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Uno degli interventi più comuni nel XV sec

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Presentazione sul tema: "Uno degli interventi più comuni nel XV sec"— Transcript della presentazione:

1 Uno degli interventi più comuni nel XV sec
Uno degli interventi più comuni nel XV sec. a Firenze era la “riquadratura dei polittici cuspidati”, ovvero il riempimento degli spazi vuoti tra gli scomparti e l’aggiunta di paraste di stile rinascimentale e fregi ispirati alla nuova architettura. Le fonti chiamano queste nuove cornici adornamenti “all’antica”.

2 Le fonti testimoniano che durante il Rinascimento si pose estrema attenzione alla manutenzione dei cicli di affreschi, intervenendo con risarcimenti di parti perdute o il rinnovamento di zone di intonaco pericolanti. In alcuni casi si registra la notevole capacità da parte degli artisti nel trovare un equilibrio tra lo stile proprio e quello della pittura originale. es. Nel 1492 Pietro di Giovanni Orioli esegue una vasta integrazione nel paesaggio del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti (Siena, Palazzo Pubblico), seguendo gli stilemi del maestro trecentesco nella resa delle montagne e nel modo in cui si ritagliano lungo l’orizzonte.

3 La civiltà rinascimentale, proponendo una rinnovata attenzione verso il mondo classico e i manufatti che di esso sono testimonianza ed espressione, colse un mutamento significativo anche per quanto riguarda la modalità di intervento sulle opere d’interesse artistico. Principalmente sui reperti archeologici si osserva un interesse maggiormente consapevole dei valori storici. Prevale un rapporto di continuità ed emulazione con il mondo classico, che non esclude, anzi impone, l’opportunità della integrazione, delle modifiche e degli adeguamenti sulle opere antiche, specialmente scultoree.

4 Vasari riferisce di molti artisti (Donatello, Verrocchio …) che si cimentarono nel restauro di “anticaglie”. Gli interventi tendevano a restituire al frammento antico completezza che ne permetteva una migliore fruizione estetica. Il completamente di un frammento antico richiedeva: 1 interpretazione corretta delle parti mancanti 2 esecuzione delle parti mancanti in una “maniera” che fosse in grado di accompagnarsi a quella antica. Il caso più noto è certamente quello del “Laocoonte”.

5 Una delle fonti principali del tempo è naturalmente Vasari, che nei suoi scritti
cita opere danneggiate da inondazioni, crolli, incuria e vandalismo riferisce di opere anche di pregio distrutte per eseguire nuove decorazioni descrive i vantaggi che una buona tecnica realizzativa può portare alla conservazione delle opere pittoriche ritiene che per conservare la memoria delle opere siano fondamentali disegni e descrizioni cita casi in cui l’intervento di ridipintura realizzato dallo stesso autore dell’opera sia deleterio cita casi in cui è opportuno cancellare opere troppo danneggiate, per esempio immagini sacre non riparabili né fruibili quali oggetti di devozione riferisce di distacchi a massello di affreschi

6 Nel corso del ‘500, dunque, la pratica più diffusa negli interventi continuava sulla base di rifacimenti, ridipinture e ammodernamenti dettati da esigenze di gusto o mutamenti iconografici. La tendenza a privilegiare il mantenimento o la modificazione del significato perdura, accentuata dal particolare valore che la religiosità controriformistica dava alla funzione liturgica e devozionale della immagini sacre sia antiche che moderne, il cui messaggio doveva essere immediatamente comprensibile.

7 Le fonti cinquecentesche riferiscono di numerosi interventi di puliture periodiche su opere pittoriche. Nei casi più importanti era istituzionalizzato il ruolo degli addetti alla manutenzione, come accadde per le pitture murali della Cappella Sistana che, fin dal 1543, vennero affidate alla cure dei mundatores. Nello stesso periodo si registrano atteggiamenti profondamente diversi nei confronti delle opere, o per meglio dire degli autori: si lascia incompiuta la “Adorazione dei Magi” di Leonardo, mentre Santi di Tito interviene per completare la “Adorazione dei Magi” di Giovanni Antonio Sogliani.

8 Nel 1564 venne istallata un’apposita commissione per emendare gli affreschi della Cappella Sistina.
Le fonti riferiscono che lo stesso Michelangelo era disponibile ad una soluzione che risolvesse lo scontento per le “parti vergognose” mostrate “troppo disonestamente”. La scelta cadde su Daniele da Volterra, che il Celio chiamò “Braghettone”, che diede inizio ai lavori realizzando i “panni sottili” subito dopo la morte di Michelangelo nel 1564.

9 La cultura controriformista accentua fortemente il problema del mantenimento delle leggibilità iconografica delle immagini per la funzione devozionale che esse assolvono. Secondo questo principio non il dipinto o la scultura vanno conservati, ma l’immagine che può anche sopravvivere in una copia, vincolata all’originale solamente dagli attributi iconografici che ne avevano caratterizzato il culto. Le fonti raccontano dei numerosi interventi compiuti nel corso del ‘600 per adattare e adeguare le opere pittoriche. Carlo Cesare Malvasia riferisce dell’attività di “restauratore” del Guercino. Bernardo de Dominici a Napoli si distingue per la sua attività di “accomodatore di quadri vecchi”, con interventi eseguiti anche pochi anni dopo la prima stesura. Nel “Vocabolario toscano dell’arte del disegno” Baldinucci con la voce “Rifiorire” mette a fuoco la distinzione tra i restauri di integrazione o di conservazione e i rifacimenti o ritocchi (da lui condannati) Giulio Mancini condanna i rifacimenti e afferma che le puliture debbano essere fatte da esperti

10 L’attenzione alla qualità dell’opera pittorica e alla sua consistenza materiale comporta, nel corso del ‘600, la ricerca di accorgimenti, materiali e tecniche per specifici interventi volti a riparare particolari danni. Iniziava la pratica della FODERATURA dei dipinti su tela, consistente nel far aderire al supporto originale, allentato o lacerato, un nuova tela in grado di sopportare il nuovo tensionamento sul telaio e facilitare tramite collanti la riadesione della pellicola pittorica. Venne utilizzato anche il cosiddetto BEVERONE, un miscuglio di oli, colle e pigmenti, che applicati sul retro e penetrando attraverso la tela giungevano gli strati preparatori e il colore ristabilendo l’adesione di eventuali scaglie distaccate dal supporto.

11 Nel corso del ‘600 gli ingrandimenti e i tagli dei dipinti erano molto frequenti al fine di adattarne le dimensioni alla disponibilità di spazio nelle gallerie. Altrettanto frequenti erano le procedure di inscurimento delle superfici tramite vernici per conferire maggiore armonia ai dipinti. Il concetto di “Tempo pittore” che interviene per dare maggiore armonia ai dipinti, divenne un luogo comune tra i conoscitori del Seicento, e le fonti riferiscono dell’attività di molti artisti che, puliti i quadri, erano in grado di riportarli all’aspetto di vetustà che piaceva ai collezionisti, applicando una sorta di patina artificiale.

12 Anche per i dipinti murali si sperimentano nuovi procedimenti di distacco dal muro.
Al ferrarese Antonio Contri è attribuita l’invenzione dello STRAPPO, nei primi del ‘700, di un metodo consistente nell’applicazione alla superficie dipinta di una tela fatta aderire con colle animali solubili in acqua, rinforzata dall’applicazione di una tavola. Al momento della totale essiccazione e presa delle colle, un’azione meccanica sulla tela trascina con sé il colore, consentendo dopo l’applicazione sul retro di una nuova tela con colle più tenaci e non nsolubili in acqua. L’eliminazione della prima tela dalla superficie dipinta ne restituiva la visibilità, sorretta dalla seconda tela che poteva poi essere tensionata con un telaio oppure applicata su supporto rigido.

13 Nei primi decenni del ‘700 in Italia e Francia si sperimentava il TRASPORTO della pellicola pittorica da un supporto ligneo su tela. Tra i principali “restauratori” del pieno ‘700 figurano Picault e Hacquin ai quali vennero affidati gli interventi su molte opere appartenenti alla collezione reale francese, entrambi furono spesso molto criticati dai contemporanei per le ridipinture. Nel 1751 Robert Picault effettuò il trasporto del “San Michele” di Raffaello. Nel 1770 Jean Louis Hacquin elaborò un tipo di sostegno per i supporti lignei che abbandona l’uso delle traverse e delle intelaiature rigide per un sistema di parchettatura scorrevole, con l’intenzione di assecondare i movimenti del legno ed evitare le fessurazioni del supporto e i sollevamenti del colore. Nello stesso periodo cominciò ad affermarsi la figura professionale del restauratore, spesso artista di non grande levatura, ma dotato di un certo bagaglio tecnico. Gli interventi di restauro più importanti realizzati tra la fine del ‘600 e il primo decennio del ‘700 sono quelli guidati da Carlo Maratta e riguardarono gli affreschi di Annibale Carracci nella Galleria Farnese, i dipinti della Loggia della Villa della Farnesina e le Stanze di Raffaello in Vaticano.

14 Maratta, affiancato da Carlo Fontana, in primo luogo riparò i danni alle murature, dovuti alle lesioni e alle infiltrazioni di umidità. Si tratta del primo intervento di restauro su cui esiste, per espressa volontà del committente e sollecitudine del Bellori, una dettagliata documentazione che informa sullo stato di conservazione degli affreschi prima dell’intervento e su quanto venne compiuto da Maratta. l’eliminazione delle cause ambientali del degrado fu il primo aspetto dell’intervento la riadesione degli intonaci al supporto murario fu assicurata dall’inserimento di GRAPPE METALLICHE a forma di L o T nei punti scelti accuratamente nei colori scuri, occultate da stuccature accordate poi cromaticamente la ripresa pittorica delle parti rovinate o perdute fu condotta ricercando analogie stilistiche con le parti superstiti. L’obiettivo di Maratta era riproporre la migliore leggibilità dei dipinti, nascondendo la visibilità del restauro, cercando di conservare il più possibile i materiali originali, la qualità e il senso dell’immagine antica.

15 Malgrado la cautela usata da Maratta nei suoi interventi specialmente nella Loggia di Psiche scatenarono feroci polemiche. Bellori difende l’operato di Maratta, che si era prestato con tanta attenzione a conservare le opere dei grandi maestri Crespi critica i ritocchi e si sofferma sulla difficoltà di accordarli con l’originale “meglio opere consunte che ritoccate”. Inizia nella prima metà del ‘700 un dibattito tra i fautori delle prevenzione e delle conservazione che condannano senza attenuanti ogni intervento che pretenda di interferire sui materiali originali e l’aspetto dell’opera, in qualunque stato sia giunta,e quanti altri valutano pienamente legittimo operare anche sulla superficie pittorica con puliture e ritocchi al fine di migliorare l’apprezzamento e la qualificazione complessiva del dipinto.


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