Il racconto di Laura. Io,mio fratello maggiore Gino,mia sorella minore Lucia,mia madre Maria e mio padre Franco ci rendemmo conto che in Italia non.

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Transcript della presentazione:

Il racconto di Laura

Io,mio fratello maggiore Gino,mia sorella minore Lucia,mia madre Maria e mio padre Franco ci rendemmo conto che in Italia non si viveva più bene,allora decidemmo di partire per trovare fortuna nell’America del sud,in Venezuela. Lavorammo duro per mesi,per guadagnarci il denaro necessario per poter pagare il viaggio. Il lavoro diede i suoi frutti e il 28 aprile del 1924 riuscimmo ad imbarcarci..

Partimmo dal porto di Genova alle per il lungo viaggio verso l’America..c’era così tanta gente che voleva salire che nell’attesa di imbarcarci sulla nave la folla,spingendo,ti soffocava. I benestanti li fecero salire per primi su nelle loro cabine lussuose,mentre noi,povera gente ci cacciarono a ridosso delle stive.

Io,mia madre e Lucia dormivamo nel letto di sotto mentre mio padre e Gino nel letto di sopra. La piccola stanza era molto affollata: adulti,bambini,neonati e anziani tutti ammassati e con lo stesso desiderio. I benestanti invece se la passavano meglio: feste, banchetti, cabine private e ogni comodità.

Giorno dopo giorno la situazione peggiorava e l’unica cosa che non cambiava mai era la monotonia delle giornate tutte uguali. Ci svegliavamo al mattino molto presto. Non avevamo la possibilità di lavarci e l’ambiente circostante iniziava a puzzare veramente.

le persone di prima classe,soprattutto di sera, con feste si facevano sentire rumorosi,e noi dalle stive sentivamo leggeri brusii di gente che rideva,urlava e festeggiava.Persone con pasti caldi ogni giorno,con una stanza privata e feste tutte le sere.In quei momenti l’invidia e la tristezza si facevano sentire,e noi non potevamo farci niente.

I giorni passavano e le persone iniziavano ad ammalarsi,e nei casi peggiori morire. Noi,come tutte le persone nelle stive,per questo motivo,iniziavano ad avere paura;tutti nello stessi posto,chiuso,dove quando una persona si ammalava,succedeva lo stesso alle persone vicine.

In un giorno come gli altri,Lucia iniziava a dare i primi segni di malattia. Il suo pancino iniziava a gonfiarsi,come quando non si mangia in modo regolare. Si continuava a lamentare per i dolori allo stomaco. Poco dopo capimmo che si trattava di influenza intestinale incurabile all’epoca. Le pessime condizioni igieniche non aiutavano,e dopo pochi giorni la piccola Lucia ci abbandonò. Indescrivibile il dolore di tutta la famiglia.

L’INIZIO DI UN INCUBO

Le disgrazie non erano ancora finite.Una settimana circa dopo la morte della piccola Lucia,a largo delle coste dell’isola di Martinica, nelle acque venezuelane,iniziò a cambiare l’atmosfera. -pum!- un piccolo boato si fece sentire nel silenzio del cuore della notte. Tutta la stiva si svegliò di colpo per il tonfo,tutti a domandarsi cosa fosse successo.

Alcuni presero la situazione sotto gamba e molti tornarono a dormire, ma non io. Non riuscivo ad addormentarmi. Dopo poco tempo sentii altri rumori,mi sedetti di colpo sul letto e vidi due operai della stiva di fianco correre agitati verso le sentine. Svegliai mio padre e mi disse di rimanere a letto,e di aspettare che lui tornasse. Ma io ingenua lo seguii.

Vedemmo i due operai risalire dalle sentine attraverso le scale con i pantaloni bagnati fino alle ginocchia. Ci spiegarono che avevamo urtato il fondale basso,ma ci dissero di tacere per non creare scompiglio e che tutto si sarebbe risolto.

Gli operai salirono al piano di sopra,probabilmente per avvertire il comandante della nave(il signor Ughi). Mia madre notando la nostra assenza chiese spiegazioni a mio padre,e glielo dovette spiegare.

LA NOTTE FATALE

Eravamo nel letto ormai tutti turbati quando sentimmo il gridare degli operai che cercavano di svegliarci dicendo di salire sul pontile principale. Scesi dal letto e sentii le caviglie immerse nell’acqua marina. Alzai il cuscino,presi una cosa a me cara e me la misi sotto l’ascella coperta dalla camicia da notte.

Gino mi prese per mano e tutti ammassati cercammo di salire in alto tra gli spintoni della folla. C’era tanto baccano e mentre eravamo già oltre la metà della scalinata, la stiva si era già quasi riempita completamente d’acqua. Tra valige,coperte e vestiti galleggianti vidi anche delle persone che stavano per affogare e disperatamente chiedevano aiuto,ma non potevamo fare niente per salvarli.

Arrivammo in cima alle scale,quasi sul ponte. Si intravidero i membri dell’equipaggio dare,prima ai ricchi, giubbotti di salvataggio ma non ce n’erano abbastanza per tutti noi. La nave barcollava lentamente fino a quando non si inclinò totalmente verso destra. Le onde arrivavano fino al ponte principale mentre i piani inferiori erano totalmente allagati.

Molti disperati si buttarono in acqua,mentre i più sfortunati vennero rapiti dalle gigantesche onde. Questa brutta fine toccò anche a mia madre. Un’onda ci prese in pieno ma lei essendo sul bordo della nave si sbilanciò fuori e la ringhiera non servì a nulla. Mio padre,nel tentativo di salvarla,cadde insieme a lei. Le onde ci portarono via l’unica cosa bella che ci rimaneva. Quella fu l’ultima volta che li vedemmo.

I ricchi intanto salirono sulle scialuppe traballanti e io e mio fratello riuscimmo ad intrufolarci in una di essa. La scialuppa era talmente carica che non riusciva ad andare avanti,ma riuscimmo ad andare abbastanza lontani per non essere risucchiati dallo sprofondamento della nave che ci doveva portare fortuna in America..