volontariato, sia laiche sia religiose. Il periodo dell’emergenza coincide, quindi, con la nascita dei centri di accoglienza, dapprima il Regina Pacis, di proprietà della Curia vescovile e gestito dalla Caritas Diocesana, quindi del Centro Lorizzonte a pochi chilometri da Lecce, dove il CTM stava realizzando una struttura per il recupero dei tossicodipendenti e di altre categorie di svantaggiati - progetto immediatamente convertito su proposta della Prefettura. Inoltre è sorto nel Comune di Otranto il centro di accoglienza Don Tonino Bello per prestare un primissimo soccorso prima che gli immigrati vengano destinati ad uno dei due centri. ESCI

78 ESCI L’attenuazione del fenomeno
La fase attuale è caratterizzata da un’attenuazione del fenomeno degli sbarchi. Bisogna tuttavia segnalare che uno sbarco di una certa rilevanza è avvenuto il 24 agosto del 2002, quando su una motonave di circa 20 metri (senza denominazione e bandiera) è stata rintracciata a Santa Maria di Leuca con a bordo 203 curdi. Un più recente fatto è avvenuto – con modalità anomale secondo gli inquirenti – il 20 gennaio scorso, quando un gommone denominato Sakis è naufragato ed è stato soccorso da un mercantile russo: a bordo sei persone di nazionalità curda con sei cadaveri; facevano parte di un equipaggio di 35 persone partite dalla turchia con una nave e trasportate sul gommone in Grecia. Il resto dell’equipaggio è andato disperso. Lo spostamento degli sbarchi in altre zone del Sud d’Italia può essere fatto risalire, ad una sommaria ricostruzione, a logiche interne alle organizzazioni mafiose e al differente livello di protezione delle coste da parte delle autorità preposte al controllo, ma gli osservatori privilegiati non sono concordi su questo. In particolare quanti mettono in evidenza le condizioni strutturali connesse alla fine delle emergenze temono anche che questa attenuazione non sia un processo irreversibile e che il fenomeno degli approdi possa riprendere con una intensità ancora sconosciuta in seguito alle vicende in atto in Iraq. La presenza di strutture organizzative nate durante la fase dell’emergenza, e la possibilità di gestire una serie di risorse finanziarie messe a disposizione a livello europeo e a livello statale hanno consolidato le strutture dell’accoglienza, così come anche di interessi, certamente legittimi, tutti interni alla sopravvivenza degli enti e delle organizzazioni che fanno accoglienza. Questo fenomeno ha un aspetto di positività, in quanto garantisce e istituzionalizza i criteri di accoglienza; non sono tuttavia da sottovalutare alcuni effetti perversi che possono generarsi intorno ad una logica dell’economia dell’accoglienza, laddove più soggetti competono per ottenere lo stesso finanziamento e questo a scapito della gestione integrata e della valorizzazione delle competenze di ciascun attore. Il rischio, tutt’altro che taciuto dagli stessi operatori dell’accoglienza, è quello di disperdere capacità progettuali e di gestione, con la possibilità – peraltro già in atto – di creare delle cesure tra gruppi e organizzazioni differenti che poi vengono assorbite dal conflitto politico particolarmente vivo sul territorio di Lecce. ESCI

79 In particolare sarebbe viva una continua polemica tra quanti operano congiuntamente alla Amministrazione provinciale, espressione del centrosinistra, e quanti operano, invece, più vicino all’Amministrazione comunale, espressione del centrodestra. Considerando le trasformazioni in corso della legge sull’accoglienza, Lecce, proprio in virtù della presenza di strutture rilevanti, si candida ad essere una zona in cui verranno concentrati gli immigrati sbarcati nelle altre coste. Quindi l’attenuazione del fenomeno degli sbarchi difficilmente andrà a determinare un ridimensionamento delle politiche di accoglienza sul territorio. Secondo osservatori privilegiati, alcune tra le strutture più significative saranno potenziate, mentre saranno chiusi i centri pugliesi di più piccole dimensioni. In tutta la Puglia rimarrebbero, quindi, tre grandi strutture compresa una nei pressi di Foggia. Ma si tratta – bisogna sottolineare – soltanto di ipotesi raccolte tra gli operatori durante la fase di ricerca sul campo. La trasformazione è tutt’altro che indolore e prevede delle precise scelte di campo in funzione del modello di accoglienza che ci si prefigge di erogare. Alcuni operatori, di differente estrazione ideologica e con differenti sensibilità rispetto al concetto di accoglienza, stigmatizzano alcuni problemi a cui probabilmente si andrà incontro e che sono di difficile soluzione. In primo luogo i centri di prima accoglienza, trasformati in centri di identificazione, potrebbero divenire delle mere strutture di ordine pubblico, dove comunque sarà necessario fornire un’assistenza di tipo civile e sociale (complementare e aggiuntiva rispetto a quella militare) e garanzie perché in questi luoghi vengano rispettati i diritti di tutti. Allo stesso tempo, tuttavia, questa trasformazione – che tenderebbe comunque a far confluire in strutture sempre più grosse un numero sempre più elevato di ospiti immigrati – porrà problemi di ordine pubblico ancora più urgenti. In particolare, con la prevista riduzione dei tempi per l’ottenimento o il rigetto della richiesta di asilo, si aprirà – secondo alcuni testimoni privilegiati – il problema di gestire la fase di comunicazione degli esiti del lavoro delle commissioni territoriali. Come risponderà la massa di richiedenti che potrebbe vedere congiuntamente respinta la richiesta di asilo? Come saranno gestite eventuali sommosse? E da chi? Queste considerazioni, insieme ad altre, devono fare riflettere sugli svantaggi connessi alla gestione di grossi centri dove viene accalcata una umanità eteregonea fatta di disperazione e pronta a scoppiare quando le speranza – spesso costata risorse ingenti a chi è partito – viene rotta. Nel mondo associativo leccese questo dibattito è particolarmente vivo e c’è chi auspica addirittura un passo indietro del volontariato rispetto a queste logiche. ESCI

80 ESCI 5. Descrizione dell’offerta di accoglienza
Il tessuto dell’accoglienza nella provincia di Lecce consiste sia di centri di prima accoglienza sia di centri di seconda accoglienza; questi ultimi sono quelli previsti dal Programma Nazionale Asilo (PNA). Inoltre non mancano tentativi delle istituzioni di allargare il concetto dell’accoglienza a forme di intervento che prevedono la permanenza e la valorizzazione delle esperienze dei richiedenti asilo e degli immigrati in genere, attivando una serie di attività di progettazione. A parte qualche elemento di eccellenza che ad una prima indagine sembrerebbe caratterizzare il sistema dell’accoglienza nell’area, è sin d’ora possibile evidenziare due momenti critici: una certa litigiosità che caratterizza i soggetti preposti ad offrire questo servizio, riconducibile ad una matrice di appartenenza politica, e la caratteristica – tipica di molte situazioni in cui il volontariato è preminente – di fondarsi essenzialmente sulla presenza e la volontà di individui singoli, che non dà sufficienti garanzie sulla continuità dell’azione. La “primissima” accoglienza Una fase preliminare all’accoglienza vera e propria avviene nella località di concentramento più prossima alle zone di sbarco. Nella città di Otranto esiste un presidio della Capitaneria di Porto ed una struttura, il Don Tonino Bello, gestita dal Comune che si avvale del contributo di associazioni del volontariato cattolico. Non è possibile parlare di vera e propria accoglienza dato che quanti sono appena sbarcati vi vengono concentrati per tre o quattro ore, ossia per il tempo necessario ad una prima identificazione. Qui avviene una prima selezione tra quanti vengono destinati all’espulsione come clandestini e quanti, invece, richiedono asilo politico oppure vengono riconosciuti provenienti da paesi per i quali è previsto l’aiuto umanitario. Il Comune di Otranto provvede a coprire i costi compresi quelli di prima assistenza. La Caritas e la associazione Agimi, utilizzando l’attività dei volontari, forniscono materialmente la prima assistenza. ESCI

81 L’associazione Agimi, che ha sede nei pressi di Maglie, si caratterizza per essere un’associazione del volontariato europeo operante nell’ambito del programma europeo di volontariato (si tratta di un network di associazioni tra quelle che forniscono e quelle che ricevono volontari). Al momento della visita vi erano due volontarie provenienti dalla Germania che avevano il compito di prestare servizio proprio al Centro Don Tonino Bello. Oltre al classico servizio connesso all’assistenza queste volontarie avevano il compito di registrare giorno per giorno quello che accade al centro quando vengono portate delle persone straniere per la prima assistenza e l’identificazione (che avviene a cura delle forze dell’ordine). Gli animatori dell’associazione spiegano che la loro funzione va oltre la mera attività di assistenza e deve essere altresì intesa come orientata a garantire la presenza di osservatori civili durante le operazioni di identificazione. Ai tempi delle emergenze degli sbarchi l’attività del Centro Don Tonino Bello era particolarmente importante, in quanto da qui gli stranieri venivano mandati presso l’uno o l’altro dei centri e in qualche misura se ne segnava il destino. Le sorti del Don Tonino Bello sono incerte. La ristrutturazione dell’accoglienza, che avverrà con il varo dei regolamenti connessi al conseguimento dello status di profugo, porteranno, secondo l’opinione di alcuni tra gli osservatori privilegiati, ad una sua chiusura, anche se altri ritengono possa diventare un altro centro di identificazione. ESCI

82 ESCI La prima accoglienza ai richiedenti asilo
Il Centro di prima accoglienza Lorizzonte[1] è situato nel comune di Casalabate, a circa dieci chilometri a Nord di Lecce. Sorge in un’area rurale contornata da uliveti in una masseria nominata “la Badessa” di proprietà della Provincia di Lecce. L’ente gestore dei servizi di accoglienza è l’associazione CTM, che si occupa di interventi di aiuto nelle aree svantaggiate, attraverso programmi di cooperazione internazionale e al servizio delle persone in difficoltà. Dal 1985 opera come ONG ed ONLUS ed ha progetti aperti in Albania, Libano, Repubblica Dominicana ed Ecuador. Un altro settore si occupa di Commercio equo e solidale. Forte dell’esperienza nel campo dell’aiuto umanitario e del volontariato, il CTM ha stipulato una convenzione con la Provincia di Lecce la quale ha ceduto in comodato la struttura per circa venti anni a titolo gratuito; le spese di adeguamento dei locali sono state a carico dell’associazione, almeno nella fase iniziale del progetto, mentre ora tutti gli interventi vengono coperti dalla Prefettura. Dal luglio ’98 alla data di rilevazione, sono transitati da Lorizzonte immigrati, il 22 per cento di questi sono minorenni e il 22,3 per cento donne. [1] La ricerca sul campo è stata conclusa nel febbraio 2003, in data precedente alle vicende che hanno portato alla chiusura del centro orizzonte. Durante le visite erano in corso le trattative per la stipula di una nuova convenzione. ESCI

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84 Nonostante gli ospiti non siano costituiti soltanto da persone sbarcate sulle coste salentine, si può notare che il dato storico risente fortemente di flussi che tradizionalmente hanno utilizzato la rotta che dall’Albania e dalla Turchia arriva fino alle coste salentine. La gran parte di essi è venuta, infatti, dal Kosovo, in particolare durante il periodo del conflitto delle forze Nato con la Serbia, in misura appena inferiore dall’Iraq e dallaTurchia. ESCI

85 La forte presenza di maschi adulti, nel corso degli anni di attività del Centro, riflette le caratteristiche del fenomeno migratorio degli ultimi anni che, a differenza che in altre epoche, è poco caratterizzato dalla presenza di interi nuclei familiari. Questi hanno comunque rappresentato una quota minoritaria, ma significativa, durante i periodi di fuga da situazioni di conflitto o di crisi (Kosovo, Iraq). Al momento della visita al centro vi erano 111 ospiti (tab. 5); questi erano in prevalenza uomini di maggiore età (quasi il 95 per cento) e in misura mariginale erano presenti donne e minori. Considerando il paese di origine, vi è la netta prevalenza di persone che hanno dichiarato provenienza dall’Iraq e che sono resumibilmente in gran parte di etnia curda. Per la gran parte erano stati rintracciati nei pressi di Altamura, alla stazione dopo dove si erano recati dopo essere sbarcati sulla costa salentina; un altro gruppo consistente proveniva o dal CPT Regina Pacis; in altri casi si era trattato di persone presentatesi spontaneamente in Questura per fare richiesta di asilo. Un ultimo gruppo era invece stato intercettato a Catania, e trasferito a Lorizzonte dove erano in corso le operazioni di identificazione con la somministrazione del questionario da parte del personale della Questura, coadiuvati da interpreti ufficiali. ESCI

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87 L’ente di gestione si occupa essenzialmente dei servizi di accoglienza, ossia fornire vitto, alloggio e vestiario agli ospiti per il periodo di permanenza. Per questi servizi utilizza una somma messa a disposizione delle Stato sulla base del numero degli ospiti presenti, pari a circa 18 euro giornalieri corrisposti per tutta la permanenza nel centro. Questa permanenza si protrae per circa un mese, il tempo necessario all’ottenimento di un permesso di soggiorno temporaneo. Il direttore del Centro denuncia che la cifra è esigua per affrontare tutte le spese necessarie al mantenimento. Questo spinge non soltanto ad utilizzare risorse messe a disposizione dal CTM, ma anche ad attivare reti di solidarietà per procurare, per esempio, gli indumenti, con specifiche richieste non soltanto alle famiglie della zona ma anche a ditte produttrici. Una curiosità: l’economia della solidarietà provoca le sue impreviste discriminazioni; risulta, infatti, relativamente facile trovare indumenti per l’infanzia dato che i bambini crescono, e i vestiti si accumulano nelle famiglie che sono ben disposte a darli in beneficenza. Sembra invece che una delle urgenze che tiene impegnata quotidianamente l’amministrazione sia il reperimento di pantaloni e di scarpe per adulti. Per ovviare al problema si fa ricorso all’acquisto presso aziende disposte a fare consistenti sconti per motivi umanitari. Durante il colloquio il direttore ha avuto degli scambi telefonici con una ditta settentrionale produttrice di vestiario disposta a svendere una parte del suo magazzino. Il Centro dispone di circa 500 posti letto divisi in camere in grado di ospitare fino a 10 persone ciascuna. La capacità può essere allargata fino ad arrivare a circa mille unità per fronteggiare periodi di emergenza. Ma in questo caso le condizioni di vivibilità possono superare i limiti di sopportabilità. All’interno operano un direttore ed un responsabile dell’amministrazione. Si tratta delle persone più motivate e attente alle sorti future di questo centro. Hanno alle spalle esperienze condotte nella vita associativa e di assistenza alle categorie più deboli, Per esempio, con tossicodipendenti e malati mentali. La possibilità di lavorare per il CTM all’interno de Lorizzonte ha rappresentato una possibilità di dare stabilità e continuatività all’impegno sociale, senza che tuttavia questo abbia comportato burocratizzazione delle attività. La presenza di operatori motivati permette di affrontare le difficoltà che di volta in volta si presentano nella gestione del campo. Questo comporta, per esempio, capacità e freddezza nella gestione dei rapporti tra i differenti gruppi ospitati. In particolare quando il numero degli ospiti è elevato è possibile che scoppino conflitti anche per le cose più futili. ESCI

88 Questi momenti spesso vengono gestiti in maniera problematica dalle forze dell’ordine, che non sempre sono sufficientemente preparate a trattare con chi è una situazione di sostanziale internamento in attesa di ottenere il permesso di soggiorno temporaneo. Gli operatori devono, quindi, mettere in pratica le loro capacità di mediazione per fare che la situazione non degeneri. Nei limiti del possibile proprio quelli più motivati tentano di stabilire legami solidi con chi viene portato nel centro. Le storie che raccontano hanno per protagonisti richiedenti asilo in carne ed ossa, con il loro problemi (per esempio le loro ansie o i problemi più concreti di una malattia). Nondimeno questa loro tensione è sostanzialmente mortificata da elementi che definiscono ‘strutturali’, come per esempio il fatto che, una volta ottenuto il permesso di soggiorno, è difficile seguire i richiedenti asilo. Questo, tra l’altro, comporta che molti non si presentino dinnanzi alla Commissione centrale, o che questa semplicemente non riesca a comunicare loro la data dell’audizione. In secondo luogo, la gestione del campo ha a che fare continuamente con emergenze materiali che impegnano la gran parte della giornata e delle risorse: ricerca di beni e prodotti da impiegare per l’assistenza primaria, gestione dei conflitti, rapporti con le istituzioni. Nel periodo di rilevazione si è aggiunta l’amarezza di questi operatori per la sorte del campo, a causa delle trasformazioni in atto a livello legislativo che aprono incertezze su chi e su come dovrà essere gestito. Il rischio, dicono, è quello di disperdere improvvisamente il prodotto di un lavoro complesso e faticoso che, tra mille problemi, si è protratto nel corso degli ultimi anni. La presenza di due mediatori culturali, uno di origine albanese e uno di origine marocchina, garantisce la possibilità di superare, almeno in parte, la barriera della lingua. Il mediatore marocchino è figlio di un commerciante che si è trasferito molti anni fa in Italia. Ha acquisito nel nostro paese un diploma professionale come elettricista, dopodiché ha frequentato un corso per mediatori culturali, e da tre anni lavora nel centro. Queste figure hanno un contratto a tempo determinato con CTM, e la necessità di trascorrere gran parte della giornata con le persone che stanno nel Centro – spesso ben oltre le otto ore previste dal contratto – le rende attenti alla sorte degli ospiti. ESCI

89 Nel corso dei colloqui,viene indicato che per migliorare la condizione degli ospiti sarebbe bello poterli fare uscire, “ma ci sono problemi con le forze dell’ordine”. Per i servizi mensa, spaccio e pulizie si utilizzano persone provenienti da altre esperienze lavorative, spesso precarie, che si accontentano di contratti di breve durata. Per il servizio pulizie operano due o tre persone. Vi è poi un responsabile dello spaccio assunto con modalità analoghe anche se ha compiti di responsabilità nella gestione del magazzino. In ogni caso si rileva che gli operatori dei servizi di base generalmente conducono le loro attività in isolamento, senza contatti con gli ospiti se non quelli formali connessi alla mansione. In generale, non riescono e non sono interessati ad intrecciare relazioni con persone di cui ignorano sostanzialmente i problemi. Sopra tutte le difficoltà opera, per di più, la barriera linguistica. Mansioni di questo tipo sono solo apparentemente quelle più umili e prive di contenuto relazionale. Proprio la gestione delle esigenze personali più semplici, agli occhi di persone che fuggono da situazioni di disperazione, assume un significato di capitale importanza. Da questa considerazione potrebbe conseguire l’obiettivo di agevolare il contatto tra gli addetti alle mansioni di base e gli ospiti del centro, in modo da riempire di contenuti umani questi servizi. Separato dall’ente di gestione, ma operante all’interno della stessa struttura, vi è un servizio sanitario fornito dall’ASL che funziona ventiquattro ore al giorno. Le attività di questo servizio sono garantite da cinque medici e otto paramedici. Al momento di svolgimento dell’indagine, questo è l’unico centro di prima accoglienza in Italia ad offrire un sistema così continuativo. Recentemente la persona che ha animato il centro sanitario è andata via; il progetto assistenziale prosegue secondo le medesime linee date dal regolamento, anche se sembrerebbe mancare una persona in grado di progettare ulteriori sviluppi per questo servizio e per motivare i colleghi. ESCI

90 L’orizzonte offre anche assistenza legale usufruendo sia di volontari del CTM sia degli avvocati messi a disposizione dal CIR, che sono presenti circa due volte la settimana. A garantire l’ordine esiste un nucleo composto di sei agenti della guardia di finanza. Durante le visite effettuate a più riprese nel Centro, ho assistito un paio di volte al loro intervento per imporre il silenzio ovvero per riportare l’ordine nel piccole situazioni di conflitto, usuali quando si concentrano in un unico posto persone diverse, accomunate soltanto da una miscela di speranza e di paura per quello che accadrà. Il rapporto tra gli operatori civili e le forze dell’ordine è piuttosto complesso: se in alcuni casi si nota una totale fiducia, soprattutto con gli operatori di polizia più anziani ed esperti, si denunciano rapporti tesi con il personale di polizia più giovane e inesperto. Nei momenti di tensione tra le forze dell’ordine e gli ospiti, gli operatori civili si adoperano da intermediatori perché la situazione non degeneri (come mi è capitato di constatare direttamente). Dai colloqui effettuati vi è, in generale, la coscienza di operare bene rispetto alle condizioni date e, soprattutto, di offrire un servizio migliore rispetto a quello offerto dalle altre realtà dell’accoglienza in Italia. Tuttavia, essi stessi imputano questo relativo vantaggio semplicemente alla fine della situazione di emergenza che caratterizzava la provincia leccese negli anni precedenti. Si ritroverebbero, infatti, a gestire una situazione decisamente più tranquilla e avendo capitalizzato l’esperienza maturata in precedenza. Un tempo, gli alloggi venivano assegnati sulla base della disponibilità immediata e, seguendo un semplice criterio temporale, veniva a ciascuno assegnata una stanza; il criterio teneva conto delle differenze di nazionalità ma soltanto a livello superficiale. Oggi – dicono – si preferisce fare in modo che ciascuno scelga e costituisca (o ricostituisca) il proprio gruppo. Inoltre, nel caso dei nuclei familiari si farebbe di tutto perché questi godano di privacy. Bisogna tuttavia segnalare che ciò non sempre è possibile e che il sistema viene messo seriamente in crisi quando le persone accolte superano un certo numero, cosa che succede anche oggi durante i frequenti trasferimenti da altri campi di accoglienza, pur senza raggiungere i numeri dell’emergenza. ESCI

91 Anche se quelli chi viene portato nel Centro formalmente non è in uno stato di detenzione, di fatto, non può uscirne. Gli operatori spiegano che, non disponendo essi di alcun documento, li si sconsiglia di uscire, mettendo in guardia dai rischi, in termini di perdita di status e dei pochi diritti acquisiti. In ogni caso, ho avuto modo di constatare come la struttura del Centro e la presenza costante delle forze dell’ordine siano di fatto elementi ali da scoraggiare qualsiasi tentativo di uscire. Questo oggettivo stato di isolamento rende difficile, se non impossibile, programmare attività orientate all’inserimento dei richiedenti asilo nel territorio, almeno a questo stadio dell’accoglienza. Per di più, al momento della ricerca, è in corso la trasformazione dei centri dalla prima accoglienza alla identificazione. Il CTM spera che essi non vengano trasformati in luoghi completamente gestiti dalle forze dell’ordine. Gli operatori civili, in particolare sulla base di una solida esperienza maturata nel corso degli anni della gestione de Lorizzonte, rivendicano l’utilità del loro contributo. Il CTM è impegnato in un confronto con l’Ente provinciale per il rinnovo della convenzione. ESCI

92 ESCI L’assistenza legale
Il CIR è presente nell’area con tre avvocati. Si tratta di persone di giovane età, spesso agli inizi della carriera. Una notevole spinta motivazionale è spiegabile con il fatto che spesso, alla fine del percorso di studi, si trovano a svolgere questo tipo di attività come logica prosecuzione dell’impegno sociale condotto nell’ambito del volontariato e rivolto genericamente a persone bisognose di assistenza (tossicodipendenti, alcolisti, portatori di handicap oltre che immigrati): è spesso qui che hanno consolidato le doti motivazionali essenziali per portare avanti questo tipo di attività. La conoscenza delle problematiche connesse all’immigrazione è avvenuta prevalentemente sul campo. Grazie alla conoscenza delle principali lingue europee – e alla possibilità di attingere a interpreti di varie lingue quando inglese, francese e spagnolo non dovessero essere sufficienti – questi avvocati non hanno generalmente problemi di comunicazione con il loro assistiti. Tra le attività più significative vi è l’identificazione delle persone meritevoli di assistenza. Il problema maggiore è la difficoltà di venire a conoscenza dei diversi casi. Risulta pertanto fondamentale la capacità di tessere delle reti di conoscenza e di fiducia che mettano l’avvocato al centro di un circolo di informazioni. Accade spesso che vengano destinati ai centri di permanenza temporanea, e quindi all’espulsione, immigrati che potrebbero fare la richiesta di asilo politico; in questo caso è significativa la capacità degli avvocati di entrare nei centri di permanenza temporanea e, più ingenerale, di venire a conoscenza dei singoli casi. Contano pertanto i rapporti con gli operatori dei centri che spesso segnalano questi casi. Conta anche la inclusione nelle reti esistenti sul territorio tra stranieri, che spesso possono segnalare i casi bisognosi di assistenza legale. Io stesso nel corso della ricerca ho assistito all’attivazione sul territorio di persone che sono riuscite a contattare gli avvocati per segnalare il caso di alcune donne nigeriane che erano state portate al Regina Pacis quando sarebbe stato loro possibile fare richiesta di asilo. In quel caso gli avvocati si sono mobilitati e quelle donne sono state trasferite. Altra funzione importante degli avvocati consiste nell’essere presenti nei luoghi di approdo o del primo concentramento degli immigrati trovati sul territorio di Lecce in situazioni di irregolarità: è infatti essenziale che qualcuno informi gli immigrati della possibilità di fare richiesta di asilo e che l’immigrato trovi tempestivamente assistenza legale. ESCI

93 Il numero esiguo di avvocati, tuttavia, rende difficoltosa la presenza costante e tempestiva, e questa difficoltà è soltanto in parte controbilanciata dalla presenza di volontari di altre associazioni che forniscono informazioni ma non assistenza. Tra le attività degli avvocati vi è anche qualla di fare il ricorso formale contro l’espulsione una volta che il richiedente asilo abbia ottenuto il diniego dalla Commissione. In questo caso si ricorre davanti al giudice civile che può riconoscere un permesso di soggiorno a tempo indeterminato. Rencentemente sono riusciti ad ottenere, tramite convenzione con la Prefettura di Brindisi, un posto nel porto di quella città così da garantire la loro presenza nei casi, sempre più frequenti, in cui vengono trovati nelle stive delle navi persone entrate illegalmente nel Paese, così da poter segnalare i casi in cui sia possibile attivare le procedure di richiesta di asilo. Nei casi di concreta quotidianità, la funzione dell’avvocato va spesso oltre i compiti strettamente professionali connessi alla difesa e perorazione delle cause, diventando un momento di appoggio e di conforto per i vari bisogni degli immigrati. Nel corso dei miei colloqui sono stato testimone di diverse telefonate di richiesta di aiuto, condotte spesso in ottimo inglese. Con alcuni immigrati in particolare è possibile che si stabiliscano rapporti di lunga durata, anche a distanza, una volta che si sono allontanati dal territorio leccese. Il servizio di assistenza legale agli immigrati trova uno dei limiti nel fatto che non garantisce livelli di reddito consoni al tipo di carriera a cui potenzialmente un avvocato potrebbe aspirare. Questo determina, da un lato abbandoni dell’attività - eventaulità particolarmente grave in considerazione del fatto che l’efficacia dell’attività è connessa alle capacità, personali, di costruire una rete di contatti per venire a conoscenza dei casi meritevoli di aiuto – e dall’altro sdoppiamenti delle attività che, nel corso della vita professionale, potrebbero mettere in secondo piano quelle connesse all’assistenza agli immigrati. ESCI

94 ESCI La seconda accoglienza e chi ne rimane fuori
I centri di seconda accoglienza sono sorti nell’ambito del Programma Nazionale Asilo (PNA) realizzato dal Ministero dell’Interno, dall’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia (ANCI), e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Si tratta di piccole strutture aperte a non più di venti o trenta richiedenti asilo, alle quali si può accedere soltanto previa valutazione della Segreteria Centrale del PNA, che tiene conto della realtà territoriale (presentazione di progetti da parte di istituzioni, enti, associazioni lì operanti). In un primo momento mi era stato detto che il criterio è quello di privilegiare quei casi in cui è altamente probabile il riconoscimento dello status di rifugiato; in un secondo momento la circostanza è stata smentita da altri operatori, e ho anche raccolto informazioni riguardanti persone che, pur inserite nel programma, non hanno poi ottenuto lo status di rifugiato. Per convenzione è spesso possibile che una quota degli ospiti sia inserita autonomamente da chi gestisce i centri, ma non tutti i centri si avvalgono di questa facoltà. Fino allo scorso anno, nella provincia di Lecce operavano due strutture di questo tipo, una a Maglie, gestita dall’ISPE, un ente pubblico di tipo IPAB, e un’altra a Carpignano Salentino, gestita da un’associazione di volontariato. Tuttavia, questi progetti stanno giungendo ad esaurimento e si attendono gli sviluppi della normativa prima di presentare nuovi progetti. L’attività del centro di Maglie è garantita dal fatto di potere avere alle spalle una struttura pubblica, ma attualmente opera soltanto per portare a termine i programmi di accoglienza già iniziati. AL momento del colloquio erano ospitate otto persone, di cui due donne ed un minore. Sono stati anche ridimensionati alcuni servizi offerti, e, in particolare, non è più possibile procurare l’assistenza legale. Fino all’anno scorso erano 24 le persone presenti. Durante la fase di piena attività il Centro si era impegnato attivamente nell’inserimento degli ospiti nel tessuto lavorativo, seguendo le finalità del PNA. In particolare sono stati stipulati con l’Ufficio provinciale del lavoro alcuni contratti di tirocinio presso aziende della provincia di Lecce, con diritto di indennità (non è possibile corrispondere un salario vero e proprio data la condizione giuridica degli ospiti). Le aziende interessate operavano nell’edilizia, nella lavorazione della pietra leccese e altre operavano nel settore edilizio. Si è trattato comunque di impieghi a basso contenuto tecnico e richiedenti basse competenze. Inoltre, al fine di affrontare le spesso gravi condizioni psicologiche dei richiedenti asilo, il Centro si è avvalso dell’assistenza del consultori dell’ASL e di dei centri di igiene mentale. ESCI

95 Ad oggi la sorte dei centri di seconda accoglienza per i profughi è piuttosto critica, ma si attende un bando per la riproposizione di progetti nell’ambito del PNA che, se da un lato prevederà l’azzeramento della situazione, dall’altro darà precedenza alle realtà che già hanno fatto esperienza di seconda accoglienza. Il centro di Carpignano Salentino accoglie otto persone, e andrà ad esaurire il progetto in aprile. Ha luogo in una struttura comune, una ex scuola. Sono state effettuate attività di alfabetizzazione, corsi professionali (come quello di pasticceria) tutti attivati dai Centri territoriali permanenti. La seconda accoglienza ha, fondamentalmente, la funzione di agevolare l’inserimento delle persone nel mondo lavorativo e sociale. Le esperienze della associazione Agimi – che ha condotto il piano che poi è passato ad un gruppo di Carpignano Salentino – sono state particolarmente significative, dal momento che è stato introdotto il sistema dell’accoglienza in appartamenti, e privilegiando i gruppi familiari, sulla base di un decalogo elaborato dagli animatori dell’associazione. Questo sistema sembra avere avuto due vantaggi: dal momento che i gruppi familiari venivano inseriti in condomini, avevano la possibilità di prendere parte ad un microcosmo sociale composto dalle persone del luogo. Lo scopo era quello di attivare i primi canali dell’inserimento sociale, che in questa prima fase passavano attraverso gesti di cooperazione e di aiuti ai nuovi ospiti. In secondo luogo la vita in appartamento tendeva a consolidare l’esperienza di gruppi stabili che mettevano in atto meccanismi interni di gestione delle difficoltà e dei problemi posti dalla quotidianità in un contesto nuovo. Quando l’eseprienza della seconda accoglienza termina, per esempio con l’accogliemento della richiesta di asilo, è necessario che il rapporto con gli operatori continui, anche se ciò non sempre è facile. Le borse di lavoro, che di fatto per le azienda hanno rappresentato un ‘costo zero’, dovrebbero tradursi in rapporti più o meno stabili. Contano quindi, e in alcuni casi hanno funzionato su quel territorio, le relazioni sociali degli animatori dei progetti con il tessuto economico del luogo per dare prospettive di stabilizzazione, attivando reti basate sulla fiducia reciproca. Inoltre, esiste tutta una fase di transizione che necessita di essere continuamente seguita, perché le persone imparino a risolvere problemi banali: per esempio, i contratti per i servizi essenziali (elettricità, gas, telefono, acqua) devono passare alla loro gestione diretta, e spesso questo comporta rapporti con la burocrazia ai quali i rifugiati non sono preparati. ESCI

96 Il limite della seconda accoglienza è stato la ristrettezza delle risorse messe erogate dal PNA, che non ha permesso che di operare su un piccolo numero di richiedenti asilo. La grande maggioranza di essi è rimasta esclusa, impossibilitata ad accedere a situazioni lavorative. Tra questi, quanti rimangono sul territorio di Lecce sono destinati a condurre una vita ai margini della società, i più fortunati trovando un lavoro nero, ma comunque vivendo nella precarietà della situazione economica ed abitativa; gli altri, destinati ad una vita di accattonaggio. Il problema sostanziale è che il richiedente asilo, con il semplice permesso di soggiorno temporaneo, non può trovare un impiego regolare. Tutte queste caratteristiche si assommano alla ansia implicita nella condizione di richiedente asilo. In questa situazione i rischi sono quelli della dispersione e dell’ingresso nelle reti della criminalità locale, che rappresenta una modalità di sopravvivenza e una strategia che può illudere sulla possibilità di risolvere i problemi dell’integrazione. Alla luce di queste considerazioni è lecito fare alcune considerazioni intorno al cosiddetto mito della ‘terra di passaggio’. E’ sicuramente vero che, per la grande maggioranza delle persone che sbarcano al Sud, queste terre rappresentano il primo momento di approdo, e che probabilmente la totalità degli immigrati vorrebbe lasciare al più presto. E’ tuttavia sottovalutato il fenomeno di quanti si trattengono nella provincia di Lecce (ma queste considerazioni possono valere anche per la Calabria e la Sicilia) aggravando la loro condizione di clandestinità, finendo in maniera pressoché stabile nella rete del lavoro nero. È il caso degli immigrati che succedono alla manodopera agricola locale nelle operazioni di raccolta, e che rappresentano sempre di più una risorsa “non detta” dell’economia meridionale; ma è il caso, anche, di molte mansioni che hanno a che fare con i servizi alla persona. È possibile asserire l’esistenza di reti, più o meno autonomamente gestite dai gruppi di immigrati, che organizzano lo spostamento di questa manodopera nelle varie aree della regione, o da una mansione all’altra. Come per la prima accoglienza, la prevista trasformazione del funzionamento della commissioni territoriali – che dovrebbe sulla carta comportare la riduzione dei tempi di attesa – avrà delle ripercussioni anche sulla seconda accoglienza. Secondo alcuni, essa andrà a scomparire; secondo altri dovrà essere riempita di contenuti differenti, che hanno a che fare con la mediazione nel mercato del lavoro e con la preparazione ad esso attraverso i corsi professionali. In ogni caso verrebbe superato uno dei limiti fondamentali della condizione del richiedente asilo che è costretto a stare in attesa dell’audizione privo della possibilità formale di lavorare. ESCI

97 ESCI L’accoglienza allargata
Con il concetto di accoglienza allargata ci si riferisce a tutte quelle forme di intervento e di assistenza ai rifugiati che possono essere attivate dal contesto, anche da attori non usualmente o ufficialmente preposti. Si tratta, insomma, di un concetto che va oltre a quelli di prima e di seconda accoglienza. Il Comune Nel corso degli anni l’Amministrazione comunale sembra avere sottovalutato il fenomeno dell’immigrazione in generale, e dei richiedenti asilo in modo particolare. Tuttavia nell’ottobre del 1999 ha indetto un bando pubblico nell’ambito del Programma Urban (Misura 3 – Azione 2) per la creazione nel centro storico della città di uno sportello che offrisse dei servizi di assistenza e informazione agli immigrati. Il bando è stato raccolto e vinto da un gruppo di associazioni: Associazione Comunità Emmanuel; Associazione Guy Gi; Comitato per la Difesa dei Diritti degli Immigrati; Consiglio Italiano per i Rifugiati Ufficio Diocesano Migrantes Di particolare interesse la presenza nel partenariato di un’associazione di immigrati, la Guy Gi, che raggruppa circa 200 senegalesi nella città. Inoltre, la presenza del Consiglio per i Rifugiati sottolinea l’impegno del progetto per i richiedenti asilo. Al momento della prima visita la sede di Lecce Accoglie (questo il nome del progetto) era ubicata in due stanzette al piano terreno di un palazzo d’epoca nel centro di Lecce, nei pressi della stazione ferroviaria; questa sede è stata poi lasciata per un’altra, sempre nel centro storico, ma più confortevole. ESCI

98 ESCI Le funzioni sono prevalentemente di sportello e di consulenza:
ufficio informazioni e prima accoglienza che intende fare da filtro informativo con le realtà della prima accoglienza; assistenza per il disbrigo di pratiche riguardanti permessi di soggiorno ricongiungimenti familiari, iscrizioni scolastiche e al servizio sanitario; consulenza e assenza legale a richiedenti asilo, rifugiati e stranieri; servizio per il collegamento del mondo degli immigrati con l’offerta di lavoro, attraverso attività di collaborazione tra associazioni, enti pubblici e privati. servizi orientati a categorie di immigrati particolarmente svantaggiate (alcolisti, tossicodipendenti etc.) Questo progetto, finanziato con circa 500 mila euro, è stato portato avanti fino alla fine dello scorso anno fornendo assistenza a circa un migliaio di immigrati che sono passati per quella struttura. Inoltre ha svolto attività di comunicazione come la pubblicazione di un bollettino ed una serie di attività di servizio culturale. Ad oggi Lecce Accoglie sta vivendo un periodo di ridimensionamento: terminato il finanziamento ha continuato ad operare per qualche tempo privo di copertura, ma ha anche vinto un successivo bando dell’Amministrazione comunale, ma per un importo che non supera i 50 mila euro e per la durata di un solo anno. E’ stato, quindi, previsto un ridimensionamento delle funzioni rispetto al progetto iniziale ed anche una trasformazione nei rapporti tra le associazioni che lo compongono. Infatti il referente e responsabile del vecchio progetto, espressione della Comunità Emmanuel, al momento del primo colloquio stava lasciando il suo incarico al nuovo referente (nonché capofila del progetto) espresso dal CIR. ESCI

99 La Provincia La Provincia di Lecce entra ufficialmente nella gestione dell’accoglienza ai profughi come ente proprietario della struttura dentro la quale è realizzato il centro Lorizzonte, secondo le modalità già considerate. Inoltre è partner nel nostro Programma Equal-Asylumisland, dove, insieme al CTM, prevede di realizzare attività di sensibilizzazione e comunicazione sul territorio. Bisogna rilevare un generalizzato e diffuso interesse per la questione dell’immigrazione, ma non è possibile individuare operazioni specificamente rivolte ai soggetti richiedenti asilo. Tuttavia la vitalità progettuale, che consiste nell’attingere ad una serie di strumenti finanziari per realizzare progetti di assistenza e di inserimento di categorie svantaggiate, è spesso destinata ad immigrati, anche se in maniera non sistematicamente orientata all’inserimento. Una parte delle attività è orientata al sostegno socio-culturale e alla sensibilizzazione degli abitanti di tutta la provincia di Lecce alla questione dell’avvicinamento culturale; altre attività si prefiggono, invece, l’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro. Sono sostanzialmente due i settori impegnati, quello delle politiche comunitarie e quello delle politiche del lavoro. Il primo ha attivato una unità operativa, assieme a parti sociali e imprenditori, che ha dato vita ad un Patto territoriale e ad un PIT che riguarda tutto il settore agricolo. Nell’ambito di questi piani si prevede di attivare nelle aziende agricole di più piccole dimensioni dei corsi di lingua e di formazione professionale per gli immigrati. Per quanto riguarda i patti territoriali, si discute della possibilità di inserimento per persone. Negli ultimi anni sono state realizzate dall’Ente provinciale alcune manifestazioni nell’ottica del coinvolgimento degli immigrati e del loro inserimento nella comunità locale. Si tratta di Negroamaro – rassegna di musica etnica, del Capodanno dei popoli e di due progetti congiunti tra Italia Spagna e Portogallo dal titolo Gira por la Diversidad. Per quanto riguarda le politiche del lavoro, da rilevare la somministrazione di un questionario finalizzato alla raccolta di informazioni sulla disoccupazione degli immigrati, fatto nell’ambito del Programma Nazionale Asilo e su stimolo della Prefettura. Inoltre, nell’ambito del programma Extrapoint, gestito da un ente di formazione per le industrie (Forema), sono state inviate 14 persone a fare stages in Veneto, che sono poi riuscite ad inserirsi nel mondo del lavoro. ESCI

100 La cosa è stata possibile grazie all’interpretazione del Decreto 181 che prevede la possibilità di inserimento per le fasce più deboli. Dato il loro status, non è stato possibile operare con i richiedenti asilo, ma – secondo i propositori – questo non significa che non sia possibile procedere secondo il meccanismo degli stages per indennità, sperimentati all’interno del PNA dalle strutture della seconda accoglienza. La Prefettura e il Consiglio Territoriale per l’Immigrazione La Prefettura, oltre a coordinare le attività di prima e seconda accoglienza sotto il profilo dell’ordine pubblico e della stipula di convenzioni con i soggetti attuatori dei campi di accoglienza, è chiamata a svolgere una funzione di propulsione in un’ottica di accoglienza integrata del territorio attraverso il Consiglio Territoriale per l’Immigrazione. Si tratta di una realtà prevista dal DPR 394 del 1999 concernente la attuazione del testo unico sulla disciplina dell’immigrazione. Il Consiglio è organismo consultivo il cui compito è di analizzare le esigenze e la promozione di interventi da attivare a livello locale per favorire l'integrazione degli stranieri. In questo ambito è potenzialmente un propulsore di attività orientate all’accoglienza ai rifugiati. Costituito a Lecce nella primavera dal 2000, è presieduto dal Prefetto di Lecce e composto dai rappresentanti delle principali realtà coinvolgibili nella tutela e nell’offerta di servizi agli immigrati. In particolare vi sono rappresentanti degli uffici periferici delle amministrazioni statali, il Sindaco di Lecce, il Presidente della Camera di Commercio, i rappresentanti delle parti sociali (organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro). La legge prevede che siano ufficialmente presenti nel Consiglio le principali associazioni di stranieri; nel Consiglio di Lecce partecipano a questo titolo un rappresentante dell’associazione senegalese “Guj Gi Baobab” e un rappresentante dell’associazione dello Sri Lanka “Tamil”. Vi sono inoltre il presidente di CTM e il rappresentante della Caritas Diocesana a nome di associazioni attive nel soccorso e nell’assistenza agli immigrati. Questa composizione è tuttavia caratterizzata da una certa elasticità e viene allargata ogni qualvolta se ne presenti l’esigenza, per esempio all’università e a quanti altri vengono individuati quali potenziali attuatori di progetti volti alla integrazione degli immigrati. Tuttavia, dato il suo carattere consultivo, si limita a fare da input, e non ha alcun potere di controllo sui progetti. Tutto, quindi, è deferito alle reali capacità di chi deve attuare i progetti. Nel corso di questi ultimi anni il Consiglio si è adoperato perché venissero realizzate nei centri di accoglienza strutture sanitarie rispondenti alle esigenze degli immigrati; ha inoltre stimolato la organizzazione di corsi per mediatori culturali – gestiti da alcune scuole elementari – che hanno poi fornito personale ai centri di accoglienza. ESCI

101 L’ Immigrazione nel mondo e il problema degli immigrati
Fin dall’inizio dei tempi l’uomo a volte ha sentito il bisogno di lasciare il proprio paese d’origine per varie cause; gia’ l’uomo primitivo sentiva il bisogno di spostarsi da un posto ad un altro per cacciare e procurarsi del cibo. Tali spostamenti hanno interessato più di una volta non singoli individui, ma intere popolazioni, basti pensare alla migrazione del popolo ebraico dall’Egitto alla terra promessa, o alle imponenti invasioni barbariche che hanno caratterizzato l’Europa del V sec. D.C. In età moderna invece la causa principale delle emigrazioni è la mancanza ai lavoro nel proprio paese d’origine. Questo ha spinto intere famiglie a spostarsi dai paesi più poveri a quelli più industrializzati. Se si osserva la statistica fatta nel 1998 dalla national geografic society, si può vedere che il maggior numero di immigrati, circa 43 milioni, sono presenti del continente asiatico, ma costituiscono una bassa percentuale rispetto alla popolazione residente perché come ben sappiamo il continente asiatico ha un vastissimo numero di abitanti; ben diversa e’ la situazione dell’Oceania, che pur contando circa 4,7 milioni di immigrati, percentuale molto bassa rispetto a quella asiatica, ha un numero di abitanti assai minore di quello dell’Asia e quindi gli immigrati rappresentano ben il 17,8% della popolazione. Anche in America del nord e in Europa c’è un consistente afflusso di immigrati che costituiscono rispettivamente l’8,6% e 11,5% della popolazione. Per quanto riguarda il nostro paese,l’Italia, secondo un dossier statistico del 1997, gli immigrati regolari sono circa , che hanno costituito il 2,2% della popolazione, e che provengono in maggioranza dall’Europa orientale e occidentale, dal Nord Africa e dall’Africa subsahariana. I paesi da cui partono il maggior numero di emigrati coincidono con la fascia intertropicale del mondo, che interessa l’Africa nord-occidentale, l’Asia meridionale e l’America centrale. ESCI

102 Le popolazioni africane sono emigrate soprattutto a causa di carestie e conflitti etnici quelle asiatiche sono emigrate alcune dopo la guerra del Vietnam, altre si sono trasferite dalla Cambogia a causa di guerre intestine e dall’Afghanistan per l’occupazione russa e il regime dei talebani. Inoltre sono state consistenti le. migrazioni da alcuni stati dell’America centrale, travolti da guerre civili,i flussi migratori determinati dalla caduta dell’URSS e quelli delle popolazioni balcaniche, straziate da continue guerre. La meta delle popolazioni balcaniche è stata soprattutto l’Italia, data la vicinanza tra le due penisole. Le maggiori mete delle popolazioni emigrate, sono i paesi industrializzati come gli USA, l’Europa occidentale, l’Australia, il Giappone e gli stati della penisola arabica. In questi paesi gli immigrati sperano di trovare un lavoro e delle condizioni di vita migliori di quelle che hanno lasciato nei loro paesi d’origine. Tuttavia spesso le immigrazioni spaventano gli abitanti del paese ospitante, perché sconvolgono quella idea tradizionale di stato-nazione e mettono alla prova i concetti di tolleranza e convivenza democratica che sono stati la bandiera dei moderni stati borghesi. Non è raro incontrare persone che rifiutano gli extracomunitari ed assumono comportamenti razzisti nei loro confronti, senza cercare di capire i motivi per cui queste popolazioni sono scappate dai loro paesi, a volte motivi gravi come guerre, conflitti etnici e calamità naturali. L’immigrato viene spesso considerato come un delinquente e non viene accettato. Per questo, come sostiene anche il filosofo contemporaneo Remo Bodei, gli stati dovrebbero abbandonare l’idea di stato-nazione visto come compattezza etnica o linguistica, per permettere di condividere diverse culture tra i singoli cittadini e i vari popoli. 11 fenomeno dell’immigrazione è infatti destinato a continuare, e l’uomo deve imparare a convivere con l’idea di appartenere a una grande popolazione mondiale, che è costituita da diversi popoli ed etnie, che tuttavia sono destinate sempre di più a somigliarsi tra loro, proprio grazie a queste migrazioni, che permettono la mescolanza tra popoli diversi. Piaccia o non piaccia,l’immigrazione in Italia è ormai un dato strutturale. E il nostro Paese va avvicinandosi, per percentuali di stranieri residenti, a Francia, Inghilterra e Germania. Parliamo di due milioni e mezzo di persone, ovvero del 4 per cento della popolazione, di gente che lavora in quei settori del mercato che agli italiani non interessano più o dei quali hanno sempre più bisogno. Da tutto ciò discende la necessità di uno sguardo lungimirante e non emergenziale del fenomeno. ESCI

103 Immigrazione: dai primi interventi alla Legge 189
A partire dagli anni settanta è iniziata una graduale trasformazione del nostro Paese da terra di emigrazione a terra di immigrazione, verso cui si dirigono flussi sempre più intensi di immigrati.  La legislazione italiana ha cercato di fronteggiare questo fenomeno, mettendo a punto una serie di interventi normativi che sono stati raccolti e riordinati solo con l'approvazione del Testo Unico sull'Immigrazione nel Obiettivo comune è sempre stato quello di governare le emergenze poste dai flussi migratori, garantendo al tempo stesso adeguate condizioni di vita al cittadino straniero che risiede nel nostro Paese, favorendone l'integrazione e l'inserimento socio-culturale.  I primi interventi in materia d'immigrazione risalgono agli anni ottanta, quando viene approvata la legge n. 943 del 1986, che disciplina le condizioni di lavoro dei cittadini stranieri, introducendo le prime forme di tutela e avviando la prima procedura di regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari. Negli stessi anni, aspetti come il soggiorno e le espulsioni sono ancora regolati dal Regio Decreto (Rd) n. 733 del 1931, relativo alle norme di pubblica sicurezza. Solo a partire dagli anni novanta, di fronte all'intensificarsi del fenomeno migratorio, si cerca di dare maggiore organicità alle norme sull'immigrazione e si adottano misure più incisive. A questo proposito, due sono le leggi che hanno caratterizzato la normativa sull'immigrazione nel corso degli anni novanta: Legge 39/1990 (Legge Martelli), Legge 40/1998 (Legge Turco-Napolitano). E per ultima la Legge 189/2002 (Legge Bossi-Fini). ESCI

104 Storia dell’immigrazione in Puglia
Le prime esperienze di cittadini immigrati nella regione risalgono alla fine degli anni ’60; nel ’67 arriva il primo marocchino in quel Salento di cui, oggi, si parla solo per gli sbarchi e per i centri d’accoglienza. Anche la Puglia, quindi, è stata interessata dai flussi migratori giunti in Italia in conseguenza delle politiche di stop attuate da altri Paesi europei. Erano anni in cui il vuoto legislativo rendeva più facile l’ingresso, la permanenza senza documenti di soggiorno e l’inserimento nel mercato del lavoro, sebbene nei settori periferici. In questa prima fase, le comunità maggioranti presenti in Puglia sono la marocchina e la senegalese. Nella seconda metà degli anni ’80, in seguito alla sanatoria varata dalla 943/86, i soggetti più giovani e dinamici delle comunità immigrate, ottenuto un regolare permesso di soggiorno, reimmigrano nel centro-nord d’Italia, dove trovano lavoro soprattutto nei settori dell’industria chimica e siderurgica. Le regioni di seconda immigrazione sono la Lombardia il Piemonte e il Veneto per i Senegalesi, la Lombardia e l’Emilia Romagna per i marocchini. Intanto, in Puglia, le catene migratorie richiamano altri migranti. Gli anni ’90 si aprono con un ulteriore regolarizzazione (varata legge 39/90) e con l’arrivo degli albanesi e dei somali: i primi arrivano individualmente già nell’89/’90 e in maniera massiccia e collettiva nel marzo e nell’agosto del ’91 , con quegli sbarchi spettacolari che sono rimasti fortemente impressi nella memoria dei pugliesi e degli italiani; i secondi arrivano nel ‘90/’93 a causa della crisi politica che colpisce il Paese d’origine. In questo periodo continuano le re-immigrazioni e i nuovi arrivi; nelle comunità presenti da più tempo iniziano i ricongiungimenti familiari. Nel 1995 la regolarizzazione varata con la legge Napolitano, conversione del decreto Dini, dà inizio ad un’ulteriore fase della storia dell’immigrazione in Puglia: si assiste alla sedimentazione di alcune comunità (albanese, marocchina, senegalese, filippina e srilankese) e alla maggiore mobilità di altre, che in alcuni momenti riducono le presenze a pochi individui (pakistani, bengalesi, somali, tunisini, egiziani). ESCI

105 Nel la crisi delle finanziarie in Albania causa la rivolta della popolazione e genera un clima di forte tensione e pericolo che porta, dal 13 al 23 marzo, cittadini albanesi alla fuga verso le costi pugliesi. La fine degli anni ’90 è il periodo in cui diventano più consistenti i flussi di natura politica, che interessano migranti in fuga da persecuzioni e sorprusi: il ’98 è caratterizzato dagli sbarchi dei kurdi, tuttora in corso, e dei kosovari. Questi flussi rappresentano l’emergenza che tanto ha attirato l’interesse dei mass-media e che ha distolto l’attenzione collettiva dall’immigrazione stanziale, dai nuovi cittadini che costituiscono associazioni, mandano i propri figli a scuola, avanzano richieste di accesso servizi e di cittadinanza sociale. I nuovi numeri sull’immigrazione Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, gli immigrati soggiornati in Puglia al sono , il 2,4% delle presenze nazionali. Rispetto al 2000, si registra anche in Puglia un lieve calo delle presenze regolari (-0,3%) dovuto, come per il resto d’Italia, al riordino dagli archivi del Ministero dell’Interno e alle notevoli difficoltà incontrate dai cittadini immigrati, soprattutto nelle regioni meridionali, nel rinnovo del permesso di soggiorno. In Puglia, infatti, sono diffusi rapporti di lavoro non regolarmente dichiarati, condizione comune tanto ai lavoratori autoctoni quanto a quelli immigrati. È molto probabile, quindi, che il mancato aumento dei soggiornati rispetto al 2000 sia determinato da cittadini immigrati scivolati nell’irregolarità per le difficoltà incontrate nello stipulare un regolare contratto di lavoro e, di conseguenza, nel mantenimento del permesso di soggiorno. Il 52,7% dei soggiornati in Puglia proviene dall’Europa: in particolare il 5,7% dall’Unione Europea e il 46,4% dall’Europa centro-orientale; i cittadini immigrati provenienti dall’Africa sono il 21,7% del totale regionale, mentre il 13,4% ha origini asiatiche. Solo il 4,1% arriva dall’America. Elevata la quota dei soggiornati di cui il Ministero non registra la nazionalità, in massima parte concentrata nella provincia di Bari. ESCI

106 PROVENIENZA CONTINENTALE DEGLI IMMIGRATI SOGGIORNATI
I cittadini marocchini soggiornati in Puglia svolgono per lo più attività commerciale, con motivazioni differenti a seconda Dell’età: come risulta da un’indagine dell’Osservatorio Provinciale di Lecce (OPI), infatti, per i più giovani il commercio, ambulante svolto prevalentemente nei periodi estivi, rappresenta un’attività temporanea e di ripiego, in attesa di una reimmigrazione verso il centro-nord dell’Italia. PROVENIENZA CONTINENTALE DEGLI IMMIGRATI SOGGIORNATI ESCI

107 STIMA DEI SOGGIORNATI STRANIERI
Considerando la distribuzione per province, si rileva che a Bari e provincia soggiornano la maggior parte dei cittadini immigrati: anche in Puglia, quindi, il capoluogo di regione esercita una buona attrazione sui migranti, in quanto offre maggiori possibilità d’inserimento, soprattutto lavorativo. In tutti i capoluoghi di provincia le comunità maggiormente presenti sono quella albanese e quella marocchina. ESCI

108 ESCI Caratteristiche socio-demografiche
Per capire come sia il ruolo della Puglia nello scenario delle migrazioni che interessano l’Italia, può essere utile considerare le variazioni intervenute nel numero di permessi di soggiorno rilasciati dal 1991 ad oggi. Al i permessi di soggiorno rilasciati in Puglia sono (4.839 a stranieri provenienti da Paesi a Sviluppo Avanzato e a cittadini provenienti da Paesi a forte repressione migratoria). In dieci anni il numero dei permessi di soggiorno è cresciuto del quasi 50%, come conseguenza della maggiore mobilità del popolo albanese e dei flussi migratori di natura politica cui si accennava in precedenza. In tutte le province si registra il raddoppio delle presenze, tranne che a Brindisi dove c’è stato un calo. Il calo ha interessato i cittadini provenienti dai Paesi a sviluppo avanzato e in particolare le donne: è ipotizzabile che la causa di questa consistente diminuzione sia la chiusura della base USA di San Vito dei Normanni, e quindi la drastica riduzione dei ricongiungimenti che interessavano le mogli dei militari americani. Per quanto riguarda il sesso dei soggiornati dal confronto con il 1991 risulta che, negli ultimi anni, la percentuale di donne in possesso di un permesso di soggiorno sia lievemente cresciuto; aumenta anche la percentuale dei coniugati. Un altro elemento che conferma l’ipotesi secondo cui larghe fasce della popolazione immigrata stiano realizzando insediamenti stabili sul territorio è l’aumento del numero di minori, dovuto alla ricomposizione dei nuclei familiari. Per quanto riguarda i comuni di residenza, i cittadini immigrati in Puglia hanno manifestato, nel corso degli anni, la tendenza a stabilirsi in centri di media grandezza, preferibilmente vicini ai grossi centri urbani; le cittadine pugliesi, infatti, garantiscono una qualità della vita migliore rispetto ai grandi centri, ma non minori possibilità di inserimento lavorativo, conseguente alla vicinanza alle grandi città. L’incidenza dei cittadini immigrati sulla popolazione residente è pari allo 0,9%, un valore molto al di sotto al 2,5% rilevato a livello nazionale. ESCI

109 ESCI Minori e inserimento scolastico
Negli ultimi cinque anni si è consolidata la tendenza. Gli albanesi i più rappresentati, sono oltre il 50 per cento .Sono 7000, uno ogni cento alunni, Bari tra le prime 60 province . Gli alunni stranieri della Puglia si sono moltiplicati per tre. Il boom del fenomeno è a Bari che entra a pieno titolo nella rosa delle 63 province italiane col maggior numero gli alunni stranieri: ne ha È l’ultimo capitolo di una storia cominciata in Puglia negli anni Novanta con gli sbarchi dei cittadini dell’Est e cresciuta costantemente. Nell’anno scolastico ‘98 - ‘99 c’erano in tutta la regione 0,33 alunni stranieri ogni cento studenti, a giugno 2005 erano diventati 0,96 (con picco alla scuola elementare di 1,30). Contati uno per uno si tratta di un vero esercito: 6972 ragazzi, l´1,93 per cento di tutta la popolazione studentesca pugliese. E la scuola si arrangia, si sforza, lavora, anche con i fondi tagliati dal ministero, pur di favorire l’integrazione Tra i banchi i ragazzi stranieri non sembrano a disagio. Nella provincia di Bari, rappresentano 86 cittadinanze diverse, trionfa quella albanese. Il Paese delle Aquile è presente nella provincia di Bari con il 56,64 per cento di alunni sul totale degli stranieri Nel capoluogo ce n’è uno ogni cento alunni, in tutti gli altri comuni della provincia sono di più: 1,18. Soprattutto nei paesi dove l’attività principale è l’agricoltura, perché gli adulti immigrati trovano lavoro come braccianti. Dopo il capoluogo, seguono rispettivamente per la percentuale più alta di studenti stranieri: Lecce, Foggia, Brindisi e Taranto. Il dato di Lecce è utile per capire quale possa essere stato l’andamento delle presenze immigrate nel mondo della scuola negli ultimi anni; infatti da una ricerca dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione di Lecce, risulta che nell’anno scolastico ‘96/’97 - l’ultimo per cui erano disponibili i dati ufficiali all’epoca della ricerca – gli alunni non comunitari erano 350. Rispetto ad allora si registra un raddoppio delle presenze. È presumibile che nel corso del tempo tutta la popolazione scolastica immigrata pugliese sia, se non raddoppiata, quanto meno aumentata, e anche questo dato conferma la tendenza di alcune comunità immigrate a soggiornare stabilmente in Puglia. ESCI

110 ESCI Motivi del soggiorno
I motivi dei permessi di soggiorno confermano quanto ipotizzato nell’analisi della distribuzione delle nazionalità soggiornanti in Puglia e cioè che si tratti di una migrazione in cui confluiscono due aspetti: quello economico, che ha come esito insediamenti di tipo stabile, e quello politico, che invece, ha come tratto peculiare la mobilità sul territorio. Infatti, i primi tre motivi di rilascio dei permessi di soggiorno sono lavoro, famiglia e richiesta di asilo. La somma di tutti i permessi di soggiorno per motivi di lavoro è più del 50% di tutti i permessi rilasciati in Puglia. Nel corso del tempo è diminuita la percentuale dei permessi di soggiorno per lavoro ed è contestualmente aumentata quella dei permessi per motivi di famiglia. Solitamente il ricongiungimento familiare avviene quando il migrante ha raggiunto un certo grado di inserimento socio-lavorativo nel Paese di accoglienza o quando i tempi del progetto migratorio iniziale tendono ad allungarsi per le difficoltà incontrate nel realizzare a breve il ritorno in Patria. In entrambi i casi prevale la necessità dell’unità del nucleo familiare, spesso garanzia di un miglioramento della qualità della vita. Il terzo motivo di rilascio di permessi di soggiorno è la richiesta d’asilo. Questo non è un caso perché in Puglia esistono 5 centri di accoglienza, due dei quali, uno a Foggia e uno a Lecce; deputati al trattenimento dei richiedenti asilo. La maggior parte dei richiedenti prosegue il proprio viaggio verso il centro-nord Europa, per ricongiungersi, di fatto, ai propri familiari, nonostante le leggi vigenti li costringano a restare in Italia, Paese primo d’approdo , fino all’audizione delle Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. ESCI

111 ESCI Immigrati e mercato del lavoro
I richiedenti asilo rappresentano una buona percentuale della migrazione di passaggio che interessa la Puglia; il resto è dato da due tipologie di migranti: i più giovani e dinamici delle comunità soggiornanti nella regione, che si spostano nel centro-nord d’Italia alla ricerca di condizioni lavorative più stabili e sicure; i lavoratori stagionali che arrivano in Capitanata per la raccolta del pomodoro e nel Salento per la raccolta di patate, carciofi, angurie. La forte mobilità che interessa gli immigrati in Puglia si evince anche dal dato sull’anzianità della residenza. La regione della forte mobilità dei lavoratori immigrati è da rintracciarsi nelle caratteristiche del lavoro pugliese che non offre garanzie sufficienti. Infatti, secondo i dati del Ministero dell’Interno, al , la forza lavoro immigrata in Puglia è pari a unità, il 2,0% della forza lavoro immigrata presente in Italia, una percentuale davvero bassa se confrontata con i valori di altre regioni. Il lavoro in agricoltura interessa particolarmente i lavoratori stagionali anche se non mancano buone percentuali di stanziali che svolgono l’attività di operatori agricoli in alcuni settori, come quello florovivaistico del Salento. Circa la metà delle assunzioni si rileva nel capoluogo di regione; la restante metà si distribuisce uniformemente fra le altre province pugliesi. La differenza fra assunzioni e cancellazioni è più alta nella provincia di Foggia, dove i rapporti di lavoro durano il tempo della raccolta del pomodoro; infatti, nei mesi della raccolta, confluiscono in Capitanata lavoratori immigrati da tutta Italia. Fino a qualche anno fa il 60% dei lavoratori stagionali dediti a questa attività proviene dal Maghreb; attualmente, nei campi lavorano soprattutto immigrati provenienti dai Paesi dell’Est. Finito il raccolto, si spostano in altre regioni d’Italia, seguendo la stagionalità delle produzioni agricole. Oltre che in agricoltura, i lavoratori immigrati maschi trovano più facilmente lavoro nel settore dell’edilizia, caratterizzato da una forte precarietà, ma in cui è alta la richiesta di manodopera poco qualificata e disposta ad accettare condizioni di lavoro anche molto difficili. In questo settore, la domanda e l’offerta di lavoro si incontrano nelle piazze dei paesi, dove si contratta il compenso giornaliero; l’orario di lavoro è a discrezione di chi dà lavoro e può toccare anche le 12 ore giornaliere. ESCI

112 LAVORATORI STRANIERI TESSERATI ALLA UIL NEL SUD ITALIA
Nel settore dei servizi, la componente delle lavoratrici domestiche rimane molto consistente; anche in Puglia, come nel resto del Mezzogiorno, il loro ruolo sta cambiando: non più collaboratrici familiari, ma addette alla cura e assistenza degli anziani, tanto nei grandi centri urbani, quanto nei piccoli centri della provincia; segno di un cambiamento sempre più profondo, anche nel Sud, della struttura del sostegno sociale e familiare. LAVORATORI STRANIERI TESSERATI ALLA UIL NEL SUD ITALIA ESCI

113 Infine, da non dimenticare è il contributo dato in questo settore dalle associazioni da cui, spesso, è partito l’input per la realizzazione dei suddetti interventi. La Puglia, quindi, comincia a muoversi, a rivolgere la propria attenzione agli immigrati che vivono e lavorano nel territorio da ormai tanti anni, iniziando a considerare il fenomeno come un fatto strutturale e non più emergenziale. ESCI

114 Immigrazione, la legge Martelli ESCI
Il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, convenzione alla quale l’Italia ha aderito nel 1954, è regolato solo dall'articolo 1 della Legge 39/90 (la cosiddetta "Legge Martelli") e da un decreto (DPR 136/90) che definisce soltanto alcuni aspetti della procedura di determinazione dello status di rifugiato. La legge 39 del 90 ( conosciuta come Legge Martelli) rappresenta un punto di svolta. Introduce infatti Il diritto di cittadinanza come diritto realmente fruibile: l'immigrato iscritto al collocamento può infatti lavorare godendo degli stesi diritti del lavoratore italiano L'accesso alla sanità diventa automatico dal momento in cui l'immigrato ottiene il permesso di soggiorno Si costituiscono i centri di prima accoglienza Si rafforza la condizione degli studenti con l'istituzione di borse di studio e attraverso norme legislative che ne facilitano Si inaugura la fase della programmazione dei flussi ( ogni anno il Governo decide la quantità di persone che possono venire dall'estero a lavorare, in base alla richiesta del mercato ) Si riconoscono le associazioni degli immigrati e le associazioni che operano sul versante dell'immigrazione Si istituiscono le consulte nazionali, regionali e provinciali dell'immigrazione. Vengono previsti fondi destinati alle politiche dell'immigrazione   ESCI

115 Immigrazione, la legge BOSSI-FINI punto per punto
ROMA - Entra in Italia solo lo straniero che ha già in tasca un contratto di lavoro; diminuzione da tre a due anni della durata del permesso di soggiorno; introduzione di un reato per il clandestino che rientra in Italia nonostante sia stato espulso; abrogazione della figura dello sponsor; sanatoria per colf e badanti irregolari: impronte ai lavoratori extracomunitari. Questi i cardini della legge Fini-Bossi sull'immigrazione. Ecco i principali punti della legge. PERMESSO DI SOGGIORNO: viene concesso solo allo straniero che ha già un contratto di lavoro. Le ambasciate e i consolati italiani fungeranno quindi da uffici di collocamento, cercando di soddisfare le richieste di imprese e di famiglie alla ricerca di colf. Il permesso di soggiorno durerà due anni; se nel frattempo lo straniero ha perso il lavoro dovrà tornare in patria, altrimenti diverrà irregolare. QUOTE: entro il 30 novembre il presidente del Consiglio, sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni, pubblica il decreto con le quote flussi, cioé il numero di extracomunitari che possono entrare. Il decreto però è facoltativo, e teoricamente per un anno si potrebbe decidere di non far entrare altri stranieri o di fare un altra sanatoria. SPONSOR: è abrogata la figura dello sponsor, prevista dalla Turco-Napolitano, e usata soprattutto dalle famiglie per assumere nuove colf. Alcuni deputati della maggioranza, ne chiedono il ripristino. COLF E BADANTI: sarà possibile sanare una colf a famiglia nonchè un numero illimitato di badanti purchè venga certificato la presenza di anziani o disabili che ne hanno bisogno. La denuncia (dichiarazione di emersione) dovrà essere presentata entro due mesi dall'entrata in vigore della nuova legge alla Prefettura-Ufficio territoriale del Governo competente per territorio. Sveltite le norme burocratiche. ESCI

116 RICONGIUNGIMENTI: Il cittadino extracomunitario, in regola con i permessi, può chiedere di essere raggiunto dal coniuge, dal figlio minore, o dai figli maggiorenni purchè a carico e a condizione che non possano provvedere al proprio sostentamento. Già il Senato aveva detto di no ai parenti entro il terzo grado, oggi la Camera ha introdotto alcune novità: potranno entrare in Italia i genitori degli extracomunitari a condizione che abbiano compiuto i 65 anni e se nessun altro figlio possa provvedere al loro sostentamento. IRREGOLARI: l'irregolare (cioè una persona con documenti ma senza permesso di soggiorno) viene espulso mediante "accompagnamento alle frontiere", cioè viene materialmente messo su un aereo o una nave che lo riporta in patria. E' quanto già prevede la Turco-Napolitano. CLANDESTINO: il clandestino (colui che non ha nemmeno i documenti di identità) viene condotto in appositi Centri di permanenza fino a 60 giorni, durante i quali si cerca di scoprirne l'identità per poterlo rimandare in patria (la Turco-Napolitano parlava di 30 giorni). Se non ci si riesce, al clandestino viene "intimato" di lasciare il paese entro tre giorni (attualmente entro 15 giorni). IMPRONTE DIGITALI: è l'ultima proposta del centrodestra: a tutti gli stranieri che chiedono il permesso di soggiorno vengono prese le impronte, per poterlo riconoscere se contraffà i documenti. REATO DI INGRESSO CLANDESTINO: un extracomunitario che rientra in Italia clandestinamente dopo un'espulsione, compie un reato che lo condurrà in prigione. MINORI: I minori non accompagnati da nessun parente che sono ammessi per almeno tre anni a un progetto di integrazione sociale e civile di un ente pubblico o privato. Avranno il permesso di soggiorno al compimento dei diciotto anni. Una volta maggiorenne sarà l'ente gestore del progetto a dover garantire e provare che il ragazzo si trovava in Italia da non meno di quattro anni, che aveva seguito il progetto di integrazione da non meno di tre, che ha una casa e che frequenta corsi di studio oppure lavora. O, ancora, che è in possesso di un contratto di lavoro anche se non ha ancora iniziato l'attività. I permessi di soggiorno rilasciati a minori ed ex minori dovranno essere sottratti alle quote d'ingresso definite annualmente. ESCI

117 CONTRIBUTI INPS: Gli immigrati extracomunitari per i quali sono stati versati anche meno di cinque anni di contributi potranno riscattarli ma solo quando avranno raggiunto i 65 anni. L'opposizione si è astenuta pur facendo notare che le aspettative di vita in molti paesi del terzo mondo non supera spesso i quaranta anni. La prima stesura del testo prevedeva che gli stranieri perdessero tutti i loro contributi Inps, senza possibilità di riscatto, a meno che non maturassero il diritto alla pensione con 19 anni di versamenti; ma si tratta di casi rari, perchè la maggior parte degli stranieri lavora in Italia per anni al massimo. INFERMIERI PROFESSIONISTI - Entrano a far parte delle categorie speciali, sottratte alle norme sui flussi, vista la grande carenza di questa figura professionale nel nostro Paese. PREVENZIONE: Per prevenire l'immigrazione clandestina il Ministero dell'Interno potrà inviare presso ambasciate e consolati funzionari di polizia esperti ESCI

118 Legge 40/1998 (Legge Turco-Napolitano).
Dopo l'emanazione di una serie di decreti che integrano o modificano la legge Martelli per fronteggiare i crescenti sbarchi clandestini nel nostro Paese, viene approvata la legge n. 40 del 6 marzo 1998, che riorganizza la disciplina dell'immigrazione e supera la logica di emergenzialità che aveva influenzato la normativa precedente. La legge, oltre a regolamentare ingresso, soggiorno ed espulsione, specifica quali sono diritti e doveri dello straniero e prevede l'introduzione di una carta di soggiorno di durata illimitata.  In seguito all'esigenza di armonizzare le varie norme sull'immigrazione, nello stesso anno la legge n. 40 viene fatta confluire nel decreto lgs. 286/98, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. ESCI

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