Elementi di linguistica sarda

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Elementi di linguistica sarda Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 14

Un quadro linguistico della Sardegna Oltre al sardo che, coi suoi dialetti e sub-dialetti, è parlato in quasi tutta l’isola, sono presenti in Sardegna altre varietà che si classificano come autonome rispetto a esso. Nella zona nord-occidentale (Sassari e agro, Sorso, Porto Torres e Stintino) si parla il sassarese; nella zona nord-orientale (in un’area racchiusa, sulla carta geografica, da una linea che parte dal Golfo dell’Asinara, subito dopo il territorio di Sorso, e arriva a toccare la costa del Tirreno, a nord di Olbia) si parla il gallurese

(si osservi, tuttavia, che a Luras, in piena Gallura, si parla il sardo logudorese; a sud di Olbia, il gallurese è presente a San Teodoro; inoltre, i dialetti di Sedini, Tergu e Castelsardo sono considerati varietà di transizione fra il sassarese e il gallurese); ad Alghero si parla il catalano; a Carloforte e Calasetta si parla il tabarchino. La carta di M. Virdis, nella diapositiva che segue, sintetizza la situazione linguistica della Sardegna.

Una varietà non sarda e non italiana Iniziamo dalle varietà linguistiche alloglotte presenti in Sardegna. L’algherese è un dialetto catalano, la cui presenza nell’isola è legata a un preciso fatto storico: a partire dal 1354, infatti, la cittadina di Alghero (L’Alguer) venne ripopolata con elementi catalani, a causa della sua vivace resistenza anti-aragonese. L’algherese viene classificato come un dialetto del catalano orientale, all’interno del quale presenta alcuni tratti di arcaicità; inoltre, ha subito un importante influsso lessicale dal sardo e dall’italiano.

Un testo in catalano di Alghero Lu miracra de Nastru Sagnora de Varvèlt Accustàt de r’ Alghé, accustàt de r’ igrésia de Nastru Sagnora de Varvèlt, corri un trainu i an acchés sa diu ’n fet: che l’agn ch’es vangút lu cicrone, lu trainu s’es undàt fent assai dagn a toz; Il miracolo di Nostra Signora di Valverde Vicino ad Alghero, vicino alla chiesa di Nostra Signora di Valverde, corre un torrente e su questo si dice un fatto: che l’anno che è venuto il ciclone il torrente è straripato facendo molto danno a tutti;

es astara ’nvucara Nastru Sagnora de Varvèlt e lu dilúviu es acabàt al matés mamentu, l’àrgua del trainu s’es fetta branca con a gliétt. Lu trainu es astàt dit “trainu de Varvèlt” i car agn a migianít, al matès dia dal miracra, l’àrgua del trainu corri brancu con a gliètt. (Fonte: G. Bottiglioni) è stata invocata Nostra Signora di Valverde e il diluvio è cessato nello stesso momento, l’acqua del torrente si è fatta bianca come il latte. Il torrente è stato detto “torrente di Valverde” e ogni anno a mezzanotte, nello stesso giorno del miracolo, l’acqua del torrente corre bianca come il latte.

Una varietà ligure Nel meridione dell’isola, a Carloforte e Calasetta, si parla una varietà ligure, nota col nome di tabarchino. «L’origine di tale denominazione è legata alla storia del popolamento delle due cittadine, fondate rispettivamente nel 1738 e nel 1770 da coloni provenienti dall’isolotto tunisino di Tabarca, sul quale la nobile famiglia genovese dei Lomellini aveva trasferito fin dal XVI secolo gruppi di corallari e pescatori liguri» (F. Toso). Il tabarchino è, di gran lunga, la parlata locale più vitale fra quelle presenti in Sardegna, rispetto alla quale i parlanti mostrano un fortissimo attaccamento identitario.

Un testo in tabarchino Il figlio che si comportava male U figgiu de mola cundüta Ben, l’ö dì che gh’éa st’ómmu, st’ómmu chì ch’u l’àiva duì figiö, e in bellu giurnu quéllu ch’u l’éa u ciü zónu u ghe fa: «O babbu», u ghe dixe, «m’â désci a porte d’ereditè che me tucche?». E st’ómmu, meschin, u l’ha spartìu tüttu quéllu ch’u l’àiva e u g’ha detu a só porte. L’è pasàu dôtrài giurni e u figgiu picin u l’ha missu ’nsémme tütta a só róba e u se n’è anetu via. Il figlio che si comportava male Allora, c’era quest’uomo, quest’uomo che aveva due figli, e un bel giorno quello che era il più giovane gli fa: «Padre», gli dice, «mi daresti la parte di eredità che mi tocca?». E l’uomo, poverino, ha diviso tutto quello che aveva e gli ha dato la sua parte. Sono passati alcuni giorni e il figlio piccolo ha messo insieme tutte le sue cose e se n’è andato via.

U l’è anetu à stò inte ’n pàize che mi nu so dunde, e u l’ha cumensàu à fò a bella vitta, tantu ch’u s’ha mangiàu tüttu. Cumm’u l’è arestàu sensa ninte, lì da quélle porte han cumensàu à patì da gran famme, e alùa scì ch’u s’è sentìu persu. Cuscì u l’è anet’à acurdose da ün du pàize, e st’ómmu u l’ha mandàu inta vigna à dò mente ai pórchi. (Fonte: F. Toso, in via amichevole) Se n’è andato a stare in un paese che non so dov’è, e ha cominciato a fare la bella vita, tanto che si ha mangiato tutto. Come è restato senza niente, lì da quelle parti hanno cominciato a soffrire una gran fame, e allora sì che si è sentito perduto. Così è andato a mettersi d’accordo con uno del paese, e quest’uomo lo ha mandato a occuparsi dei porci.

Regole minime di pronuncia del tabarchino (1) Per la pronuncia del tabarchino, ecco qualche regola molto essenziale: <ü> (es. tüttu) si pronuncia come nel fr. mur “muro”, <ö> (es. figiö) come nel fr. feu “fuoco”; l’accento acuto sulla e (es. désci) e sulla o (es. ómmu) indica pronuncia chiusa; <e>, <è> indicano una e aperta, <o>, <ò> una o aperta (una cosa, dunque, è dire portu “parto”, un’altra dire pórtu “porto”); l’accento circonflesso ^ indica vocale lunga senza accento;

Regole minime di pronuncia del tabarchino (2) 5) <x> (es. dixe) indica il suono iniziale del fr. jour “giorno”; 6) <z> (es. zónu) indica la s sonora di rosa; 7) <s> davanti a <c, f, p, q, t> (es. meschin, spartìu) si pronuncia š, come in scimmia; 8) le consonanti doppie si pronunziano come scempie (servono a indicare che la vocale che precede è breve, mentre le consonanti semplici indicano che è lunga: per es., in pusu “polso” la u è lunga, in pussu “pozzo” è breve).

I dialetti sardo-corsi (1) Nella regione settentrionale della Sardegna si parlano delle varietà non sarde, ma piuttosto di tipo italiano: il sassarese e il gallurese. Queste varietà, in particolare, presentano una notevole affinità coi dialetti corsi meridionali e centro-occidentali. Storicamente ciò è dovuto ai numerosi Corsi che, secondo alcuni indizi sin già dal Trecento, specie durante il periodo della supremazia politica di Genova su parte del nord Sardegna, affluirono in queste regioni: centri come Sassari, Castelgenovese (poi Castelsardo) e Porto Torres registrano allora la presenza nutrita di popolazione di origine corso-ligure; anche in Gallura ci fu un vero e proprio ripopolamento, che proseguì sino al XVIII secolo, fatto che portò alla sostituzione dei dialetti logudoresi.

I dialetti sardo-corsi (2) Il sassarese presenta particolare somiglianza col dialetto corso di Ajaccio, anche se la vicinanza del sardo ne ha condizionato la fisionomia. Il gallurese, invece, come rilevava già il canonico Giovanni Spano nell’Ottocento, si mostra più vicino al corso parlato nella zona di Sartene, e può essere suddiviso in due sub-dialetti principali: quello tempiese (parlato, oltreché a Tempio, prevalentemente nella Gallura orientale); e quello aggese (parlato, oltreché ad Aggius, prevalentemente nella Gallura occidentale e nell’Anglona nord-orientale).

I dialetti sardo-corsi (3) Si è già detto della particolare fisionomia dei dialetti di Sedini, Tergu e Castelsardo, posti al confine fra sassarese e gallurese. Una posizione a sé occupa il dialetto della Maddalena: pressoché spopolate, nel corso del XVII-XVIII sec. le isole dell’arcipelago videro l’afflusso di pastori corsi delle campagne di Bonifacio, che portarono con sé un dialetto corso con forti influssi genovesi; ulteriori apporti genovesi si ebbero durante l’Ottocento quando, con l’installazione della base della marina militare, si ebbe anche una forte immigrazione ligure.

I dialetti sardo-corsi (4) La distanza linguistica presente fra il sassarese e il gallurese da una parte e il sardo dall’altra è un fatto che si percepisce senza difficoltà. Oltre alle differenze nel lessico, sono vistose soprattutto quelle nella morfologia: giusto per citare un fatto importante, mentre nel sardo l’art. det. è su “il, lo”, sa “la”, sos “i, gli”, sas “le” (in camp. is come forma unica al pl.), nei dialetti sardo-corsi abbiamo al sing. lu (sass. ru), la (sass. ra), al pl. li (sass. ri). Ad es.: sd. log. su vídzu, camp. su víllu “il figlio”; al pl. sd. log. sos fídzos, camp. is fíllus; sass. ru vil’óru, pl. ri vil’óri; gall. lu viḍḍólu, pl. li viḍḍóli.

Breve bibliografia G. Bottiglioni, Vita sarda, Milano 1925. G. Bottiglioni, Leggende e tradizioni di Sardegna, Nuoro 2003 (disponibile anche nel sito www.sardegnadigitallibrary.it). G. Spano, Ortografia sarda nazionale ossia gramatica della lingua logudorese paragonata all’italiana, Cagliari 1840. F. Toso, Grammatica del tabarchino, Recco 2005. F. Toso, Lingue d’Europa. La pluralità linguistica dei Paesi europei fra passato e presente, Milano 2006. M. Virdis, Aree linguistiche, in G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmitt (a cura di), Lexikon der Romanistischen Linguistik, Tübingen 1988, pp. 897-913.