1 La sezione d'urto differenziale d  nell'elemento di angolo solido d  è definita come il rapporto tra il numero di particelle deflesse in d  al secondo.

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1 La sezione d'urto differenziale d  nell'elemento di angolo solido d  è definita come il rapporto tra il numero di particelle deflesse in d  al secondo e il numero di particelle incidenti per unità di superficie e per unità di tempo (vale a dire, il flusso di particelle incidenti) per numero di centri diffusori: Si definisce sezione d'urto differenziale per unità di angolo solido Sezione d'urto – definizione sperimentale

2 Supponiamo che il fascio di particelle incidenti abbia una certa sezione S e che il bersaglio sia un foglio di spessore d contenente n B centri diffusori per unità di volume ( [n B ] = 1/ cm 3 ). Sezione d ’ urto sperimentale d

3 LA LUMINOSITÀ CON UN BERSAGLIO FISSO Integrando la formula rispetto all'angolo solido d , otteniamo che il numero totale di particelle diffuse in tutto l ’ angolo solido nell'unità di tempo è: L = luminosità La quantità L è detta luminosità e dipende unicamente dalle caratteristiche del bersaglio (n B = numero di centri diffusori per unità di volume nel bersaglio e d =spessore del bersaglio) e del fascio incidente (  = flusso e S sezione di sovrapposizione fascio-bersaglio oppure solo dal numero di proiettili incidenti sul bersaglio per unità di tempo e dalla densità del bersaglio). Essa ci fornisce il tasso (“rateo”=numero di eventi/sec) di eventi che saranno diffusi in tutti l'angolo solido per unità di tempo, quando la reazione ha una certa sezione d’urto: L = luminosità

4 Bersaglio fisso e fasci interagenti Sia a+b  c+d la reazione in esame. Se la reazione avviene nel Laboratorio sappiamo che: Definiamo riferimento del c.m. quello in cui: In ogni reazione la quantità di moto DEL c.m. si conserva e soltanto l'energia a disposizione NEL centro di massa può essere utilizzata per produrre nuove particelle o eccitare stati interni del sistema. a b c d a b c d

5 Bersaglio fisso e fasci interagenti In ogni sistema di riferimento valgono le relazioni: La quantità M è la massa invariante del sistema. Nel c.m. la massa invariante è pari all’energia totale. Nel Laboratorio Uguagliando le due relazioni L’energia nel cm cresce come la radice quadrata dell’energia della sonda nel riferimento del laboratorio.

6 Per ricavare la sezione d’urto quindi, note le caratteristiche del fascio e del bersaglio e avendo misurato sperimentalmente un certo numero di particelle N/sec nel rivelatore, la sezione d’urto (che è la quantità che desideriamo estrarre) sarà data da: La luminosità è un parametro importante che fornisce una misura della probabilità di incontro (1/sec) per unità di area in un processo di collisione. L’unità di misura è: LA LUMINOSITÀ CON UN BERSAGLIO FISSO

7 Esistono vari modi di esprimere la luminosità a seconda dei parametri che si vogliono mettere in evidenza. 1) Se vogliamo sostituire alla densità dei centri diffusori n B (# di particelle B/cm 3 ) la densità  di massa espressa in g/cm 3, la densità di particelle n B sarà data dal prodotto del numero di Avogadro N AV (che fornisce il numero di particelle contenute in una mole di sostanza) diviso per il peso di una mole (A grammi) e moltiplicato per la densità  della sostanza stessa: Pertanto la luminosità può essere così riespressa:

8 2) Un altro parametro in funzione del quale si può esprimere la luminosità L è la velocità delle particelle incidenti. In un intervallo di tempo infinitesimo dt, le particelle incidenti percorrono un tragitto dx = v A · dt e sono contenute in un volumetto dV di sezione S: S dx = v A · dt dV Partiamo dall' espressione per  ·S e moltiplicandola e dividendola per dV otteniamo: dV= S· dx = S · v A · dt Pertanto la luminosità può essere così riespressa:

9 3) Se N A,bunch è il numero di particelle contenuto in un “bunch” (pacchetto) che ruota ad una frequenza f in un anello di accumulazione, il numero di particelle al secondo sarà dato da: Pertanto la luminosità può essere così riespressa: Oppure la luminosità può essere così riespressa:

10 4) Tra i parametri che può essere interessante far comparire nell'espressione di L vi è anche la corrente I del fascio nell'acceleratore o, meglio, la carica Q totale delle particelle misurata nei rivelatori di carica. Partiamo sempre dalla formula per  ·S che possiamo così riesprimere, essendo la corrente la quantità di carica per unità di tempo: Pertanto la luminosità, può essere così riespressa: Se Q è la carica accumulata durante tutto un periodo  t, la luminosità moltiplicata per l'intervallo di tempo sarà data da: Il prodotto L ·  t (come vedremo tra poco) è chiamato "luminosità integrata" e si misura in: a seconda dell'ordine di grandezza delle sezioni d'urto che si vogliono misurare.

11 Esempio Su un bersaglio di H 2 di lunghezza 15 cm, viene condotto un esperimento di diffusione di elettroni. Nel corso di tutto un certo periodo la quantità di carica delle particelle incidenti misurata è di: Q = C (N.B. q e = C) d = 15 cm N AV = 6.022·10 23 (numero di molecole di H 2 in una mole di H 2 che pesa 2g) Peso A di 1 mole di H 2 = 2 g  H2 = g/cm3 l' unità di misura si legge anche "picobarn inversi"

12 LA LUMINOSITÀ INTEGRATA Per luminosità integrata di un esperimento si intende l’integrale della luminosità nel tempo di durata dell’esperimento: Avendo un'idea dell’ordine di grandezza della sezione d’urto della reazione in studio e conoscendo la luminosità (che è fissata dai parametri dell'acceleratore e del bersaglio, come abbiamo visto), si può stabilire per quanto tempo sia necessario prendere dati (supponendo idealmente che l'efficienza del rivelatore sia 100%) allo scopo di accumulare un certo numero di eventi per quella reazione: o, al contrario, dalla luminosità integrata e dall'ordine di grandezza della sezione d'urto da misurare si può ricavare il numero di eventi che ci si attende di raccogliere:

13 LA LUMINOSITÀ CON FASCI COLLIDENTI In modo analogo a quanto fatto per un esperimento a bersaglio fisso, possiamo definire la luminosità di un esperimento a fasci collidenti che ruotano in un anello e quindi collidono in un punto di intersezione. Se N A,bunch e N B,bunch sono il numero di particelle contenute in ciascun bunch dei due fasci collidenti, f è la frequenza di collisione e S è l’area della sezione di sovrapposizione tra i due fasci, la luminosità sarà data da: Se n bunch è il numero di pacchetti nell’anello, R è il raggio di tale anello e v è la velocità dei pacchetti, la frequenza di collisione f sarà data da: Se  x e  y sono le dimensioni trasverse dei fasci (supposti gaussiani), l’area S sarà data da:

14 La Spettroscopia Adronica Nella classificazione degli adroni distinguiamo tra particelle stabili per interazione forte   s risonanze  = s Le particelle stabili possono tuttavia decadere per: interazione elettromagnetica   s interazione debole   s Es:  0  (   s)  p  - n  0 (   2, s) Massa dei barioni stabili Massa (MeV)  (s) Np years n     cc , Massa dei mesoni stabili Massa (MeV)  (s) 0  139, kk 493,71, k0k0 497,7 complicato  548,86, D0D , DD 18699, BB 52711, B0B ,

15 Formazione di Risonanze e Processi di Diffusione Facendo incidere un fascio di mesoni (  o k ) su nuclei o più semplicemente protoni (nuclei di idrogeno) è possibile “eccitare” le risonanze barioniche. Il processo delle collisioni è descritto in termini di sezione d’urto. Formalismo in onde Parziali Teoricamente la diffusione di due particelle di masse m 1 ed m 2 si descrive: Assumiamo che il potenziale di interazione sia statico: V=V(r) L’equazione di Shroedinger è separabile:

16 Formalismo in onde Parziali E = E r +E R E R è l’energia associata al moto del c.m. E r è l’energia associata al moto nel c.m.  disponibile per l’eccitazione o la produzione di nuove particelle a. V(r) a corto range nel limite r 

17 Formalismo in onde Parziali b. le particelle incidenti formano un fascio monocromatico stato iniziale è un’onda piana c. Dopo la collisione a grandi distanze Asintoticamente l’onda uscente è data dalla sovrapposizione dell’onda piana entrante e di un’onda sferica prodotta dal centro diffusore.  e  sono gli angoli polare ed azimutale che definiscono la direzione del vettore in coordinate sferiche L’onda sferica ha un’ampiezza  dipendenza angolare garantisce che il flusso su di una sfera di raggio r sia indipendente da r

18 Sezione d’urto ed ampiezza di diffusione Flusso uscente per unità di angolo solido Flusso entrante Flusso = numero di particelle per unità di superficie e di tempo Il flusso incidente si ottiene dalla densità di corrente di probabilità Sostituendo per l’onda piana entrante: Si ottiene Il flusso uscente per unità di angolo solido si ottiene dalla relazione: sostituendo

19 Sezione d’urto ed ampiezza di diffusione Si ottiene Sostituendo: Osserviamo inoltre che l’onda diffusa è data dalla relazione: ampiezza di diffusione