La stampa La recente invenzione della stampa ha dato grande diffusione alle teorie di Bembo e, insieme alle teorie, vi è la diffusione della norma grammaticale e il canone tipografico (corsivo, accenti, apostrofi, punteggiatura) inseriti proprio dall’autore. Dal 1525, anno in cui vengono pubblicate le Prose della volgar lingua, hanno diffusione in Italia e all’estero grammatiche, dizionari e lessici della lingua
Il fiorentino letterario del Trecento diventa il modello di riferimento e d’imitazione per tutti gli intellettuali. Le opere degli autori sono sottoposte a una rvisione linguistica secondo ciò che era stato stabilito da Bembo. Ad esempio, l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto ebbe varie edizioni: -la prima nel 1516 ricca di forme “settentrionali” (padano illustre); la seconda nel 1521 in cui vengono attenuate; la terza nel 1532 in cui rota e scola diventano “ruota” e “scuola”, vene e tepide diventano “viene” e “tiepide”, exempio diventa “esempio”, andavo e potevo sono sostituiti da “andava” e “poteva”
Grazie alla stampa, si arriva ad una lingua letteraria unitaria in cui si dà importanza alla grammatica. Nasce la letteratura dialettale poiché i dialetti diventano completamente autonomi e gli scrittori che scelgono, di non seguire le norme stabilite da Bembo, cercano un modo per esprimersi.
Seicento Firenze è di nuovo al centro della storia linguistica italiana: 1) l’Accademia della Crusca (che “frena” lo sviluppo naturale della lingua) 2) nasce una prosa scientifica volgare con Galileo Galilei (la lingua scritta deve diventare “più moderna”)
ACCADEMIA DELLA CRUSCA La data della fondazione è del 1582 ma importa molto di più la trasformazione avvenuta quando, Lorenzo Salviati, venne ammesso nel Un’accademia costituita da un gruppo di giovani prima chiamati “crusconi” cioè quelli che facevano “cruscate” (o anche “pappolate”, “pastocchiate”, “favate”) discorsi a vanvera, e che con lui assunsero il nome di “Accademici della Crusca.”
Fu Salviati che interpretò in un altro senso il nome di crusca «quasi per dire che l’Accademia doveva procedere a una scelta fra il buono e il cattivo». I primi anni sono dominati dall’attività dell’Infarinato (Salviati) che nell’Accademia trasfuse non solo le sue opinioni sulla lingua (priorità del fiorentino trecentesco), ma anche l’idea di un’opera a cui si era dedicato e che non potè terminare a causa della morte che lo colse nel 1589 L’obiettivo era di creare uno strumento per diffondere le teorie di Bembo: un vocabolario in cui raccogliere tutte le parole e i modi di dire presenti in opere precedenti al 1400, che doveva contenere tutte le voci “accettabili”, le voci non inserite venivano considerate “inaccettabili”.
Il 6 marzo 1591 si discusse all’Accademia «del modo di fare un vocabolario» e si assegnarono agli accademici i primi spogli da fare. Nel 1592 si erano messe insieme circa 1300 voci per la lettera A. Nel 1597 si discutevano ancora numerosi quesiti tecnici («se nelle parole dell’uso si debba citare l’autorità de’ moderni»); intanto si era diffusa l’aspettativa per il vocabolario.
Nel 1612 esce a Venezia il primo volume del Vocabolario degli Accademici della Crusca questo vocabolario accoglie Petrarca, Boccaccio ma anche Dante, insieme a tutti gli altri autori che hanno scritto in fiorentino prima del '400; degli autori toscani sono accolte alcune parole più belle e significative; degli autori “moderni” sono accolti solo alcuni come Lorenzo de'Medici, Poliziano, Machiavelli; vengono accolte poche voci del fiorentino dell'uso “vivo”; Ha numerose edizioni, la seconda è del 1623 e ha un grande successo internazionale, diventando anche il riferimento per molti vocabolari delle lingue moderne d'Europa.
Le voci inserite nel vocabolario verranno, a poco a poco, aggiunte ma non verranno inserite vosi “dell'uso”, voci della scienza, voci di arti e mestieri. Per tutto il secolo, il Vocabolario è uno strumento utile per il rafforzamento della lingua letteraria e trecentesca. Ovviamente, non tutti gli scrittori rispetteranno le norme stabilite dalla Crusca, molti, infatti, crederanno che i “moderni” sono migliori degli “antichi”; la poesia non rispetterà quanto stabilito dalla Crusca: verranno accolte molto voci d'uso contemporaneo e moderno e anche da lingue straniere (francese e spagnolo) anche dai dialetti; uso di uno stile molto lontano da Petrarca
GALILEO GALILEI Questo scienziato preferisce il volgare al latino e usa spesso la lingua parlata. Nella sua opera maggiore “Il saggiatore”, un dialogo che si svolge tra lui e un suo avversario usa il latino nelle parti che riguardano il suo avversario e l'italiano per quel che riguarda la sua parte quindi avviene un dialogo-contrasto fra due lingue che corrisponde così a quello che riguarda la visione più tradizionale della scienza (scritta in latino) e quella più moderna (che usa il toscano).
Usa un lessico più specifico, scientifico per mezzo di termini, che non erano stati utilizzati nella comunicazioni tra uomini colti, che prende dal volgare. La prosa che risulta da queste scelte linguistiche è precisa e si rivolge ad un pubblico laico a differenza di quella tradizionale che utilizzava termini generici e si rivolgeva ad un pubblico di chierici.
Settecento - si organizzano le scuole in cui viene insegnato l'italiano -si diffondono i giornali e le gazzette che danno un grande contributo alla diffusione della lingua
-Il Settecento fu un secolo decisivo per le sorti della lingua italiana, investita dalle grandi innovazioni culturali del periodo; -da lingua prevalentemente letteraria e scritta a strumento di comunicazione nazionale più ampio e articolato: l’italiano si sostituisce al latino nella cultura, nelle scienze, negli usi giuridico-legali; si consolida negli usi pratici e amministrativi e si diffonde nell’uso parlato, dove si sovrappone e mescola ai dialetti, generando quelle forme ibride che preludono agli odierni italiani regionali.
-diventa più forte il rapporto dell'italiano con le altre culture e lingue straniere, in particolare con la lingua francese; -il francese è una lingua che ha un prestigio di carattere internazionale, molti intellettuali viaggiano o vivono stabilmente all'estero; -l'italiano del Settecento si arricchisce di parole, espressioni e costrutti francesi
-questi aspetti culturali spingono la lingua in direzioni diverse da quelle verso le quali era stata spinta da Bembo e dalla Crusca: non più imitazione dei classici ma chiarezza e precisione sia nel lessico che nella sintassi; -la distinzione sarà tra: 1) la lingua dei letterati (ricca di preziosismi formali), 2) la lingua scientifica (precisione e chiarezza), 3) la lingua di tutti i giorni (il parlato)
UN SECOLO DI RINNOVAMENTO Questo secolo sarà caratterizzato anche dal grande dibattito teorico sulla lingua. Fin dall’inizio del ‘700 erano state riproposte le posizioni che riguardavano il primato di Firenze e della lingua toscana dato anche dall’attività svolta dall’Accademia della Crusca. Dopo la pubblicazione della quarta edizione del Vocabolario ( ), vi furono delle reazioni polemiche, di carattere illuministico, nei confronti di una tradizione linguistica ormai sentita come un peso insopportabile.
Importante è la posizione che, alla fine del secolo, espresse Melchiorre Cesarotti nella sua opera Saggio sulla filosofia delle lingue (I ed con il titolo Saggio sulla lingua italiana; II ed. 1788; ed. definitiva 1800). La sua opera inizia con alcune teorie: - tutte le lingue nascono e derivano; all’inizio sono “barbare” ma tutte servono ugualmente bene all’uso della nazione che le parla; - nessuna lingua è pura: tutte nascono dalla composizione di elementi vari; - tutte le lingue nascono da una composizione casuale; - ogni lingua vive e si sviluppa tramite coloro che la parlano;
- nessuna lingua è perfetta ma tutte possono migliorare; - nessuna lingua è tanto ricca da non aver bisogno di ulteriori ricchezze; - nessuna lingua è inalterabile (strutture gramm./lessico); - nessuna lingua è parlata in tutta la nazione in maniera uguale. Cesarotti indica una norma “illuminata” che si oppone a quella della Crusca: non vuole una lingua che sia libera dalle regole ma riconosce il valore dell’uso. Gli scrittori non devono usare una lingua che non esiste più ma devono essere liberi d’inserire nuovi termini o di arricchire il significato dei vecchi. Valorizza i dialetti italiani, come possibili fonti di parole, e ammette anche l’uso delle parole straniere. Per le parole latine e greche crede che il loro uso dovrebbe diminuire nella lingua scientifica.
sonnifero/narcotico erano entrambe parole diffuse nell’italiano del linguaggio farmaceutico fin dal ‘500 ma, nel linguaggio comune, era più diffuso il primo; accidente/sintoma sìmptoma in greco significa ‘accidente’ ma questo termine è registrato nel linguaggio medico già dalla seconda metà del ‘500, solo nell’Ottocento sintomo e sintomatico sono entrati nel linguaggio comune; elettricità termine nuovo (neologismo) ricalcato dal francese e usato anche al di là del suo significato scientifico “elettrizzare gli animi”. Per Cesarotti, dunque, i forestierismi (parole straniere) e i neologismi possono produrre nella nostra lingua nuove derivazioni linguistiche.
Nella seconda metà del Settecento vi sarà una netta separazione tra gli intellettuali illuministi: -i collaboratori della rivista “Il Caffè” attorno alla quale si radunavano, prevalentemente, i lombardi (Verri, Beccaria, Cesarotti), che si opponevano alla tradizione e difendevano l'ingresso delle parole francesi -Carlo Gozzi, veneziano, anti-illuminista, che rifiuta fortemente il francese, verso il recupero della tradizione aristocratica.
In questo periodo, in letteratura, si ha il “caso Goldoni” che propone una soluzione linguistica che non era mai stata data al problema della lingua: non userà né la lingua né il dialetto cioè quando scriverà in lingua adopererà un italiano ricco di forme del parlato e quando scriverà in dialetto userà un linguaggio “superdialettale” (veneziano con forme integrate da dialetti settentrionali)
Il dialetto usato nella rappresentazione teatrale delle sue commedie non costituisce un problema ma, nel momento in cui questa lingua usata dev’essere scritta è necessario che essa venga spiegata con qualche nota: «Quanto alla lingua ho creduto di non dover farmi scrupolo d’usar molte frasi, e voci Lombarde, giacchè ad intelligenza anche della plebe più bassa, che vi concorre (al teatro) principalmente nelle Lombarde Città dovevano rappresentarsi le mie commedie. Ad alcuni vernacoli Veneziani, ed a quelle di esse (commedie) che ho scritte apposta per Venezia mia Patria, sarò in necessità di aggiungere qualche notarella per far sentire le grazie di quel vezzoso dialetto a chi non ha tutta la pratica» Al dialetto veneziano vengono aggiunte delle chiose per far capire anche ai non veneti certe particolarità che andrebbero perdute. Careghe “sedie”, cagadonào “disgraziato, barba “zio”, ecc.
Mancava ancora un vero italiano della conversazione, e l’esigenza di voler simulare il parlato portò Goldoni ad usare una lingua che risultasse ricca di venetismi, lombardismi, e francesismi accanto a modi colloquiali toscani. «i miei libri non sono testi di lingua […] io non sono accademico della Crusca, ma un poeta comico che ha scritto per essere inteso in Toscana, in Lombardia, in Venezia principalmente (…) tutto il mondo può capire quell’italiano stile di cui mi ho servito essendo la Commedia una imitazione delle persone che parlano, più di quelle che scrivono, mi sono servito dl linguaggio più comune, rispetto all’universale italiano».
OTTOCENTO In questo periodo il ruolo prestigioso del francese è sempre maggiore, entrano, in italiano, termini come: burocrazia, importazione, esportazione, cittadino, democrazia, toilette, pasticceria, ragù. Napoleone, divenuto re d'Italia nel 1805, proporrà una politica linguistica che avrà al centro il toscano, il migliore dei dialetti italiani, e stabilisce che in tutti gli atti pubblici e privati il toscano potrà essere usato accanto al francese.
I puristi rifiutano prestiti da ogni lingua, in particolare da quella francese: -Padre Antonio Cesàri proporrà di ritornare a prendere come modello gli scrittori del Trecento che «parlavano e scrivevano bene»; -Basilio Puoti affianca al modello del Trecento quello del Cinquecento.
MANZONI Ricerca una lingua che sia accessibile ad una grande parte della popolazione ed elaborata in modo da poter trattare argomenti di ampio interesse Tre edizioni del romanzo Fermo e Lucia (1823), Promessi Sposi (1827) e (1840), nell'ultima decide di rivedere linguisticamente il romanzo usando la lingua dell'uso vivo di Firenze e per fare questo: -abbandona le forme arcaiche e letterarie -abbandona le forme dialettali -sceglie le forme colloquiali del fiorentino colto.
Manzoni s'impegnò per realizzare il suo progetto di un'IItalia che fosse unita anche linguisticamente, in cui il fiorentino fosse la lingua sia scritta che parlata; Nei primi anni dell'Unità d'Italia, Manzoni propose una serie di provvedimenti per diffondere in Italia «la buona lingua e la buona pronunzia»: -un vocabolario del linguaggio fiorentino vivente, -vocabolari in dialetto (dal dialetto all'italiano), -maestri toscani per diffondere l'italiano e non toscani ad impararlo.
La proposta manzoniana non ebbe molto successo e questo fatto venne spiegato da un linguista, Ascoli, che riteneva che la società non si può trasformare partendo dalla lingua ma, al contrario, si sarebbe arrivati all'unificazione e alla diffusione della lingua con la trasformazione della società. Una lingua unitaria si potrà avere solo quando ci sarà una vita della Nazione fatta scambi, aperta al progresso scientifico.
Nella scuola italiana non hanno avuto fortuna né la teoria di Manzoni né quella di Ascoli (diffusione delle lingua nel rispetto delle culture locali) quello che rimase della dottrina di Manzoni fu il “manzonismo” (aspetto peggiore della teoria manzoniana) -forte uso del fiorentino (“fiorentinismo esasperato”) -lotta verso i dialetti
Elementi che portarono all'unificazione linguistica Tra la seconda metà dell'Ottocento e gli inizi del Novecento ci fuorno alcuni eventi storici molto importanti: -emigrazione (italiana all'estero e dalle regione meridionali alle settentrionali, isolamento dato dalla mancanza di cultura) -urbanesimo (passaggio dalle campagne alle città)
Altri fattori... -diffusione della stampa -la burocrazia (documenti in italiano) e l'esercito (leva obbligatoria) -la scuola (scuola media obbligatoria nel 1963 e riforma didattico-pedagogica negli anni Settanta “scuola per tutti”) -il cinema, la radio e la tv