INTRODUZIONE AL RISCHIO E AL RENDIMENTO

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INTRODUZIONE AL RISCHIO E AL RENDIMENTO PARTE PRIMA INTRODUZIONE AL RISCHIO E AL RENDIMENTO COSTRUZIONE DI PORTAFOGLI DI INVESTIMENTO IN BASE A MODELLI DI DIVERSIFICAZIONE 1 1 1 1 2 1

Il pilastro fondamentale degli investimenti E’ tutta una questione di rischio e di rendimento Nell’effettuare un investimento solitamente l’investitore si chiede quanto potrà ricavarne; difficilmente l’aspettativa di profitto si basa su criteri scientifici: più spesso è il riflesso di una speranza, motivata probabilmente dal desiderio di soddisfare un bisogno di qualche genere. Pochi investitori fanno considerazioni più ragionate e si pongono la domanda più giusta: quanto posso sperare di guadagnare in relazione al rischio che sto sopportando? La regola fondamentale dei mercati finanziari è che dove c’è un rendimento c’è un rischio; ribaltando il discorso, se non c’è rischio, non c’è rendimento. 1 1 1 1 2 1

Il pilastro fondamentale degli investimenti In condizioni di mercato “normale” rischio e rendimento sono sostanzialmente proporzionali: al crescere della richiesta di profitto deve crescere in proporzione il rischio da tollerarsi; allo stesso modo, se il rischio aumenta, l’aspettativa reddituale aumenta in proporzione. Qui però si innesta un problema concettuale molto forte: rischio e rendimento reali non sono perfettamente prevedibili nel momento in cui si effettua un investimento; in effetti si possono soltanto fare congetture. La realtà dei fatti sarà nota soltanto dopo che si sarà palesata. 1 1 1 1 2 1

Pubblicità… ingannevole Oggi su molti siti internet si è tempestati di banner e riquadri pubblicitari che inneggiano al profitto facile in borsa: si vede spesso l’immagine del professionista di turno che nella pausa pranzo ha realizzato un profitto di 2000 euro sul mercato delle valute, investendo soltanto 200 euro, un decimo. E’ pubblicità ingannevole sotto diversi punti di vista: non parla del rischio sopportato per ottenere quel rendimento (ammesso e non concesso che sia reale): non spiega infatti che simili operazioni si possono fare soltanto su conti a leva finanziaria, che moltiplicano per diverse volte i profitti potenziali, ma anche i rischi potenziali; non spiega che purtroppo non bastano 200 euro per fare operazioni di quel genere, perché la leva finanziaria non è un regalo, e non è per tutti; non dice come è andata il giorno dopo… 1 1 1 1 2 1

Un piccolo passo avanti Un rendimento del 15-20% annuo è già un ottimo risultato, se ottenuto con costanza, ma a due condizioni: che il rischio potenziale sia proporzionato a tale ritorno atteso che il risultato effettivo non sia troppo diverso da quello atteso In merito alla seconda condizione, un esempio servirà a chiarire il concetto. Si considerino due investimenti alternativi, uno che rende il 20% l’anno per due anni consecutivi – per un totale del 40% (non consideriamo la capitalizzazione dei profitti) – e uno che rende il 50% il primo anno e perde il 10% il secondo anno. Il risultato finale è lo stesso, ma non sono affatto equivalenti! Con il primo si hanno infatti utili stabili, con il secondo redditi imprevedibili. Non conta solo dove si arriva, ma anche come ci si arriva! 1 1 1 1 2 1

Un piccolo passo avanti In merito alla prima sono necessarie alcune precisazioni fondamentali: il rischio sopportabile a fronte di un rendimento atteso può non essere lo stesso per tutti gli investitori (di solito in effetti non lo è). In altri termini, ci sono investitori che hanno diversi gradi di tolleranza al rischio, quindi non hanno pari aspettative reddituali a parità di rischio. Ma d’altro canto la percezione del rischio è spesso soggettiva, quanto a dire che a fronte di uno stesso investimento due diversi investitori potrebbero percepire rischi diversi. I principali modelli di comportamento di mercato suggeriscono che due investimenti dotati dello stesso livello di rischio debbano offrire lo stesso livello di rendimento. 1 1 1 1 2 1

Un piccolo passo avanti E viceversa, due investimenti che offrono lo stesso livello di rendimento devono avere lo stesso rischio. Nel mondo reale ciò non sempre si verifica, dato che le asimmetrie informative rendono difficile per gli investitori comparare in piena consapevolezza tutti gli investimenti alternativi possibili. Quindi rimangono alcune questioni aperte: come si definisce il rischio? come si possono formulare aspettative di rendimento? è possibile modellizzare questi concetti? i modelli funzionano? 1 1 1 1 2 1

Un passo indietro: concetti statistici di base La finanza rappresenta uno dei tanti campi in cui gli eventi possibili sono dotati di un’ampio margine di incertezza, dunque si presta all’uso della statistica. L’incertezza degli eventi implica che essi non sono sempre prevedibili. Va detto però che “imprevedibilità” non è sinonimo di “impossibilità di previsione”: si consideri ad esempio il lancio di una moneta; non si può essere certi del risultato, ma si possono fare ipotesi su di esso. Queste assunzioni sono basate su criteri probabilistici, grazie ai quali si può calcolare una qualche misura di confidenza per un risultato specifico. Supponiamo di lanciare un dado: nessuno può prevedere il numero che uscirà, ma si può calcolare la probabilità di ottenere un 3 (probabilità di un evento singolo), o che il risultato sia compreso tra 2 e 5 (probabilità di un intervallo). 1 1 1 1 2 1

Le due facce della statistica La statistica può essere divisa in due branche: inferenziale e descrittiva La statistica inferenziale permette di formulare ipotesi su una popolazione (di persone o di qualsiasi altra famiglia di elementi) basate sullo studio di un campione. Le conclusioni non sono certezze, bensì affermazioni effettuate in base a misure probabilistiche. Due problemi chiave di questo approccio sono la scelta di un campione rappresentativo, e l’assunzione di ipotesi in merito alla distribuzione di probabilità dei dati della popolazione. La statistica descrittiva viene utilizzata per analizzare dati a prescindere dal modello probabilistico sottostante ad essi e dal fatto che i dati provengano da un campione o dalla popolazione. L’obiettivo è ridurre i dati ad alcuni parametri e grafici di sintesi. Questa è la statistica che ci interessa oggi. 1 1 1 1 2 1

La definizione classica di probabilità Supponiamo di lanciare un dado; vi sono sei risultati possibili, ciascuno dei quali dotato della stessa probabilità (se il dado non è truccato ovviamente): 1/6. Questa affermazione si basa sulla cosiddetta definizione classica di probabilità: la probabilità di un evento è data dal numero di casi favorevoli diviso per il numero di casi possibili. Andando a fondo nella questione, ciò che in effetti ci si può attendere è che la misura classica della probabilità divenga sempre più accurata al cescere del numero di osservazioni: supponete di lanciare un dado 100 volte e che escano cinque volte ciascuno i numeri da 1 a 5 e 75 volte il numero 6. Potreste dire che il dado è truccato? Ovviamente no, perché la definizione classica di probabilità riflette un comportamento asintotico: la probabilità di un evento è si il numero di casi favorevoli diviso per il numero di casi possibili, ma dopo un elevato numero di osservazioni. Maggiore quel numero, più elevata l’affidabilità del calcolo probabilistico. 1 1 1 1 2 1

Grafici di frequenza Le probabilità dei singoli eventi relativi al lancio di un dado possono essere poste su un grafico che riporti gli eventi sull’asse orizzontale e le rispettive probabilità su quello verticale: 1 1 1 1 2 1

Un passo avanti Ora supponiamo di lanciare due dadi. Questa volta ogni singolo evento può manifestarsi in modi diversi, considerando la posizione specifica di ciascun dado. Tutti i risultati possibili possono essere rappresentati come segue: esito f P 2 1 2.78% 3 5.56% 4 8.33% 5 11.11% 6 13.89% 7 16.67% 8 9 10 11 12 1 1 1 1 2 1

Ancora un passo avanti Supponiamo ora di lanciare tre dadi. Vediamo i dati e il grafico: esito f P 3 1 0.46% 4 1.39% 5 6 2.78% 10 4.63% 7 15 6.94% 8 21 9.72% 9 25 11.57% 27 12.50% 11 12 13 14 16 17 18 1 1 1 1 2 1

Misure di posizione e dispersione Una distribuzione di valori può essere sintetizzata utilizzando parametri noti come misure di posizione e di dispersione; detti anche statistiche, essi sono la media, la mediana, la moda, la varianza e la deviazione standard. I primi tre possono essere visti come centri di gravità della distribuzione, gli altri come gradi di dispersione dei dati intorno a quei centri di gravità. La media viene anche detta valore atteso: si tratta del valore che più ci si aspetta di osservare nel caso di una nuova osservazione. La dispersione indica il grado di affidabilità della media: minore la dispersione, maggiore la probabilità di osservare nuovi valori pari o molto prossimi alla media; viceversa, maggiore la dispersione, maggiore la probabilità di osservare nuovi valori anche molto distanti dal valore atteso. 1 1 1 1 2 1

Cosa c’entra tutto ciò con la finanza? Tutti i concetti precedentemente espressi si applicano anche alla finanza. Se infatti la distribuzione dei valori è la distribuzione dei rendimenti giornalieri di una serie finanziaria, allora il valore atteso è il rendimento atteso da un giorno all’altro e la dispersione, detta volatilità, è una misura del grado di affidabilità di quella aspettativa. La statistica applicata alle serie finanziarie può quindi dirci quale rendimento attenderci da un investimento, e con quale probabilità. Questa probabilità può essere determinata sulla base di un modello (ed è ciò che fa la moderna ingegneria finanziaria), oppure sulla base delle osservazioni storiche. 1 1 1 1 2 1

Media, mediana e moda Si definisce media aritmetica di una distribuzione di n valori la quantità: Il valore mediano di una serie di n termini ordinati in senso crescente è il valore centrale della serie (se n è dispari), o la media dei due centrali (se n è pari). La mediana è il valore che divide in due la distribuzione. La moda è il valore che appare con la maggior frequenza. Una distribuzione può essere a-modale (lancio di un dado), oppure avere una (due dadi) o più mode (tre dadi). 1 1 1 1 2 1

Varianza e deviazione standard La varianza di una distribuzione di valori è una misura di dispersione attorno al valor medio; la varianza si calcola come distanza quadratica media dalla media: Trattandosi di una misura quadratica la varianza non può essere confrontata con i valori della distribuzione. Quindi in molti casi è consigliabile calcolare la deviazione standard, data dalla radice quadrata della varianza: 1 1 1 1 2 1

Dipendenza e indipendenza Spesso capita che su uno stesso gruppo di elementi vengano osservate più variabili. Una curiosità che può sorgere in simili situazioni è se esista o meno un certo grado di correlazione tra quelle variabili. In altre parole è interessante chiedersi se quelle due variabili siano in qualche modo dipendenti l’una dall’altra, o no. Il grado di correlazione, o di dipendenza, può essere in prima istanza giudicato in termini qualitativi, semplicemente mettendo su un grafico le due variabili, una per ciascun asse, e disegnando un punto sul grafico per ogni osservazione. Se a prima vista è possibile stabilire che le due variabili seguono le stesse regole, allora si può assumere l’esistenza di un qualche tipo di correlazione tra esse. 1 1 1 1 2 1

Covarianza e correlazione La correlazione in finanza è un fenomeno molto diffuso, dato che, come vedremo, gli andamenti dei singoli titoli quotati in una borsa tendono a muoversi in modo per così dire simbiotico la maggior parte delle volte. La covarianza e la correlazione sono due varianti della stessa misura: quanto, in media, le due variabili dipendano l’una dall’altra. In altri termini esse misurano quanto la variabilità di una delle due variabili è originata dalla variabilità dell’altra. Ancora, quanto il variare dell’una possa essere spiegato come conseguenza del variare dell’altra. 1 1 1 1 2 1

Covarianza e correlazione Come per varianza e deviazione standard, così per covarianza e correlazione la scelta dipende dall’unità di misura: la covarianza è una misura quadratica, e in quanto tale non è spesso confrontabile con i dati di origine; la correlazione è invece un numero puro, quindi un indice confrontabile con i dati. 1 1 1 1 2 1

Correlazione La correlazione oscilla tra -1 e 1 (o tra -100% e +100%). Una correlazione pari o molto prossima a zero indica l’assenza di una qualsiasi interdipendenza tra le due variabili. Man mano che la correlazione si avvicina a -1 si parla di perfetta correlazione negativa tra le due variabili: una crescita nella prima comporta un proporzionale calo nella seconda; e viceversa. Man mano che la correlazione si avvicina a +1 si parla di perfetta correlazione positiva: se una variabile cresce, l’altra cresce proporzionalmente. 1 1 1 1 2 1

Variabili continue e variabili discrete Ciascun fenomeno può assumere diversi valori delle variabili. I fenomeni quantitativi possono presentare un numero finito di valori, o una infinità numerabile di valori; in tal caso si parla di variabili discrete. Se il numero di valori che la variabile può assumere è infinito, allora si parla di variabili continue. Ogni distribuzione continua può essere convertita in discreta suddividendo i valori possibili in intervalli, o classi. 1 1 1 1 2 1

La distribuzione Normale La Normale, o Gaussiana, è la più comune distribuzione statistica, per almeno tre ragioni: moltissimi fenomeni seguono almeno approssimativamente tale distribuzione può essere impiegata per approssimare molte distribuzioni di probabilità discrete è la base dell’inferenza statistica, in virtù del teorema centrale del limite La distribuzione Normale è definita dalla seguente funzione: dove m è la media e s (che è sempre positivo) è la deviazione standard. E’ una funzione sempre positiva, ed è simmetrica rispetto alla sua media: mediana e media sono quindi coincidenti; il massimo della curva è inversamente proporzionale a s. 1 1 1 1 2 1

La distribuzione Normale La forma generica della Normale è la seguente: L’aspetto più interessante di questa distribuzione è che date la media e la deviazione standard è possibile calcolare la probabilità di qualsiasi intervallo di valori. In particolare, all’interno dell’intervallo dato da meno e più una deviazione standard rispetto alla media si ha il 68.3% di probabilità; salendo a due deviazioni standard si ha il 95.5%, e a tre deviazioni si ha il 99.7%. 1 1 1 1 2 1

Perchè la Normale è importante in finanza? Una larga parte dell’ingegneria finanziaria moderna si basa sull’assunto che i rendimenti giornalieri di una qualsiasi serie finanziaria siano distribuiti secondo una Normale, la cui deviazione standard è pari alla volatilità del titolo in oggetto. La volatilità gioca quindi un ruolo chiave nella definizione del rischio di un titolo quotato, dal momento che in funzione del valore di s si possono formare aspettative molto diverse in materia di rischio. Si osservi infatti la figura seguente: 1 1 1 1 2 1

Perchè la Normale è importante in finanza? Maggiore la volatilità, maggiore la dispersione dei rendimenti: in tali casi la distribuzione si schiaccia e si allarga. La conseguenza di ciò è che quando la volatilità è alta è difficile formarsi aspettative affidabili in tema di rendimento, dato che la probabilità di discostarsi sensibilmente dal valore atteso è elevata. Inoltre, quando la volatilità è elevata si ha una maggiore probabilità degli eventi estremi, i cosiddetti cigni neri, dato che le code della distribuzione sono più sollevate. In realtà, come vedremo, il modello Normale è soltanto una approssimazione della realtà. Ora ci occuperemo di definire dei criteri per il formarsi di aspettative ragionate in materia di rendimento atteso e di rischio atteso in un dato investimento. 1 1 1 1 2 1

Come si determina il rendimento atteso Il rendimento atteso di un investimento può trarre origine da diversi fattori. In uno studio recente i tre economisti Dimson, Marsh e Staunton hanno misurato la performance storica di tre diversi portafogli di investimento: un portafoglio di titoli di stato americani a breve termine (i cosiddetti T-Bills) un portafoglio di titoli di stato americani a lungo termine (T-Bonds) un portafoglio di azioni dell’indice Standard & Poor’s 500 Si tratta di tre portafogli dotati di diversi livelli di rischio: i titoli di stato americani a breve termine possono essere considerati privi di rischio, perché la loro scadenza ravvicinata rende i prezzi molto stabili; il ritorno reale tuttavia può essere eroso dall’inflazione. Il secondo portafoglio fluttua con i tassi di interesse; il terzo è soggetto alle fluttuazioni dei mercati azionari. 1 1 1 1 2 1

Come si determina il rendimento atteso Il grafico seguente (fonte: Brealey, Myers, Allen) mostra l’andamento dei tre portafogli di cui sopra tra il 1900 e il 2008: 1 1 1 1 2 1

Come si determina il rendimento atteso In termini reali (fonte: Brealey, Myers, Allen): 1 1 1 1 2 1

Come si determina il rendimento atteso I tre ritorni sono sostanzialmente coerenti con la logica: per i titoli di stato a breve termine, ad esempio, il valore nominale finale di 71 è stato appena sufficiente a coprire l’inflazione, come emerge osservando il dato in termini reali. Considerando le serie dei 109 rendimenti dei tre portafogli, divisi per 109, si ottiene il rendimento medio annuo delle tre tipologie di investimento: Si noti che nell’ultima colonna si parla di premio per il rischio: è l’extra-rendimento che si avrebbe avuto mediamente in funzione di un extra-rischio.   nominale reale premio per il rischio T-Bills 4.0 1.1 0.0 T-Bonds 5.5 2.6 1.5 Azioni 11.1 8.0 7.1 1 1 1 1 2 1

Come si determina il rendimento atteso Guardare indietro 109 anni potrà apparire strano, ma in effetti non ha senso osservare i rendimenti medi su orizzonti temporali brevi: se ci si focalizzasse sugli ultimi 12 anni, ad esempio, si avrebbe un rendimento medio negativo su moltissimi mercati, affetti dalle torri gemelle prima, e dalla crisi globale originata dai mutui sub-prime poi. Medie calcolate su orizzonti temporali brevi in finanza non hanno alcun senso. Si noti che il profitto medio annuale del comparto azionario è stato pari al 11.1%; si può assumere questo valore come aspettativa di rendimento annuale per un investimento azionario nel 2013? Una simile aspettativa si basa su un assunto molto chiaro: ciò che è accaduto in passato tenderà a ripetersi nel futuro. Questo purtroppo NON è l’approccio corretto: il tasso medio di rendimento non è affatto stabile nel tempo. 1 1 1 1 2 1

La volatilità dei mercati storici Il grafico seguente (fonte: Brealey, Myers e Allen) mostra gli istogrammi dei rendimenti annuali dei mercati finanziari americani tra il 1900 e il 2008 (gli anni sono sull’asse orizzontale). 1 1 1 1 2 1

Un approccio alternativo Si osservi la tabella alla slide 29: il rendimento atteso del portafoglio azionario è dato dal rendimento privo di rischio, 4.0% il valor medio storico, più una componente di premio per il rischio, pari al 7.1% (sempre in termini di valor medio storico). Ma il tasso privo di rischio cambia sensibilmente nel tempo. Negli anni ’80 del secolo scorso, ad esempio, i tassi americani a breve termine erano intorno al 15%. In un simile periodo nessuno avrebbe accettato un ritorno del 11.1% da un investimento azionario, cioè rischioso, quando poteva avere il 15% a rischio pressoché nullo! Un metodo più ragionato potrebbe quindi consistere nel sommare il premio per il rischio medio storico al tasso corrente dei titoli privi di rischio. In questo modo il rendimento atteso dai titoli azionari negli anni ‘80 sarebbe stato del 22.1%. Questo approccio è apprezzato da molti operatori, ma aspramente criticato da altrettanti. La critica principale è che in genere il mercato si aspetta premi per il rischio molto minori di quello medio indicato dal modello storico. 1 1 1 1 2 1

Il rischio Paese Un aspetto importante del rischio dell’investimento azionario è che esso viene percepito su diversi livelli in funzione del Paese in cui le azioni sono quotate. Il grafico seguente (fonte: Brealey, Myers, Allen) mostra i premi per il rischio medi di diversi Paesi del mondo. 1 1 1 1 2 1

Un altro metodo per stimare I rendimenti attesi Il premio per il rischio può essere determinato in modo alternativo considerando il cosiddetto modello di crescita costante dei dividendi. Se i prezzi dei titoli quotati tengono il passo della crescita dei dividendi, allora il ritorno atteso di mercato è pari al tasso di dividendo sommato al tasso di crescita dei dividendi stessi. I tassi di dividendo negli USA hanno avuto valori medi intorno al 4.3% tra il 1900 e il 2008, e la crescita media annuale dei dividendi è stata pari al 5.3%. Dunque il rendimento atteso del mercato sarebbe stato del 9.6%, 5.6 punti al di sopra del tasso di interesse privo di rischio. Anche questo metodo trova sostenitori e detrattori, in virtù della estrema volatilità dei dati osservati (vedi slide successiva). 1 1 1 1 2 1

Un altro metodo per stimare I rendimenti attesi Il grafico seguente (fonte: Brealey, Myers e Allen) mostra l’andamento dei tassi di dividendo negli USA nel periodo tra il 1900 e il 2008: 1 1 1 1 2 1

L’errore di stima nell’utilizzo di dati storici Torniamo al modello basato sui rendimenti storici dei tre portafogli. Nell’utilizzo di dati storici per definire aspettative di rendimento futuro bisogna essere pronti al rischio di errore, che può essere misurato in termini di varianza o di deviazione standard. Le deviazioni standard e le varianze osservate sui tre portafogli nel periodo 1900-2008 sono alla tabella seguente (fonte: Brealey, Myers, Allen):   dev. st. varianza T-Bills 2.8 7.7 T-Bonds 8.3 69.3 Azioni 20.2 406.4 1 1 1 1 2 1

L’importanza della geografia Di nuovo il Paese a cui appartiene il mercato azionario su cui si investe gioca un ruolo chiave nella definizione dei livelli di rischio e di rendimento, come emerge dalla figura seguente (fonte: Brealey, Myers e Allen): 1 1 1 1 2 1

Come la diversificazione riduce il rischio Si osservi la tabella seguente (fonte: Brealey, Myers, Allen), che mostra le deviazioni standard di alcuni titoli di diversi Paesi in un quinquennio recente (2004-2008), confrontate con quelle dei rispettivi mercati di appartenenza: Una domanda cruciale sorge spontanea: se gli indici di mercato sono composti di singole azioni perché allora la loro volatilità non riflette quella dei rispettivi componenti? La risposta è che la diversificazione riduce la volatilità (e quindi il rischio).   dev. st. Azione azione mercato BP 20.7 16.0 LVMH 20.6 18.3 Deutsche Bank 28.9 Nestlè 14.6 13.7 Fiat 35.7 18.9 Nokia 31.6 25.8 Heineken 21.0 20.8 Sony 33.9 16.6 Iberia 35.4 20.4 Telefonica 58.6 40.0 1 1 1 1 2 1

Perchè la diversificazione riduce il rischio Cerchiamo di capire il problema in termini concettuali prima di affrontarlo in termini matematici. Un portafoglio di azioni, come un indice ad esempio, è un paniere di titoli che a meno di casi sporadici (di breve periodo) non salgono e non scendono tutti insieme, né tantomeno con la stessa intensità. Come conseguenza delle diverse volatilità e delle correlazioni tra coppie, che in alcuni casi saranno positive, in altri negative, in altri ancora nulle, il risultato globale è un portafoglio che dovrebbe performare come la media dei titoli che lo compongono in termini di rendimento, e al di sotto della media dei componenti in termini di volatilità dei rendimenti. Gli americani dicono “l’alta marea solleva tutte le barche”; non tutte nello stesso modo però. Gli andamenti e le volatilità dei vari componenti tendono a compensarsi a vicenda, la maggior parte delle volte: i prezzi non si muovono esattamente nello stesso modo in ogni istante di tempo. 1 1 1 1 2 1

Tipologie di rischio Il punto focale è che vi sono due tipologie di rischio insite in ogni titolo quotato. La prima è strettamente collegata al titolo stesso e alla capacità dei manager di creare valore per l’impresa, investendo in progetti che valgono più dei rispettivi costi. Questo è il cosiddetto rischio specifico. Detto anche rischio unico, è legato a fattori che incidono soltanto sui risultati di quella azienda (e dei diretti concorrenti). Viene detto anche rischio diversificabile: è il rischio che può essere ridotto grazie alla diversificazione, ossia all’investimento su più titoli anziché su uno soltanto. La seconda sorgente di rischio è legata al mercato totale: quando il mercato sale, più o meno tutte le azioni in esso comprese salgono, e viceversa. In altre parole, accade spesso che i movimenti di prezzo di un titolo non dipendano da fattori legati al titolo stesso, bensì dal fatto che tutti gli altri titoli si stanno muovendo. Questo rischio viene detto sistematico, o non diversificabile: non esiste un solo titolo che possa essere svincolato dall’andamento globale del mercato. 1 1 1 1 2 1

Un semplice esempio Si osservi cosa succede combinando due sole azioni, suddividendo su di esse in modo equivalente un capitale di 100$: (fonte: Brealey, Myers, Allen) La diversificazione (linea blu) riduce la volatilità dei rendimenti, rendendo più dolce l’andamento del portafoglio. 1 1 1 1 2 1

Gli effetti della diversificazione fonte: Brealey, Myers, Allen 1 1 1 1 2 1

Gli effetti della diversificazione Il rischio di un portafoglio non può essere annullato, ma drasticamente ridotto, grazie alla diversificazione, fino ad un limite asintotico, pari al rischio di mercato. Non è possibile trovare combinazioni di titoli dotate di livelli di rischio minori di quello del mercato globale. Ciò perché il rischio eliminabile è soltanto quello specifico: il rischio sistematico non è evitabile in alcun modo. Un aspetto importante della diversificazione è che non è necessario includere in portafoglio decine o centinaia di titoli: già dopo 8-10 titoli il rischio converge a quello di mercato, e il contributo di ogni titolo aggiuntivo è marginale. 1 1 1 1 2 1

Come si calcola il rischio di portafoglio Ora vedremo di capire come il rischio di un portafoglio dipenda dal rischio di un singolo titolo. Si supponga che il 60% del proprio portafoglio sia investito in azioni McDonald’s e che il restante 40% sia in azioni Microsoft. Fatto 3.1% il rendimento atteso dal primo e 9.5% quello del secondo, il rendimento globale atteso è dato dalla media ponderata dei due rendimenti: Siano 15.8% e 23.7% le rispettive deviazioni standard passate, e si assuma che esse possano essere considerate una buona misura del loro valore futuro. Se il rischio globale fosse il rischio medio ponderato, allora si avrebbe: Ma in realtà ciò si verifica soltanto se le due azioni si muovono perfettamente insieme, ossia se sono perfettamente correlate. 1 1 1 1 2 1

Calcolo della volatilità di portafoglio Il calcolo corretto della volatilità totale di un portafoglio di due titoli consiste nel sommare tutte le celle della seguente matrice: nella quale i fattori xi sono i pesi dei singoli titoli in portafoglio, e infine nel calcolare la radice quadrata della quantità trovata. A parole, la varianza totale del portafoglio è la somma delle due varianze ponderate sui quadrati dei pesi e delle due covarianze ponderate sui prodotti dei pesi. La volatilità totale è la radice quadrata della varianza totale. 1 1 1 1 2 1

Calcolo della volatilità di portafoglio Secondo il procedimento appena illustrato, il rischio globale di portafoglio è determinato dalla sommatoria delle componenti di rischio specifico dei singoli titoli ponderate sui rispettivi pesi, più la componente di rischio sistematico insita nel grado di covarianza esistente tra i titoli inclusi in portafoglio. Si noti che la covarianza qui è espressa in funzione della correlazione: è soltanto un modo molto più rapido per calcolare la covarianza, rispetto all’applicazione della sua formula standard. Anche la covarianza va ponderata, e siccome i titoli sono due va ponderata sul prodotto dei rispettivi pesi. 1 1 1 1 2 1

Casi particolari 1. Perfetta correlazione positiva tra i due titoli: In tal caso la volatilità di portafoglio è la media ponderata delle singole volatilità. 2. Assenza di correlazione tra i due titoli: In tal caso la varianza di portafoglio è la media ponderata delle singole varianze. 3. Perfetta correlazione negativa tra i due titoli: In un simile caso sarebbe idealmente possibile individuare una combinazione di due azioni che azzera il rischio. Nella realtà la perfetta correlazione negativa non si verifica mai. 1 1 1 1 2 1

Casi particolari Ritorniamo ai dati di McDonald’s e Microsoft. Se vi fosse perfetta correlazione positiva tra i due titoli la volatilità totale di portafoglio sarebbe la seguente: cioè il valore che ci aspettavamo: la media ponderata delle due volatilità specifiche. Se la correlazione vera è pari a 0.18, allora la volatilità di portafoglio si riduce sensibilmente: Si noti che il rischio globale è minore del minore dei due rischi specifici: è l’effetto principale della diversificazione. 1 1 1 1 2 1

Rischio asintotico di portafoglio Dato un portafoglio di N titoli, la matrice delle varianze e covarianze ponderate contiene NxN termini, di cui N termini di varianza e N2-N termini di covarianza. Sommando tutti i termini si giunge alla varianza totale di portafoglio. La radice quadrata di questa quantità porta infine alla volatilità (cioè al rischio) di portafoglio. Più si aggiungono titoli al portafoglio, più le covarianze diventano importanti: maggiore N, maggiore il numero delle covarianze. Si immagini dunque di dividere un portafoglio in N azioni di pari peso, 1/N. In tal caso la varianza totale di portafoglio è pari a: Se N tende all’infinito, la varianza totale tende alla covarianza media: è ciò che rimane dopo il lavoro di diversificazione. Il rischio specifico scompare e rimane solo quello sistematico! 1 1 1 1 2 1

La sensitività di una azione al mercato: Beta Il risultato fondamentale emerso alla slide precedente è che il rischio di un portafoglio ben diversificato dipende dal rischio di mercato delle azioni incluse nel portafoglio stesso. Il punto focale è che nella costruzione di un portafoglio non importa tanto quanto una azione sia rischiosa se presa da sola, ma quanto essa concorra al rischio totale di portafoglio. Questa sensitività del titolo rischio di mercato dipende dalla componente di rischio sistematico del titolo stesso, cioè da quanto quel titolo sia sensibile alle variazioni di prezzo del mercato globale. Questa sensitività è chiamata Beta (b) Titoli con Beta maggiori di 1 tendono ad amplificare il movimento globale del mercato; titoli con Beta compreso tra 0 e 1 tendono a muoversi nella stessa direzione del mercato, ma con minore intensità. Il mercato globale ha ovviamente Beta pari a 1. 1 1 1 1 2 1

Come si calcola il Beta Il Beta è dato dalla formula seguente: A parole, il Beta del titolo i-esimo è pari alla covarianza tra il titolo i-esimo e il mercato divisa per la varianza del mercato: si rapporta la componente di rischio sistematico del titolo al rischio sistematico dell’intero mercato. Il Beta misura il contributo del titolo i-esimo al rischio di portafoglio. Il Beta di un portafoglio è la media ponderata dei Beta dei singoli componenti. 1 1 1 1 2 1

Esercizio 1 Dati il titolo A con una volatilità del 25%, il titolo B con una volatilità del 40% e un coefficiente di correlazione tra i due pari a 0.2, si calcoli il rischio totale del portafoglio nel quale il titolo B pesa un terzo del titolo A. Esercizio 2 Si consideri il seguente portafoglio di tre titoli: Titolo r atteso s.q.m. A 5.8% 7% B 6.8% 9% C 8.0% 12% Sul titolo A è stato investito un quinto del denaro a disposizione; il rendimento atteso globale del portafoglio è il 7%. Determinare i pesi dei titoli B e C. Determinare poi la volatilità totale di portafoglio, date le correlazioni seguenti: corr(A,B)=0.67, corr(B,C)= 0.55, corr(A,C)=0.28 1 1 1 2 1 1

Esercizio 3 Considerate un portfafoglio fatto di 10 azioni equamente pesate. Tre di loro hanno un sigma pari a 25 e un beta pari a 0,8, le altre sette hanno un sigma pari a 30 e un beta pari a 1,15. La correlazione tra le prime tre azioni è 0,3, quella tra le altre sette è 0,2; la correlazione tra i due gruppi è infine 0,6. Risolvete i seguenti problemi: determinate la volatilità totale di portafoglio supponete di cambiare le quote di capitale investite nei 10 titoli: 500mila euro su ciascuno dei primi tre e 275mila euro su ciascuno dei rimanenti sette; quanto vale il beta di portafoglio? Esercizio 4 Il titolo Fiat ha un rendimento atteso del 35% con un rischio del 25%; il titolo Generali ha un rendimento atteso del 19% con un rischio del 7%. Assumendo tra i due una correlazione pari a 0,15, si determinino il rendimento atteso e la volatilità attesa del portafoglio nel quale il titolo Fiat incide il 25%. 1 1 1 2 1 1

Esercizio 5 Un portafoglio è costituito dai due titoli A e B. Il rendimento atteso di A è il 10%, con volatilità dell’8%; il rendimento atteso di B è il 30%, con volatilità del 38%. Si scelgano i pesi dei due titoli in modo che il rendimento atteso del portafoglio sia pari al 16%. Si calcoli quindi il rischio del portafoglio così costituito, assumendo un indice di correlazione tra i due titoli pari a 0,15. Esercizio 6 Il titolo Microsoft ha un rendimento atteso del 35% con un rischio del 49%; il titolo Mc Donald’s ha un rendimento atteso del 19% con un rischio del 27%. Assumendo tra i due una correlazione pari a 0,34, si determinino il rendimento atteso e la volatilità attesa del portafoglio nel quale il titolo Mc Donald’s incide il 75%. 1 1 1 2 1 1

Un passo avanti La teoria della diversificazione come metodo per ridurre il rischio di portafoglio risale ad un articolo del 1952 di Harry Markovitz; in esso l’autore mostrò come un investitore potesse ridurre il rischio di portafoglio combinando tra loro azioni che non si muovono esattamente nello stesso modo. Ma come vanno scelte le azioni specifiche? Il passo successivo consiste nel determinare se esistano dei criteri migliori di altri per la costruzione del portafoglio. Ora dobbiamo quindi risolvere due problemi: il primo è come si possano scegliere le azioni da mettere in portafoglio, e in quali proporzioni; il secondo è come un investitore possa formarsi aspettative ragionevoli in termini di rischio e rendimento. 1 1 1 1 2 1

Rendimenti attesi: analisi storica di un titolo Il grafico seguente (fonte: Brealey, Myers, Allen) mostra i rendimenti giornalieri del titolo IBM nel decennio 1998-2008, a cui è sovrapposta una campana gaussiana. Come si può notare, su intervalli di tempo relativamente brevi i rendimenti giornalieri seguono una distribuzione affine alla gaussiana. Percentuale di giorni rendimento giornaliero 1 1 1 1 2 1

Confronto tra titoli (fonte: Brealey, Myers, Allen) 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 -50 50 A B % probabilità % rendimento Meglio A o B? A or C? B or C? C 1 1 1 1 1 2

Scegliere i titoli Torniamo all’esempio di McDonald’s e Microsoft. Il secondo titolo è attraente in termini di rendimento atteso, ma presenta un livello di rischio superiore al primo. La combinazione dei due titoli può essere effettuata idealmente in un numero infinito di possibilità, dato che la proporzione di ciascun titolo può spaziare su qualsiasi valore compreso tra 0 e 100. Nell’esempio visto in precedenza avevamo combinato il 60% di capitale sul titolo McDonald’s e il restante 40% sul titolo Microsoft, ottenendo un ritorno atteso del 5.7% e un rischio atteso del 14.6%. E se avessimo combinato i due titoli in modo diverso? 1 1 1 1 2 1

Gli effetti di diverse combinazioni dei titoli Ogni combinazione dei due titoli è un punto sulla seguente curva: Microsoft 40% in Microsoft 60% in McDonald’s Rendimento atteso (%) McDonald’s Deviazione standard 1 1 1 1 2 1

Considerazioni sui portafogli In linea teorica non esiste una combinazione migliore di altre: dipende per lo più dal livello di tolleranza al rischio dell’investitore. Un dubbio però dovrebbe insorgere: la curva in figura precedente è formata da tutte le possibili combinazioni dei due titoli McDonald’s e Microsoft; ma quelle combinazioni hanno tutte senso? O piuttosto alcune sono irragionevoli? In effetti non tutte le combinazioni sono ragionevoli: qualsiasi combinazione rappresentata da un punto nella parte inferiore della curva offre ritorni inferiori rispetto ad altre combinazioni di pari rischio. Nessun investitore razionale metterebbe mai consapevolmente i propri soldi in simili portafogli. 1 1 1 1 2 1

Complichiamo il modello Si osservi ora la tabella seguente (fonte: Brealey, Myers, Allen), che riporta i dati di 10 titoli e di alcune loro specifiche combinazioni: 1 1 1 1 2 1

Lo spazio di tutti i portafogli possibili Combinando due o più titoli, fino a dieci, dalla lista in tabella precedente si può ottenere ciascun punto dell’area verde del grafico seguente (fonte: Brealey, Myers, Allen): 1 1 1 1 2 1

La frontiera efficiente Ciascun quadratino in figura precedente è uno dei dieci titoli dell’elenco, mentre ogni punto dell’area verde è una possibile combinazione di due o più di essi. Una domanda importantissima ora: in quale direzione è più ragionevole tentare di spostarsi? La risposta è immediata: in alto e a sinistra. Maggiori ritorni con minori rischi! Qual è il limite? Il limite è dato dalla linea esterna dell’area verde, che viene definita frontiera efficiente. Ogni punto sulla frontiera efficiente è il miglior portafoglio possibile in termini di rendimento ponderato sul rischio: nessun altro portafoglio è in grado di offrire un miglior rendimento a parità di rischio, o ridurre il rischio a parità di rendimento. 1 1 1 1 2 1

Complichiamo il modello Ora introduciamo una nuova componente al modello: la possibilità di prestare o di prendere in prestito denaro: Fonte: Brealey, Myers, Allen Standard Deviation Expected Return (%) rf Lending Borrowing S T 1 1 1 1 2 1

Complichiamo il modello Supponiamo che il denaro possa essere prestato e preso a prestito allo stesso tasso di interesse, rf. Grazie ai prestiti di denaro (in un senso o nell’altro) possiamo spostarci al di fuori della frontiera efficiente. Investendo una parte del denaro in titoli di stato a breve termine, ad esempio, cioè prestando denaro, e investendo il capitale residuo nel portafoglio S (vedi slide precedente) di azioni si possono ottenere combinazioni di rischio e di rendimento lungo la linea che collega rf ad S. Se invece si prende a prestito denaro, allora ci si può muovere sui punti della linea a destra del portafoglio S. 1 1 1 1 2 1

Il miglior portafoglio efficiente e l’indice di Sharpe A prescindere dal livello di rischio prescelto, è sempre possibile dunque ottenere il massimo rendimento atteso combinando il portafoglio S con un prestito di denaro. Il portafoglio S viene detto miglior portafoglio efficiente. Per individuare il portafoglio S è sufficiente cercare la linea che trae origine dal punto rf e che risulta tangente alla frontiera efficiente nel punto più alto possibile. Il portafoglio S si trova nel punto di tangenza. Il portafoglio S è dotato del miglior rapporto di premio al rischio su deviazione standard; questo rapporto viene definito indice di Sharpe: 1 1 1 1 2 1

La natura del miglior portafoglio efficiente Per capire quale possa essere la composizione del miglior portafoglio efficiente bisogna ragionare in termini di pubblicità delle informazioni. Se fosse possibile avere sempre accesso alle informazioni migliori, allora sarebbe sempre possibile estrapolare dal mercato le azioni in grado di offrire i rendimenti più elevati. In una situazione di mercato competitiva, il monopolio delle buone informazioni non è ragionevolmente perseguibile, perciò in linea di massima le informazioni sono equamente distribuite sul mercato. In un simile caso non c’è motivo di investire in un portafoglio diverso da quello di mercato, che dunque risulta essere il miglior portafoglio efficiente. In altri termini, ciò che il modello suggerisce è che la gestione attiva del proprio denaro è penalizzante nel lungo periodo, metre l’unica gestione sensata è quella passiva. 1 1 1 1 2 1

Portafoglio di mercato La relazione tra rischio e rendimento Si riprenda ora il grafico che mette in relazione il rischio e il rendimento dei vari portafogli possibili (fonte: Brealey, Myers, Allen): rendimento rischio rf tasso privo di rischio Portafoglio di mercato Rend. del mercato rm 1 1 1 1 2 1

Portafoglio di mercato Una nuova lettura E ora si sostituisca il rischio con il Beta: rendimento beta rf tasso privo di rischio Portafoglio di mercato Rend. del mercato rm 1.0 b 1 1 1 2 1 1

Il Capital Asset Pricing Model I titoli di stato, a beta nullo, non hanno alcun premio per il rischio e rendono il tasso privo di rischio, rf. Il portafoglio di mercato ha beta 1 e rende rm. Il premio per il rischio è quindi pari a (rm – rf ). Cosa succede a tutti gli altri portafogli? La risposta l’hanno data Sharpe, Lintner e Treynor nel 1960: il premio per il rischio atteso è direttamente proporzionale al Beta. Questa teoria è nota come Capital Asset Pricing Model (CAPM). La linea retta sul grafico viene definita Security Market Line (SML) e ci dice che un portafoglio dotato di un Beta pari a 0.5 ha un rischio pari a metà del rischio del portafoglio di mercato, mentre un portafoglio dotato di Beta pari a 2 ha un rischio doppio di quello di mercato; e così via. In formule: 1 1 1 1 2 1

La Security Market Line La retta del CAPM può essere vista come la retta di equilibrio tra rischio e rendimento: ogni punto di essa rappresenta un punto di ottimo, nel quale il rendimento atteso è sempre coerente con il rischio atteso, misurato dal Beta. La SML può essere utilizzata per verificare se un titolo è sopra o sottovalutato: qualsiasi titolo si trovi al di sopra della SML, infatti, offre un rendimento atteso maggiore di quello che dovrebbe, dunque è sottovalutato (cioè quota un prezzo di mercato inferiore a quello che dovrebbe avere). Né allo stesso tempo, qualsiasi titolo può trovarsi sotto la SML, perché in tal caso offrirebbe un rendimento atteso minore di quello di equilibrio, dunque sarebbe sopravvalutato (il prezzo di mercato sarebbe superiore a quello che dovrebbe avere). 1 1 1 1 2 1

Limiti del CAPM Il CAPM va preso per quello che è: un modello che tenta di spiegare in termini semplici un mondo estremamente complesso. Alcuni studi lo hanno messo sul banco di prova, dimostrando come esso possa descrivere la realtà dei mercati soltanto in alcuni momenti di mercato. Del resto il CAPM si basa su alcune ipotesi poco realistiche: il rischio dei titoli di stato è molto basso, ma non nullo; non considera l’effetto dell’inflazione; il tasso a cui gli investitori possono prestare e prendere a prestito denaro non è mai lo stesso. 1 1 1 1 2 1

Esercizio 7 Dati i seguenti titoli e i rispettivi beta: Titolo Beta Fiat 1.35 Mediaset 1.65 Atlantia 0.32 Generali 0.83 Assumendo che valga il CAPM, che il tasso privo di rischio sia il 3,5% e il premio per il rischio di mercato sia pari al 15%, si determinino i rendimenti attesi dei quattro titoli. Si calcoli poi il tasso di rendimento atteso del portafoglio nel quale Fiat pesa il 15%, Mediaset pesa il 13% e Atlantia pesa tre volte Generali. 1 1 1 1 2 1

Esercizio 8 Date le seguenti informazioni relative al mercato ed ai titoli azionari indicati, verificare quali di essi presentano una valutazione in linea con il CAPM, ed indicare eventuali sopra o sottovalutazioni: R(M)=10% varianza=6% tasso risk free=4% Titolo Beta r atteso A 0.2 5% B 1.5 10% C 0.9 13% D 0.18 6% E 1.2 12% F 0.75 8.5% G 0.6 9% H 1.1 10% I 0.56 8% 1 1 1 1 2 1