La distribuzione del reddito in Italia: evidenze empiriche e interpretazioni Andrea Brandolini Banca d’Italia, Servizio Studi di struttura economica e.

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La distribuzione del reddito in Italia: evidenze empiriche e interpretazioni Andrea Brandolini Banca d’Italia, Servizio Studi di struttura economica e finanziaria Ciclo di incontri su “Diseguaglianza, povertà e politiche pubbliche” Fondazione Istituto Gramsci Emilia-Romagna Bologna, 17 marzo 2010

Indice Perché interessarsi della disuguaglianza? Distribuzione funzionale del reddito tra profitti e salari Retribuzioni dei lavoratori dipendenti Distribuzione personale dei redditi Il 2008

Perché? Interesse per la variabilità di un fenomeno, così come ci occupiamo di medie Interesse normativo Persone hanno giudizi etici sulla distribuzione delle risorse Interesse strumentale Effetto su altre variabili economiche o sociali, es. crescita economica

Quota del lavoro sul valore aggiunto (%) Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti nazionali; valori parzialmente stimati per gli anni 2005-2008. Le quote al netto della locazione fabbricati sono calcolate escludendo il valore di quest’ultima dal valore aggiunto totale.

Distribuzione funzionale Quota del lavoro sul valore aggiunto è scesa dal picco a metà anni ‘70 ai valori minimi dal dopoguerra a fine anni ’90. Nel decennio in corso, sospinta dall’aumento dell’occupazione, è tornata a salire, riportandosi ai livelli dei primi anni novanta. Andamenti più accentuati nel settore privato. Andamenti differiscono tra settori: dinamica complessivamente meno favorevole ai profitti nei set-tori manifatturieri più esposti alla concorrenza internazionale, più favorevole in nei servizi oggetto delle privatizzazione del decennio scorso.

Retribuzioni dei lavoratori dipendenti Dal 1993 al 2008 la crescita delle retribuzioni lorde reali unitarie è stata contenuta 0,6% annuo, con indice del costo della vita 0,2% annuo, con deflatore dei consumi di contabilità nazionale L’aumento è inferiore per le retribuzioni al netto del carico fiscale, soprattutto per coloro che non hanno familiari a carico. Crescita assai più sostenuta negli anni precedenti (2,5% annuo dal 1970 al 1993, con indice del costo della vita). Il rallentamento della produttività ha frenato la crescita dei redditi reali. La diffusione delle forme contrattuali “atipiche” ha contribuito a moderare la dinamica delle retribuzioni medie.

Salari di ingresso e profili retributivi per generazioni successive: età di ingresso 21-22 anni (1976=1) Fonte: Rosolia e Torrini (2007), elaborazione su dati dell’Archivio INPS.

Fonte: Rosolia (2008), elaborazione su dati dell’Archivio INPS-WHIP. Quota di lavoratori nati all’estero sul totale dei dipendenti privati non-agricoli in ogni ventesimo della distribuzione delle retribuzioni settimanali (corrette per il part-time) Fonte: Rosolia (2008), elaborazione su dati dell’Archivio INPS-WHIP.

Fonte: Rosolia (2008), elaborazione su dati dell’Archivio INPS-WHIP. Quota di lavoratori nati all’estero sul totale dei dipendenti privati non-agricoli in ogni ventesimo della distribuzione delle retribuzioni settimanali (corrette per il part-time) Fonte: Rosolia (2008), elaborazione su dati dell’Archivio INPS-WHIP.

Distribuzione personale dei redditi (1) La dispersione delle retribuzioni è in Italia minore che nel resto dell’Europa. Il livello della povertà e della disuguaglianza dei redditi familiari è in Italia elevato nel confronto internazionale, ben superiore a quello dei paesi nordici e dell’Europa continentale, in linea con quello degli altri paesi mediterranei e dei paesi di lingua inglese.

Rapporto tra la retribuzione al 90% percentile e la retribuzione al 10% percentile Fonte: Eurostat.

Rapporto tra la quota di reddito del 20% più ricco e la quota del 20% più povero Fonte: Eurostat.

Distribuzione personale dei redditi (2) Il contrasto tra Nord e Sud è decisivo per comprendere il livello di disuguaglianza complessivo in Italia: non solo per il ruolo degli ampi divari di reddito, ma anche per l’impatto di una distribuzione dei redditi fortemente diseguale nelle regioni meridionali.

Il peso delle differenze regionali nel costo della vita sulla disuguaglianza nel 2006 Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata; indici regionali di prezzo stimati da Cannari e Iuzzolino (definizione 11).

Distribuzione personale dei redditi (3) Nell’ultimo trentennio vi sono in Italia fasi di aumento della disuguaglianza dei redditi familiari, la più importante delle quali è coincisa con la grave crisi economica dei primi anni novanta. Non si osserva tuttavia un periodo prolungato di crescita della disuguaglianza, diversamente da quanto accaduto in altre economie avanzate, come gli Stati Uniti e il Regno Unito negli anni ‘80, la Svezia e la Finlandia negli anni ‘90 o la Germania nel decennio attuale.

Indice di Gini (per cento) Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per famiglia per i redditi non corretti; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata per i redditi equivalenti.

Incidenza delle persone a basso reddito (per cento) Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata.

Quota di reddito del 10% e 1% più ricco dei contribuenti in Italia e negli Stati Uniti (dati fiscali) Fonte: Pisano (2009) per l’Italia; Piketty e Saez (2009) per gli Stati Uniti.

Quota di reddito del 10% e 1% più ricco dei contribuenti in Italia e negli Stati Uniti (dati fiscali)

Distribuzione personale dei redditi (4) Negli ultimi quindici anni, non vi è evidenza, nei dati campionari sul reddito, di un aumento della disuguaglianza, di un assottigliamento dei ceti medi o di un impoverimento delle famiglie. La distribuzione presa nel suo complesso appare piuttosto stabile. Questa stabilità aggregata nasconde tuttavia importanti cambiamenti nell’allocazione delle risorse. Si sono verificati movimenti ridistributivi orizzontali che hanno modificato le posizioni relative delle classi sociali, sommariamente individuate in base alla condizione professionale del principale percettore di reddito della famiglia, senza alterare i livelli di disuguaglianza e povertà aggregati. Ciò è accaduto dalla metà degli anni novanta, quando la distribuzione del reddito è mutata a vantaggio delle famiglie dei lavoratori autonomi e in parte dei dirigenti e dei pensionati, a scapito di quelle degli operai e degli impiegati.

Reddito familiare equivalente per condizione occupazionale del principale percettore (euro a prezzi 2008) Dirigenti Autonomi Impiegati Pensionati Operai Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata; deflatore dei consumi nazionali delle famiglie.

Incidenza delle famiglie a basso reddito per condizione occupazionale del principale percettore (per cento) Operai Pensionati Autonomi Impiegati Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata.

Famiglie a basso reddito: scomposizione variazione 1993-2006 per condizione occupazionale (punti percentuali) Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata.

Distribuzione personale dei redditi (5) Ulteriore elemento: vulnerabilità Capacità di far fronte a uno shock Il reddito familiare può essere sufficiente rispetto allo standard minimo fissato dalla società, ma vi può essere una elevata probabilità che questa condizione possa cambiare repentinamente Condizioni di lavoro a termine Mancanza di attività patrimoniali Inadeguatezza delle misure assistenziali sussidi di disoccupazione sostegno al reddito delle famiglie in povertà

Condizione economica e situazione lavorativa nel 2006 Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata. (1) Sono inclusi tra gli impieghi atipici le posizioni lavorative a termine e interinali, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e le occupazioni a tempo parziale dipendenti e indipendenti (definite come quelle in cui le ore lavorate sono meno di 18 alla settimana). Sono considerati impieghi tradizionali i rimanenti. Le varie forme di impiego sono aggregate, per le persone con più occupazioni e per le famiglie, sulla base delle ore lavorate. (2) Valori non riportati perché la tipologia familiare comprende meno di 100 osservazioni campionarie.

Trasferimenti sociali per disoccupazione, famiglia, abitazione ed esclusione sociale, 2005 (% su PIL) Fonte: Eurostat (2008).

Distribuzione personale dei redditi (6) In un periodo di crescita economica, ancorché debole, il più elevato rischio di povertà per coloro che vivono in famiglie in cui tutti gli occupati hanno impieghi atipici, specialmente se a termine, è controbilanciato dalle maggiori opportunità di lavoro che queste occupazioni offrono, con un effetto complessivamente ambiguo sulla disuguaglianza complessiva. Questo meccanismo compensativo può venir meno in una fase di recessione: i lavoratori a termine e quelli parasubordinati sono i più esposti alla perdita dell’occupazione, perché sono i primi a subire i ridimensionamenti degli organici decisi dalle imprese, ma sono anche i meno protetti dagli ammortizzatori sociali, soprattutto per la frammentarietà dei loro percorsi professionali. In una situazione in cui molte famiglie hanno risorse patrimoniali limitate, insufficienti da sole a garantire standard di vita minimi anche per periodi di tempo brevi, assume rilievo la debolezza della rete di protezione sociale italiana; pesa, in particolare, la mancanza di strumenti di sostegno al reddito nelle condizioni di maggiore difficoltà economica.

Variazione 2006-2008 del reddito familiare equivalente per condizione occupazionale del principale percettore (euro a prezzi 2008) Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata; deflatore dei consumi nazionali delle famiglie.

Variazione 2006-2008 dell’incidenza del basso reddito per “offerta di lavoro” della famiglia (euro a prezzi 2008) Composizione popolazione Incidenza basso reddito Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata. (1) Sono inclusi tra gli impieghi atipici le posizioni lavora-tive a termine e interinali, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e le occupazioni a tempo parziale dipendenti e indipendenti (ore lavorate meno di 18 alla settimana). Sono considerati impieghi tradizionali i rimanenti. Le varie forme di impiego sono aggregate, per le persone con più occupazioni e per le famiglie, sulla base delle ore lavorate. (2) Valori non riportati perché la tipologia familiare comprende meno di 100 osservazioni campionarie.

Incidenza della povertà per nazionalità (per cento) Persone in famiglie con capo-famiglia nato all’estero Persone in famiglie con capo-famiglia nato in Italia Quota di stranieri Fonte: stime su dati IBFI; ponderazione per individuo e scala di equivalenza dell’OCSE modificata; soglia al 50% della mediana.

Grazie per l’attenzione!