DIFFERENZA TRA CATECHESI NARRATIVA E MORAL-DOTTRINALE
Normalmente i testi sacri sono in prevalenza normativi e dottrinali : dicono cosa fare e cosa credere. La Bibbia, invece, ha per lo più testi narrativi. I Vangeli, a loro volta, raccontano soprattutto dei fatti. I fatti non sono da fare: sono già fatti. Neppure da credere: sono fatti, non promesse. Sono invece da osservare e contemplare. Il loro racconto ricambia più di ogni dottrina e norma La dottrina è da credere,la norma da fare, il racconto da ascoltare. Da quanto esso produce il lui, il lettore sa cosa pensare, cosa fare e come agire. Dottrina e norma vengono solo dall’esperienza di quanto è raccontato. I testi dottrinali e normativi hanno la loro utilità. Ma, se non scaturiscono da narrazioni di fatti e non si misurano con la narrazione di ciò che producono, sono sterili, anzi nocivi.
I catechismi non sono ispirati. Sono considerazioni umane su Dio; ma non presentano la realtà di Dio che parla e si comunica raccontandosi nella vicenda comune, sua e dell’uomo … Dio non si può confondere con idee nostre su di lui: è idolatria. Egli, creatore e principio di tutto, si esprime attraverso la creazione e la storia, suo racconto “oggettivo”, e attraverso la risposta che suscita nel cuore dell’uomo, racconto “soggettivo” del nostro rapporto con lui.
Possiamo parlare di Dio solo per “analogia” (cf. Sap 13,5), senza dimenticare che l’analogo ha dell’equivoco. Quanto vediamo di positivo nelle creature, lo possiamo e dobbiamo affermare anche del Creatore; negandone però la limitatezza ed elevandone la grandezza. A ragione dice Cusano che Dio è coincidentia oppositorum. La sua realtà, indicata ma non capita dall’intelligenza, è compresa dall’amore. Non a caso il comando è amare Dio. Solo il cuore “capisce”, perché accoglie ciò che l’intelletto non può cogliere. Il modo migliore per parlare di Dio è quello con il quale si è rivelato: il racconto del suo rapporto con noi e del nostro con lui.
La catechesi è una terapia del cuore: nella terapia psicologica non il sapere concettuale aiuta, ma il rivivere l’esperienza mediante il racconto. Il valore specifico della catechesi biblica rispetto alle altre forme di catechesi è quello del racconto che fa rivivere l’esperienza. I catechismi possono servire per “indottrinare”, ma non per istruire e salvare il popolo di Dio. Ciò che salva è Dio stesso, con i “fatti salvifici”, rivelati e comunicati dal racconto. Le spiegazioni non sono né salvifiche né di fede. È doveroso eliminare quelle fuorvianti e dare quelle illuminanti. Ma la comprensione del racconto è data soprattutto dalla testimonianza viva della comunità: la catechesi è ricordo\racconto della propria esperienza comunicata all’altro.
Ciò che leggo, rilegge dandomi una nuova interpretazione di me. Mentre mi applico al testo, vedo che il testo si applica a me. Il Racconto mi ri-racconta sempre di nuovo in modo più bello e più libero. Mi accorgo che dentro di me, sotto cumuli e strati di menzogne, c’è il volto di Dio: è la mia verità di figlio. La Parola è come il sole. Dissolvendo menzogne e paure, mi fa vedere la mia verità. In questo senso il Vangelo è una logoterapia, nell’accezione precisa del termine. È un antivirus, che mi riconsegna, nella sua integrità, il significato delle parole fondamentali – verità, vita, amore, libertà – che la menzogna aveva stravolto in schiavitù, egoismo e morte. (cf. S. Fausti, Per una lettura laica della bibbia, pp.60-66) VANGELO COME “LOGOTERAPIA”: RACCONTO CHE MI RI-RACCONTA
Per un agire pastorale profetico della Chiesa oggi Nella prassi della comunità cristiana tra le vita di fede e la comunicazione della stessa c’è uno strettissimo rapporto, poiché la prima si esprime nella seconda e questa postula la prima. La fede non si ferma al piano puramente poetico, ma diventa esperienza, racco di sé. Come sostiene A. Binz, raccontare la propria vita spirituale è parte integrante del processo di trasmissione della fede e il raccontare “la propria storia biografica si iscrive nello svolgimento narrativo di una storia di salvezza”. LA PROSPETTIVA PASTORALE NARRATIVA-AUTOBIOGRAFICA
Le comunità cristiane diventano luoghi di relazioni quando raccontano e si raccontano, più che da un punto di vista linguistico-trasmissivo, “sul piano dell’azione, comunità che fanno, cioè, memoria dei “mirabilia Dei” nell’oggi della storia e degli avvenimenti comuni della gente”. La testimonianza come racconto di sé non lascia mai indifferenti coloro che ascoltano e, anche se non sempre produce cambiamento, almeno provoca la pensabilità e la possibilità di cambiare. Ogni racconto di sé è sempre un’interpretazione mediata della vita. LA PROSPETTIVA PASTORALE NARRATIVA-AUTOBIOGRAFICA
Il metodo narrativo-autobiografico, trasferito nella realtà ecclesiale, si chiama mistagogico, inteso come stile orientato a consolidare la propria fede attraverso implicanze autoformative che favoriscono l’apprendere dal proprio vissuto. In questo quadro complessivo, si è delineata una riflessione teologico-pastorale che prospetta per il futuro della prassi ecclesiale e pastorale, sul piano metodologico-abilitativo, la via mistagogico-narrativa. (cf. D. Lucariello in AIC, Pluralità di linguaggi e cammino di fede, pp ) LA PROSPETTIVA PASTORALE NARRATIVA-AUTOBIOGRAFICA