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La relazione terapeutica

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Presentazione sul tema: "La relazione terapeutica"— Transcript della presentazione:

1 La relazione terapeutica
Per uno sviluppo delle competenze relazionali A cura di Francesca Stefani

2 L’incontro genera sempre una relazione, ciò che differenzia il genere di relazione è l’attribuzione di significato.

3 La relazione terapeutica infermiere-paziente è lo strumento indispensabile per acquisire i dati necessari alla formulazione della diagnosi dei bisogni educativi di salute della popolazione e per attuare gli interventi infermieristici più opportuni, stabilendo con i pazienti e centrando su di loro, quella che viene definita relazione d’aiuto

4 RELAZIONE indica il rapporto o legame che viene a stabilirsi fra oggetti, tra persone o tra persone e oggetto. Relazione quando c’è INTERCONNESSIONE Relazione quando c’è un RAPPORTO DI SCAMBIO

5 Quando un rapporto si realizza fra due o più persone viene a costituirsi una relazione di tipo interpersonale intesa come quel legame che un individuo costruisce con un’alterità. La relazione interpersonale genera, si realizza ed evolve da un incontro che produce più o meno profondamente INTERDIPENDENZA tra soggetti coinvolti istituendo tra loro un legame.

6 La capacità di entrare in una relazione significativa con altre persone è alla base di una vita soddisfacente. Johon Bowlby, pediatra e psicoanalista londinese, nel definire la teoria dell’attaccamento ha dato notevole contributo all’analisi delle relazioni interpersonali, sostenendo che il bisogno di relazione non si arresta con il raggiungimento della maturità, ma si sviluppa con il crescere stesso della persona.

7 La teoria dell’attaccamento
L’autore definisce "attaccamento" la tendenza dell'essere umano a strutturare solidi legami affettivi con particolari persone, la cui perdita causa profondi turbamenti emotivi e disturbi della personalità, sia nel bambino che nell'adulto.

8 Il comportamento di attaccamento si sviluppa per mantenere una prossimità nei confronti della figura di attaccamento ed evitare così i pericoli. Il comportamento complementare a quello di attaccamento del bambino è il "prendersi cura" del genitore, che si esprime come disponibilità, comprensione e intervento quando insorgono difficoltà per il piccolo. Se qualcosa non funziona in questo primo prezioso scambio relazionale, il bambino potrà mettere in atto comportamenti che possono aiutarlo a difendersi, anche se in modo disfunzionale, per la sua crescita e il suo benessere futuro.

9 L'indisponibilità dell'adulto di riferimento, da cui il bambino dipende per la sua protezione e sopravvivenza, creerà nel bambino una vulnerabilità verso la paura della perdita dell'altro. Lo stile e il comportamento di attaccamento di una persona nel corso della vita può dipendere dallo stile di attaccamento che il bimbo ha avuto con la madre da piccolo e si può in certi casi tramandare al proprio figlio/a.

10 La strange situation, implementata da Ainsworth nel 1969 ha consentito di individuare per la prima volta nel 1971 in bambini di 12 mesi tre pattern comportamentali organizzati di risposta a episodi di brevi separazioni e successive riunioni nei confronti di un genitore in un ambiente nuovo: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente

11 Attaccamento sicuro: Il bambino ha fiducia nella disponibilità della figura parentale in situazioni di pericolo e questo lo rende tranquillo nello spingersi ad esplorare le novità. Questo schema è prodotto da un genitore che nei primi anni del bambino sia stato disponibile e pronto a rispondere alle sue richieste di protezione.

12 Attaccamento insicuro-evitante: Il bambino insicuro-evitante non ha fiducia che la figura di attaccamento risponderà alle sue richieste di aiuto, anzi si aspetta di essere rifiutato. Ha sperimentato più volte la difficoltà ad accedere alla figura di attaccamento e ha imparato progressivamente a farne a meno. Così facendo, il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, senza l’amore ed il sostegno degli altri, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo

13 Attaccamento insicuro-ambivalente: Il bambino insicuro-ambivalente non ha la certezza che il genitore risponderà alle richieste di aiuto. Ha sperimentato l'imprevedibilità della figura di attaccamento, e tenta di mantenere con lei una vicinanza strettissima, rinunciando a qualsiasi movimento esplorativo autonomo. A livello cognitivo, per evitare l'imprevedibilità, si muovono soltanto nel conosciuto, da cui sia bandita ogni novità. Successivamente, riesaminando i bambini che non rientravano in nessuna delle categorie precedenti, fu introdotto un altro stile di attaccamento che è quello insicuro disorganizzato.

14 Attaccamento disorganizzato-disorientato
Attaccamento disorganizzato-disorientato. Si realizza quando la figura di attaccamento è sperimentata come minacciosa. Il caregiver è spaventato/spaventante. Il bambino è portato a leggere sul volto della figura di attaccamento se nell'ambiente esistano pericoli oppure no; nel caso della madre spaventata/spaventante egli riceve costantemente un messaggio di pericolo, e poiché non trova nell'ambiente alcun motivo che lo confermi, la madre diventa fonte di minaccia. Quando il genitore suscita paura nel bambino, questo subisce il crollo delle strategie comportamentali perché non può avvicinarsi (come fanno i sicuri e gli ambivalenti) né distogliere l’attenzione (come gli evitanti) e né fuggire. Quindi, mentre gli altri adottano strategie ben definite, questi bambini sono incapaci di attivare una strategia che consenta di alleggerire la tensione legata all’attaccamento. Questo pattern si riscontra più frequentemente in bambini maltrattati fisicamente o trascurati fortemente dai genitori. Ma si verifica anche in bambini il cui genitore ha esperienze di perdita o traumi non risolti.

15 Studi longitudinali, in cui sono stati rivalutati i dati raccolti, (6/20 anni più tardi), hanno dimostrato che la valutazione degli stili di attaccamento della Stange Situation risultava fortemente predittiva. Tutti e tre gli studi hanno dimostrato alti livelli di continuità degli stili di attaccamento nel corso del tempo.

16 I modelli operativi interni
“ogni individuo costruisce modelli operativi del mondo e di se stesso in esso, con l’aiuto dei quali percepisce gli avvenimenti, prevede il futuro e costruisce i suoi programmi. Nel modello operativo del mondo che ognuno si costruisce, una caratteristica chiave è la nozione che abbiamo di chi siano le figure di attaccamento, di dove possano essere trovate e di come ci si può aspettare che rispondano. Similmente, nel modello operativo di se stessi che ognuno di noi costruisce, una caratteristica chiave è la nostra nozione di quanto accettabili o inaccettabili noi siamo agli occhi delle nostre figure di attaccamento”

17 I modelli operativi interni costituiscono degli schemi cognitivi che hanno la funzione di filtro nell’elaborazione delle informazioni che provengono dall’ambiente e che, conseguentemente, guidano il comportamento e organizzano le emozioni.

18 Non sono però filtri passivi, ma contribuiscono alla continua ri-creazione individuale dei modelli di relazione nel corso dello sviluppo. In altre parole, le strategie di attaccamento che il bambino sviluppa nelle prime fasi evolutive, si consolidano e si strutturano nel tempo in modelli mentalizzati delle relazioni. I modelli operativi rendono quindi possibile l’organizzazione dell’esperienza soggettiva, affettiva e cognitiva, come del comportamento adattivo.

19 La relazione interpersonale :
E’ un rapporto che origina da un incontro Genera interdipendenza, creando un legame fra persone Si costruisce in tempi e spazi illimitati E’ sia espressione di un bisogno che mezzo per rispondere ad esso Favorisce la crescita e l’evoluzione della persona e della collettività

20 La RELAZIONE permette di apprendere e costruire la realtà, è un fenomeno che permette all’individuo di pervenire alla conoscenza della propria e dell’altrui visione del mondo. Gli altri contribuiscono alla costruzione della soggettività di ciascuno, dal momento che la propria e personale visione del mondo non è altro che l’esito di un complesso rapporto dialettico fra sé e gli altri. L’incontro con l’altro modifica parte di sé.

21 La difficoltà che domina le relazioni interpersonali è dovuta, nella maggior parte dei casi, all’incapacità di cogliere l’altro come soggetto portatore della sua unicità e autentica biografia. E’ infatti costante la tendenza a comprendere l’altro, interpretandolo con i propri pre-concetti.

22 entropatia Intesa come la capacità di accedere e di comprendere l’altro. Richiede un impegno emotivo, affettivo ed intellettuale per poter comprendere il mondo con gli occhi dell’altro: non si tratta quindi di mettersi al posto suo, ma di ritirarsi sullo sfondo per far emergere l’altro in primo piano.

23 Epoche’ E’ la sospensione del giudizio, la capacità di “mettere tra parentesi” le proprie esperienze e i propri vissuti, le proprie stereotipie ed esperienze valoriali per potersi mettere in sintonia con il proprio interlocutore.

24 Tutte le relazioni implicano un aiuto e si costruiscono sull’aiuto che viene dato e che viene ricevuto,la RELAZIONE DI AIUTO è una forma particolare di relazione interpersonale.

25 Relazione d’aiuto Rogers nel 1951 ha definito la relazione d'aiuto come: "una relazione in cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato” La specificità che la distingue dalle altre relazioni umane è l'aspetto metacognitivo: per competenza d'aiuto si intende infatti la capacità di dare vita ad una relazione umana in modo consapevole, controllato ed intenzionale, padroneggiando razionalmente abilità "che sono un tutt'uno con ciò che si è".

26 Si ha relazione d’aiuto quando vi e’ un “incontro”
tra due persone, di cui una si trova in condizioni di sofferenza, confusione, conflitto e/o disabilità dinanzi ad un problema che deve gestire, l’altra e’ dotata di un grado “differente” di adattamento, competenza e abilità rispetto lo stesso problema.

27 Condizioni per instaurare una relazione di aiuto
Autenticità Congruenza Valutazione della distanza Rispetto dell’altro Rispetto dei tempi Accettazione della totalità dell’altro Attivazione delle potenzialità dell’altro Rispetto per se stessi Accettazione dei limiti personali Sospensione di valutazioni e giudizi

28 quando l’aiuto non promuove la crescita della persona
Quando si colloca in una posizione di potere Quando non promuove l’autonomia e crea dipendenza Quando non considera le potenzialità dell’altro Quando considera l’altro come incapace Quando l’aiuto si traduce solo nel tecnicismo Quando non considera la reale difficoltà dell’altro Quando crea solo risposte standardizzate Quando non viene fondata sul principio della reciprocità

29 L’aiuto che non promuove la crescita della persona, provoca in colui che lo riceve reazioni di rifiuto, ostilità e rabbia.

30 Reazioni allo stato di malattia
Alcuni dei meccanismi di difesa: Regressione Formazione reattiva Negazione o rifiuto Razionalizzazione Chiusura in sè Distacco emotivo E’ necessario che l’infermiere sappia leggere queste reazioni e sappia relazionarsi con esse, in modo da poter rispondere in maniera adeguata.

31 regressione Generalmente, le vicissitudini fisiche di una malattia comportano il recupero di esperienze infantili: in pratica, si attivano nel paziente processi di regressione che comportano bisogni neonatali. La necessità della presenza di qualcuno che stia con la persona ammalata La necessità di accudimento fatto di contatto La necessità di qualcuno che parli con lui

32 La formazione reattiva
Attraverso questo meccanismo di difesa il soggetto manifesta un comportamento opposto rispetto quanto sta vivendo psicologicamente. Per esempio, succede che il paziente si mostri sorridente in situazioni gravose, oppure freddo e distaccato in momenti in cui altri pazienti crollano emotivamente.

33 Negazione o rifiuto Nel meccanismo di negazione l’individuo nega la realtà, ciò può riguardare una fase del dolore o essere, un vera e propria modalità di difesa, come, per esempio, la persona ammalata che afferma di non preoccuparsi per la sua malattia.

34 razionalizzazione Attraverso questo meccanismo, la persona opera una serie di ragionamenti,convogliando il suo pensiero in modo da giustificare i suoi comportamenti e le sue convinzioni. Mediante tale processo il soggetto allontana le ripercussioni emotive e alimenta una serie di pensieri atti a diminuire il vissuto di disagio e a farlo stare meglio con se stesso e con gli altri.

35 La chiusura in se In questo caso, la persona si ritira su se stessa, evita il più possibile di incontrare e di confrontarsi con altre persone. Non tende a parlare delle proprie problematiche anche se le vive in modo profondo e ampiamente disagevole. Spesso il soggetto diventa scontroso e poco incline ad adattarsi alle nuove situazioni, egli cerca di risolvere da solo le sue difficoltà senza, o limitandosi notevolmente, confidarsi e/o affidarsi ad altre persone anche se molto care.

36 Il distacco emotivo Il trauma psicologico, che comporta un’esperienza così totalizzante come quella di una patologia grave, può portare il paziente a limitare notevolmente il suo coinvolgimento emotivo in tutte le sue esperienze quotidiane (sia che concernono la terapia che la sua vita affettiva e sociale).  E’ una sorta di anestesia emotiva. Come tutte le difese, essa si innesca automaticamente e spesso non è pienamente concepita dal paziente.

37 La persona deve quindi trovare un contesto ACCOGLIENTE, privo di pregiudizi e che lo faccia sentire al centro della relazione. Considerazione positiva incondizionata Comprensione empatica Avalutatività e congruenza Approccio non direttivo

38     Ciò che distingue un tecnico da un professionista, è proprio la capacità di “giocare” il proprio ruolo in termini relazionali, di uscire da schemi prefissati per adattare il proprio intervento alla persona che ha di fronte, di lasciarsi coinvolgere nella giusta misura in questa relazione con l’assistito, in modo che questi possa sentirsi veramente al centro della sua attenzione e del suo impegno professionale.

39 La relazione interpersonale secondo peplau
Hildegrard Peplau infermiera americana, accademica e leader del nursing pediatrico. Sostiene che gli infermieri debbano utilizzare il rapporto interpersonale nella pratica assistenziale come strumento terapeutico Individua 3 fasi nella ralazione: Orientamento Identificazione Risoluzione

40 Orientamento E’ il momento in cui avviene l’incontro tra infermiere e paziente che segnerà ed influenzerà, fin dal primo momento, la relazione. Durante questa fase inizia il processo di nursing; l’infermiere e il paziente si accordano sul lavoro da svolgere insieme per risolvere uno o più problemi infermieristici, in un reciproco rapporto di fiducia e comprensione definito RAPPORTO TERAPEUTICO. Il contratto verbale dà inizio alla relazione operativa.

41 Identificazione e sviluppo
Fase in cui il paziente si affida a colui che gli induce sicurezza, protezione e sensibilità di fronte alla minaccia della malattia. Segue lo sviluppo in cui il paziente cerca di trarre utilità da servizi e cure offerti, grazie ai quali si sente capace di controllare la situazione e in cui le sue aspettative aumentano.

42 risoluzione E’ la fase che chiude la relazione. Il paziente diventa sempre più indipendente e capace di soddisfare in autonomia i propri bisogni di salute e pertanto la relazione si avvia alla conclusione.

43 Paplau identifica 6 ruoli assunti dall’infermiere
L’estraneo: ruolo condiviso fra infermiere e paziente che iniziano una relazione terapeutica. L’infermiere offre rispetto, interesse e accettazione. La risorsa: in questo ruolo l’infermiere aiuta il paziente a trattare con il sistema di assistenza sanitaria offrendo assistenza e risposte a specifiche domande L’insegnante: l’infermiere istruisce il paziente e lo aiuta ad utilizzare le sue esperienze all’interno del servizio

44 La guida: l’infermiere aiuta il paziente a contribuire e partecipare al processo di nursing
Il sostituto: come figura sostitutiva dei genitori o dei figli, l’infermiere aiuta a risolvere problemi interpersonali alla presenza di un’altra persona che sia in grado di capire e di orientare Il consulente: nel ruolo di counselor o consigliere l’infermiere aiuta il paziente ad integrare sia la realtà che le risposte emotive associate alla malattia, restituendo l’esperienza in un’ottica globale.

45 La competenza relazionale
È l’espressione della possibilità di assistere sempre e comunque qualsiasi persona facendo in modo che ogni incontro con l’assistito divenga un evento unico e irripetibile che inesorabilmente pone le basi di una storia che è “quella storia”.

46 La COMPETENZA RELAZIONALE e la COMPETENZA D’AIUTO fanno riferimento alla capacità dell’infermiere di dar vita ad una relazione interpersonale intenzionale, consapevole e quindi progettata, la quale a sua volta è padroneggiata dai saperi, dalle tecniche e dalle doti/qualità che vengono manifestate nell’atto della cura.

47 Per poter incontrare l’assistito nella sua complessità, è necessario mettere in atto un insieme coordinato e ponderato di atteggiamenti, di parole e a volte anche di silenzi, che in ogni momento dell’esperienza assistenziale concedono alla persona di sentirsi accolta. Tutto questo, al di fuori di uno spontaneismo che può essere incongruo rispetto alle reali necessità e, al contrario, sempre all’interno di una cornice che veda la formazione alla relazione d’aiuto, come asse portante.

48 L’infermiere promotore di speranza
Questo richiede: Un incontro totale Reciprocità Possibilità (un futuro che vuole essere ancora abitato) Fare insieme e non “fare per” Attivare i processi di resilienza

49 Verso la condivisione di un limite
Entrare in relazione con l’assistito per riconoscerlo, accoglierlo e sostenerlo non è un atto di riparazione che elimina la malattia o il deficit, ma è il punto di partenza di una storia, il cui esito non sempre potrà avere un lieto fine, poiché le condizioni di base talvolta non possono essere trasformate. Per questo motivo è fondamentale l’accettazione del dolore e della sofferenza insita nella condizione umana, che è degli alti, ma anche la propria.

50 “la relazione è anche lasciare che l’altro ci contamini un po’, senza invasioni di campo, portando e richiedendo attenzione e rispetto” Elena Malaguti

51 I mediatori «Dire “ho avuto un incidente” e pensare come ero prima e come sono diventato dopo l’incidente significa dividere in due parti la vita e metterle a confronto. In questo confronto “perde” la seconda parte che è sempre sottoposta a giudizio in rapporto alla qualità, alle competenze, all’efficacia delle funzionalità che c’erano nella prima parte». Per questo «non mi piace quando, per incoraggiarmi, mi si dice che riprenderò a essere come un tempo. In futuro non so cosa accadrà. Come mi ha detto un illustre specialista, confermando che il danno che ho me lo tengo, e accompagnando questa affermazione con un “però”, conosciamo il futuro solo vivendolo». Una visione che accetta la fragilità del presente puntando a un miglioramento graduale, può anche evitare di far cadere nel “vittimismo”, ovvero quella strana condizione in cui un soggetto lamenta la propria condizione di vittima, ma la conferma in ogni azione, perché ne vive aspetti, organizzativi ed esistenziali, a cui non rinuncia, pur lamentandosene. Come si può capire sono situazioni contorte.

52 I MEDIATORI sono …… “semplici sassi che offrono appoggio e sostegno a chi vuole attraversare un corso d’acqua per raggiungere l’altra sponda, permettono di costruire collegamenti e di superare problemi ”

53 Il mediatore offre la capacità di creare un collegamento tra quello che un soggetto ha già e quello che l’altro gli porta. E la ricerca dei mediatori è continua, come nella logica del DOMINO.

54 CI VUOLE UNA SCALA PER PASSARE DAL PIANO TERRA AL PIANO SUPERIORE
CI VUOLE UNA SCALA PER PASSARE DAL PIANO TERRA AL PIANO SUPERIORE. QUESTA SCALA SONO I MEDIATORI

55 IL PROGETTO COME MEDIATORE
Costruire un progetto, saper fare un progetto è un mediatore. Il progetto consente di collegare le parti e i professionisti, permette un lavoro di verifica e ristrutturazione continuo, facilitando i passaggi da una competenza all’altra in termini processuali.

56 CARATTERISTICHE DI UN MEDIATORE
pluralità la possibilità di collegarsi a domino la possibilità di riunire in se la caratteristica di un punto sicuro e invito esplicito ad andare oltre, a rischiare; di continuità e nello stesso tempo di rottura un mediatore non fa paura

57 I mediatori I primi mediatori sono: l’educatore e la parola Gli oggetti mediatori sono quelli che “stanno fra” i soggetti della cura, permettendo un incontro significativo per entrambi. Gli oggetti regolano il rapporto tra le persone, lo ritmano in modo tale che esso abbia un senso comune e soprattutto co-costruito. I mediatori aiutano i soggetti in difficoltà ad aprirsi alla più ampia possibilità di realizzazione.

58 I mediatori nella relazione d’aiuto: nella relazione d’aiuto vi sono sempre aspetti di dominanza, ma dovrebbero avere un carattere transitorio; l’obiettivo dovrebbe essere sempre quello del raggiungimento dell’autonomia in un’ottica di responsabilità o co-responsabilità. L’aiuto non evolve se non è orientato ad incrementare le capacità di auto- organizzazione dell’individuo e se non elabora un percorso che approdi al sostegno del contesto.

59 Il modello Se un professionista non ha un modello rischia di farselo dettare dalle circostanze o dalle difficoltà. Il “modello” è una struttura flessibile, elastica con dei punti fermi. Se l’elasticità e la flessibilità vengono scambiate con l’informalità e l’improvvisazione totali, il rischio è quello di avere un falso modello.

60 “la zuppa di sasso…..” Non è una ricetta, è una piccola lezione di vita...e di “mediatori”…… Scendiamo (anzi, saliamo) per un attimo, nel mondo della letteratura per bambini. Quella piccola e sempre spalancata finestra, che fa vedere storie e fa crescere, anche chi è già grande. Una zuppa di sasso è un racconto per bambini scritto e illustrato da Anaïs Vaugelade. Edito da Babalibri nel 2001 “è un libro carino e semplice, una storia adatta a tutti e con diverse chiavi di lettura..” “è un libro che aiuta a capire che si può andare oltre i propri limiti, che parla di fiducia e comunità e di superamento di diffidenze e differenze”.


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