“L’ascensione del Cristo significa anche elevazione per noi, è là dove è giunta in anticipo la gloria del capo, è come un invito alla speranza del corpo: per questo dobbiamo giustamente esultare. Oggi non solo abbiamo ricevuto la conferma di possedere il paradiso, ma siamo penetrati con Cristo nell’altezza dei cieli” (Leone Magno).
Il mistero oggi celebrato è sempre la risurrezione del Signore. L’immagine dell’ascendere al cielo ci immerge nel mistero di Dio: Non ci parla di allontanamento, ma... Di gloria di Dio che si manifesta a noi... E dello Spirito di Dio che ci chiama ad essere suoi collaboratori/testimoni. Gesù garantisce ai suoi discepoli una presenza permanente, anche se in modo diverso...
Nella prima lettura, lo Spirito appare quale protagonista della vita della chiesa. La crescita del regno di Dio è innanzitutto opera sua: egli chiede però la nostra collaborazione. Il Salmo 46 è una testimonianza eccezionale del Dio Altissimo che sale. Su questa realtà irraggiungibile si costruisce il coro delle acclamazioni e la certezza della sua superiorità su tutte le altre divinità. Più piccola è l’entità della comunità che si raduna in preghiera, più grande è l’esaltazione del suo Dio, colui che si china sui poveri e sugli umili.
La seconda lettura ci esorta a conformarci a Cristo, a vivere la fedeltà a Dio nel mondo: La missione ha bisogno di testimoni credibili.
Il vangelo ci comunica il significato fondamentale della festa: L’ascensione ha il compito di riassumere tutto il senso della missione di Gesù. L’essere ‘innalzato’ è la risposta di Dio al suo abbassamento e alla sua umiliazione. È il sì di pienezza di Dio al Figlio che ha assunto la “forma di servo”, “svuotandosi”.
Luca dà inizio al secondo tempo della sua opera. Lo fa con una ripresa di quanto ha raccontato nella prima. L’intervallo ha una durata di 40 giorni e l’ascensione fa da cerniera tra i due tempi: Una “elevazione” chiude il primo, quello della missione di Gesù. Un’altra apre il secondo, quello della missione della chiesa, con una scena di invio, nella prospettiva di coloro che restano. Nello stesso tempo, l’ascensione apre il sipario su un terzo tempo. È il tempo della parusia, del ritorno di colui che è stato visto andare in cielo. I 40 giorni servono a Luca per indicare l’attività di insegnamento del Risorto verso i suoi discepoli. Un insegnamento in vista della missione universale, per mezzo dello Spirito.
“Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi” (v. 9) Luca insiste sull’ASPETTO VISIVO del fatto, inserendo l’episodio nella categoria dei fenomeni visivi, sull’esempio dei racconti di apparizione del Risorto. Anche l’ascensione di Elia insiste sullo sguardo di Eliseo al momento della partenza del suo maestro. Lo sguardo degli apostoli li istituisce TESTIMONI OCULARI, garantendo l’affidabilità che Cristo è stato (d)alla destra di Dio.
Due verbi descrivono il passaggio di Gesù verso il cielo: “EPAIRO” elevare/far salire “UPOLAMBANO” sottrarre/prendere in carico Quest’ultimo verbo qualifica l’azione della NUBE. Nell’AT la nube riveste la doppia funzione di… NASCONDERE/RIVELARE la presenza di Dio. Luca usa questo termine altre due volte nel vangelo (Lc 9,34- 35; 21,27) e dà a tutta la scena un sapore tipicamente apocalittico.
Per questo i due uomini in bianco apostrofano i discepoli, giocando il ruolo di interpreti. La loro apparizione è una copia di quella degli esseri celesti, che, nel sepolcro vuoto, interpellano le donne. La bianchezza delle vesti rinvia al mondo celeste e alla sua santità, al mondo della risurrezione, della vita in pienezza. L’intervento ha lo scopo di distogliere lo sguardo dei discepoli fisso sul cielo. Invece di commentare la partenza di Gesù, la dichiarazione angelica fa dell’ascensione il MODELLO INVERSO della Parusia: si tratta di eliminare un malinteso sul suo ritorno.