ALTERNANZA SCUOLA –LAVORO classe 3FS Attività di preparazione alla visita didattica alle cave di marmo di Carrara e ad una fabbrica per osservare e seguire direttamente il processo lavorativo. “Il percorso di Michelangelo Buonarroti alle cave di marmo di Pietrasanta e Carrara” prof. Claudio Puccetti
Michelangelo Buonarroti e le cave di marmo di Pietrasanta e Carrara
Durante il periodo mediceo, la nascente industria del marmo in Versilia ebbe un forte incremento. Un concreto sviluppo prese avvio a seguito del lodo del 1513 di papa Leone X, che restituì ai fiorentini il territorio di Pietrasanta. L'atto rappresentò un momento fondamentale per l'economia della Versilia, anche per la decisione di Leone X di far utilizzare, per la realizzazione della facciata della chiesa di S. Lorenzo, i marmi estratti dalle cave di Seravezza e Cappella. Ritratto di Leone X Michelangelo Buonarroti, incaricato della realizzazione del progetto della chiesa di S. Lorenzo, e del lavoro di estrazione dei marmi necessari dai monti della Versilia, si vide costretto ad interrompere l'antica dipendenza da Carrara, dove l'esperienza delle maestranze rendeva più agevole l'approvigionamento. Il 15 marzo 1518 Michelangelo è a Pietrasanta, dove ai rogiti del notaio Giovanni di Paolo Badessi, stipula un contratto con otto scalpellini di Settignano e con Bastiano di Angelo di Benedetto, detto Angelotto, di Azzano, cavatore, per la fornitura di "...tutte ed ogni qualità di marmi che vanno nelle facciate della detta chiesa de Santo Lorenzo de Florentia...". MICHELANGELO BUONARROTI SULLE CAVE DEL MONTE ALTISSIMO
Quella superba montagna che si vede dal litorale marino, Forte dei Marmi, è il Monte Altissimo. Un’enorme cattedrale tutta di marmo bianco, arabescato e statuario. Siamo nel Comune di Seravezza, nella provincia di Lucca. Nel 1505, Michelangelo seguiva l’escavazione dei marmi nelle cave di Carrara. In quegli anni, erano in piena attività. Con la salita al trono di Giovanni de’ Medici, il quale prese il nome di Papa Leone X, venne indetto un concorso per la sistemazione della facciata di San Lorenzo in Firenze. Michelangelo vi partecipò e vinse. Nel 1513, Il Pontefice, per porre fine alle contese fra Lucca, Genova e Firenze, assegnò definitivamente il possesso delle terre al Capitanato di Pietrasanta. I confini vennero rettificati e vi partecipò lo scultore fiorentino Donato Benti. E’ ovvio che i Medici, intendevano cavar marmi dai propri territori penalizzando ovviamente Carrara. Vi era insomma, la precisa volontà di avviare una nuova attività economica del Capitanato di Pietrasanta. Mentre le cave di Carrara, consentivano all’Artista un facile accesso, quelle dei monti di Seravezza presentavano delle ardue difficoltà.
Lo stesso Michelangelo, faceva presente i problemi che si sarebbero presentati per l’apertura di agri marmiferi versiliesi, e sosteneva l’escavazione di Carrara. Ma il Vasari, della corrente Medicea, scriveva che: – all’altezza del più alto monte, chiamato Altissimo, vi erano marmi della stessa bontà e bellezza di quelli di Carrara.(…)- Vi furono un’infinità di lettere del Maestro, il quale, però, fu costretto ad osservare la volontà dei Medici. Il 2 febbraio 1518, il Cardinale Giulio dei Medici, che sarà il futuro Clemente VII scriveva: – (…) che si piglino i marmi del Capitanato e non altri, per le opere che si ha da fare: Santo Pietro, Santa Reparata, e per la facciata di Santo Lorenzo (…) Così, Michelangelo decise di rispettare il contratto stipulato il 19 marzo 1518, per le opere sopra citate per un prezzo di ducati “d’oro in oro larghi”: Davanti al notaio Giovanni Paolo Badesi, il 15 marzo dello stesso anno, viene firmato il contratto assieme a otto scalpellini di Settignano e Angelo di Benedetto detto Angelotto, cavatore di Azzano.
Sulla presenza e la vita di Michelangelo a Carrara, testimoniato da documenti di noti autori (Vasari, Condivi ) e da un documento conservato nell’Archivio di Stato di Lucca, si può affermare che Michelangelo venne per la prima volta a Carrara intorno al 1496 a scegliere i marmi per eseguire la celeberrima Pietà. Notizia certa della successiva venuta dello scultore in città, nel 1505, è contenuta direttamente in una lettera scritta da Michelangelo subito dopo che Papa Giulio II gli aveva assegnato il gravoso compito di scolpire il gruppo di statue per quello che avrebbe dovuto essere il suo «Deposito». La lettera dice testualmente: «... poiché il primo anno d’Julio, che m’allogò la sepoltura, stetti otto mesi a Carrara a lavorare i marmi». Fra quest’anno e il 1521, quando lo scultore annota ancora, di suo pugno, nel libro dei ricordi: «E adì nove di detto, ebbi da Domenico Boninsegni ducati duecento per andare a Carrara per detti marmi del Cardinale», le visite ed i soggiorni di Michelangelo a Carrara sono numerosi: atti notarili, lettere e citazioni varie documentano che egli, oltre a stringere relazioni d’affari non sempre andate a buon fine, aveva affittato una casa, in piazza del Duomo. MICHELANGELO BUONARROTI A CARRARA
Un’altra concreta notizia circa la presenza di Michelangelo in Carrara nel 1525 viene considerata l’iscrizione incisa sul noto bassorilievo dei Fantiscritti dove, fra le tante firme, si legge anche quella del Buonarroti sotto tale data. Dalle sue esperienze carraresi il grande artista, oltreché occasione per lettere spesso drammatiche (in alcune di esse si legge la descrizione di tragici incidenti sul lavoro) trasse certamente spunti ed ispirazione per le sue opere, comprese quelle poetiche: le poesie in cui parla del marmo, dei concetti in esso circoscritti e offerti all’ingegno dello scultore, che deve solo cavarli eliminando il superfluo, danno, come ha scritto un grande critico, la sensazione d’essere state composte grazie ad una diretta, lunga e sofferta «pratica delle cave».
Bassorilievo scolpito direttamente sulla parete di una cava lunense di epoca romana nel bacino di Canal Grande raffigurante Ercole, Bacco e Giove come rappresentazione divina di Settimio Severo e dei suoi figli Caracalla e Geta. L'edicola datata tra il 203 ed il 212 d.c fu staccata dalla sua sede nel 1864 ed ora è custodita presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara. Il nome stesso di Fantiscritti deriva dal bassorilievo al quale si era accumulato un groviglio di “scritte”, nomi e date incisi dai visitatori, alcuni dei quali illustri come Michelangelo, il Gianbologna ed il Canova. I cavatori che ogni giorno lavoravano in questa valle non conoscendo né la storia romana né la mitologia greca hanno interpretato le figure come dei bambini. Nel dialetto del luogo i bambini sono chiamati “Fanti” e da ciò è stato attribuito alla vallata il nome di “Fantiscritti”. Bassorilievo dei Fantiscritti
Nei tre anni di permanenza in Versilia, dal 1518 al 1520, Michelangelo aprì il tratto di strada che da Seravezza conduce al caricatoio dei marmi ai piedi delle cave di Trambiserra e Cappella, sistemò ed allungò il tracciato lungo il fiume da Seravezza a Corvaia, e da qui a Querceta, quindi condusse un nuovo tratto fino alla marina, dove i marmi venivano imbarcati sui navicelli. Potenziò quindi l'escavazione nelle cave già attive di Ceragiola, e l'avviò in concreto in quelle di Trambiserra e Cappella. Nel 1520, con "breve" di Leone X del 15 marzo, il contratto per la costruzione della facciata della chiesa di S. Lorenzo venne rescisso, ed i motivi per cui si interrompe l'attività di Michelangelo a Seravezza non appaiono ben definiti, anche se riferibili con buona approssimazione alla crescente irritazione dell'artista che vedeva trascorrere gli anni della sua maturità in occupazioni tutt'altro che creative. Con la morte di Leone X, avvenuta nel 1522, il lavoro per la facciata della chiesa di S. Lorenzo venne sospeso; le cave di Trambiserra e della Cappella, ancora di proprietà dell' Opera di Santa Maria del Fiore, furono assegnate in concessione a privati. OPERE INTRAPRESE DA MICHELANGELO
Con il consolidamento del potere di Cosimo I Medici, un nuovo impulso venne offerto all'industria estrattiva locale. Si volle allora accedere ai giacimenti marmiferi del monte Altissimo, già scoperti da Michelangelo, prolungando la strada lungo la valle del Serra, fino ai piedi di quella montagna. Ma la strada non arrivava ancora fin sulle cave. Ci volle, quarant'anni dopo, l'intervento di Cosimo I° De' Medici, che la fece prolungare ancora di due miglia. La strada però era stretta e malconcia, e spesso carri e barrocci rotolavano nel fiume, portandosi dietro gli animali legati al traino. I buoi furono molto importanti nell'economia marmifera versiliese e apuana, almeno fino all'inizio di questo secolo. Infatti erano l'unico metodo di trazione per quei carichi pesanti, fino a quando non apparvero le "ciabattone", le prime locomotive a vapore, e successivamente venne costruita una linea di trasporto su rotaie che scendeva dalle Alpi Apuane al mare. Nel 1911 la Provincia di Lucca diede in concessione ad una compagnia inglese, la Carrara and Versilia Railway and Power Limited, la costruzione e la gestione di una tranvia per i vari centri marmiferi. Il primo tronco fu ultimato nel 1914 e collegava Seravezza, con una derivazione per le cave di "Trambiserra" con Querceta e Forte dei Marmi.
Ai tempi di Michelangelo per portare a valle i blocchi di marmo c'era soprattutto un modo: farli rotolare giù, senza alcun controllo, su di un "letto" di detriti. Questo rudimentale metodo di trasporto, che si chiamava "abbrivio", era molto pericoloso e infatti, verso la fine dell'800, fu vietato per legge. Ma prima di arrivare al trenino a vapore, la "ciabattona" che abbiamo visto nelle prime immagini di questa pagina, c'è un'altra tappa molto importante nella storia del trasporto marmifero: la "lizzatura". TRASPORTO DEL MARMO E TECNICHE UTILIZZATE Il metodo della "lizzatura" consisteva nel mettere i blocchi di marmo sopra una slitta ricavata da tronchi di faggio o di quercia e di farli scorrere verso valle. La "lizza" era formata da diversi blocchi di marmo - così come mostra l'immagine a fianco - tenuti assieme da robuste corde di canapa, che servivano anche per far scendere lungo tutto il percorso l'intero carico. Alla lizzatura partecipavano diversi uomini: era un lavoro di squadra molto rischioso. Davanti a tutti c'era il capo lizza, che aveva il compito di controllare che la discesa procedesse per il meglio. Era un compito delicato, e veniva affidato all'operaio più esperto. Era lui che disponeva i "parati" sul terreno davanti alla lizza, e dava il segnale ai mollatori di allentare o stringere i cavi al momento giusto."
I "parati", erano robuste assi di legno, che venivano aggiunte anteriormente, mano mano che il carico scendeva, consentendogli di scivolare senza incontrare ostacoli. Un'altra figura molto importante nella "lizza" era "'uomo del piro", chiamato anche "il mollatore", che aveva il compito di mollare lentamente le corde, in modo che il carico scendesse lentamente, senza prendere velocità. La lizzatura era una delle fasi più rischiose del lavoro in cava. Se il carico si liberava dalle corde, e prendeva velocità, chi vi era intorno veniva travolto. E questo, purtroppo, è successo più volte. Il lavoro della lizzatura, finiva nel momento in cui il carico arrivava al "poggio", che era il luogo dove i blocchi di marmo venivano liberati dalle corde, e caricati sui carri trainati dai buoi. Così il marmo veniva portato a valle e da lì smistato verso varie destinazioni: botteghe artigiane, scultori o segherie in Versilia, oppure poteva essere imbarcato su di un vascello a Forte dei Marmi per raggiungere ogni parte del mondo.
Nel 1922 fu aperto un nuovo tronco fino a Ponte Stazzemese, e nel '26 fu infine completato il lungo tratto dal Ponte di Cansoli ad Arni, attraverso il Colle del Cipollaio. La tramvia a vapore effettuava un importante servizio di passeggeri, e soprattutto trasportava in discesa fino alla stazione ferroviaria e al pontile di Forte dei Marmi, un carico che poteva arrivare fino a 250 tonnellate. Il trenino versiliese divenne così un valido mezzo di collegamento tra i monti, dove si estraeva il marmo, e la pianura dove avveniva la lavorazione o l'imbarco su navi. Ai giorni nostri più o meno è ancora così, solo che al posto del trenino, o delle "ciabattone", ci sono i camion, mentre i blocchi vengono caricati con delle potenti gru e ruspe meccaniche. Le strade che scendono dalle cave oggi sono asfaltate e non hanno niente a che vedere con le vecchie "vie di lizza", che adesso si riescono soltanto a intravedere sotto i rovi.