Crepuscolari, Futuristi e Vociani IL PRIMO NOVECENTO Crepuscolari, Futuristi e Vociani
L’età dell’ansia L’Ottocento positivista si era chiuso seminando perplessità attorno alle proprie certezze. Il Decadentismo di fine secolo aveva, infatti, aperto più di qualche spiraglio alla riflessione e al dubbio, gettando ombre sulla possibilità di di progresso sociale ed economico. Il Novecento si apre su questi stessi problemi: il nuovo secolo inizia mostrando un’inquietudine che si intensificherà fino a condurre l’Europa verso la tragedia della Prima Guerra Mondiale. In questo clima di trasformazioni e tensioni assistiamo allo scardinamento delle certezze positivistiche.
Un’ultima voce, il neoidealismo L’ultima voce d’un uomo considerato responsabile della sua storia, concepita come consapevole conquista della civiltà e della piena coscienza di sé, fu la filosofia idealistica e storicistica di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, fedele ad un’idea di progresso fondato su valori spirituali, fiduciosa nella razionalità del reale e della storia, avversa al Positivismo, al marxismo e all’irrazionalismo. Le posizioni neoidealistiche prevalsero nel mondo della cultura alta e nella scuola, in opposizione alla letteratura militante.
La letteratura militante Una sensibilità nuova… La letteratura del primo Novecento riflette l’inquietudine del secolo. È dominata dal senso di crisi dei valori e della stessa persona, dall’avvertita problematicità del vivere e del conoscere, lontana da ogni certezza di approdi. Da qui l’alternarsi di “avanguardie”, ossia di posizioni artistiche dominate da un’idea conflittuale della realtà, evidente anche nel sovvertimento delle strutture formali, e di “restaurazione” o difese di un passato migliore che il Croce identificò in Carducci.
La letteratura militante In Europa Negli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale: Si respira un’aria tesa, ricca di fermento, anticipatrice di eventi rivoluzionari. Ambito artistico: ricerca si una nuova espressività e di nuovi codici. Nascono avanguardie storiche che rompono gli schemi della tradizione per trasformare radicalmente il modo di pensare l’arte in Europa: Cubismo, Dadaismo, Surrealismo, Espressionismo.
La letteratura militante In Italia Negli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale, si partecipa al fermento delle avanguardie: Futurismo: movimento precipuamente italiano fondato da Filippo Tommaso Marinetti, accerchiato da un gruppo di pittori scultori e intellettuali inizialmente organizzati in riviste come “La Voce” o “Lacerba”. Altri intellettuali si orienteranno in una ricerca differente, più sommessa, che si concretizzerà nella cosiddetta linea crepuscolare, meno tonante e più pacata, ma comunque ricca di innovazioni poetiche.
Le nuove poetiche CREPUSCOLARI: senso della realtà come fluire di labili parvenze, a cominciare dal proprio Io, la rinuncia ad ogni ideale, ad ogni certezza e ad ogni avventura spirituale, che si concreta in un deluso ripiegamento sulla vita quotidiana meschina e consunta. FUTURISMO: a questa malinconia romantica volle reagire il Futurismo, che portò alle estreme conseguenze l’intuizione romantico-decadente della vita come istinto e azione e volle esprimere questo slancio vitale nella forza aggressiva, cantando la guerra e la civiltà della macchina. L’ESPERIENZA DELLE RIVISTE: Nei primi decenni del Novecento proliferano le riviste, sedi privilegiate per lo sviluppo del dibattito intellettuale. La classe intellettuale piccolo-borghese avverte la necessità di riconquistare un ruolo attivo e un peso sociale. Culla di questa fioritura è Firenze.
I CREPUSCOLARI Definizione data nei primi anni del Novecento dal critico Giuseppe Antonio Borgese: “una voce crepuscolare, la voce di una gloriosa poesia che si spegne” (1909, La Stampa). Poeti che non si unirono mai in una vera e propria scuola poetica, le cui voci più rappresentative sono Marino Moretti (Cesena), Aldo Palazzeschi (Firenze), Corrado Govoni (Ferrara), Sergio Corazzini (Roma) e Guido Gozzano (Torino), accomunati dalla giovane età e dalla comune provenienza da ambienti borghesi o piccolo-borghesi (le buone cose di pessimo gusto) La metafora sottolinea la tonalità poetica nuova, dopo le esaltazioni eroiche carducciane, la semplicità ispirata del “fanciullino” pascoliano e la sontuosità dannunziana: negli accenti prosaici e dimessi, nel provincialismo domestico, sembra di leggere una rinuncia agli incanti della letteratura.
Moretti Cesena Dipinge ambienti di provincia, dimessi, soffocanti, monotoni e vuoti Linguaggio che, pur utilizzando la rima, assume una cadenza dimessa e prosaica: “grado zero” della scrittura morettiana. (Bárberi-Squarotti). “Ecco dunque la mia prosa / la mia prosa-poesia” Esaurimento della forma poetica oltre il quale sembra davvero difficile poter procedere Poesie scritte con lapis; Le Poesie di tutti i giorni
A Cesena, Moretti (p.735) Piove. È mercoledì. Sono a Cesena, ospite della mia sorella sposa, sposa da sei, da sette mesi appena. Batte la pioggia il grigio borgo, lava la faccia della casa senza posa, schiuma a piè delle gronde come bava. Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse triste è per te la pioggia cittadina, il nuovo amore che non ti soccorse, il sogno che non ti avvizzì, sorella che guardi me con occhio che s'ostina a dirmi bella la tua vita, bella, bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora, o sposa, io vedo tuo marito, sento, oggi, a chi dici mamma, a una signora;
so che quell'uomo è il suocero dabbene che dopo il lauto pasto è sonnolente, il babbo che ti vuole un po' di bene... « Mamma! » tu chiami, e le sorridi e vuoi ch'io sia gentile, vuoi ch'io le sorrida, che le parli dei miei vïaggi, poi... poi quando siamo soli (oh come piove!) mi dici rauca di non so che sfida corsa tra voi; e dici, dici dove, quando, come, perché; ripeti ancora quando, come, perché; chiedi consiglio con un sorriso non più tuo, di nuora. Parli d'una cognata quasi avara che viene spesso per casa col figlio e non sai se temerla o averla cara;
parli del nonno ch'è quasi al tramonto, il nonno ricco, del tuo Dino, e dici: « Vedrai, vedrai se lo terrò di conto »; parli della città, delle signore che già conosci, di giorni felici, di libertà, d'amor proprio, d'amore. Piove. È mercoledì. Sono a Cesena, sono a Cesena e mia sorella è qui tutta d'un uomo ch'io conosco appena. tra nuova gente, nuove cure, nuove tristezze, e a me parla... così, senza dolcezza, mentre piove o spiove: « La mamma nostra t'avrà detto che... E poi si vede, ora si vede, e come! sì, sono incinta... Troppo presto, ahimè!
Sai che non voglio balia? che ho speranza d'allattarlo da me? Cerchiamo un nome... Ho fortuna, è una buona gravidanza... » Ancora parli, ancora parli, e guardi le cose intorno. Piove. S'avvicina l'ombra grigiastra. Suona l'ora. È tardi. E l'anno scorso eri così bambina!
Poggiolini Oh, Poggiolini! Lo rivedo ancora con quel suo mite sguardo di fanciulla, e lo risento chiedermi un nonnulla con una voce che... non so... m'accora. Che cosa vuoi? Son pronto a darti tutto: un pennino, un quaderno, un taccuino, purché tu venga per un po' vicino al cuore che ti cerca dappertutto. Oh non venirmi accanto come sei ora: avvocato, chimico, tenente, ché cercheresti invano nella mente il mio ricordo dandomi del lei! lo non voglio saper, fratello, come passaron gli anni sopra la tua vita: voglio l'occhiata timida e smarrita che rispondeva, un giorno, al tuo cognome. Voglio che tu mi renda per un'ora la parte del mio cuor che tu non sai di posseder, da tanto tempo ormai! e noi saremo i due compagni ancora!
Noi siederemo ad uno stesso banco riordinando i libri a quando a quando, e rileggendo un compito, e guardando sul tavolino un grande foglio bianco... Il registro, a cui tutti eran diretti, quando c'interrogavano, gli sguardi; io lo sapevo a mente... Leonardi, Massari, Mauri, Méngoli, Moretti... Il registro coi voti piccolini nelle caselle dietro i nomi grandi, tu lo sapevi a mente... Nolli, Orlandi, Ostiglia, Paggi, Poggi, Poggiolini... Dio, che tristezza ricordare questi nomi d'ignoti a cui demmo del tu! nomi che non si scorderanno più, perché in fila così, perché modesti! O Poggiolini, che fai tu, che pensi? Forse tu vivi in una tua casina odorata di latte e di cedrina, e sguardi e baci ai figli tuoi dispensi!
Forse la sera giuochi la partita fino alle dieci e mezzo (anche più in là!) con la moglie, la suocera... e chissà, forse con Poggi o Méngoli! ...La vita! lo nulla. Quello che fu mio lo persi strada facendo, quasi inavvertitamente; e adesso, se ho un foglio e una matita, faccio - indovina un po' - faccio dei versi! -
Ero un fanciullo, andavo a scuola e un giorno Le prime tristezze Ero un fanciullo, andavo a scuola e un giorno dissi a me stesso: «Non ci voglio andare ». E non ci andai. Mi misi a passeggiare tutto soletto, fino a mezzogiorno. E così spesso. A scuola non andai che qualche volta, da quel triste giorno. lo passeggiavo fino a mezzogiorno, e l'ore... l'ore non passavan mai! Il rimorso tenea tutto il mio cuore in quella triste libertà perduto; e l'ansia mi prendea d'essere veduto dal signor Monti, dal signor dottore! Pensavo alla mia classe, al posto vuoto, al registro, all'appello (oh! il nome, il nome mio nel silenzio!) e mi sentivo come proteso nell'abisso dell'ignoto...
In fine io mi spingea fino ai giardini od ai viali fuori di città; e mi chiedevo: adesso, chi sarà interrogato, Poggi o Poggiolini? E fra me ripetevo qualche brano di storia (Berengario... Carlo Magno.. Rosmunda.,,), ed era la mia voce un lagno ritmico, un suono quasi non umano... E quante, quante volte domandai l'ora a un passante frettoloso; ed era nella richiesta mia tanta preghiera!.. Ma l'ore", l'ore non passavan mai!
LA MONOTONIA DELLA VITA DI PROVINCIA La poesia crepuscolare tiene lontana la storia e si rifugia nelle atmosfere quotidiane. La noia e la malinconia, espressioni di un’insuperabile difficoltà a inserirsi nel ritmo normale della vita, trovano una delle immagini più riuscite nella rappresentazione del languore delle domeniche provinciali, tra organetti di Barberia suonati dagli ambulanti, rintocchi di campane, gruppetti di educande e processioni.
Gozzano Torinese Distacco ironico che conduce a uno straniamento sottile e complesso nei confronti della realtà Considera l’arte come ARTIFICIO (come i decadenti), ma non permette creazione di paradisi artificiali e mondi alternativi La letteratura pur essendo alternativa non può evitare un processo di degradazione dell’intera realtà Rimane il valore della poesia: ripresa della tradizione ma straniata, POETA DELLO CHOC (Montale) I Colloqui
L’amica di nonna Speranza, Gozzano, I colloqui «... alla sua Speranza la sua Carlotta... 28 Giugno 1850.» (dall’album: dedica d’una fotografia) Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!) il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti, i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro, un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve, gli oggetti col mònito salve, ricordo, le noci di cocco, Venezia ritratta a musaici, gli acquarelli un po’ scialbi, le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici,
le tele di Massimo d’Azeglio, le miniature, i dagherottipi: figure sognanti in perplessità, il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto, il cùcu dell’ore che canta, le sedie parate a damasco chermisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta! I fratellini alla sala quest’oggi non possono accedere che cauti (hanno tolte le federe ai mobili: è giorno di gala). Ma quelli v’irrompono in frotta. È giunta è giunta in vacanza la grande sorella Speranza con la compagna Carlotta. Ha diciassette anni la Nonna! Carlotta quasi lo stesso: da poco hanno avuto il permesso d’aggiungere un cerchio alla gonna;
G. Gozzano Chi sono? È tanto strano fra tante cose strambe un coso con due gambe detto guidogozzano! da Nemesi
Aldo Palazzeschi Lasciatemi divertire Tri, tri /fru fru,/uhi uhi uhi,/ihu ihu, ihu. Il poeta si diverte,/pazzamente,/smisuratamente. Non lo state a insolentire/,lasciatelo divertire/poveretto,/queste piccole corbellerie/sono il suo diletto./ Cucù rurù,/rurù cucù,/cuccuccurucù!/ Cosa sono queste indecenze?/Queste strofe bisbetiche?Licenze, licenze,/licenze poetiche,/Sono la mia passione. Bubububu,/fufufufu,/Friù!/Friù!/ Se d’un qualunque nesso/son prive,/perché le scrive/quel fesso? Bilobilobiobilobilo/blum!/Filofilofilofilofilo/flum!
Aldo Palazzeschi La fontana malata Clof, clop, cloch, / cloffete, / cloppete, / clocchete, / chchch… / È giù, / nel cortile, / la povera / Fontana / malata / che spasimo! / sentirla / tossire. / Tossisce, / tossisce, / un poco / si tace... / di nuovo. / Tossisce. / Mia / povera / fontana, / il male / che hai / il cuore / mi / preme. / Si tace, / non getta / più nulla. / Si tace, / non / s'ode / romore / di sorta, / che forse... / che forse / sia / morta? / Orrore! / Ah! no / Rieccola, / ancora / tossisce. / Clof, clop, cloch, / cloffete, / cloppete, / clocchete, / chchch... /
La tisi / l'uccide. / Dio santo, / quel suo / eterno / tossire / mi fa / morire, / un poco / va bene, / ma tanto... / Che lagno! / Ma Habel! / Vittoria! / Andate, / correte, / chiudete / la fonte, / mi uccide / quel suo / eterno / tossire! / Andate, / mettete / qualcosa / per farla / finire, / magari... / magari / morire. / Madonna! / Gesù! / Non più! / Non più! / Mia povera / fontana, / col / male / che hai, / finisci / vedrai, / che uccidi / me pure / Clof, clop, cloch, / cloffete, / cloppete, / clocchete, / chchch… Vedi anche La passeggiata
Sergio Corazzini Perché tu mi dici: poeta?/ Io non sono un poeta./ Io non sono che un piccolo fanciullo che piange./ Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio./Perché tu mi dici: poeta? Le mie tristezze sono povere tristezze comuni./Le mie gioie furono semplici,/semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei./Oggi io penso a morire./ Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;/solamente perché i grandi angioli/su le vetrate delle catedrali/mi fanno tramare d'amore e d'angoscia;/solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio,/come un povero specchio melanconico./Vedi che io non sono un poeta:/sono un fanciullo triste che ha voglia di morire. da Desolazione del povero poeta sentimentale
LA RINUNCIA AL RUOLO DI POETA Una caratteristica della poesia crepuscolare è il suo accento dimesso, malinconico, che compie un’apparente rinuncia ad ogni forma di retorica legata alla sacralità del poeta e che si distanzia sia da D’Annunzio (si dichiarano tutti anti-dannunziani) sia da Pascoli (poesia comunque sublime anche se fatta di piccole cose) Rinuncia ad ogni tipo di “sublime” in una società tutta tesa all’utilitarismo economico come quella borghese. Nasce un tono lirico pianamente colloquiale, prosaico, espressione di un poeta che rinuncia al proprio ruolo (Palazzeschi si definirà “saltimbanco dell’anima”).
LA MALATTIA TRA DOLORE E IRONIA Un altro tema particolarmente caro ai Crepuscolari è quello della malattia (Gozzano e Corazzini moriranno di tisi) che diventa metafora primaria del disagio e della fatica del vivere. Tuttavia in una poesia come quella crepuscolare un simile motivo non incontra mai quello del grido o della disperazione, ma si traduce in una mestizia, filtrata talora da una rassegnata ironia, preludio a certe atmosfere sveviane.
LA GRANDE AVANGUARDIA ITALIANA: IL FUTURISMO Nel 1909 esce in francese sul giornale “Le Figaro”, il primo manifesto del Futurismo redatto dai futuristi italiani, guidati da F. T. Marinetti (Alessandria d’Egitto 1876 – Como 1944) che si proponeva come distruttore delle idee di arte, poesia e letteratura affermatesi prima di allora. I principi innovatori del Futurismo si richiamano a ciò che di più vivo e nuovo si poteva allora sperimentare: energia, movimento, velocità pericolo. Si oppongono alla tradizione razionale e sentimentale con il motto “Uccidiamo il Chiaro di Luna”
PAROLIBERISMO, ANALOGIA E RIFIUTO DELLA PUNTEGGIATURA Paroliberismo: necessità di dare finalmente libertà alle parole attraverso vari procedimenti quali l’eliminazione della punteggiatura, l’accostamento dei sostantivi per analogia, il dominio dell’intuizione. Simultaneità: l’azzerarsi del tempo, diventa un principio fondamentale. Intuizione, analogia, rumore, simultaneità vengono espressi anche grazie al ricorso della visività della scrittura: il connubio con la grafica si rivela un mezzo essenziale nella poetica futurista.
IL FUTURISMO, LA GUERRA E LA POLITICA Le battaglie non sono un tema qualsiasi, un puro esercizio di scrittura. Il legame con la guerra è centrale , il motore che connota in maniera decisa e decisiva la presenza dei futuristi in Italia. Così come si esaltano “il movimento aggressivo”, “lo schiaffo e il pugno”, così come la “lotta” è vista quale principio generale positivo e “bello”, la guerra rappresenta un atto di evoluzione, vitalità e vitalismo, festa e “pienezza” sensoriale. Ardengo Soffici, Corrado Govoni e Giovanni Papini caldeggiano insistentemente l’intervento dell’Italia in guerra. Nel 1915, nello scritto “Guerra come sola igiene del mondo” sono riuniti i testi che dal 1909 avevano esaltato la necessità del conflitto.
Manifesto del Futurismo- F. T.Marinetti 1909 1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità. 2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. 5. Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. 6 Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l'entusiastico fervore degli elementi primordiali.
Manifesto del Futurismo (2) 7. Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo. 8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente. 9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. 10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria. 11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi;
Manifesto del Futurismo (3) i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte, le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall'Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologhi, di ciceroni e d'antiquarii. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagl'innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli. Musei: cimiteri!... Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitori pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti! Musei: assurdi macelli di pittori e scultori che varino trucidandosi ferocemente a colpi di colori e di linee, lungo le pareti contese!
Manifesto tecnico - 1912 1.Bisogna distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono.2. Si deve usare il verbo all'infinito, perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all'io dello scrittore che osserva o immagina. Il verbo all'infinito può, solo, dare il senso della continuità della vita e l'elasticità dell'intuizione che la percepisce.3. Si deve abolire l'aggettivo, perché il sostantivo nudo conservi il suo colore essenziale. L'aggettivo avendo in sé un carattere di sfumatura, è inconcepibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta, una meditazione.4. Si deve abolire l'avverbio, vecchia fibbia che tiene unite l'una all'altra le parole. L'avverbio conserva alla frase una fastidiosa unità di tono.5. Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia.
Manifesto tecnico – 1912 (2) Esempio: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto.Siccome la velocità aerea ha moltiplicato la nostra conoscenza dei mondo, la percezione per analogia diventa sempre più naturale per l'uomo. Bisogna dunque sopprimere il come, il quale, il così, il simile a. Meglio ancora, bisogna fondere direttamente l'oggetto coll'immagine che esso evoca, dando l'immagine in iscorcio mediante una sola parola essenziale. 6. Abolire anche la punteggiatura. Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro direzioni, s'impiegheranno segni della matematica: + - x : = > <, e i segni musicali.
Manifesto tecnico della letteratura futurista (3) 7. Gli scrittori si sono abbandonati finora all'analogia immediata. Hanno paragonato per esempio l'animale all'uomo o ad un altro animale, il che equivale ancora, press'a poco, a una specie di fotografia... (Hanno paragonato per esempio un fox-terrier a un piccolissimo puro-sangue. Altri, più avanzati, potrebbero paragonare quello stesso fox-terrier trepidante a una piccola macchina Morse. Io lo paragono invece a un'acqua ribollente. V'è in ciò una gradazione di analogie sempre più vaste, vi sono dei rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi.)L'analogia non è altro che l'amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili. Solo per mezzo di analogie vastissime uno stile orchestrale, ad un tempo policromo, polifonico, e polimorfo, può abbracciare la vita della materia.
Manifesto tecnico della letteratura futurista (4) 11. Distruggere nella letteratura l'«io», cioè tutta la psicologia. L'uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l'essenza a colpi d'intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici. Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi, la respirazione, la sensibilità e gli istinti dei metalli, delle pietre, del legno ecc. Sostituire la psicologia dell'uomo, ormai esaurita, con l'ossessione lirica della materia.
Manifesto tecnico della letteratura futurista (5) Ci gridano: «La vostra letteratura non sarà bella! Non avremo più la sinfonia verbale, dagli armoniosi dondolii, e dalle cadenze tranquillizzanti!» Ciò è bene inteso! E che fortuna! Noi utilizziamo, invece, tutti i suoni brutali, tutti i gridi espressivi della vita violenta che ci circonda. Facciamo coraggiosamente il «brutto» in letteratura, e uccidiamo dovunque la solennità. Via! non prendete di quest'arie da grandi sacerdoti, nell'ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull'Altare dell'Arte! Noi entriamo nei dominii sconfinati della libera intuizione. Dopo il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà!
LE RIVISTE – “LA VOCE” (1908-1914) Fondata da Giuseppe Prezzolini, nasce a Firenze come luogo di dibattito e approfondimento civile e politico. Per Prezzolini la letteratura ha una funzione etica e civile di conservazione, difesa e trasmissione dei valori e della libertà di pensiero. Vogliono collegare discorso culturale ai problemi politici e sociali La rivista si propone di dare voce alla critica all’estetismo e ad atteggiamenti decadenti propugnando un deciso impegno etico. Essi esprimono la loro modernità rifiutando, in letteratura, il romanzo e la novella e preferendo il frammento, espressione della soggettività.
I vociani Sono alcuni scrittori che collaborano, più o meno intensamente, alla rivista fiorentina. Non c’è una poetica definita, ma solo ipotesi di rinnovamento Letteratura svincolata dalla tradizione accademica: INQUIETUDINI e PROBLEMI dell’uomo contemporaneo VERSO LIBERO: primi esponenti della lirica del Novecento Camillo Sbarbaro, Clemente Rebora, Dino Campana...
LE RIVISTE – “LACERBA” (1913-1915) Fondata da Giovanni Papini e Ardengo Soffici. Organo del Futurismo fiorentino Afferma un modello di intellettuale che presenta tratti polemici e aggressivi sia sul piano politica sia su quello letterario. Per esempio, sono interventisti. Questi atteggiamenti esibizionistici e provocatori sfociano nell’esaltazione della forza come strumento di risoluzione dei conflitti storico-sociali.
LE RIVISTE – SOLARIA ( 1926-1936) In opposizione al frammentismo dei Vociani si trova l’opera della rivista fiorentina Solaria, i cui nomi più eminenti sono quelli di Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale, Elio Vittorini. La rivista promuoverà la narrativa di Svevo e riserva grande spazio alla letteratura europea ( Proust, Joyce, Woolf, Kafka, Mann)