Il Teatro greco di Carlo Mariani
I caratteri fondamentali Le origini del teatro si perdono nella Grecia arcaica, intorno al VII sec. a.C., cioè prima dell’età classica, che si colloca invece nel V e nel IV sec. a.C. Il modello teatrale della Grecia classica è affidato principalmente alla tragedia, e ai suoi autori più importanti: Eschilo, Sofocle, Euripide. Il teatro assume con i Greci i caratteri di una straordinaria esperienza di formazione.
I caratteri fondamentali I Greci elaborarono una complessa teoria della formazione, la Paidèia (παιδεία), che consisteva in un insieme di discipline retoriche, filosofiche e scientifiche, unite all’esercizio fisico e alle discipline militari. All’interno di questo complesso iter formativo, il teatro assume una centralità decisiva, soprattutto in quanto esso rappresenta una formazione dei sentimenti, delle emozioni, delle passioni: cioè di quello che i Greci chiamavano Pàthos (πάθος ).
I caratteri fondamentali Nel teatro classico vengono messe a fuoco alcune importanti strutture formali, stilistiche. Esse sono le regole per la costruzione del discorso teatrale: Le unità aristoteliche di spazio, tempo e azione La funzione della mimesi (rappresentazione) Il ruolo della catarsi (purificazione) Aristotele, nella Poetica, è il grande teorico del teatro classico
I caratteri fondamentali Assistere alla rappresentazione teatrale assume la funzione di una partecipazione ad un rito collettivo. Per i Greci il teatro si ricollegava alla ritualità religiosa che avveniva durante i periodi dell’anno dedicati a Dioniso, il dio dell’ebbrezza e della frenesia. La stessa origine della tragedia sembra avere questa provenienza
I caratteri fondamentali Sul palcoscenico vengono dunque rappresentate le passioni umane, i drammi collettivi della pòlis (ó ): la guerra, l’odio, la vendetta, l’amore, i conflitti. In particolare, il conflitto sembra essere il tema portante del dramma, non solo antico ma anche e soprattutto moderno. La modernità ha rielaborato il conflitto alla luce delle cultura e della società contemporanee.
Le origini della tragedia La tragedia nasce ad Atene alla fine del VI sec. a.C., ma la sua origine è assai problematica e discussa. Il termine stesso tragodìa è inteso in vari modi: a) "canto dei capri"; b) “canto per il sacrificio del capro”; c) “canto per il capro” (inteso come premio). Aristotele scrive: “Trae la sua origine dall’improvvisazione, non solo la tragedia, ma anche la commedia: la prima dai corifei che intonavano il ditirambo, la seconda da chi guidava le processioni falliche, rimaste in uso ancora oggi in varie città” (Poetica, 1449a, 10).
Le origini della tragedia Secondo Aristotele l’origine va dunque rintracciata nei rituali dionisiaci, durante i quali satiri travestiti da capri, cioè i tràgoi seguaci di Dioniso, cantavano il ditirambo, un coro di natura magico-religiosa legato ai culti agresti in onore del dio. All’inizio, il coro avrebbe improvvisato una danza e un canto intorno all’altare di Dioniso e davanti ad un pubblico identificato religiosamente con lo stesso coro. Più tardi un corifeo (o capocoro) si sarebbe staccato dal gruppo per raccontare l’azione (dràma) del dio. Un’altra ipotesi fa risalire questo genere di spettacolo ad una forma mimico-drammatica di lamentazione funebre che cantava i pàthea, le sofferte vicissitudini, di un eroe.
La catarsi Aristotele nella Poetica scrive che "la tragedia è l’imitazione di un’azione seria e compiuta in se stessa , di una certa estensione, in un linguaggio adorno di vari abbellimenti, applicati ciascuno a suo luogo nelle parti diverse, rappresentata da personaggi che agiscono e non narrata, la quale mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l’animo da siffatte passioni ".
La catarsi Lo spettatore, dalla visione del dramma, era cioè sottoposto ad un effetto di ‘catarsi’, di purificazione: s’interrogava sul senso della vita, sul mistero della morte, sulla presenza del male, della colpa, del dolore, sul destino individuale e collettivo. Quei sentimenti quali l’amore, l’odio, la vendetta, la pietà che dominavano negli eroi tragici, una volta proiettati sulla scena, venivano razionalizzati e come espulsi, liberati, dagli strati più profondi della coscienza.
Gli spettacoli Per la vita collettiva del cittadino ateniese l’evento teatrale era d’importanza assoluta, tanto che alle procedure agonistiche era preposto un magistrato statale, l’arconte eponimo, che durava in carica un anno. Era l’arconte che in occasione delle Grandi Dionisie (le feste in onore di Dioniso che cadevano alla fine di marzo) selezionava tre tragediografi, i quali presentavano una tetralogia (tre tragedie più un dramma satiresco).
Gli spettacoli Lo stesso arconte affidava l’allestimento del coro (coregia), costituito da cittadini addestrati nella dizione, nel canto e nella danza, ad un cittadino ricco e facoltoso (corego), che in cambio vedeva accresciuti prestigio ed immagine presso la comunità cittadina.
Gli spettacoli La coregia rientrava nelle cosiddette liturgie, ossia prestazioni in denaro che i cittadini abbienti erano chiamati a dare a favore della collettività. Gli attori erano tutti professionisti, godevano di grande reputazione ed erano remunerati con grosse cifre dallo Stato. Le rappresentazioni duravano tre intere giornate, dall’alba al tramonto, ma il giorno precedente la festa si celebrava il proagone, una presentazione delle opere cui partecipavano autori, musici, coreuti, attori.
La funzione educativa I grandi temi tragici, come abbiamo detto, derivavano dall’antica storia sacra del popolo greco e avevano al centro quegli stessi dèi ed eroi cantati anche dall’epica e dalla lirica corale. La tragedia come noi la intendiamo, quella “classica” di Eschilo, Sofocle e Euripide, nasce quando il mito comincia ad essere sottoposto a verifica, quando cioè la pòlis democratica si confronta col proprio passato eroico, innescando un conflitto fra due mondi socialmente e ideologicamente organizzati in modo diverso.
La funzione educativa Tale rapporto conflittuale produce quelle ambiguità e antinomie (contrasti-conflitti) che caratterizzano la dimensione dell’eroe tragico il quale si mette in discussione, si problematizza, ricerca le ragioni etiche delle sue azioni, delle sue colpe, scoprendo dimensioni inquietanti del proprio essere e al tempo stesso proponendo alla collettività raccolta in teatro valori e modelli di comportamento.
La funzione educativa È questa la funzione ‘paideutica’, educativa, del teatro antico, una funzione di cui il tragediografo era assolutamente conscio dal momento in cui sceglieva l’episodio mitico per attualizzarlo nella prospettiva della sua contemporaneità, cercando così di rispondere alle attese del pubblico, senza per questo rinunciare alla sua personale creatività ed inventiva sia sul piano della sintassi drammatica sia su quello dell’interpretazione morale del mito messo in scena.
La funzione educativa La valenza educativa degli spettacoli è testimoniata sul piano politico e sociale anche dal theorikòn, ossia il denaro che da Pericle in poi si prelevava dalle casse dello Stato per pagare l’ingresso a teatro ai cittadini meno abbienti.
Il coro Completamente perdute per noi sono la musica e i movimenti della danza corale, che per la tragedia era detta emmèleia ed aveva un carattere grave e solenne. Testimonianze antiche parlano di "danza del bastone", di "mani sopra la testa", di movimento a "tenaglia", ma non è possibile dare indicazioni sicure su queste posizioni. Nella tragedia classica il coro entrava spesso nel vivo dell’azione drammatica, si faceva portatore delle istanze e dei valori etici, propri della comunità della pòlis, e aiutava lo spettatore a decifrare il significato profondo degli eventi. Poi finì col perdere gradualmente d’importanza.
L’attore e la maschera Proprio il corifeo si sarebbe trasformato in seguito nell’attore. Il numero degli attori passò da uno a due (con Eschilo), a tre (con Sofocle) e rimase per sempre invariato. L’uso della maschera, forse un ricordo degli antichi rituali religiosi, permetteva agli attori (che dovevano essere tutti maschi) di recitare diverse parti nella stessa opera.
L’attore e la maschera Nelle Troiane di Euripide, ad esempio, il protagonista aveva la parte di Ecuba; il deuteragonista quelle di Atena, Cassandra, Andromaca ed Elena; il tritagonista (cioè il “terzo attore”) quelle di Poseidone,Taltibio e Menelao; il coro era composto da 15 prigioniere troiane; personaggio muto (kòphon pròsopon) era Astianatte. Nell'Elettra di Sofocle il protagonista aveva la parte di Elettra; il deuteragonista quella di Oreste, Crisotemi e Clitemnestra; il tritagonista quella del Precettore ed Egisto; il coro era composto da quindici donne di Micene; personaggio muto era Pilade.
L’attore e la maschera La maschera, senza dubbio, consentiva di creare effetti drammatici di grande intensità e potenza, ma, secondo alcuni, contribuiva soprattutto ad amplificare il suono della voce cosicché l’attore poteva essere udito anche da grande distanza.
L’attore e la maschera Come per il coro, è difficile ricostruire i movimenti scenici degli attori. Nel teatro antico le didascalie erano “interne” al testo, contenute cioè nella battuta del personaggio. Nelle Troiane di Euripide, ad esempio, Ecuba suggerisce le posizioni da lei assunte nel primo monologo, dicendo: "Su, misera, solleva la testa. Su la gola da terra... Questo giacere sulla pietra nuda mi sfibra. Oh, la mia testa! Volgersi sui fianchi ogni momento". La recitazione non era di tipo naturalistico, bensì declamatorio e quindi protesa ad un effetto di forte straniamento a differenza del teatro moderno che tende piuttosto al concetto di interpretazione.
L’attore e la maschera L’abbigliamento era quello della vita quotidiana e quindi mirava in genere a sottolineare la posizione sociale e l’età, ma anche lo stato d’animo del personaggio. Euripide, in particolare, fu molto criticato per avere, in alcune sue tragedie, vestito eroi e principesse con abiti miseri e cenciosi (si pensi alla sua Elettra in abiti da contadina). Comune nella tragedia fu un particolare tipo di calzatura detta coturno, una specie di stivaletto a mezza gamba con una suola molto spessa (circa 10-20 cm.) che conferiva al personaggio un aspetto imponente.
L’edificio teatrale Gli spettacoli si svolgevano all’aperto: i primi, al tempo di Tespi e Pisistrato (prima metà del VI sec. a.C.), nell’orchestra dell’Agorà di Atene e i cittadini assistevano agli spettacoli da tribune in legno. Poi di lì a poco, al tempo di Eschilo, sulle pendici meridionali dell’Acropoli fu costruito il teatro di Dioniso Eleutherios, dove saranno tenute le rappresentazioni più significative dell’età classica. Gli edifici teatrali sono importanti per capire la natura e il senso profondo del teatro greco, che era soprattutto un luogo della parola, come l’agorà e il tribunale.
L’edificio teatrale L'edificio dell’epoca classica si sviluppa dall’orchèstra, lo spazio in cui durante le rappresentazioni agiva il coro, un cerchio religioso e magico che nella sua forma ricorda l’aia in cui i contadini celebravano le loro danze rituali in onore di Dioniso, il dio simbolo della fecondità e della forza fecondatrice della natura, essenziale in una civiltà prevalentemente agricola come quella ateniese.
L’edificio teatrale Durante gli agoni tragici una statua del dio veniva portata con una processione solenne in teatro, posta di fronte al palcoscenico e celebrata con sacrifici sulla thymèle, l’ara sacrificale situata al centro dell’orchèstra. La collocazione ideale del thèatron ("luogo da cui si guarda") era la pendenza ai piedi di un colle, sulla quale prendevano posto gli spettatori che così godevano di una visuale più efficace. Tale pendenza assunse la forma di una gradinata semicircolare, il koilon o cavea, realizzata per la prima volta in pietra a Siracusa.
L’edificio teatrale Straordinario edificio teatrale è quello di Epidauro, appartenente all’età ellenistica. Le gradinate erano tagliate in senso verticale da quattordici scalinate dette klìmakes e in senso orizzontale da due corridoi detti diazòmata. La cavea aveva alle due estremità due accessi per l’orchèstra, detti pàrodoi, dai quali faceva il suo ingresso solenne il coro (il canto d’ingresso del coro era detto appunto pàrodos).
L’edificio teatrale La tenda (skenè, da cui "scena"), che, sviluppandosi lungo la tangente dell’orchèstra, serviva alle origini da camerino per gli attori, si trasformò nel tavolato (proskènion) di una scena che di solito rappresentava un palazzo reale a tre porte da dove entravano ed uscivano gli attori, oppure un tempio, una grotta, una tenda militare. Dalla seconda metà del IV sec. a.C. fu impiegata la pietra come materiale anche per la scena, che fu spinta in avanti con un proscenio rialzato, sostenuto da un piccolo colonnato con tavole di legno dipinte (pìnakes) per connotare l’ambiente e la parete di fondo venne ornata di una o più serie di colonne.
Il teatro di Epidauro
Il teatro di Epidauro Diàzomai Kòilon Scale Orchestra Proscenio Skenè Parasceni Proscenio Orchestra Skenè Pàrodoi Kòilon Diàzomai Scale
Le macchine teatrali Nel teatro greco si faceva uso anche di marchingegni teatrali; i più importanti erano lo enkyklema e la mechanè. Il primo era una sorta di piattaforma che, eseguendo un movimento circolare o rettilineo, girevole, serviva a rendere visibile al pubblico quanto avveniva in un interno (soprattutto i fatti di sangue che non venivano rappresentati davanti agli occhi dello spettatore) e a consentire il passaggio da un esterno a un interno.
Le macchine teatrali La seconda era una macchina per volare, una specie di gru che, con un sistema di cavi e carrucole, serviva a tenere sollevato un personaggio e spesso anche a calare dall’alto una divinità (deus ex machina). Gli dèi apparivano anche dal theologèion, una piattaforma nascosta in alto sopra la parete di fondo. Per le apparizioni dei fantasmi o delle ombre di morti si ricorreva ad una botola, posta nell’orchestra, cui si accedeva tramite un passaggio sotterraneo detto charòneioi klìmakes ("scale di Caronte"). Il teatro greco non rinunciava nemmeno agli ‘effetti speciali’ grazie appositi strumenti che servivano a simulare tuoni, lampi, fiamme, ecc