Livio Gaeta Univerbazione. 1. Definizione  L’univerbazione è il risultato di un processo diacronico che conduce alla «[f]usione – manifestata anche dalla.

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Livio Gaeta Univerbazione

1. Definizione  L’univerbazione è il risultato di un processo diacronico che conduce alla «[f]usione – manifestata anche dalla grafia – di due parole originariamente autonome (palco scenico - palcoscenico, in vece - invece, ecc.)» (Serianni 1989: 750).

 Come si vede anche dagli esempi riportati, l’univerbazione riguarda casi molto diversi tra loro, che includono sintagmi preposizionali (come almeno o invece) e altre unità di origine sintattica (tuttavia, malaria, nontiscordardimé, ecc.).

 Quanto più un’unità del genere «è d’alto uso, abituale, tanto più se ne è affermata la variante grafica (e, in fondo, anche fonetica) univerbata: buonuscita è ormai scrizione più frequente di buon’uscita; la grafia separata di malessere è ormai del tutto in disuso e quella di benessere scomparsa, apposta prevale su a posta come addosso su a dosso» (Sabatini & Coletti 1997: 32).

 Una parte degli avverbi e delle congiunzioni italiani risultano da univerbazioni, in quanto stadio ultimo di processi di grammaticalizzazione: tali sono purtroppo, insomma, perché, cosicché, pertanto, ormai, ecc.

 Si noti che nell’univerbazione diviene anche graficamente evidente l’effetto della regola di raddoppiamento sintattico: eccome, semmai, sebbene, soprattutto, sopralluogo, ecc. In generale, l’univerbazione grafica segnala spesso l’opacità dell’unità, oltre che il raggiunto stato di lessema.

2. Aspetti grafici  Un discorso parzialmente diverso riguarda l’univerbazione grafica di composti come capostazione o pescecane rispetto a treno merci o pesce farfalla. Infatti, i composti sono già di per sé unità di natura lessicale: l’univerbazione grafica non segnala quindi il raggiunto stato lessicale di un’unità di origine sintattica.

 Piuttosto, in genere, essa segnala una maggior frequenza d’uso, oltre che a volte un maggior grado di opacità semantica, come in pescecane rispetto a pesce farfalla.

 In quest’ultimo caso l’univerbazione è anche accompagnata dalla cosiddetta esternalizzazione della flessione: in pescecani il suffisso di plurale è in posizione finale rispetto a pesci farfalla, in cui la flessione è interna al composto sulla parola che funge da testa.

 Si noti che l’univerbazione grafica non necessariamente implica l’esternalizzazione della flessione (si pensi a composti come capimafia), ma ne è invece in genere implicata, sicché una forma come *capo stazioni rispetto a capostazioni è inaccettabile.

3. Fenomeni evolutivi  Si noti come ci siano casi in netta evoluzione verso l’univerbazione, anche se non ancora accettati (o addirittura sconsigliati) dalla norma linguistica, come eppoi, vabbene, ecc. Una certa variazione a questo proposito si registra anche a proposito delle preposizioni articolate, anch’esse risultato di univerbazione. La forma univerbata, se in alcuni casi è diventata canonica (della, sulla, ecc.), in altri è meno accettabile o considerata decisamente antiquata: colla, pella, ecc.

4. Il caso della concrezione  Connessa con l’univerbazione è la concrezione (o agglutinazione) di una parola, in genere di carattere grammaticale, con un’altra di carattere lessicale.

 La concrezione di una parola originariamente autonoma è spesso parte del processo di grammaticalizzazione: ad es., il suffisso -mente, che forma numerosi avverbi come fermamente, risulta dalla grammaticalizzazione di costruzioni latine come firmā mente «con animo fermo».

 Mentre in italiano antico la concrezione, benché frequente, non era assoluta, in quanto risultava possibile costruire sintagmi come villana e aspramente (come del resto si fa ancora in spagnolo; Lausberg 1962: § 701), oggi il processo di concrezione (e si può aggiungere: di grammaticalizzazione) è completo, e simili usi sono diventati impossibili.

 In altri casi, la concrezione riguarda forme dell’articolo, che vengono a fondersi con il nome. Un tipico caso è dato da cognomi ‘parlanti’ come Bevilacqua o Battiloro, che incorporano l’articolo e il nome: l’acqua, l’oro.

 Altri esempi di concrezione dell’articolo sono meno trasparenti: lastrico risale al lat. mediev. astrăcum «terrazzo fatto con cocci», dal gr. óstrakon «coccio, conchiglia» con concrezione dell’articolo; lercio risale al lat. hircum «caprone» con concrezione dell’articolo; in Toscana lapino è il motociclo Piaggio del tipo Ape con concrezione dell’articolo e aggiunta del suffisso di diminutivo, ecc.

 Fenomeni di questo genere sono frequenti nelle forme di italiano dei semicolti o incolti: l’aradio (col suo plurale le aradio) è una tipica concrezione popolare per la radio. Altri fenomeni di concrezione riguardano preposizioni con nomi: la forma antica e popolare ninferno (cfr. Boccaccio Dec. V, 8: «fu ed è dannata alle pene del ninferno») risulta da (i)n + inferno.

Studi  Lausberg, Heinrich (1962), Romanische Sprachwissenschaft, Berlin, de Gruyter, 3 voll., vol. 3º (Formenlehre; trad. it. Linguistica romanza, Milano, Feltrinelli, 1971, 2 voll., vol. 1º, Fonetica).  Sabatini, Francesco & Coletti, Vittorio (1997), La lingua italiana. Come funziona, come si usa, come cambia, Firenze, Giunti.  Serianni, Luca (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.