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: LAVORO.

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Presentazione sul tema: ": LAVORO."— Transcript della presentazione:

1 : LAVORO

2 Dedicato a Rita Levi Montalcini
103 anni di vita, studio, ricerca, lavoro, umanità!

3 A cent’anni ogni giorno è ancora una scoperta…

4 "un tempo per … il lavoro”
nelle Scritture Ebraiche

5 Premessa Il Dio biblico – con categorie ovviamente antropomorfiche - appare profondamente implicato nel lavoro e nel riposo: “non è un deus otiosus come gli dèi di Mesopotamia; egli lavora e riposa, si dona e rimane in se stesso. Lavoro - riposo è un ritmo divino vitale”.[1] [1] A. BONORA, NDTB 778.

6 GENESI: in principio Dio creò…
Nel primo capitolo della Genesi incontriamo Dio che crea, dice, vede, separa, chiama, fa, benedice: in una parola, Dio lavora. L’ultimo versetto del capitolo contiene una sorta di bilancio: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno” (1,31). Il suo lavoro, fecondo di bontà e di bellezza, abbraccia il cielo e la terra, cioè la totalità dell’universo. [1] [1] “Cielo e terra” costituiscono un merismo, cioè una coppia di termini che indica le due metà (o parti: meros) in cui si divide la totalità. Cfr. anche Sal 115, “Nella Bibbia cielo e terra sono l’universo. Ciò che è essenziale, è che i due membri rappresentino la totalità. … Una totalità globale che si divide e si ricompone in due parti”: L. ALONSO SCHÖKEL, Manuale di poetica ebraica, Queriniana, Brescia 1989, 106. Vi sono citati altri esempi: cedri e querce (Is, 2,13), monti e colli (Is 2,14), ricchi e poveri (Sal 49,3), pane di saggezza e acqua del discernimento (Sir 15,3), capo della città e abitanti (Sir 11,10).

7 Nulla si sottrae al suo “fare”
Il testo elenca le opere della creazione, distribuendole in sei giorni: la luce il primo giorno, il firmamento e le acque il secondo, il mare e la terra il terzo, il firmamento e le sue luci il quarto, gli esseri viventi nelle acque e gli uccelli del cielo il quinto giorno. Infine, nel sesto giorno, l’uomo e la donna. Tutta la Bibbia loda il “lavoro” del Creatore: “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia” (Sal 19/18, 2-3).

8 Il cielo è “opera delle sue dita” (Sal 8,4).
Particolarmente densa è la meditazione contenuta nel salmo 104/103: Dio stende il cielo come un tenda, costruisce sulle acque la sua dimora, fa delle nubi il suo carro, cammina sulle ali del vento. Con il frutto delle sue opere – letteralmente del suo “lavoro” – Dio sazia la terra (cfr. v. 13) e tutto l’universo si scioglie in canto di fede, prima che di poesia.

9 Soprattutto con gli inni del salterio
“Israele canta la sua fede nel Dio unico, eterno, onnipotente, onnisciente, creatore, signore della storia, sempre fedele al popolo che si è scelto … I salmisti, nelle descrizioni della natura, dipendono dalle concezioni della loro epoca; essi testimoniano molto più la loro contemplazione religiosa dell’universo che una visione poetica del cosmo. I fenomeni atmosferici, l’alternanza delle stagioni nascondono e svelano gli interventi divini. La natura manifesta per trasparenza la presenza del suo autore”.[1] [1] Introduzione al Salterio nella TOB, Editrice ELLE DI CI, Torino 1992, 1239.

10 A compimento del lavoro divino,
la Bibbia colloca la notizia sul riposo del Creatore: “Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto” (Gen 2,2-3). L’intera creazione scorre lungo un arco settenario, da cui emerge come “l’attività creatrice-ordinatrice di Dio è perfetta e il risultato è armonioso”.[1] Il lavoro del Creatore non è mai disgiunto dal riposo, che, in senso biblico, è un “concetto positivo”, in quanto “non si riduce a mera assenza di fatica”.[2] [1] A. BONORA, NDTB 777. [2] G. RAVASI, Dio benedisse il settimo giorno e si riposò, in L. ANDREATTA (a cura di), Sostare lungo il cammino. Il pellegrinaggio in un mondo che cambia, Piemme, Casale Monferrato 2004, 20.

11 Per Dio il riposo non è“un dolce far nulla”. Infatti nel settimo giorno Dio opera: consacra a sé quel giorno e lo benedice. Il riposo di Dio è una cifra simbolica per dire che tutto quello che Dio ha fatto è perfettamente compiuto. Ed è un riposo fecondo, perché la benedizione divina rende fecondo il settimo giorno consacrandolo a sé. Gen 1 vuole presentare Dio come colui che lavora e riposa, quindi come colui che include in sé sia il lavoro sia il riposo”.[1] [1] BONORA, 778.

12 Tzimzum: il ritrarsi di Dio momento di massima attività
Questo riposo divino, non va immaginato come un momento di stasi e di passività, ma va pensato come un momento di massima attività, nel senso che il massimo dell'attività di Dio si manifesta nell'atto supremo del suo amore per la sua creazione che si verifica proprio nel momento in cui Egli si ritira perché essa possa respirare, possa essere se stessa. Ciò avviene anche nell'ambito umano: quando mi ritiro, resto presente all'altro, ma non lo sovraccarico, non lo soffoco e lo lascio esprimersi dimostrandogli così il massimo dell'amore! (P. Francesco Geremia , Abbazia di Fontanella)

13 Il lavoro-riposo di Dio genera la festa
La Bibbia conosce la “regolarità misteriosa dei fenomeni naturali” e la “discontinuità nel ritmo del tempo” delle persone e della comunità: tutti motivi che spingono a far festa.[1] Il termine ebraico hag, tradotto con festa, significa “fare cerchio” [2] e anche “processione” (Sal 42,5). Nella storia di Israele le feste sacre naturali vengono progressivamente legate ad avvenimenti della storia della salvezza.[3] [1] Cfr. B. LIVERANI, Feste, in Schede Bibliche Pastorali, III (E-F), EDB, Bologna 1988, [2] Cfr. Gb 26,10: “Ha tracciato un cerchio sulle acque”. Cfr. anche Pr 8,27. [3] Ecco un rapido elenco: la pasqua da festa pastorale (immolazione propiziatoria di un agnello) diventa memoriale della liberazione dalla piaga dei primogeniti degli egiziani ed assorbe la festa degli azzimi, che da festa agricola delle primizie diventa celebrazione del mese di Abib in cui è avvenuta la liberazione dall’Egitto; la festa delle settimane, che si celebra sette settimane dopo la festa degli azzimi, in occasione della mietitura, diventa ricordo dell’alleanza consegnata al Sinai; la festa delle capanne (o tabernacoli), nata per marcare la fine dei raccolti, diventa ricordo della marcia nel deserto (Lv 23,41-43) ed offre l’opportunità della lettura completa della legge. Sono queste le feste principali, per le quali era prevista la visita annuale al tempio (Es 23,14.17). Poi se ne aggiungono altre: la festa della dedicazione (per la purificazione del tempio da parte di Giuda Maccabeo), la festa dei Purim (per la liberazione all’epoca di Ester) e la festa dell’espiazione (il kippur, per la speciale purificazione del popolo: Lv 23 e Ne 9).

14 L’importanza del sabato
Su questo sfondo si colloca l’importanza del sabato, che il popolo ebraico deve santificare per due ordini di motivi: come memoria del riposo del Creatore (Es 20,11) come memoria della liberazione dall’Egitto (Dt 5,15). Infatti “liberando il suo popolo dall’Egitto, Dio lo libera dalla schiavitù del lavoro onniassorbente e dalla logica della produttività. La festa dà al lavoro il senso ultimo e perciò lo redime”.[1] [1] BONORA, 781.

15 Isole di tranquillità Il Dio biblico, che lavora e riposa, dona una sorta di ”architettura al tempo”,[1] con la benedizione e la consacrazione del settimo giorno. Ecco la descrizione delle caratteristiche del sabato ad opera di un noto scrittore giudaico: “Nell’oceano tumultuoso del tempo e della fatica vi sono isole di tranquillità dove l’uomo può trovare rifugio e recuperare la propria dignità. Questa isola è il settimo giorno, il Sabato, un giorno di distacco dalle cose, dagli strumenti e dagli affari pratici e di attaccamento allo spirito. … Il Sabato non è tempo di ansia o preoccupazione personale, di qualunque attività che possa smorzare lo spirito della gioia. … Il Sabato non è tempo per ricordare i peccati, per confessare o pentirsi e nemmeno per invocare sollievo o chiedere qualunque cosa di cui possiamo avere bisogno; è un giorno fatto per la lode, non per le suppliche. [1] A. J. HESCHEL, Il Sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, Rusconi, Milano 1987, 15.

16 Shabbat: giorno di gioia
Il digiuno, il lutto, le manifestazioni di dolore sono proibiti. Il periodo di lutto viene interrotto dal Sabato … Qualora vi fosse un malato in famiglia, ricordandocene mentre recitiamo la benedizione: «Guarisci il malato», diventeremmo tristi e melanconici nel giorno del Sabato. … Essere tristi al Sabato è un peccato”.[1] [1] HESCHEL,

17 Una spiritualità intensa,
che andrà incontro ad esagerazioni e contraddizioni, ma che domanda di essere riconsegnata nella sua ricchezza originaria all’uomo di oggi: “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò” (Gen 2,3). Ci sono due verbi importanti: benedire e consacrare. La benedizione divina associa il sabato alla sorgente della vita e lo dichiara fecondo. Il sabato benedetto dice riferimento all’essere e non all’avere, alla comunicazione che è relazione piena e non parola vuota: “La benedizione è un dono che ha rapporto con la vita e il suo mistero, ed è un dono espresso mediante la parola ed il suo mistero.

18 La benedizione è sia parola che dono,
sia dizione che bene (cfr greco eu-loghia, latino bene-dictio), perché il bene che essa apporta non è un oggetto preciso, un dono definito, perché non appartiene alla sfera dell’avere, ma a quella dell’essere, perché non deriva dall’azione dell’uomo, ma dalla creazione di Dio”.[1] Dio benedisse il settimo giorno (Gen 2,3), come poco prima aveva benedetto la prima coppia (1,28) e poco più avanti benedirà Abramo e in lui tutte le nazioni (12,3-4). Grazie al settimo giorno tacciono le cose, l’avere ed il fare, affinché “l’uomo incontri il mistero che lo avvolge”. [1] J. GUILLET, Benedizione, DTB, L’autore afferma che “benedire significa dire il dono creatore e vivificante, sia prima che si produca, sotto la forma di una preghiera, sia dopo avvenuto, sotto la forma del ringraziamento. Ma mentre la preghiera di benedizione afferma in anticipo la generosità divina, il ringraziamento l’ha vista rivelarsi”.

19 L’homo faber scopre il senso del suo essere nel tempo non nell’azione, pur necessaria, ma nel «riposo» di Dio, attraverso la sua esperienza di homo religiosus”.[1] Alla benedizione segue la consacrazione, che significa separazione e riserva per sé di un tempo settimanale. Nel decalogo si legge che “Dio ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro” (Es 20,11). La parola consacrare acquista nella Bibbia anche il senso di fidanzare.[2] È il vertice della personalizzazione del rapporto Creatore – creatura. Nella tradizione ebraica il sabato, in quanto tempo consacrato a Dio, finisce con l’essere considerato come una fidanzata e rimanda al tema della sponsalità tra Dio e Israele. [1] RAVASI, 23. [2] Cf. nota b a Es 20,11 nel commento della TOB.

20 Intensità sponsale “Per andare al cuore dello «shabbat», del «riposo» di Dio, come alcuni elementi della stessa tradizione ebraica suggeriscono, occorre cogliere l’intensità sponsale che caratterizza, dall’Antico al Nuovo Testamento, il rapporto di Dio con il suo popolo”.[1] [1] GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, Città del Vaticano 1998, 11.

21 Il termine shabbat (femminile in ebraico)
indica la sposa, che Dio e la comunità accolgono con gioia la sera del venerdì: “Vieni, Amico mio, alla presenza della fidanzata; accogliamo il volto del sabato”.[1] Giorno benedetto e consacrato, il sabato è costituito da una duplicità intrinseca: la benedizione ricorda che “il sabato è in sé fecondo, genera una sua vita che è squisitamente interiore, alimenta l’esistere stesso dell’uomo”; la consacrazione evidenzia, d’altra parte, che “il sabato è anche «sacro», è come un’area protetta, simile al tempio e all’altare. In essa risiede il mistero, domina il silenzio, si incontra il divino. [1] Shabbat (femminile in ebraico) riceve un saluto gioioso nella Qabbalat Shabbat (accoglienza di Shabbat). Il canto – Lekah dodi (“Vieni, Amato mio”) – viene eseguito dagli ebrei la sera del venerdì. E’ stato composto intorno al 1540 da Shlomo Ha-Levi Alkabez. Dopo ogni strofa si recita il primo versetto in modo responsoriale: “Vieni, Amato mio (Dio), incontro alla sposa; il volto del Sabato accogliamo… Incontro a Shabbat, orsù, andiamo, perché essa è la fonte della benedizione. Dal principio, dalle origini, è stata formata: ultima nella realizzazione, nel pensiero la prima”: R. TORTI MAZZI, La preghiera ebraica. Alle radici dell’eucologia cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, , n. 143.

22 Contrappunto C’è quindi una sorta di contrappunto nel sabato biblico: da un lato è attivo, fecondo, collegato all’esistenza e alla creazione, dall’altro è chiuso in sé, perfetto e distaccato, non segnato dai rumori, non occupato dalle cose”.[1] Saranno l’insegnamento e la morte-risurrezione di Gesù a comporre la contraddizione del sabato: né esclusivo di Dio, né esclusivo dell’uomo. In Gesù il primo giorno dopo il sabato segna l’inizio di un tempo nuovo: in esso Dio va incontro all’uomo nella forza dello Spirito, per riscattare “lavoro, riposo e festa” dalla morsa del peccato e da ogni sorta di dualismo inumano. [1] RAVASI, 22.

23 L’immagine del sabato come fidanzata
fa emergere fortemente la personalizzazione del messaggio, che è presente in tutta la Bibbia: il Creatore si rivela Dio personale, che chiama uomini e donne alla relazione con lui e tra di loro. In tal modo Dio si presenta non solo come creatore dell’universo, ma anche come signore della storia. L’immagine biblica di Dio intesse intimamente quella degli umani: la teologia impregna l’antropologia. Dio crea l’uomo e la donna e dona loro un posto privilegiato nell’universo. Egli ne è l’immagine: “E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (Gen 1,27); “Maschio e femmina li creò, li benedisse e diede loro il nome di uomo nel giorno in cui furono creati” Gen 5,2 (Testo CEI 2008).

24 Come Dio, anche la persona
è chiamata al lavoro, al riposo e alla festa: ella può manifestarsi e realizzarsi nel ritmo vitale di “lavoro, riposo e festa”, mentre nella letteratura mesopotamica rimane destinata solo al lavoro, perché la festa e la libertà sono appannaggio degli dèi. La creatura umana viene benedetta da Dio: così si moltiplicherà e governerà la terra (cfr Gen 1,28). Non è un comando, ma una benedizione.

25 Garanzia di successo e di riuscita
Si tratta di una “garanzia di successo e di riuscita. … La benedizione di Dio è sull’uomo/donna che lavora e genera. L’essere immagine non scava un abisso tra loro e le altre creature: li distingue, in quanto apertura e capacità di incontro con Dio, ma li unisce al cosmo che essi/e governano col loro lavoro. Il lavoro umano non è una maledizione, ma nemmeno un fine in sé stesso. Esso sta sotto la benedizione divina, condizione della sua riuscita. La «qualità» del lavoro umano è predefinita - dal rapporto della persona con Dio, in quanto è «imago Dei», - e dalla benedizione divina”.[1] [1] BONORA,

26 Per coltivare e custodire
L’essere umano biblico è collocato nel giardino di Eden per coltivarlo e custodirlo (cfr Gen 2,15). Coltivare e custodire: una coppia di verbi molto importante, della tradizione javhista, per dire che il lavoro “appartiene alla condizione originaria dell’essere umano e precede la sua caduta; non è perciò né punizione né maledizione”.[1] Quando ancora “nessuno lavorava il suolo” (cfr 2,7), egli è chiamato non alla “collaborazione o partecipazione al lavoro creatore di Dio, ma piuttosto alla custodia e «coltivazione» del senso messo da Dio nel cosmo armonioso da lui creato… La destinazione al lavoro fa parte dell’equipaggiamento paradisiaco della persona umana ed è un aspetto della creatrice iniziativa divina”.[2] [1] Compendio, 256. [2] BONORA, 779.

27 Il senso del lavoro umano voluto da Dio
si rivela nella “perfetta integrazione” originaria tra la ’adamah (polvere del suolo) da cui l’uomo, Adamo (adam), è tratto (Gen 2,7) e la ’adamah (= suolo), da cui viene il giardino, affidato alla coltivazione-custodia dell’uomo (adam - v. 15).[1] Ordine cosmico e sociale si trovano anche nei libri sapienziali. Il termine adam, che “designa l’essere umano in senso collettivo, prima e fuori di ogni determinazione di razza, lingua, luogo”, registra un’alta frequenza nel libro dei Proverbi (45 volte): “la religione della sapienza si basa sulla fede in Jahveh creatore e quindi sulla concezione dell’essere umano come creatura (appunto adam), chiamato a occupare il suo posto e svolgere il suo compito nel mondo”.[2] [1] BONORA, 779. [2] A. NICCACCI, La casa della sapienza. Voci e volti della sapienza biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, 47.

28 La sapienza parte dal Signore
e termina il suo itinerario in compagnia degli uomini (Pr 8,22.31). In Sir 24 essa fa un itinerario sostanzialmente simile, ma prende dimora stabile in Israele.[1] Adam deve anche “imporre i nomi” (Gen 2,20) alle bestie della terra e del cielo: anche questa è un’attività di integrazione, con cui l’uomo è chiamato a “scoprire, definire e ordinare” (Bonora) il mondo a lui donato da Dio. Dare il nome è “benedire Dio” (Enzo Bianchi) Imponendo il nome, l’uomo rende umano l’ambiente in cui è stato posto dal Signore. Questa integrazione fa vedere il volto positivo non solo del lavoro, ma dell’intera vicenda umana: è relazione ordinata con Dio e con il creato. [1] L. ALONSO SCHÖKEL – J. VILCHEZ LINDEZ, I Proverbi, Borla, Roma 1988, 284.

29 Creato ricevuto come dono
Infatti “Il dominio dell’uomo sugli altri esseri viventi non deve essere dispotico e dissennato; al contrario, egli deve «coltivare e custodire» (cfr. Gen 2,15) i beni creati da Dio: beni che l’uomo non ha creato, ma ha ricevuto come un dono prezioso posto dal Creatore sotto la sua responsabilità. Coltivare la terra significa non abbandonarla a sé stessa; esercitare il dominio su di essa è averne cura, così come un re saggio si prende cura del suo popolo e un pastore del suo gregge”.[1] [1] Compendio, 255.

30

31 La novità dolorosa nelle relazioni bibliche appare in Gen 3 con il peccato: con “la tentata usurpazione” l’uomo “vuole arrogarsi la competenza di fissare quel che conta e quel che non conta per la sua esistenza”.[1] La perversione dei rapporti tra l’uomo e Dio, come tra l’uomo e la ’adamah, si manifesta in fatica, dolore, insuccesso, violenza, disarmonia. La terra, maledetta, fa resistenza all’uomo, che deve strapparle il pane con fatica. Il lavoro diventa “ambiguo e precario, insicuro del proprio senso e del proprio scopo”.[2] [1] BONORA, 779. [2] BONORA, 780.

32 la tragedia di questi forzati dell'oro in un magma di corpi, fango, fatica e pazzia collettiva.
La fatica del lavoro in una foto di Sebastiao Salgado (1944 Aimores in Brasile, dopo la laurea in Scienze economiche e statistiche, un viaggio di lavoro in Africa segnerà il suo destino, con la decisione di fare del fotoreportage il suo lavoro e la sua ragione di vita).

33 Sierra Pelada, miniera d’oro (1986)

34 Sierra Pelada, 1986

35 Nel diritto ebraico il lavoro è la produzione o la trasformazione di un oggetto.
In esso l’essere umano si rivela immagine del Dio che crea e conserva. La Bibbia e il Talmud sottolineano la dignità e il significato sociale del lavoro. Essi contengono leggi dettagliate a proteggere il/la lavoratore/trice. Il lavoro manuale non è inteso come punizione per il peccato, ma come vita fornita di senso. Dio viene descritto come Colui che ha creato il paradiso (Gen 2,8), l’uomo senza peccato lo ha coltivato e custodito.

36 L'epoca messianica è contraddistinta
dagli attrezzi per il lavoro e dal potersi godere in pace i suoi frutti [Mic 4,3b-4]. “3 b. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra. 4Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà, perché la bocca del Signore degli eserciti ha parlato! Una versione dei Dieci Comandamenti mette in risalto il giorno del riposo in quanto imitazione di Dio (Es 20, 11), l'altra sottolinea l'aspetto sociale, dove i diritti sono uguali per il padrone e per il servo, in ricordo della liberazione di Israele dall'oppressione (Dt 5, 12-16).

37 Anche le donne, la padrona e la serva,
in antitesi ad altre antiche leggi hanno questo diritto al riposo. Prv 31, 11 ss. descrive il lavoro della donna che è indipendente e poliedrico (dispone, lavora, acquista, confeziona). Anche gli animali domestici hanno diritto al riposo dopo il lavoro. Durante il lavoro viene loro dato da mangiare sui campi (Dt 25,4), si presta loro aiuto quando il carico è eccessivo (Es 23, 5; Dt 22,4), a loro viene dato da mangiare prima che mangi l'uomo stesso (in base a Dt 11, 15), perché «il/la giusto/a conosce l'anima del suo bestiame» (Prv 12, 10).

38 Il Talmùd mette in risalto soprattutto il valore etico del lavoro.
Molti maestri erano contadini, fabbri, falegnami, ecc. Come dovere dei genitori essi postulavano che i figli potessero imparare un mestiere, perché l'ozio corrompe il carattere (b Qidduschin 29a). Quale compito di tutta la vita essi, accanto al lavoro manuale, indicavano quello intellettuale nello studio della dottrina di Dio. Nel Medioevo questo modo ebraico di condurre la vita venne distrutto in molti paesi, poiché per gli Ebrei fu limitato, e a volte proibito, dallo Stato il diritto al possesso di terreni e l'artigianato.

39 Nell'Europa Orientale questo fenomeno si verificò di meno.
Il desiderio di compiere il dovere religioso di rendere fertile la Terra Santa, verso il 1900 spinse gli Ebrei a migrare dall'Europa orientale e dai paesi islamici verso la Palestina. Non diversamente si comportarono, spinti dalla stessa fede, alcuni gruppi cristiani e il bahaismo, religione sorta dall'Islam persiano. Milioni di Ebrei che facevano parte del proletariato emigrarono dalla Russia in America e contribuirono ad edificare la sua economia per mezzo del loro lavoro.

40 Le leggi sul lavoro costituiscono un ampio capitolo del diritto ebraico. Esse sono contenute nei codici di Maimonide, di Caro, ecc. e si basano sulla Bibbia e sul Talmùd. Il loro principio è l'uguaglianza delle persone nonostante la diversità di ceto. “Chi si procaccia un servitore ebreo si compra un padrone” (b Qidduschin 12a). Lo schiavo pagano, «cananeo», aveva anch'egli diritto a un trattamento dignitoso. In caso di ferite tali da lasciare lesioni permanenti o cicatrici, egli aveva diritto a divenire libero in base alla legge “occhio per occhio, dente per dente, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita" (Es 21, 24-27; “per" significa in risarcimento di qualcosa). Lavoratori stranieri in cerca di asilo ottenevano il diritto di residenza (Dt ).

41 Le donne prigioniere di guerra
non potevano essere utilizzate per il lavoro, ma potevano essere prese in moglie (Dt 21, 10s). Le figlie vendute come operaie da padri indebitati venivano prese in moglie o lasciate libere quando divenivano maggiorenni (Es 21, 7 s.). Il rapimento a scopo di ricatto o per il traffico di schiavi/e era punito con la pena di morte (Es 21, 16, Dt 24, 7). Il furto veniva risarcito tramite una prestazione temporanea di lavoro, dal momento che il diritto ebraico non conosceva pene detentive né mutilazioni. Finché non entrò in vigore (in Germania) il divieto statale di convertirsi all'Ebraismo, nel Medioevo i lavoratori non-ebrei furono ben accetti e dopo che erano tornati in libertà diventavano membri a pieno diritto della comunità.

42 Tutela del/la lavoratore/trice
Dal giorno lavorativo venivano detratti la strada per recarsi al lavoro e il tempo occorrente a mangiare e a pregare (b Baba Mezia 83a). Era dovere del datore di lavoro prendersi cura della salute dei/delle lavoratori/trici. Chi era a salario giornaliero doveva essere pagato la sera stessa (Lv 19, 13). I/le lavoratori/trici avevano generalmente un contratto di tre-sei anni (Is 16, 14; Dt 15, 18) oppure pattuivano un contratto forfettario. Se il lavoro pattuito era compiuto in anticipo avevano diritto a un sussidio di disoccupazione (b Baba Mezia 76a ss.).

43 Se veniva rimpiazzato/a, il/la lavoratore/trice poteva recedere ogni momento dal contratto.
Era dovere compiere scrupolosamente il proprio lavoro. Gli sviluppi moderni vengono trattati dall’odierno diritto ebraico. Il pensatore A.D. Gordon proclamò la “religione del lavoro” per fondare la società ebraica, indebolita dalla repressione e dall’eccessiva spiritualizzazione (P. Navé Levinson). Come il suo amico M. Buber credeva nella forza liberatrice dell’azione etica del singolo.

44 Hurrà, abbiamo trovato un lavoro!

45 Un altro … lavoro di Dio Nei capitoli di Ezechiele, Dio trova una neonata tra i cespugli. La raccoglie, la cura, la sposa, ne viene tradito, ma poi la riprende con sé. E’ la parabola della storia d’Israele. E’ la parabola della storia umana.

46 Non lavorare troppo… «È meglio aver poco con il timore di Dio che un grande tesoro con l’inquietudine» (Pr 15,16). Il lavoro è essenziale, ma è Dio, non il lavoro, la fonte della vita e il fine dell’uomo. L’attività umana va onorata, in quanto fonte di ricchezza o almeno di condizioni di vita decorose. È strumento efficace contro la povertà, ma non va idolatrato, perché non ha in sé il senso ultimo e definitivo della vita.

47 Siracide: le arti e i mestieri
Nel cap. 38 del Siracide c’è un elenco di arti e mestieri come erano allora conosciuti. La Bibbia dice di questi lavoratori che "confidano nelle loro mani e ciascuno è abile nel suo mestiere. Senza di loro la città non può essere costruita e nessuno potrebbe avere ciò che occorre alla vita". Poi l’autore sacro aggiunge una espressione molto bella: "Queste persone assicurano il funzionamento del mondo e il loro lavoro intelligente è una vera preghiera". Interprete della sapienza di Dio, che governa il creato e le creature, il lavoro dell’uomo - che Gesù ha liberato dalle sue ambiguità - può diventare mediazione di comunione con Dio e tra gli uomini.

48 Riandando alle Scritture
sul tema LAVORO troviamo molti passi che hanno a che fare con le condizioni di lavoro, l’uso della terra, lo sfruttamento degli operai, la disparità tra classi sociali, dall’inizio alla fine. Però non possiamo dedurre troppo in fretta una morale sociale sul lavoro, perché la Bibbia, per sua natura, è destinata a tutte le epoche, anche se si riveste di volta in volta di immagini legate ad un certo periodo storico.

49 La Bibbia illumina le attività umane
Più correttamente, quindi, si deve dire che la Bibbia è preposta ad illuminare l’attività dell’uomo/donna, il suo agire, il suo operare, il suo manifestarsi a diversi livelli, tutti complementari e tutti ugualmente importanti e sono i livelli del sociale, della convivenza, dello stare insieme, del livello politico, della scienza, della creatività artistica, della tecnologia, dell’ambito giuridico ordinato alla costituzione di strutture sempre più adeguate alle necessità del momento. C'è l'agire religioso, che si traduce in gesti, atti e riti chiamati religiosi. E’ l'attività attenta alla dimensione morale ed etica: cosa è giusto fare? Quando siamo coerenti? Quando agiamo in modo proficuo atto a favorire la vita e quando agiamo in modo da mortificarla?

50 Jael Kopchowski Per un’ interpretazione ebraica
C’è davvero molto sul rapporto lavorativo nella Torà. Tutto il Levitico tratta di regole e moltissime sono regole di vivere sociale che affrontano la relazione tra le persone. Ti faccio solo un esempio: siamo abituati a sentir citare “dente per dente occhio per occhio” come una dimostrazione della “vendicità” dell’antico testamento, niente di più sbagliato. Se prendiamo il brano nel contesto in cui è inserito ne cogliamo il vero significato perché riguarda i doveri di un datore di lavoro nei confronti dei propri lavoratori. Quanto il brano ci insegna è che la Torà prevede una forma di assicurazione ante litteram. Nella malaugurata eventualità che, a causa di un incidente sul lavoro, si dovesse riscontrate un danno fisico, lo stesso dovrà essere risarcito in base alla sua gravità. La rottura di un dente non ha una ricaduta invalidante come la perdita di un occhio, il rimborso che il datore di lavoro dovrà dare sarà adeguato all’entità della ricaduta.

51 Sui prestiti “Esistono poi leggi di alto valore sociale riguardanti i prestiti. Se per esempio una persona poco abbiente chiede un prestito e dà in pegno il suo mantello, chi gli ha dato il prestito ed ha ricevuto il mantello come pegno, è tenuto a portarglielo a casa la sera perché non abbia freddo e lo riprenderà la mattina dopo. Considerato che la Torà deve essere “fonte di vita” (è scritto: vivrai con essa) i maestri ne utilizzano gli esempi per adattarli al contesto in cui vivono, traendo il significato astratto dall’esempio concreto. Se di mantelli non parliamo più, parliamo di beni di prima necessità e trasferiamo il concetto a ciò che di epoca in epoca, di luogo in luogo, può rientrare nel concetto di ‘bene di prima necessità’”.

52 Nel libro di Giobbe Dio ricorda appunto a Giobbe, che si lamenta, di essere Lui la base che dà consistenza al tutto.

53 Nel libro dei Proverbi "la sapienza” è lo strumento attraverso cui Dio crea e ordina in modo sapiente il cosmo intero.

54 Nei Salmi poi Israele loda il proprio Dio per quanto ha fatto e manifesta tutto il suo stupore.

55 “la nostra chiamata alla speranza e al cambiamento”
È tempo di rinnovare “la nostra chiamata alla speranza e al cambiamento” settimana ecumenica 2013

56 UNA TESTIMONIANZA da Milano
BRUNO SEGRE Costruttore di ponti, anche all’interno dell’ebraismo. Ostinata voce minoritaria che non si stanca di operare sulla via del rispetto e della coesistenza pacifica tra Israeliani e Palestinesi.

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58 Conservare la capacità di volare

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60 Bruno Segre, nato a Lucerna nel 1930, ha studiato filosofia a Milano alla scuola di Antonio Banfi. Si è occupato di sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del Movimento Comunità fondato da Adriano Olivetti. Ha insegnato in Svizzera dal 1964 al Per oltre dieci anni ha fatto parte del Consiglio del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano. Dal 1991 ad anni recentissimi ha presieduto l'Associazione italiana Amici di Nevé Shalom/Wahat al-Salam. Nel quadro di un'intensa attività pubblicistica, ha dedicato contributi a vari aspetti e momenti della cultura e della storia degli ebrei. E’ autore di La Shoah. Il genocidio degli ebrei d'Europa (1998).

61 Per ventuno secoli, dai tempi di Roma repubblicana a oggi, gli ebrei hanno abitato l''isola della rugiada divina", cioè l'Italia, secondo la tenera e immaginosa etimologia ebraica del nome. Una storia a lungo oscura, talvolta dolorosa, sempre ricca di fascino, che in realtà la somma delle vicende di tante comunità per lo più cittadine, da Roma a Venezia, da Milano a Palermo, da Mantova a Ferrara a Livorno, per secoli raccolte nei loro quartieri o nei ghetti, intorno alle sinagoghe. Più che una storia dunque, un insieme di storie particolari e diverse, che il libro racconta con documentata chiarezza; vicende "intime", ma sempre inserite in un quadro più ampio e complesso e riallacciate alla grande geografia dell'ebraismo internazionale e della Diaspora.

62 Cara Graziella, ti mando qui sotto una mia sintetica riflessione sulla tematica che mi hai indicato. Ti saluto molto cordialmente. Bruno “Attorno al concetto di lavoro, due sono le suggestioni più significative, e tra loro strettamente collegate,  che ritengo di  poter recuperare in chiave laica (cioè moderna) attingendo alla tradizione culturale ebraica: il tema della liberazione dalla condizione di schiavitù, e quello della celebrazione del riposo sabbatico.   Per compendiare in una sola frase il senso del primo tema, credo sia sufficiente citare Esodo 13,14:

63 “Quando domani ti chiederà tuo figlio:
‘Che cosa significa tutto ciò?’, tu gli dirai: ‘Il Signore ci ha tratto, con mano potente, dall’Egitto, dalla casa di schiavitù’.”  In questa frase, divenuta poi la radice del memoriale della Pasqua, sono presenti le toledot, ossìa le generazioni, la famiglia, come valore portante dell’esistenza ebraica, soprattutto degli ebrei che vivono o sono vissuti in diaspora.

64 Per un lavoro libero, anzi liberissimo
“L’esistenza degli ebrei in quanto popolo, e di tutti gli uomini in quanto uomini, implica la facoltà di svolgere un lavoro libero, non coatto: una condizione di elementare dignità che, nella civilissima Europa, durante la prima metà del secolo scorso venne brutalmente negata a molti milioni di ebrei, e che ancora oggi è crudelmente negata a masse enormi di donne e uomini in tutti i continenti”.

65 Quanto al riposo sabbatico
, se lo intendiamo  ― anche senza alcuna implicazione di natura religiosa ― come pura e semplice prescrizione di astenersi dal lavoro un giorno ogni sette,  si tratta a mio avviso della più rivoluzionaria norma che la cultura degli uomini abbia mai ‘inventato’ nell’arco dei millenni.

66 Una rivoluzione profetica anche oggi
“Se n’erano ben rese conto già le classi dirigenti dei grandi imperi che si affacciavano nell’antichità sul bacino del Mediterraneo, a incominciare dai ceti dominanti nell’impero romano: ceti che fondavano il loro potere sullo sfruttamento sistematico di masse sconfinate di schiavi, e che perciò temevano grandemente il proselitismo degli ebrei, che allora era molto intenso come attestano vari scritti di autori quali Tacito, Marziale, Giovenale e altri”. Bruno Segre

67 A quando un po’ di riposo?

68 A quando un po’ d’acqua? Sahel, Salgado

69 A quando un po’ di pace? Donna del Mali, Salgado


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