La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

La presentazione è in caricamento. Aspetta per favore

Riforma del capitalismo e democrazia economica Per un nuovo modello di sviluppo a cura di Riccardo Sanna (Coordinatore Area Politiche di sviluppo, CGIL.

Presentazioni simili


Presentazione sul tema: "Riforma del capitalismo e democrazia economica Per un nuovo modello di sviluppo a cura di Riccardo Sanna (Coordinatore Area Politiche di sviluppo, CGIL."— Transcript della presentazione:

1 Riforma del capitalismo e democrazia economica Per un nuovo modello di sviluppo a cura di Riccardo Sanna (Coordinatore Area Politiche di sviluppo, CGIL nazionale) Perugia, 27 gennaio 2016

2 2 Una premessa necessaria: l’economia è politica

3 Nell’ambito delle scienze sociali, l’Economia è la scienza che analizza il valore, cioè la produzione di beni e servizi, e la distribuzione, dunque anche lo scambio e il consumo. Dal greco ο ἱ κονομία composto da ο ἶ κος (oikos), “casa” inteso anche come “beni di famiglia” o “cose domestiche”, e νόμος (nomos), “norma” o “legge” o “amministrazione” e quindi “regole della casa” ma anche, più estensivamente, “gestione, distribuzione e amministrazione della ricchezza”, ovvero l’arte di reggere e ben amministrare le cose di famiglia e dello Stato. 3 Fonte: Treccani.

4 4 «Poiché la politica usa le altre scienze e poiché, ancora, formula intorno a ciò che dobbiamo fare e ciò da cui dobbiamo astenerci, il fine di questa scienza deve includere quello delle altre, così che il fine sia il bene dell’uomo». Aristotele, “Etica Nicomachea” (384 a.C. –322 a.C.)

5 5 A Thomas Carlyle si attribuisce la definizione di Economia come scienza triste, in quanto riduce le relazioni tra persone ai loro rapporti (astratti) di scambio. Va ricordata anche un’altra sua affermazione: Un uomo che vuol lavorare e non trova lavoro è forse lo spettacolo più triste che l'ineguaglianza della fortuna possa offrire sulla terra. Paul Krugman, invece, rimprovera a molti personaggi illustri di dimenticare l’importanza dei testi base universitari, dove la semplicità dei modelli di riferimento aiuta a partire da problemi semplici: parlare con paroloni e formule complicate può creare una parvenza di legittimità in chi si espone in tal modo. Il problema è che i risultati sono deludenti proprio a causa del percorso non naturale seguito da costoro. Le difficoltà della realtà che ci circonda aumentano tenendo in considerazione le infinite variabili, troppo spesso ignorate o sottovalutate. Pertanto, l’Economia non è affatto una scienza triste, se non quando viene “piegata” dagli interessi precostituiti, e depurata dall’anima filosofica e politica. Dunque, possiamo piuttosto definirla una scienza infelice. [“Economisti per caso. E altri dispacci dalla Scienza Triste”, 2009] (1795 – 1891) (Premio Nobel 2008)

6  flessibilità dei salari vs disoccupazione  mercato del lavoro simile al mercato delle merci  Produttività marginale e Disutilità marginale del lavoro  si determinano il salario reale e il livello di occupazione di equilibrio [(w/P)* e N*].  funzione di produzione a rendimenti decrescenti (determina il prodotto naz. Y*)  Legge di Say e D(N) = Z(N) e si raggiunge sempre l’equilibrio di piena occupazione. 6 Fonte: Sebastiano Marino (Keynes blog).

7 7  Principio della domanda effettiva nel mercato dei beni  aspettative degli imprenditori  propensione al consumo  ruolo della moneta (liquidità) e dell’incertezza (non rischio) per gli investimenti  nessuna tendenza “naturale” alla piena occupazione  lavoratori e imprese contrattano salari monetari, la cui riduzione non ha risvolti positivi sull’occupazione  occorre far crescere i salari con la produttività, mantenendo così stabili i prezzi.

8 Gli uomini della pratica [politica], i quali si credono affatto liberi da ogni influenza intellettuale, sono spesso gli schiavi di qualche economista defunto. Pazzi al potere, i quali odono voci nell'aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro. John Maynard Keynes (“Teoria Generale”, 1936, Cap. II, par. III) 8

9 9 Una questione dirimente: riformare il capitalismo

10

11 RATE OF RETURN vs. GROWTH RATE AT WORLD LEVEL T. Piketty: “Marx said with g=0, β=K/L↑∞, r→0 : revolution, war…”

12 After Tax Rate of Return vs. Growth Rate at World Level, T. Piketty: “with growth slowdown and rising tax competition to attract capital, r - g might well rise in the 21c → back to 19c levels

13 13 Nella nuova età del liberismo nazionale una volta uscita dal centro della scena la vecchia aristocrazia, si determina una obiettiva convergenza tra Stato nazionale e Mercato nazionale. Essa si esprime, soggettivamente, con l'accesso dei borghesi alle grandi cariche dello Stato, attraverso il meccanismo della democrazia a suffragio ristretto (esclusi l'esercito e la diplomazia, riservati all'aristocrazia). Oggettivamente, con la rinuncia dei governi alla regolazione mercantilista dell'economia, in cambio dell'appoggio della borghesia capitalista alle mire espansioniste e imperialiste dello Stato nazionale. Nazionalismo aggressivo e capitalismo sfrenato segnano in seguito la crisi dello Stato liberale sul quale si accumulano all'inizio del XX secolo, in piena Belle epoque, le nuvole di una tempesta. Già Ministro, Senatore e Deputato. Giornalista e soprattutto Economista

14 Income Inequality: Europe and U.S. 1900-2010 Income share of top ten percent

15 15

16 16

17 17 La «grande trasformazione» subita dalle istituzioni liberali negli anni Trenta dello scorso secolo è al tempo stesso per Karl Polanyi la dimostrazione della falsità delle tesi dell'economia politica neoclassica, con la loro apologia dell‘homo oeconomicus e del «mercato autoregolantesi» (che mercifica e mercatizza Terra, Lavoro e Moneta).

18 La trasformazione giunse ancora più improvvisamente di quanto solitamente si ammetta. La prima guerra mondiale e le rivoluzioni del dopoguerra erano ancora parte del XIX secolo. Il conflitto del 1914-18 fece soltanto precipitare ed aggravò enormemente una crisi che esso stesso non aveva creato. Le radici del dilemma non potevano essere tuttavia distinte sul momento e gli orrori e le devastazioni della Grande guerra apparvero ai sopravvissuti la fonte evidente degli ostacoli all’organizzazione internazionale che erano emersi in modo così inatteso. Improvvisamente né il sistema economico, né quello politico funzionavano più. L’esito della prima guerra mondiale avevano allentato la tensione politica esplosa nel 1914 eliminando la concorrenza tedesca, aggravandone allo stesso tempo le cause e accrescendo quindi notevolmente gli impedimenti politici ed economici alla pace. 18 (1866 – 1964)

19 La Grande Depressione 19 PIL Stati Uniti

20 La Grande Depressione 20 Tasso di disoccupazione Stati Uniti

21 21 Debito pubblico delle economie avanzate nel lungo periodo Percentuale del PIL Livello pre-crisi (2007) Fonte: FMI.

22 22 Non sorprende perciò che gli effetti della Grande crisi sia sulla politica sia sulla pubblica opinione furono immediati e drammatici. Sfortunati quei governi a cui capitò di essere in carica durante il cataclisma, fossero essi di destra, come la presidenza di Herbert Hoover negli USA (1928-32), o di sinistra, come i governi laburisti inglese o australiano. (…) L'insediamento quasi simultaneo di regimi nazionalisti, bellicisti e aggressivi due grandi militari come il Giappone (1991) e la Germania (1933) costituì la conseguenza più rilevante e politicamente più minacciosa della Grande Depressione. Le porte della seconda guerra mondiale si aprirono nel 1931. Il rafforzamento della destra radicale fu accentuato, almeno durante il periodo peggiore della crisi, dall'impressionante arretramento della sinistra rivoluzionaria. (1917– 2012)

23 23 tra Crisi globale e nuova «grande trasformazione»

24

25 25 PIL nelle principali economie avanzate (variazioni tendenziali trimestrali) Fonte: elaborazioni CER (2014) su dati OECD-Stats. Statistiche

26 26 PIL nelle principali economie emergenti (variazioni tendenziali trimestrali) Fonte: elaborazioni CER (2014) su dati OECD-Stats. Statistiche

27 27 Fonte: IMF, WEO database (May 2014). Italy in G-7

28 28 Il gap occupazionale Fonte: ILO (2014) Trends econometric models.

29 29 Si torna a parlare di “stagnazione secolare” a New York si è tenuto un summit con premi Nobel e guru dal mondo intero, sulla "stagnazione secolare" che incombe. Uno scenario da incubo, «certamente ancora più plausibile per l'Europa» secondo l'economista Paul Krugman, ma che anche in America è all'ordine del giorno. (…) Vista da qualunque altra parte del mondo – dall‘Eurozona o dalla Russia, dal Brasile e ora perfino dalla Cina – l'economia americana sembra scoppiare di salute: l'unica locomotiva in grado di trainare la ripresa mondiale. Vista da vicino, è meno esaltante. "What's Wrong With The Economy", che cosa non funziona nell'economia, è la conferenza che ha riunito esperti da tutto il mondo sotto l'egida della New York Review of Books e della New York University. Al centro: la stagnazione secolare, un termine coniato per la prima volta nel 1938 da Alvin Hansen, quando l'economia mondiale era intrappolata nella Grande Depressione. (…) Nella versione aggiornata, si tratta di questo: l'economia capitalistica ha bisogno di due motori propulsivi per crescere, la demografia e la tecnologia. La storia del capitalismo moderno è una combinazione di questi fattori: una popolazione crescente allarga le dimensioni del mercato per prodotti e servizi; un flusso di invenzioni e innovazioni aumenta la produttività del lavoro umano. Che fanno ora questi due motori? (Federico Rampini, corrispondente a New York per La Repubblica, 17 marzo 2015)

30 Fonte: OCSE (2011), Divided we Stand. L’aumento delle disuguaglianze Dinamica della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile (coefficiente di Gini) 30

31 L’aumento delle disuguaglianze Dinamica della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile (coefficiente di Gini) 31 Fonte: OCSE (2011), Divided we Stand.

32 La disuguaglianza nella redistribuzione

33 33 La classifica della disuguaglianza Fonte: OCSE (2011), Growing Inequal?. Redistribuzione Disuguaglianza «da mercato» Disuguaglianza del reddito disponibile Coefficiente di Gini di disuguaglianza (concentrazione) nella distribuzione “la disuguaglianza è aumentata più negli ultimi tre anni che nei precedente dodici”

34 34 “I problemi di sviluppo che le economie avanzate stanno oggi affrontando hanno una fondamentale radice: la debolezza della domanda aggregata. Ed è evidente che la porzione di reddito che viene spesa è più elevata nelle fasce più basse di reddito mentre diminuisce al crescere del reddito. La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi – che è aumentata ovunque – è pertanto diventata un problema strutturale dello sviluppo delle economie avanzate. Per queste sue evidenti implicazioni il concetto dovrebbe risultare immediato anche per i sostenitori dell’”economia dell’offerta”, che individuano nella bassa produttività un importante freno alla crescita. Allo stesso tempo è necessario considerare che l’aumento delle disuguaglianze tra i redditi non è solo il risultato dell’operare delle cosiddette forze del mercato, ma anche l’esito inevitabile di comportamenti imprenditoriali che hanno premiato la ricerca di una rendita piuttosto che l’investimento produttivo. Meno investimenti produttivi e maggiori disuguaglianze nei redditi hanno dunque minato profondamente le prospettive di crescita delle economie avanzate. (Premio Nobel 2001)

35 35

36 Quota del reddito da lavoro sul PIL Area Euro-12 Germania Francia Italia USA 36 La progressiva caduta della quota del lavoro Fonte: elaborazioni su dati AMECO.

37 1 shock petrolifero2 shock petroliferoLodo ScottiDecreto San ValentinoReferendum abrogativoDisdetta Scala mobileProtocollo 23 luglio 1993 Ingresso nell’Euro Accordo separato 2009Fallimento Lehmann brothers (Crisi globale) Crisi italiana e Tangentopoli Spread BTP-Bund oltre 500 p. (Crisi Euro e Austerità) Quota del lavoro

38 Fonte: L. Tronti, 2009, Contrattazione, distribuzione del reddito e crescita economica, Istat. 38 Alleanza profitti e rendite a scapito del lavoro

39 La debolezza dell’economia italiana Fonte: Istat, Conti nazionali trimestrali. PIL -9% INVESTIMENTI -30% Contributi alla variazione del PIL

40 Lo spread occupazionale Fonte: Istat, Forze di lavoro. Circa 1 milione e 500 mila unità

41 Lo croce della disoccupazione giovanile Fonte: Istat, Forze di lavoro

42 42 Perche, negli ultimi tre decenni, è stato cosi facile per chi era al potere convincere i propri elettori della saggezza (e comunque della necessità) delle politiche che voleva portare avanti? Perche non c'era a disposizione nessuna alternativa coerente. Anche quando esistono differenze marcate nei programmi dei principali partiti, queste vengono presentate come versioni diverse di un unico obiettivo. È diventato un luogo comune dire che vogliamo tutti la stessa cosa e abbiamo solo modi leggermente diversi per giungere a essa Ma è semplicemente falso. I ricchi non vogliono le stesse cose che vogliono i poveri. Chi dipende dal posto di lavoro per la propria sussistenza non vuole le stesse cose di chi vive di investimenti e dividendi. Chi non ha bisogno di servizi pubblici (perché può comprare trasporti, istruzione sul mercato privato) non cerca le stesse cose di chi dipende con esclusivamente dal settore pubblico. Chi trae beneficio dalla guerra (materialmente, con gli appalti della difesa, o ideologia accecante) ha obiettivi opposti a chi è contrario alla guerra. (1948 – 2010)

43 43 Democrazia economica, sociale e politica Per un nuovo modello di sviluppo

44 Tale è, dunque, la vera sfida odierna: puntare o meno su una «riforma» in grande del capitalismo, una riforma profonda, come quella che si delineò ai tempi di Keynes, quando una radicalità inusitata di progettazione teorica e di critica ideologica congiunse il pensiero innovativo keynesiano alle rivoluzionarie iniziative di Roosevelt e al riformismo radicale europeo che si opponeva, anche idealmente, ai totalitarismi. Il capitalismo non dà vita a un modello unico, esistono più «tipi di capitalismo». Oggi che perfino il Financial Times apre una rubrica intitolata alla «crisi del capitalismo» si ripropone come drammaticamente attuale l’esigenza di una riflessione sulla «riforma del capitalismo», su making capitalism fit for society come recita il titolo di un libro di Colin Crouch (2013), con la connessa possibilità o impossibilità di riferirsi a una pluralità di «tipi di capitalismo», da cui la mente è subito spinta verso espressioni divenute famose, come «capitalismo intelligente» di Federico Caffè o «capitalismi possibili» di Hyman Minsky o unleashed capitalism (capitalismo scatenato) di Andrew Glyn. 44

45 45

46 «È una fortuna che i lavoratori, benché inconsciamente, siano per istinto economisti più ragionevoli degli stessi economisti di scuola neoclassica [marginalista, liberista] nella misura in cui resistono a riduzioni nei salari nominali». John Maynard Keynes (“Teoria Generale”, 1936, Cap. II, par. III) 46

47 47 «Gli interessi costituiti che favoriscono l’inazione sono sin troppo evidenti: si tratta della pretesa del padronato di ristabilire nelle fabbriche un “ordine” basato sulla intimidazione e su una incontrollata libertà di decisione compatibile soltanto con una considerazione dei lavoratori come soggetti passivi della produzione. Lo schermo delle rigidità, salariali e d’altro genere, è caratteristico dei tempi in cui manca la capacità di comprendere gli eventi, in quanto si continua a interpretarli sulla base di schemi mentali superati. Gli anni Trenta furono tipici, al riguardo, per l’insistito convincimento che fosse sufficiente ridurre i salari per superare la recessione. E invece il meccanismo non era più in grado di operare, in quanto erano cambiati i presupposti per la sua validità concettuale e pratica». Federico Caffè, “Scritti quotidiani” Il Manifesto, 4 dicembre 1981


Scaricare ppt "Riforma del capitalismo e democrazia economica Per un nuovo modello di sviluppo a cura di Riccardo Sanna (Coordinatore Area Politiche di sviluppo, CGIL."

Presentazioni simili


Annunci Google