IL PROCESSO ANALITICO GENERALITA’ La qualità del risultato di un’analisi dipende dalla accuratezza di tutte le procedure sperimentali che a partire dal materiale grezzo da analizzare portano al risultato finale: gli errori compiuti nei vari stadi della procedura determinano l’errore complessivo del risultato. Procedura sperimentale Possibile origine di errore Materiale grezzo da analizzare Campione da laboratorio Campione pronto per l’analisi Risultato finale Il campione da laboratorio è rappresentativo del materiale grezzo da analizzare? Campionamento L’analita è stato recuperato completamente? Trattamento del campione Sono stati eliminati tutti i componenti del campione che possono interferire nell’analisi? Il metodo analitico è accurato? Analisi
IL PROCESSO ANALITICO SCALA DEL CAMPIONE Le analisi possono essere classificate in funzione della quantità di campione da analizzare: molte tecniche di trattamento del campione utilizzate per macro analisi non sono applicabili per le ultramicro analisi.
IL PROCESSO ANALITICO FRAZIONE DI ANALITA Un altro parametro importante è la percentuale di analita del campione: gli analiti presenti in tracce richiedono tecniche più sensibili e le loro determinazioni sono particolarmente soggette ad errori dovute ad interferenze e contaminazioni. Analizzare un campione di piccole dimensioni non è equivalente a determinare un analita presente in tracce in un campione di grandi dimensioni, anche se la quantità assoluta di analita può essere simile.
IL PROCESSO ANALITICO ATTENDIBILITA’ DEI RISULTATI La precisione e l’accuratezza “accettabili” di un’analisi dipendono anche dalla frazione di analita nel campione: per analiti presenti in tracce ed ultratracce sono tollerate accuratezze e precisioni molto minori rispetto a quelle accettate per i costituenti principali di un campione.
IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONAMENTO Spesso il campione è troppo grande per potere essere analizzato completamente, oppure la procedura analitica è inserita in un processo produttivo ed ha la funzione di controllare le caratteristiche di una materia prima o del prodotto finito. In entrambi i casi è necessario prelevare una parte del campione per l’analisi mediante un campionamento. Il risultato finale del campionamento è il campione da laboratorio, dal quale vengono ottenute le aliquote per effettuare le analisi in replicato. In generale, un’operazione di campionamento può essere divisa in due fasi distinte: Materiale grezzo da analizzare Campione grossolano Campione da laboratorio Prelievo di una serie di porzioni (che potrebbero avere composizione differente) selezionate in modo da ottenere un campione grossolano di dimensione adeguata e rappresentativo del materiale da analizzare. Trattamento del campione grossolano per ottenere un campione da laboratorio tale che ogni sua aliquota abbia la stessa composizione (campione omogeneo).
IL PROCESSO ANALITICO INCERTEZZA COMPLESSIVA DELL’ANALISI La procedura di campionamento rappresenta uno stadio chiave del processo analitico: è critica in particolare nel caso di materiali eterogenei in cui la composizione può variare da un punto all’altro. L’incertezza connessa all’operazione di campionamento, spesso compiuto al di fuori del laboratorio, concorre infatti a determinare l’incertezza complessiva dell’analisi: Se l’incertezza sul campionamento (s2campionamento) è elevata, la misura non sarà accurata indipendentemente dalla precisione del metodo analitico utilizzato, poiché sarà l’incertezza sul campionamento a determinare l’incertezza complessiva dell’analisi. In tal caso non è vantaggioso investire risorse nella messa a punto di un metodo analitico più preciso poiché il miglioramento di s2analisi non si riflette in un parallelo miglioramento di s2totale. All’opposto metodi meno precisi ma più veloci ed economici potrebbero permettere l’analisi di un numero più elevato di campioni (migliorando quindi la deviazione standard della media di un fattore √N).
IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONE GROSSOLANO La procedura comune per ottenere un campione grossolano è quella di prelevare un certo numero di aliquote del campione da analizzare (elementi di campionamento) selezionate in modo tale da garantire che il campione grossolano sia rappresentativo del materiale da analizzare nel suo complesso. Le procedure di campionamento vengono stabilite in funzione di: Quantità del materiale da analizzare Stato fisico del materiale da analizzare (solido, liquido, gassoso…) Eterogeneità del materiale da analizzare (solido particolato, sospensione, soluzione…) Composizione chimica del materiale da analizzare (la procedura di campionamento non deve distruggere od alterare l’analita: ad esempio, il campionamento più richiedere operazioni di tipo meccanico nel caso in cui il campione da analizzare abbia una natura compatta). I problemi maggiori si incontrano ovviamente nel caso di materiali da analizzare solidi e di grandi dimensioni, caratterizzati da un elevato grado di eterogeneità.
IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONAMENTO DI SOLIDI Terreno di tipo “A” (80% dell’area totale) Terreno di tipo “B” (20% dell’area totale) I punti di prelievo dei campioni vengono selezionati casualmente sulla griglia, in modo che l’80% cada nel terreno di tipo “A” ed il 20% nel terreno di tipo “B”. Griglia di campionamento
IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONAMENTO DI LIQUIDI E GAS Il campionamento dei liquidi presenta minori problemi, anche se su grande scala l’approccio è simile a quello utilizzato per i solidi. La situazione è più complessa per le sospensioni, se nel campione devono venire inclusi anche i solidi: se le particelle della sospensione sono presenti in piccolo numero, è difficile ottenere un’aliquota rappresentativa del campione nel suo complesso. I campioni gassosi tendono ad essere relativamente omogenei, e quindi il prelievo è relativamente semplice. Le specie gassose che si vogliono analizzare possono però essere concentrate in piccoli volumi (preconcentrazione) durante il prelievo mediante una delle seguenti procedure: Condensazione: prelievo mediante passaggio allo stato liquido o solido per raffreddamento Intrappolamento: durante il prelievo l’analita viene legato chimicamente in una soluzione o su un solido mediante una opportuna reazione chimica (es. CO2(g) + NaOH Na2CO3) Adsorbimento: l’analita viene legato fisicamente sulla superficie di un adeguato materiale solido adsorbente (es. carbone attivo)
IL PROCESSO ANALITICO FRAZIONAMENTO DURANTE IL PRELIEVO In alcuni casi si è interessati soltanto ad un particolare componente di un campione eterogeneo (ad esempio durante la raccolta di un particolato in sospensione nell’aria): in questo caso si può effettuare una separazione fisica direttamente all’atto del campionamento.
IL PROCESSO ANALITICO QUANTI CAMPIONI SONO NECESSARI? E’ possibile utilizzare la statistica per stabilire quanti campioni devono essere analizzati se si vuole essere certi che l’incertezza dovuta al campionamento non superi un certo valore ad un determinato livello di fiducia (se l’incertezza dovuta al campionamento è preponderante, questa sarà anche l’incertezza complessiva dell’analisi). Se sc è la deviazione standard del campionamento (ricavabile effettuando l’analisi di un certo numero di campioni) l’intervallo di fiducia della media di un certo numero N di determinazioni è dato da: L’ultimo termine è l’incertezza assoluta sulla misura associata ad un determinato livello di fiducia, che può essere convertita nell’incertezza relativa Er Il numero di campioni N necessario per ridurre l’incertezza relativa al valore Er per un dato livello di fiducia si ricava risolvendo (per via iterativa, siccome t dipende anche da N) l’equazione
IL PROCESSO ANALITICO CAMPIONE DA LABORATORIO Pur essendo rappresentativo del campione nel suo complesso, il campione grossolano non è di solito omogeneo. In genere esso ha la dimensione minima necessaria per garantire che esso sia rappresentativo del campione originale, quindi non è possibile prelevare direttamente le aliquote per l’analisi. Prima dell’analisi esso deve essere reso omogeneo, in modo che ogni sua aliquota abbia la stessa composizione. L’operazione può consistere in una semplice agitazione (soluzioni, sospensioni) o implicare procedimenti meccanici (frantumazione, macinazione, miscelazione della polvere risultante) per la riduzione delle dimensioni delle particelle. Queste operazioni possono però alterare la composizione del campione: Perdita di componenti volatili in conseguenza del riscaldamento derivante dalla macinazione Variazioni dello stato di ossidazione dell’analita od altre trasformazioni legate al contatto con l’aria Variazione del contenuto di acqua del campione
IL PROCESSO ANALITICO INTEGRITA’ DEL CAMPIONE Il campione non dovrebbe subire alterazioni nel tempo che intercorre fra il campionamento e l’analisi. Questi fenomeni dipendono da un insieme di fattori (temperatura di conservazione, umidità, pH, contenuto di ossigeno, esposizione alla luce) oltre che dal tempo. Possono essere dovuti a: Processi fisici (evaporazione, sublimazione, degradazione fotochimica…) Processi chimici (reazioni con la matrice, ossidazione da parte dell’aria…) Processi biologici (attività enzimatica, contaminazione microbica…) Atri fattori da tenere in considerazione, in particolare per basse concentrazioni di analita, sono le possibili interazioni con il contenitore del campione, deve essere scelto in funzione dell’analita (es. le materie plastiche possono adsorbire analiti apolari o poco polari, il vetro può rilasciare ioni metallici, adsorbire analiti polari o catalizzare reazioni di decomposizione). Per relativamente instabili può essere necessario effettuare le analisi direttamente sul luogo del prelievo usando strumenti portatili (analisi in situ) o mediante strumenti on line che prelevano il campione ed eseguono direttamente l’analisi.
IL PROCESSO ANALITICO TRATTAMENTO DEL CAMPIONE (I) Il trattamento del campione ha la funzione di convertire l’analita presente nel campione nella forma più adatta per l’analisi. L’analita si trova normalmente in una matrice dalla quale deve essere recuperato. La scelta del procedimento ottimale di trattamento richiede la conoscenza di: Chimica degli analiti Chimica della matrice Chimica delle interazioni fra matrice ed analiti
IL PROCESSO ANALITICO TRATTAMENTO DEL CAMPIONE (II) Nella maggioranza dei casi il procedimento analitico richiede che la specie da determinare sia in soluzione, quindi il campione deve venire decomposto (se l’analita non è presente in una forma immediatamente solubile) e quindi solubilizzato. L’operazione di trattamento del campione è spesso un’operazione critica per l’analisi nel suo complesso: Il trattamento del campione non deve comportare perdita di analita. Una perdita di analita può derivare sia da un processo di decomposizione o solubilizzazione incompleta che da perdite dovute a volatilizzazione, soprattutto in trattamenti ad alta temperatura. Se non è possibile evitare la perdita di parte dell’analita l’uso di uno standard interno permette almeno di quantificarla. Il trattamento del campione non deve introdurre analita sotto forma di contaminante. I solventi ed i reagenti utilizzati nella preparazione del campione vengono impiegati in forte eccesso: se non vengono usati prodotti sufficientemente puri, questo può portare all’introduzione di quantità significative di analita, in particolare nel caso di analiti presenti in tracce. In trattamenti drastici, come la fusione, piccole quantità di analita possono anche derivare dall’attacco delle pareti del recipiente da parte dei reagenti utilizzati.
IL PROCESSO ANALITICO DECOMPOSIZIONE IN RECIPIENTE APERTO La decomposizione in recipiente aperto prevede il trattamento del campione con un adatto reagente ed il riscaldamento fino alla sua completa dissoluzione. La temperatura del trattamento in genere coincide con la temperatura di ebollizione del reagente utilizzato.
IL PROCESSO ANALITICO DECOMPOSIZIONE ASSISTITA DA MICROONDE La decomposizione assistita da microonde utilizza gli stessi reagenti impiegati nella decomposizione in recipiente aperto, ma risulta in genere molto più rapida grazie alla diversa modalità di riscaldamento, che permette un trasferimento di calore molto più rapido ed omogeneo. Questi vantaggi vengono sfruttati nel modo migliore utilizzando recipienti per digestione sigillati, costruiti in materiali trasparenti alle microonde (vetro, materiale plastico). Durante l’impiego questi recipienti raggiungono pressioni elevate, che determinano un innalzamento delle temperature di ebollizione dei reagenti usati per la digestione.
IL PROCESSO ANALITICO DECOMPOSIZIONE PER COMBUSTIONE La decomposizione per combustione può venire utilizzata per campioni organici, e consiste nel riscaldamento del campione fino a completa conversione del materiale organico in anidride carbonica, seguita dall’analisi effettuata sui componenti non volatili rimasti. Siccome la combustione all’aperto può portare facilmente a perdite di materiale, vengono in genere preferiti trattamenti effettuati in ambiente chiuso, in presenza di ossigeno per facilitare la combustione e di un opportuno solvente che assorbe i prodotti di reazione prima dell’analisi. Anche l’analisi elementare di un composto organico (determinazione del contenuto percentuale di C, H, N e, con una procedura diversa, O) viene effettuata mediante una decomposizione per combustione. Il campione viene bruciato in presenza di un eccesso di ossigeno e di un catalizzatore che garantisce l’ossidazione completa, quindi il gas prodotto della combustione viene analizzato per determinarne il contenuto di CO2, H2O e N2, dal quale si risale alla composizione elementare del campione. O2 campione catalizzatore analizzatore combustione rimozione dell’eccesso di O2 conversione NOx → N2 determinazione di CO2, H2O, N2
IL PROCESSO ANALITICO DECOMPOSIZIONE IN MEZZI DI FUSIONE La decomposizione in mezzi di fusione è un trattamento drastico nel quale il campione viene mescolato con un eccesso (10 o 20 volte la massa del campione) di un sale di un metallo alcalino o di un altro materiale a carattere acido, basico od ossidante (mezzo di fusione). La miscela viene poi riscaldata ad alta temperatura in modo da formare un fuso omogeneo; dopo la reazione, il materiale viene raffreddato ed il solido risultante viene disciolto in un solvente opportuno. La maggiore efficienza della decomposizione in mezzi di fusione può essere attribuita ai seguenti fattori: Alta temperatura: la temperatura del fuso (300 – 1000°C) è molto maggiore di quella di ebollizione delle normali soluzioni acquose di acidi e basi utilizzate nella decomposizione con reagenti acquosi (100 – 200 °C) Elevata concentrazione: la concentrazione “effettiva” dei reagenti (10 – 20 M) è molto più elevata di quella delle normali soluzioni acquose (1 – 2 M) Alta reattività chimica: nella fusione il potere ossidante, come pure l’acidità o la basicità, del mezzo di fusione non sono limitate dalla presenza dell’acqua
IL PROCESSO ANALITICO DECOMPOSIZIONE IN MEZZI DI FUSIONE (II) Uno dei problemi che si incontrano nel processo di fusione è la contaminazione del campione, sia da parte di impurezze del mezzo di fusione che in conseguenza dell’attacco del recipiente utilizzato per il processo. In realtà spesso è impossibile trovare un contenitore completamente inattaccabile, e quindi devono essere utilizzati recipienti di un materiale che non deve essere determinato e che comunque non interferisca nella procedura analitica.
IL PROCESSO ANALITICO ESTRAZIONE (I) Un’altra comune tecnica di preparazione del campione è l’estrazione solido-liquido: in questo processo il campione solido viene trattato con un opportuno solvente in grado - almeno idealmente - di dissolvere l’analita ma non i costituenti della matrice. La preferenza dei vari componenti del campione per una fase oppure per l’altra è descritta dal coefficiente di distribuzione KD (tanto più è alto il valore di KD, tanto più il componente in oggetto è facilmente separabile dalla fase solida). A parità di volume di solvente, la massima efficienza si ottiene effettuando una serie di estrazioni con volumi relativamente piccoli. Esistono inoltre apparecchiature apposite, come l’estrattore di Soxhlet, che permettono di effettuare numerosi stadi di estrazione, ognuno con solvente “fresco”, pur utilizzando una quantità ridotta di solvente. Procedure più drastiche di estrazione solido-liquido comprendono l’estrazione con fluidi supercritici (SFE) e l’estrazione accelerata con solvente (ASE) che utilizzano come agente estraente fluidi supercritici (ad esempio CO2) oppure solventi organici ad alta pressione, con il vantaggio di potere operare a temperature maggiori della normale temperatura di ebollizione del solvente stesso.
IL PROCESSO ANALITICO ESTRAZIONE (II) Una tecnica di estrazione molto utilizzata attualmente è l’estrazione in fase solida (SPE). Questo tipo di estrazione prevede il passaggio della soluzione contenente l’analita attraverso una fase solida che lega in modo selettivo le specie di interesse, scelta in funzione delle loro caratteristiche chimico-fisiche (si usano in genere piccole colonne con un impaccamento di fase solida di 1 – 2 centimentri di spessore). L’analita legato alla fase solida viene poi eluito dalla colonna usando un piccolo volume di un opportuno solvente, spesso organico. I vantaggi principali di questa tecnica di estrazione sono: Possibilità di concentrare l’analita (il volume di fase estraente è molto minore di quello del campione) Riduzione del volume di solvente organico necessario Possibilità di eseguire l’estrazione mediante procedure automatizzate e/o ad alta produttività
IL PROCESSO ANALITICO CALIBRAZIONE Metodi analitici relativi Richiedono la costruzione di una curva di calibrazione, che descrive la relazione fra il segnale misurato e la concentrazione dell’analita. A questa categoria appartiene la maggior parte dei metodi analitici strumentali. La curva di calibrazione si ricava attraverso la misura di standards chimici (campioni a concentrazione nota di analita). Metodi analitici assoluti La correlazione fra la grandezza misurata e la quantità di analita è univocamente determinata da leggi fisiche (es. tecniche gravimetriche e coulometriche). A tale categoria appartengono anche le titolazioni, nelle quali la quantità di analita viene determinata sfruttando una reazione chimica con un reagente a concentrazione nota aggiunto fino all’equivalenza stechiometrica con l’analita presente nel campione (standardizzazione). Le principali procedure di calibrazione sono: Calibrazione con uno standard esterno Calibrazione con uno standard interno Metodo dell’aggiunta standard
IL PROCESSO ANALITICO IL SEGNALE SULLA CURVA DI CALIBRAZIONE Il segnale misurato in un metodo strumentale può avere varia natura, e talvolta è possibile scegliere fra diverse possibilità: ad esempio in un’analisi cromatografica si possono utilizzare sia le altezze che le aree dei picchi cromatografici. Solitamente in un’analisi strumentale non si utilizza direttamente il segnale misurato, ma si corregge il segnale sottraendogli il segnale del bianco, misurato in genere prima di tutti gli altri campioni, in modo da tenere conto di tutti i fattori (chimici, strumentali, ecc.) che influenzano la risposta in modo indipendente dalla concentrazione dell’analita. Il bianco dovrebbe essere idealmente identico al campione in analisi, ma non contenere l’analita, ed essere misurato utilizzando esattamente la stessa procedura impiegata per i campioni. In pratica, in particolare per campioni complessi, non è possibile ottenere un vero e proprio bianco poiché non è possibile simulare esattamente la composizione del campione. In tal caso si usano spesso: bianco del solvente: contiene semplicemente lo stesso solvente nel quale è disciolto il campione bianco dei reagenti: contiene il solvente più tutti i reagenti utilizzati nella preparazione del campione o necessari alla produzione del segnale che viene misurato
IL PROCESSO ANALITICO CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD ESTERNO Nella calibrazione con standard esterno la curva di calibrazione viene ricavata dall’analisi di una serie di standard esterni a concentrazione nota di analita preparati separatamente dal campione. La concentrazione dei campioni incogniti - trattati nello stesso modo degli standard esterni - viene poi determinata per interpolazione del segnale misurato sulla curva di calibrazione. S S S S4 S3 S2 S1 ● ● ● ● S’ ● ● ● ● C1 C2 C3 C4 [A] [A] C’ [A] Misura degli standard esterni a concentrazione nota C1 - C4 Determinazione della curva di calibrazione (generalmente con un’analisi di regressione) Misura del segnale S’ del campione a concentrazione incognita ed interpolazione sulla curva di calibrazione
IL PROCESSO ANALITICO LIMITAZIONI DELLA CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD ESTERNO La calibrazione con standard esterno è la procedura di calibrazione più comunemente usata se si ha a disposizione uno standard con caratteristiche adeguate (stabilità, purezza, ecc.): Semplice Rapida (una singola curva di calibrazione può essere utilizzata per tutte le analisi) Richiede un piccolo numero di standard (soprattutto se la curva di calibrazione è una retta) Questo metodo presuppone però che la risposta all’analita nello standard e nel campione sia identica: la forma chimica dell’analita negli standard deve essere identica a quella dell’analita presente nel campione e non si devono avere interferenze da parte della matrice del campione (con matrice del campione si intendono tutti i costituenti del campione - eccetto l’analita - che sono potenzialmente in grado di determinare variazioni nella risposta del metodo indipendenti dalla concentrazione della specie in esame). Questa condizione può essere difficile da soddisfare, soprattutto per campioni a composizione complessa (es. materiali biologici).
IL PROCESSO ANALITICO ERRORE NELLA CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD ESTERNO Gli errori casuali influenzano l’accuratezza di una determinazione basata su di una curva di calibrazione (a) determinando una incertezza ss sul segnale misurato per il campione e (b) attraverso le incertezze sm e sb sui parametri della curva di calibrazione (anch’essa derivante da misure di segnale). Se si tiene conto di questo secondo fattore, l’incertezza sulla concentrazione (s’’) può essere molto maggiore di quella ricavata soltanto sulla base dell’incertezza sul segnale (s’). S ss s’ s’’ [A]
IL PROCESSO ANALITICO ELIMINAZIONE DELL’EFFETTO MATRICE La relativa semplicità delle procedure di calibrazione con standard esterno ha portato allo sviluppo di metodi per la riduzione o l’eliminazione dell’effetto matrice: Metodi separativi Filtrazione, precipitazione, dialisi, estrazione, volatilizzazione, scambio ionico, cromatografia, ecc. Sono i più efficaci perché permettono di separare l’analita da tutti i componenti interferenti. Sono però in genere lunghi e complessi e possono portare a perdite di analita. Metodi di saturazione Un eccesso di specie interferente viene aggiunto a campioni, standard e bianchi in modo che l’effetto dell’interferente diventi costante ed indipendente dalla sua concentrazione originale nel campione. Richiedono la conoscenza della natura dell’interferente e l’eccesso di interferente può ridurre la sensibilità dell’analisi. Modificatori di matrice Un modificatore di matrice è una specie non interferente che viene aggiunta a campioni, standard e bianchi ed è in grado di rendere la risposta indipendente dalla concentrazione della specie interferente.
IL PROCESSO ANALITICO ELIMINAZIONE DELL’EFFETTO MATRICE Metodi di mascheramento Un agente mascherante è una specie aggiunta ai campioni in grado di reagire selettivamente con la specie interferente e convertirla in un complesso che non influenza la determinazione dell’analita. Richiedono la conoscenza della natura dell’interferente e la disponibilità di un adatto agente mascherante. Metodi di diluizione Prevedono la diluizione del campione fino a ridurre la concentrazione dell’interferente ad un valore tale da non produrre alcun effetto significativo sull’analisi. Comportano un incremento del limite di rivelazione, quindi non sono applicabili se le concentrazioni di analita da determinare sono già vicine ad esso. Metodi di uguaglianza della matrice Consistono nella riproduzione della matrice in standard e bianchi, effettuata aggiungendo a queste soluzioni i principali costituenti del campione. Presuppongono una buona conoscenza della matrice del campione, od almeno delle specie in esso presenti e potenzialmente in grado di interferire con l’analisi.
IL PROCESSO ANALITICO CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD INTERNO Nella calibrazione con standard interno una quantità nota di una specie di riferimento (standard interno) che può essere determinata separatamente dall’analita viene aggiunta prima dell’analisi a standard, campioni e bianco. Il segnale di risposta, utilizzato per la costruzione della curva di calibrazione, è il rapporto fra il segnale dell’analita e quello della specie di riferimento. Il metodo della standard interno può compensare diversi tipi di errori a condizione che essi influenzino nello stesso modo sia l’analita che la specie di riferimento. Perché ciò avvenga, la specie di riferimento deve avere caratteristiche chimico-fisiche quanto più possibile simili a quelle dell’analita. Una delle possibilità più interessanti è quella di utilizzare come specie di riferimento un analita marcato con un isotopo stabile poco diffuso in natura (ad esempio 13C per una molecola organica). In tal modo analita e specie di riferimento hanno esattamente le stesse proprietà chimico-fisiche ma restano comunque distinguibili mediante tecniche di spettrometria di massa. Una tecnica strettamente correlata con l’uso di analiti marcati con isotopi stabili è l’analisi mediante diluizione isotopica.
IL PROCESSO ANALITICO CALIBRAZIONE CON UNO STANDARD INTERNO (II) Nella calibrazione con standard interno la specie di riferimento viene aggiunta alla stessa concentrazione a standard, campioni e bianco. Misura del segnale dell’analita Sanalita dello standard interno Sstandard interno Calcolo del rapporto Bianco Campione (Cx) Standard C1 C2 C3 C4 Aggiunta di standard interno a concentrazione Cs B X 1 2 3 4 Analita Standard interno 0 Cx C1 C2 C3 C4 Cs Cs Cs Cs Cs Cs (trascurando l’effetto dell’eventuale diluizione)
IL PROCESSO ANALITICO CORREZIONE DEGLI ERRORI MEDIANTE CALIBRAZIONE CON STANDARD INTERNO Un tipico errore corretto con uno standard interno, aggiunto prima delle operazioni di trattamento del campione, è il recupero incompleto che può verificarsi durante le fasi pre-analitiche. Sanalita Cs ● ○ C1 C2 C3 C4 Calibrazione convenzionale Perdita di analita e standard interno ● ● ● [A] Perdita di analita e standard interno Sanalita Sstandard interno ● ● Calibrazione con standard interno ● ● standard interno analita [A]
IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD Nel metodo dell’aggiunta standard il campione viene analizzato sia da solo che in presenza di quantità note di soluzione standard dell’analita. L’aggiunta di analita può essere singola (metodo dell’aggiunta standard singola) o possono essere effettuate più aggiunte a concentrazioni crescenti (metodo dell’aggiunta standard multipla). La concentrazione dell’analita viene determinata sulla base della risposta assumendo una relazione lineare tra la risposta e la concentrazione dell’analita. Poiché il segnale dello standard viene misurato in presenza della matrice del campione, questo metodo permette in linea di principio di compensare qualunque effetto di interferenza da parte della matrice, anche se non noto a priori, assumendo che la matrice influenzi nello stesso modo l’analita aggiunto e quello già presente nel campione. Per evitare errori eccessivi le concentrazioni dell’analita aggiunto dovrebbero essere dello stesso ordine di grandezza di quelle già presenti nei campioni.
IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD (II) Le limitazioni principali di questo metodo sono: L’analisi richiede un tempo maggiore, poiché per ogni campione sono richieste almeno due misure (nel metodo dell’aggiunta standard multipla deve essere costruita e misurata una curva di calibrazione per ogni campione in esame) E’ indispensabile avere una risposta lineare alla concentrazione dell’analita nella matrice del campione (questo può essere comunque verificato direttamente nel corso dell’analisi se si utilizza il metodo dell’aggiunta standard multipla). L’analita aggiunto deve essere esattamente nella stessa forma chimica di quello già presente nel campione e subire le stesse interferenze (è possibile che alcuni tipi di interferenze da parte della matrice si instaurino solo dopo un certo tempo – es. reazioni di complessazione relativamente lente) E’ fondamentale avere a disposizione un bianco adeguato, che permetta di eliminare qualunque segnale di tipo aspecifico.
IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD SINGOLA Nel metodo dell’aggiunta standard singola la concentrazione dell’analita nel campione viene ricavata dal confronto fra i segnali misurati in assenza e presenza dell’analita aggiunto, assumendo una dipendenza lineare del segnale dalla concentrazione (S = kC) e nessun segnale aspecifico. Campione (Cx) Bianco Aggiunta di analita B 1 Analita aggiunto Conc. effettiva C1 Cx Cx+C1 (trascurando l’effetto dell’eventuale diluizione)
IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD MULTIPLA (I) Nel metodo dell’aggiunta standard multipla la concentrazione dell’analita nel campione si può ricavare in modo molto semplice mediante un metodo grafico, che prevede una estrapolazione della curva di calibrazione (per questo motivo è indispensabile verificare la sua linearità prima di utilizzare questo metodo). Campione (Cx) Bianco Sanalita ● 4 Aggiunta di analita ● 3 ● 2 ● B 1 2 3 4 1 ● Analita aggiunto Conc. effettiva C1 C2 C3 C4 - Cx 0 C1 C2 C3 C4 [A] Cx Cx+C1 Cx+C2 Cx+C3 Cx+C4 (trascurando l’effetto dell’eventuale diluizione) Concentrazione di analita nel campione ricavata mediante estrapolazione della curva di calibrazione
IL PROCESSO ANALITICO METODO DELL’AGGIUNTA STANDARD MULTIPLA (II) Una seconda possibilità di applicazione del metodo dell’aggiunta standard multipla, utilizzabile però soltanto con metodi analitici non distruttivi, consiste nell’effettuare aggiunte sequenziali di analita, misurando il segnale prima di ogni ulteriore aggiunta. Campione (Cx) Bianco Sanalita Aggiunta di analita ● 4 ● 3 ● 1 2 2 3 ● B 4 1 ● Analita aggiunto Conc. effettiva C 2C 3C 4C - Cx 0 C 2C 3C 4C [A] Cx Cx+C Cx+2C Cx+3C Cx+4C Concentrazione di analita nel campione ricavata mediante estrapolazione della curva di calibrazione (trascurando l’effetto dell’eventuale diluizione)
CARATTERISTICHE DI UNA METODICA ANALITICA Le prestazioni di un metodo analitico possono essere definite attraverso una serie di grandezze: Accuratezza Precisione Specificità/selettività Intervallo di linearità Limite di rilevabilità (LOD) Limite di quantificazione (LOQ) Robustezza (Robustness) Solidità (Ruggedness) La definizione esatta di questi parametri, anche in funzione delle differenti tecniche analitiche utilizzate, è stata stabilita da varie istituzioni (es. IUPAC) nell’ambito delle linee guida generali per la validazione di una metodica analitica. Esistono anche variabili più direttamente connesse all’applicazione pratica del metodo, quali ad esempio la definizione dei costi e dei tempi richiesti per l’analisi o lo studio della stabilità dei rettivi.
ACCURATEZZA L’accuratezza è definita come la concordanza del risultato ottenuto in un’analisi con il valore accettato come “vero” (valore di riferimento). Viene espressa attraverso l’errore relativo (detto anche bias): Un altro parametro comunemente utilizzato è il recupero: L’accuratezza (e la precisione) di un metodo analitico spesso variano in funzione della concentrazione dell’analita. Per definire meglio le caratteristiche di un metodo queste grandezze vengono spesso determinate per tre concentrazioni diverse di analita (“bassa”, “media”, “alta”) comprese dell’intervallo di analisi. Le caratteristiche di accuratezza e precisione minime richieste per un metodo analitico variano con l’importanza relativa del componente da analizzare. Per componenti in tracce sono tollerate accuratezze e precisioni minori rispetto a quelle richieste per componenti presenti in grandi quantità.
PRECISIONE La precisione esprime la riproducibilità dei risultati ottenuti da una serie di misure ripetute dello stesso campione. Viene espressa attraverso deviazione standard, deviazione standard relativa, coefficiente di variazione, ottenute effettuando analisi ripetute dello stesso campione. In un metodo analitico possono essere definiti svariati livelli di precisione. In particolare si può parlare di Ripetibilità (precisione intra-assay): è il parametro base per il calcolo della precisione di un metodo analitico. Viene definita come la riproducibilità di una serie di analisi effettuate in un breve periodo di tempo (replicati). Riproducibilità (precisione inter-assay): è la precisione di una serie di misure effettuate con lo stesso metodo analitico, ma in momenti differenti. La riproducibilità è in genere più elevata della ripetibilità, poiché è più difficile mantenere la costanza delle variabili sperimentali su di un lungo arco di tempo.
SENSIBILITA’ La sensibilità rappresenta una misura della capacità del metodo analitico di discriminare fra campioni con concentrazioni simili fra di loro. La sensibilità della calibrazione è la pendenza della curva di calibrazione ed esprime la variazione della risposta per unità di variazione della concentrazione dell’analita. In funzione della forma della curva di calibrazione, un metodo analitico può avere sensibilità della calibrazione costante oppure no all’interno dell’intervallo di concentrazioni nel quale esso è applicabile. Segnale DS D[A] [A] La minima differenza di concentrazione rilevabile dipende però sia dalla pendenza della curva di calibrazione che dalla precisione della determinazione. La sensibilità di un metodo è quindi definita mediante la sensibilità analitica, cioè il rapporto fra la sensibilità della calibrazione e la deviazione standard del segnale analitico misurato. Siccome quest’ultima solitamente dipende dall’entità del segnale (e quindi dalla concentrazione di analita) la sensibilità analitica è in genere funzione della concentrazione, anche per curve di calibrazione lineari.
LIMITE DI RIVELABILITA’ E LIMITE DI QUANTIFICAZIONE Il limite di rivelabilità (LOD) di un metodo analitico è definito come la minima concentrazione di analita rivelabile ad un determinato livello di fiducia. In genere in corrispondenza del LOD la precisione del metodo analitico è relativamente bassa e non permette di ottenere dati quantitativi affidabili: il LOD viene quindi utilizzato a fini qualitativi, ad esempio come concentrazione limite per definire la presenza o l’assenza dell’analita. Per i metodi che ammettono una curva di calibrazione, il LOD viene definito come la concentrazione di analita che produce un segnale pari al segnale del bianco più k volte la sua deviazione standard: Il valore di k dipende dal livello di fiducia prescelto (es. per k = 3 il livello di fiducia è del 98,3%). Segnale SB + ksB SB LOD [A] A fini quantitativi si usa il limite di quantificazione (LOQ), definito come la concentrazione alla quale l’analita è determinabile con precisione ed accuratezza accettabili. Può essere espresso come il LOD, ma con valori di k più elevati (es. k = 10).
LIMITE DI RIVELABILITA’ E LIMITE DI QUANTIFICAZIONE (II) La definizione di limite di rivelabilità e limite di quantificazione può essere più complessa se il metodo non usa una curva di calibrazione o se è difficile definire il segnale del bianco. Ad esempio, nelle tecniche cromatografiche si può determinare la deviazione standard del segnale in un’area del cromatogramma nella quale certamente non vi sono analiti (“bianco”), e considerare quindi significativi solo i segnali con un’intensità pari al segnale medio in assenza di analita più k volte la sua deviazione standard. Segnale significativo Segnale Segnale Sezione del cromatogramma priva di analiti (“bianco”) Segnale non significativo SB + ksB SB Tempo Tempo Calcolo di SB ed sB
INTERVALLO DINAMICO DI LINEARITA’ L’intervallo dinamico di linearità rappresenta l’intervallo di concentrazioni dell’analita che può essere determinato con una curva di calibrazione lineare. Nelle tecniche analitiche vengono preferite le curve di calibrazione lineari, poiché possono essere trattate in modo semplice e la loro costruzione richiede un numero limitato di standards. L’intervallo dinamico di linearità è delimitato dal limite di rivelabilità e dalla concentrazione alla quale diventano rilevanti le deviazioni dalla linearità (dovute a comportamento non ideale del sistema o a limitazioni del rivelatore). L’ampiezza dell’’intervallo dinamico di linearità dipende anche dalla tecnica di rivelazione utilizzata. Se le variazioni della concentrazione dell’analita sono relativamente piccole non è comunque necessario un’intervallo dinamico di linearità molto ampio. Se la curva di calibrazione non è lineare, si può definire semplicemente un intervallo dinamico, all’interno del quale il segnale dipende dalla concentrazione dell’analita. Segnale LOD [A] [A]max
SENSIBILITÀ, INTERVALLO DINAMICO DI LINEARITÀ E LOD Sensibilità, intervallo dinamico di linearità e limite di rivelazione sono spesso correlati fra di loro: a causa delle limitazioni insite nelle tecniche di misura e nei rivelatori una tecnica molto sensibile presenta spesso un limite di rivelazione inferiore (a parità di analita il segnale è più alto e quindi più facilmente misurabile con accuratezza) ma anche un intervallo dinamico di linearità più ristretto, poiché il segnale raggiunge valori troppo elevati a concentrazioni di analita inferiori. Sensibilità2 > Sensibilità1 2 1 Segnale [Amax]2 [Amax]1 [A] LOD1 LOD2
ROBUSTEZZA (ROBUSTNESS) SOLIDITA’ (RUGGEDNESS) La robustezza di un metodo analitico misura la sua capacità di non essere influenzato da piccole variazioni dei parametri sperimentali nell’intorno dei loro valori ottimali. Un metodo analitico “robusto” fornisce quindi risultati riproducibili anche senza un controllo rigoroso delle condizioni sperimentali. Questo parametro può essere valutato variando deliberatamente le condizioni sperimentali in un ristretto intervallo e verificando se il risultato analitico risulta soggetto, oltre che alle fluttuazioni casuali, anche a variazioni sistematiche legate ai parametri modificati. SOLIDITA’ (RUGGEDNESS) La solidità è una valutazione del grado di riproducibilità del metodo analitico, espressa attraverso il rapporto fra la deviazione standard ottenuta da studi di riproducibilità e la deviazione standard ottenuta da studi di ripetibilità. In modo simile alla grandezza precedente, descrive la suscettibilità del metodo alle variazioni incontrollate dei parametri sperimentali. Per un metodo analitico la deviazione standard ottenuta da studi di riproducibilità dovrebbe essere al massimo 2-3 volte maggiore di quella ottenuta da studi di ripetibilità.
SPECIFICITA’ La specificità è la capacità di un metodo analitico di rispondere soltanto all’analita in esame anche in presenza degli altri componenti del campione. Pochi metodi in realtà sono realmente specifici, soprattutto in presenza di altri composti con caratteristiche chimico-fisiche simili a quelle dell’analita (da questo punto di vista le tecniche bioanalitiche, basate su anticorpi od enzimi, danno maggiori garanzie). In generale i metodi analitici mostrano soltanto un certo grado di preferenza (selettività) per la sostanza che interessa nei confronti della altre specie presenti. La selettività di un metodo nei confronti di un possibile interferente può essere definita come il rapporto fra le concentrazioni di interferente [X] ed analita [A] che danno lo stesso segnale: Tanto più la selettività del metodo è elevata, tanto più grandi sono le concentrazioni della specie interferente che possono essere presenti durante l’analisi senza interferire nella determinazione dell’analita.
VALIDAZIONE DI UNA METODICA ANALITICA Con questo termine si intende la valutazione complessiva dell’affidabilità di una metodica analitica. Tale procedura si può effettuare mediante: Uso di campioni standard di riferimento Essi permettono di verificare l’affidabilità di tutti gli stadi della procedura, inclusi quelli pre-analitici. I campioni standard di riferimento devono comunque essere molto simili ai campioni da analizzare per quanto riguarda la concentrazione dell’analita e la composizione totale. In alternativa, in assenza di tali materiali, è possibile sintetizzare standard combinando composti puri in modo da riprodurre la composizione dei campioni (tecnica adatta solo per campioni di composizione relativamente semplice), o utilizzare soluzioni di analita a concentrazione nota di composizione simile a quella delle soluzioni che verranno analizzate realmente (questo non permette però di avere informazioni sull’accuratezza dei processi di decomposizione e dissoluzione) Aggiunta standard al campione Vengono analizzate aliquote di campioni alle quali sono state aggiunte quantità note di analita, e viene valutato il recupero della procedura nei confronti della quantità nota addizionata.
VALIDAZIONE DI UNA METODICA ANALITICA Utilizzo parallelo di altri metodi Un metodo analitico può essere validato mediante l’analisi simultanea degli stessi campioni con un secondo metodo di riferimento (cioè di cui è gia stata dimostrata l’accuratezza), possibilmente basato su principi differenti da quelli del metodo in esame. Questo confronto si effettua spesso mediante i diagrammi di correlazione: I due metodi danno lo stesso risultato Il metodo in esame presenta una sovrastima sistematica Metodo in esame Metodo valido Sottostima sistematica Il metodo in esame presenta una sottostima sistematica Metodo di riferimento Sovrastima costante
CONTROLLO DI QUALITÀ Una carta di controllo permette di tenere sotto controllo le prestazioni di una metodica analitica nel tempo, in modo da individuare il verificarsi di errori sistematici. Una tipica carta di controllo prevede l’analisi, ad intervalli regolari, di N replicati di uno o più campioni di controllo, per i quali sono stati determinati in precedenza s e m. Qualunque deviazione del risultato oltre i limiti di controllo superiore (LCS) od inferiore (LCI) viene considerata indicativa di un errore nella procedura, che deve essere individuato e corretto. Possibile errore sistematico tempo