GIOVANNI PASCOLI (1855-1912) Temporale DA MYRICAE (1891) METRO: ballata piccola in settenari; il primo verso è staccato dagli altri e costituisce la ripresa; rime X ABABBX Una serie di brevi ed efficacissime immagini per descrivere la natura sconvolta dal temporale in arrivo. Un bubbolio lontano... Rosseggia l’orizzonte, come affocato, a mare; nero di pece, a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare: un’ala di gabbiano.
GIOVANNI PASCOLI (1855-1912) Il lampo DA MYRICAE (1891) METRO: ballata piccola in endecasillabi; il primo verso è staccato dagli altri e costituisce la ripresa; rime X ABABBX Un lampo illumina repentinamente la notte, rivelando lo sconvolgimento della natura e anche lo sbigottimento dell’uomo. E cielo e terra si mostrò qual era... la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto, una casa apparì sparì d’un tratto, come un occhio che, largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera.
GIOVANNI PASCOLI (1855-1912) Il tuono DA MYRICAE (1891) METRO: ballata piccola in endecasillabi; il primo verso è staccato dagli altri e costituisce la ripresa; rime X ABABBX Un tuono sconvolge il buio moltiplicando il suo cupo rimbombo fino a perdersi in lontananza. Solo allora subentra il suono dolce di una madre che canta per far addormentare il bambino. E nella notte nera come il nulla, a un tratto, col fragor d’arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto, rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e poi svanì. Soave allora un canto s’udì di madre, e il moto di una culla.
GIOVANNI PASCOLI (1855-1912) La mia sera DAI CANTI DI CASTELVECCHIO (1903) METRO: cinque strofe di otto versi ciascuna, rima ABABCDCd Dopo un temporale la natura ritrova la sua pace alla sera. Anche il poeta, dopo una vita di affanni e sofferenze, ritrova una visione più serena al tramonto della sua vita. Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c’è un breve gre gre di ranelle. Le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo sì tenero e vivo. Là, presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell’aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell’umida sera. È, quella infinita tempesta, Don... Don... e mi dicono, Dormi! finita in un rivo canoro. mi cantano, Dormi! sussurrano, Dei fulmini fragili restano Dormi! bisbigliano, Dormi! cirri di porpora e d’oro. là, voci di tenebra azzurra... O stanco dolore, riposa! Mi sembrano canti di culla, La nube nel giorno più nera che fanno ch’io torni com’era... fu quella che vedo più rosa sentivo mia madre... poi nulla... nell’ultima sera. sul far della sera. Che voli di rondini intorno! che gridi nell’aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l’ebbero intera. Né io... e che voli, che gridi mia limpida sera!