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Nella letteratura spirituale, il fatto di morire in grazia di Dio, la cosiddetta “perseveranza finale”, è considerata la grazia delle grazie, e perciò,

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Presentazione sul tema: "Nella letteratura spirituale, il fatto di morire in grazia di Dio, la cosiddetta “perseveranza finale”, è considerata la grazia delle grazie, e perciò,"— Transcript della presentazione:

1 Nella letteratura spirituale, il fatto di morire in grazia di Dio, la cosiddetta “perseveranza finale”, è considerata la grazia delle grazie, e perciò, nel pregare l’Ave Maria, ci rivolgiamo con filiale fiducia alla Madre di Dio e Madre nostra: prega per noi, peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte.

2 Nel Messale Romano vi è un formulario speciale per la Messa affinché si ottenga la grazia di una buona morte.

3 11. Perché e come confessarsi
Oggi molti sostengono che il sacramento della riconci­liazione è in crisi. Sarà anche vero, ma le ragioni so­no diverse e vanno dalla perdita del senso del peccato dalla mancanza di fiducia nella misericor­dia di Dio, dall’ignoranza sul ruolo del sacerdo­te, dal significato del sacramento, dalla mancanza di entusiasmo, dalla disponibilità da parte degli stessi confessori...

4 «Vorrei confessarmi ma non so come si fa»
Ma per molti cristiani gli osta­coli veri e propri sono di ordine pratico: «Le cose sono talmente cambiate da quando ero piccolo: non saprei cosa dire...» «Vorrei confessarmi ma non so come si fa» «Ho dimenticato l’atto di dolore: è grave?» «Bisogna sempre usare il confessionale?» «Mi trovo a ripetere sempre le stesse cose: a che serve!?» «Come trovare un prete disponibile ad ascol­tarmi?» «Perché dovrei dire a una persona come me le mie cose?»

5 In questo ultimo punto della riflessione ci limite­remo a offrire gli elementi essenziali per fare del sacramento un autentico incontro con la mise­ricordia di Dio. Tra le difficoltà legate al sacramento, vanno riconosciute prima di tutto alcune incertezze le­gate al vocabolario.

6 In passato si parlava perlopiù di confessione e di penitenza, oggi si preferiscono termini come riconciliazione e perdono, senza tut­tavia che le espressioni tradizionali siano del tut­to sparite. Come fare chiarezza? Si intende la stessa cosa usando termini diversi?

7 Il termine penitenza rischia di essere frain­teso: normalmente la penitenza viene associata a una punizione. Con il rischio che il sacramen­to della misericordia diventi il sacramento del­la punizione!

8 La penitenza non va confusa con “la soddisfazione”, con l’impegno che il con­fessore assegna al penitente come riparazione dei peccati fatti.

9 Il termine “penitenza” vuole piuttosto evocare il valore della conversione, richiamando il primo appello di Gesù nel Van­gelo: «Pentitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Radicato nella tradizione biblica e spiri­tuale della Chiesa, questo termine non deve pertanto sparire dal vocabolario cristiano relativo al sacramento.

10 Il termine riconciliazione è quello pasto­ralmente più usato
Il termine riconciliazione è quello pasto­ralmente più usato. Il suo tono sembra essere più positivo di “penitenza” e, come quest’ulti­mo, è ben attestato dal punto di vista biblico e spirituale.

11 San Paolo, per esempio, parla del «ministero di riconciliazione» (2Cor 5, 18) che Dio ha affidato agli apostoli. Presso le prime generazioni cristiane questo sacramento consi­steva in una riconciliazione pubblica con la Chiesa.

12 Il termine, tuttavia, è inadeguato per chi vive la confessione con una certa frequenza. Rischia di lasciar intendere che ci si deve accostare al sacramento solo quando abbiamo “rot­to i ponti” con Dio, il che è sbagliato.

13 Ugual­mente, il termine è troppo forte per quanti si accostano al sacramento senza sentirsi lontani da Dio ma per sperimentare la sua misericor­dia.

14 Tra l’altro Dio non deve, di per sé, ricon­ciliarsi con noi
Tra l’altro Dio non deve, di per sé, ricon­ciliarsi con noi. San Paolo dice chiaramente che Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, non che si è riconciliato con il mondo.

15 Il sostantivo rischia di evocare una simmetria tra Dio e l’uo­mo che non è corretta. Noi ci riconciliamo con Dio, non Dio con noi.

16 Il termine confessione è quello più usato dai fedeli
Il termine confessione è quello più usato dai fedeli. Nessuno dice: «Vado a fare penitenza» o «Vado a riconciliarmi». Si dice invece: «Vado a confessarmi». Del resto il momento della confessione dei peccati al sacerdote è un elemento essenziale del sacramento.

17 Psicologi­camente parlando, è la parte più impegnativa e spesso più dolorosa. Il rischio però è quello di dimenticare che questo termine non indica so­lo l’enunciazione dei peccati, ma qualcosa di molto più bello. Nel sacramento noi confessia­mo anche la nostra fede e l’amore di Dio!

18 Il sacramento della penitenza e della riconcilia­zione non consiste solo nell’accusa - o nello scusarsi! - dei propri peccati. È piuttosto una confessione di fede e una confessione di lode. La confessio laudis implica la confessio vitae e genera la confessio fidei.

19 Il termine perdono è spesso usato per indi­care il frutto essenziale del sacramento: la remissione dei peccati. Il sacramento del perdono ha come scopo quello di recare, grazie al ministero della Chiesa, «il perdono e la pace».

20 L’uso del termine “perdono” pone l’accento sull’assolu­zione e su quello che Dio ci dona, piuttosto che su quello che fa il penitente.

21 Se stiamo alla struttura fondamentale del sacramento tale quale ci è stato tramandato dalla tradizione e dalla storia, emergono le condizioni essenziali e necessarie per una valida e feconda confessione: 1. Un sincero esame di coscienza; 2. Il dolore dei peccati – contrizione – che ho commesso; 3. Il proposito di lottare per non lasciarmi nuovamente vincere dal peccato; 4. La volontà di accusarmi – confessione – del male compiuto; 5. Il desiderio di riparare i danni che con il peccato ho causato.

22 Se per mia colpa manca una di queste condizioni, la Confessione non è valida e devo ripeterla.

23 12. Preghiera del pentimento
Ti invito a pregare, lentamente e meditando, questa bellissima preghiera composta da San Francesco Solano, frate francescano ed instancabile missionario nel Nord dell’Argentina e nel Perù, verso la fine del secolo XVI e gli inizi del XVII:

24 Cosa ho io, Signore Gesù, che Tu non mi abbia dato
Cosa ho io, Signore Gesù, che Tu non mi abbia dato? Cosa so io, che Tu non mi abbia insegnato? Cosa merito io, se non sono unito a Te? Cosa valgo io se non sono al tuo fianco? Mi hai creato senza che e te lo chiedessi; mi hai redento, senza meritarlo, molto hai fatto nel crearmi e molto nel redimermi, non sarai meno generoso nel perdonarmi! Perché l’abbondante sangue che bai versato, e l’aspra morte che patisti.­ non furono per gli angeli che ti lodano, ma per me e per gli altri peccatori che ti offendono! Se ti ho rinnegato, lasciami riconoscerti! Se ti ho ingiuriato, lasciami lodarti! Se ti ho offeso, lasciami servirti! Perché é più morte che vita quella che non si utilizza nel tuo santo servizio. Amen.

25 E alla fine, a coronamento di tutto, una bellissima preghiera liturgica:
«O Padre, che dai la ricompensa ai giusti e non rifiuti il perdono ai peccatori pentiti, ascolta la nostra supplica: l'umile confessio­ne delle nostre colpe ci ottenga la tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i se­coli dei secoli» (Messale Romano, Colletta del Mercoledì della Quarta Settimana di Quaresima).


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