Melanie Klein (Vienna 1882 – Londra 1960)
Per il pensiero di M. Klein – che rappresenta il retroterra teorico del testo di Waddell, Mondi interni – l’Io è è esistente sin dalla nascita
Inoltre, per M. Klein gli “impulsi” (pulsioni) dell’Io sono sempre legate agli “oggetti”: per la Klein le unità di base dei processi mentali non sono blocchi di energia senza oggetto, ma unità relazionali. È mia convinzione che il bambino abbia fin dall’inizio della vita prenatale una relazione con la madre […] che è impregnata degli elementi fondamentali di una relazione oggettuale, ossia amore, odio, fantasie, angosce e difese (Le origini della traslazione, 1952, p. 49).
Per la Klein le fantasie sono la base dell’esperienza della realtà. il pensiero di realtà non può operare senza la concomitanza e il supporto di fantasie inconsce (Isaac, Natura e funzione della fantasia, 1943).
Approfondimento: fantasia e realtà: La Klein oscilla, relativamente al ruolo degli altri in relazione agli oggetti interni, fra varie sfumate posizioni, sottolineando sempre, tuttavia, anche nei suoi primi lavori, il ruolo degli altri reali. Ella afferma che ad oggetti primitivi rigidi si sovrappongano poi le immagini dei genitori reali; in altri momenti ipotizza che i primi oggetti derivino dalle percezioni dei genitori reali, ma grossolanamente distorte dagli impulsi del bambino; altrove ipotizza un meccanismo più fluido, in virtù del quale gli altri reali verrebbero poi deformati dal mondo interno del bambino: percezioni di oggetti reali si mescolano alle immagini proiettate cosicché nella successiva reinteriorizzazione gli oggetti interni che ne risultano sono parzialmente trasformati dalle percezioni di oggetti reali. Ecco allora che ai genitori reali si sovrappone sempre un’immagine fantastica di essi esageratamente punitiva.
La Klein ha messo in luce gli impulsi aggressivi del bambino, fra cui, in particolare, l’invidia (si veda dopo). –Ella si figura che il bambino sia impegnato a possedere tutte le ricchezze che immagina contenute nel grembo della madre, tra cui il cibo, feci preziose, neonati e il pene del padre. Immagina e distrugge, nella fantasia il perpetuo rapporto sessuale reciproco dei genitori, che concepisce come uno scambio di preziose sostanze nutritive, inaccessibili a lui. Immagina che il proprio corpo sia abitato da un simile mondo di oggetti buoni e cattivi ed è occupato in un sempre rinnovato tentativo di: afferrare sostanze e oggetti “buoni” (in sostanza “buon” latte, “buone” feci, “buon” pene e “buoni” neonati) e, con il loro aiuto, paralizzare l’azione di sostanze e oggetti “cattivi” all’interno del suo stesso corpo; ammassare al suo interno abbastanza riserve per poter resistere agli attacchi sferrati contro di lui dai suoi oggetti esterni (Contributo alla teoria delle inibizioni intellettive, 1931).
Sulla base di tali processi – fortemente determinati dalle fantasie innate, da un lato, e dagli altri reali, dall’altro – si stabilisce una fitta rete di relazioni oggettuali interiorizzate. –Il bambino può anche essere turbato e paralizzato dagli esiti di tali relazioni, soprattutto da quelle aggressive, che possono bloccare la sua creatività. Lo scopo dell’analisi infantile sarà, allora, proprio restituire la creatività al bambino.
Posizione schizo-paranoide / posizione depressiva Il bambino teme che la propria cattiveria (che proietta), gli “ritorni indietro”. Vive pertanto nella paura “paranoide”. M. Klein chiama pertanto questa dimensione come “posizione paranoide”. –Il “Super-io” del bambino è alimentato da tali sentimenti di ritorsione Nella posizione paranoide il bambino separa gli oggetti buoni e gli oggetti cattivi: i primi vengono trattenuti psichicamente presso l’Io; gli altri espulsi (proiettati).
Successivamente, facendo proprie sollecitazioni di Fairbairn, la Klein affermerà che scissioni d’oggetto implicano scissioni dell’io: in sostanza “parti” di Io vengono scisse assieme agli oggetti (potremmo dire: ciò che viene scisso è l’intera relazione Io- oggetto) e tendono a ritornare in modo persecutorio ella ridenomina la posizione “paranoide” in posizione “schizo-paranoide”, dove “schizo” sta per “schizoide” nel senso di Fairbairn
Il processo di scissione permette all’Io di emergere dalla indistinzione affettiva originaria ordinando le cose in “buone” o “cattive”. Se la scissione non sarà stata troppo drastica, rimarrà una comunicazione fra conscio (buono) e inconscio (pieno di oggetti cattivi).
Fondamentale, per la Klein, è che l’esperienza del mondo (e dell’Io) come “buono” prevalga sulle esperienze del mondo (e dell’Io) come “cattivo”. il primo oggetto buono agisce come punto focale nell’Io. Esso bilancia i processi di scissione e dispersione, contribuisce alla coesione e all’integrazione, ed è strumentale alla costruzione dell’Io. (Note su alcuni meccanismi schizoidi, 1946, p. 6)
Approfondimento: il Super-Io arcaico e l’oggetto ideale Nel periodo 6-12 mesi il Super-Io arcaico si arricchisce dell’oggetto ideale: esso perde in parte il suo carattere feroce, ma incita il bambino alla perfezione promovendo l’identificazione, incoraggiandolo a crescere e gratificandolo. Il tentativo di tutelare l’oggetto d’amore dalle sue stesse pulsioni, che si esprime nel circolo “senso di colpa – riparazione”, induce anche alla sublimazione, alla produzione di simboli e alla creatività.
L’esperienza di un oggetto buono che prevale su quello cattivo rimane nella profonda memoria affettiva come idealizzazione dell’oggetto buono: essa si risperimenta nell’innamoramento, nel piacere estetico, nella costruzione di ideali e valori. Comunque il predominio delle esperienze buone su quelle cattive è essenziale ai fini di uno sviluppo armonico.
Uno dei fattori perturbativi di un sano sviluppo è, invece, l’invidia, espressione precoce dell’istinto di morte, attacca gli oggetti parziali, in particolare il seno. L’invidia impedisce di ricevere aiuto e conforto da un oggetto ideale e l’Io di priva della possibilità di arricchirsi mediante l’introiezione.
Approfondimenti: l’invidia All’invidia viene attribuita una posizione di estrema importanza in Invidia e gratitudine (1957, anche se riferimenti all’invidia si trovano già in La psicoanalisi dei bambini, 1932): essa è la forma più nefasta di aggressività innata: l’invidia vuole distruggere il seno non perché è cattivo, ma perché è buono. L’esistenza del seno al di fuori del suo controllo è intollerabile per il bambino e di qui discende l’invidia. Il danno arrecato dall’indivia sta nel fatto che la distruzione è diretta anche verso gli oggetti buoni, distruggendo i quali egli si impedisce quei momenti di sollievo che questi possono arrecare. La descrizione kleiniana dell’invidia ha un notevole potere esplicativo nel caso dei pazienti difficili, quelli che non sembrano trarre nulla di buono dalla relazione terapeutica e manifestano quella che Freud definì “reazione terapeutica negativa”.
Nella seconda metà del primo anno di vita, secondo la Klein il bambino acquista la capacità di interiorizzare oggetti interi (in opposizione al scindere e dividere gli oggetti) e questo corrisponde ad una marcata variazione del centro della vita psichica. Il bambino entra così nella posizione depressiva –L’angoscia “depressiva” è quella provata per l’oggetto intero, che il bambino teme di aver distrutto. Il bambino si sente svuotato e tenta allora di “riparare” la madre attraverso fantasie e comportamenti ricostruttivi.
La Klein mette in luce come in questa fase vi sia un’autentica preoccupazione del bambino verso gli altri questa preoccupazione non è solamente una “formazione reattiva”, ma è espressione di una profonda gratitudine l’ansia per il destino dell’oggetto e il tentativo di ricostruirlo per mezzo dell’amore sono la forza motrice della personalità. In questi tentativi di riparazione l’io dubita di riuscire e questo costituisce un forte impulso al suo sviluppo. Gratitudine e ansia per il destino dell’oggetto
Quindi, nello sviluppo normale all’invidia si contrappone la gratitudine. quando il bambino è sicuro del possesso di un oggetto ideale avrà meno bisogno di proiettare i suoi impulsi distruttivi e aumenterà la capacità di tolleranza e la forza energetica dell’Io. Con il sorgere della posizione depressiva si acquisisce la capacità di tollerare l’ambivalenza.
Riparazione Poiché l’oggetto amato è ora incorporato nell’Io, l’aggressione contro di esso non dà luogo a paure persecutorie, come quando il bambino era nella posizione schizo-paranoide (dove gli oggetti erano esterni), ma senso di colpa e lutto per distruggere un oggetto buono interno. Ma tali sentimenti incitano il bambino ad assumere un atteggiamento di riparazione.
Nella fase finale del suo pensiero la Klein vede la vita come una lotta fra l’integrazione creata dall’amore e la disintegrazione ad opera dell’invidia. Tenere insieme i due aspetti è penosamente difficile: devono essere riconosciuti i limiti dell’amore di ciascuno, la realtà dell’ambivalenza e devono essere affrontati l’ansia depressiva e il senso di colpa.
L’angoscia depressiva non viene mai superata per tutta la vita: l’ambivalenza verso gli oggetti rimane. La perdita viene vissuta come svuotamento e come risultato della propria distruttività e come rappresaglia per azioni odiose passate. Per contro, buone esperienze con altri sono importanti per ristabilire una speranza nella propria capacità di amare e di ricostruire. Nell’ultima fase della Klein, gli altri reali sono importanti.
Per la Klein, “l’io assorbe continuamente in sé l’intero mondo esterno (1935)”, internalizza aspetti buoni del mondo esterno e, facendoli propri, cresce e si sviluppa.
Difese nella posizione schizo- paranoide Le difese che si sperimentano nella posizione schizoparanoide sono volte a scongiurare la contaminazione degli oggetti buoni con quelli cattivi: scissione, idealizzazione, diniego della realtà interna ed esterna, repressione, artificiosità delle emozioni, identificazione proiettiva
Fra le difese, l’ “identificazione proiettiva” è un concetto tipicamente kleiniano che viene utilizzato per descrivere la scissione di parti dell’Io e la loro proiezione su altri. Quindi, parti non desiderate di sé sono attribuite ad oggetti esterni. –Per la Klein l’aver proiettato parti cattive rende l’Io timoroso di rappresaglie e la paura di avere parti di sé imprigionate dentro l’oggetto aggredito. Il meccanismo dell’identificazione proiettiva sta alla base del delirio psicotico di essere un’altra persona (ad es. Cristo o Napoleone).
Normali sviluppi della posizione depressiva I normali sviluppi della posizione depressiva sono la riparazione, il rafforzamento dell’esame di realtà (con conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività), la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore sull’odio), gratitudine che scaturisce dal senso di colpa.
Sviluppi patologici della posizione depressiva Gli sviluppi patologici della posizione depressiva derivano da una negazione del senso di colpa e da un rapporto maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti
Il rapporto maniacale con l’oggetto nega invece i sensi di colpa. Esso è caratterizzato da tre sentimenti verso l’oggetto: –dominio, –trionfo, –disprezzo, volti a negare la dipendenza e ad assicurarsi il dominio del mondo esterno. N.B. Ma quando gli sforzi di idealizzazione falliscono, come nel caso del lutto patologico, si innesca una spirale di colpa, autorimprovero e disperazione che conduce alla psicosi depressiva.
Per Bion esiste una genuina capacità di amare, di odiare e di conoscere. Ma esiste anche una mistificazione di questa capacità che trasforma: l’amore in cinismo, l’odio in puritanesimo/bigottismo Il conoscere in ipocrisia
Il circolo virtuoso che spinge il bambino, sicuro del possesso dell’oggetto amato, ad abbandonare le fantasie per accettare la realtà non è mai concluso una volta per tutte: esperienze di ambivalenza, colpa e privazione possono ricomparire anche nella vita adulta.
Approfondimenti: la psicopatologia La concezione della psicopatologia si è progressivamente spostata (soprattutto dopo l’introduzione delle “posizioni”) verso i nuclei psicotici e, nel caso delle nevrosi, alle eventuali psicosi soggiacenti. Nella Klein la tendenza è a vedere il buono come dato dall’esterno e il cattivo come un prodotto della psicologica originaria del bambino. La Klein tende a vedere l’influenza dei genitori sul bambino come uniformemente positivo, come fonte di immagini di amore a fronte dell’innata aggressività di lui. Talvolta mette in luce casi particolari: depressione della madre, mancanza di calore, avversione nei confronti del bambino, ma tali formulazioni non compaiono in relazione ad oggetti interni, che rispondono a caratteristiche universali. Le radici della patologia vanno ricercate nella cattiveria del bambino. È sicuramente strano che la Klein non parli delle deficienze genitoriali.
Per la Klein i fallimenti nell’elaborazione delle due posizioni darebbero luogo a punti di fissazione sui quali si innesta il disturbo psicotico dell’adulto. Inoltre, ella paragona i disturbi psicotici in generale alla posizione schizo-paranoidea, tanto da lasciar presumere che il neonato sia un piccolo psicotico. La Klein connette in unico quadro schizofrenia e paranoia: –il delirio persecutorio tipico della paranoia deriverebbe dalla proiezione dell’oggetto cattivo. –Lo schizofrenico fallisce nell’entrata nella posizione depressiva (non riesce ad integrare oggetto e sé) e resta in preda a violente scissioni e proiezioni e ad una confusione fra mondo interno e mondo esterno. –Il depresso non riesce a conseguire la riparazione dell’oggetto (e di se stesso) e resta diviso fra l’Io cattivo e l’oggetto buono. –Nella fase maniacale, invece, ad un Io grandioso si oppone un oggetto svalutato.
In breve Per la Klein, come per Freud, esiste una pulsione di vita e una pulsione di morte Le pulsioni si manifestano come fantasie inconsce originarie in cui il sé interagisce con un oggetto sotto l’influenza di emozioni primitive (che sono il riflesso delle pulsioni). Si è utilizzata la metafora della mente come teatro. Il prototipo della pulsione di vita è la relazione col seno buono. La proiezione dell’oggetto buono su nuovi oggetti è alla base della fiducia verso il mondo, del desiderio di esplorare ecc. La pulsione di morte viene intesa come derivante dalla cattiveria originaria del bambino e viene proiettata all’esterno. La Klein ha parlato assai del sentimento dell’invidia, una forma perniciosa di aggressività che conduce il bambino a voler depredare il corpo della madre di cose buone avendone, di rimando, la paura della ritorsione.
Il bambino viene descritto dalla Klein come impegnato ad ammassare oggetti buoni e preziosi, depredandoli dal corpo della madre, ma è impaurito dalla ritorsione da parte degli oggetti aggrediti. Il suo vissuto è caratterizzato dalla paura paranoide della ritorsione degli oggetti cattivi, sia esterni, in quanto ha diretto nei loro confronti la propria aggressività, sia di quelli che sono diventati interni in virtù dell’internalizzazione (che è un processo spontaneo e naturale di assorbimento dell’io degli oggetti). La Klein descrive una posizione schizoparanoide, in cui il bambino è impegnato ad ammassare oggetti buoni e a lottare e rifiutare gli oggetti cattivi, dai quali si attende sempre rappresaglia e punizione (paura paranoide). I meccanismi di scissione operano al massimo livello fino al 6° mese. Si parla in tal senso di relazione con oggetti parziali. La relazione con un oggetto assolutamente buono e idealizzato, scisso dall’oggetto assolutamente cattivo, rimane nelle nostre menti.
Le difese che si sperimentano nella posizione depressiva sono volte a scongiurare la contaminazione degli oggetti buoni con quelli cattivi: scissione, idealizzazione, diniego della realtà interna ed esterna, repressione, artificiosità delle emozioni, identificazione proiettiva Quando il bambino sarà in grado di accettare i propri impulsi cattivi, sperimenterà la posizione depressiva, diminuirà l’uso di difese e inizierà a relazionarsi con l’oggetto intero. A consentire questo passaggio è la consapevolezza, da parte del bambino, del sicuro possesso di un oggetto buono, che aumenta la forza dell’Io e la sua capacità di tolleranza. “…il primo oggetto buono agisce come punto focale nell’Io. Esso bilancia i processi di scissione e dispersione, contribuisce alla coesione e all’integrazione, ed è strumentale alla costruzione dell’Io (Note su alcuni meccanismi schizoidi, 1946, p. 6) A differenza delle paure persecutorie della posizione schizoparanoide, il timore che il bambino sperimenta nella posizione depressiva è quello di far male all’oggetto buono. Ciò genera senso di colpa e angoscia depressiva e conseguente desiderio di riparare al male arrecato all’oggetto buono.
Il Super-io arcaico, che si era formato durante la posizione schizoparanoide, è costituito dal timore di rappresaglia da parte di oggetti interni cattivi non proiettati. Esso giunge a maturazione alla fine del 1° anno, col passaggio delle fantasie dalla madre al padre, e si caratterizza della paura di organi sessuali pericolosi e di relazioni sessuali fra i genitori distruttive. Il Super-io si arricchisce però anche dell’oggetto ideale perdendo, così, parte del suo carattere feroce, ma incitando il bambino alla perfezione (anche in modo crudele), promovendo l’identificazione, incoraggiandolo a crescere, gratificandolo. I normali sviluppi della posizione depressiva sono la riparazione, il rafforzamento dell’esame di realtà (con conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività), la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore sull’odio), gratitudine che scaturisce dal senso di colpa.
Gli sviluppi patologici della posizione depressiva derivano da una negazione del senso di colpa e da un rapporto maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti; si nega anche la dipendenza e il bisogno che si ha di essi controllandoli con un senso di trionfo e disprezzo. Ma quando gli sforzi di idealizzazione falliscono, come nel caso del lutto patologico, si innesca una spirale di colpa, autorimprovero e disperazione che conduce alla psicosi depressiva.
Ronald Fairbairn (1889 – 1964): la centralità della relazione
Ronald Fairbairn – che elaborò i suoi contributi di psicoanalisi negli anni ’40 – pose al centro del suo interesse il profondo bisogno da parte del bambino di relazioni personali basate sull’amore. Egli affermò, in contrasto con Freud, che la motivazione centrale degli esseri umani è stabilire buone relazioni con gli altri (“la libido non è ricerca di piacere, ma ricerca d’oggetto”) Per Fairbain l’asse centrale attorno al quale ruota lo sviluppo del bambino sono le buone relazioni, all’insegna dell’affetto, dell’amore, della stima, della considerazione personale. Il bisogno di relazione è così centrale che “è meglio una relazione cattiva che nessuna relazione”
Nelle prime fasi dello sviluppo l’Io non è strutturato e dotato di una coscienza di sé di tipo riflessivo, ma è tutt’uno col caregiver. Il piccolo è, cioè, in “identificazione primaria” con l’altro. Così, se il bambino sperimenta relazioni insoddisfacenti, egli – in virtù dell’identificazione – giungerà a percepire se stesso come insoddisfacente e “cattivo”.
Questo sentirsi cattivo comporta un’esperienza molto dolorosa, addirittura catastrofica, nell’esperienza di Sé del bambino. …l’esperienza di non essere accettato e riconosciuto nel proprio bisogno di amore è un’esperienza devastante che, a livello profondo, è l’esperienza della vergogna per aver manifestato dei bisogni affettivi. Il senso del proprio valore è minacciato. Ad un livello ancora più profondo, si ha un senso di svuotamento e di morte psichica. La consapevolezza che il proprio amore è inutile genera un senso di futilità dell’Io… (Fairbairn 1944, tr. it. 1970, p. 140)
Fairbairn descrisse approfonditamente come tali esperienze relazionali negative possano essere controllate solamente tramite la loro rimozione nell’inconscio. –la rimozione nell’inconscio delle esperienze negative è un espediente per “bonificare” le relazioni della loro “cattiveria” e farle apparire di nuovo positive e “buone”. È l’esperienza, tristemente nota, dei bambini abusati che non riescono ad accusare i loro aguzzini della violenza subita perché hanno bisogno di credere nella bontà della relazione.
Nell’inconscio, tuttavia, questi sentimenti negativi permangono; in virtù dell’identificazione, il proprio Io, inconsciamente percepito come profondamente “contaminato” di cattiveria, svuotato. Fairbairn tale parte dell’Io contaminata di cattiveria “sabotatore interno”, che rappresenta quella parte dell’Io profondamente contaminata da un senso di cattiveria e capace di boicottare i miglioramenti della personalità
Ciò genera una vera e propria situazione di tipo “schizoide” ovvero di scissione all’interno dell’Io. Ci sono, cioè, delle “parti” del nostro Io legate a delusioni relazioni molto profonde che intaccano e si legano al senso di sé da dover essere negate perché intollerabili. Questi individui percepiscono che il bisogno di amore, dipendenza e affetto sono pericolosi e vanno negati. L’amore è sentito come connesso alla distruzione e alla morte. È questo il senso dell’affermazione di Oscar Wilde che, nella Ballata della prigione di Reading, esclama “Ogni uomo uccide la cosa che ama” (Fairbairn 1940, tr. it 1970).
Inoltre, osserva Fairbairn, assieme alla inconscia sensazione di cattiveria dell’Io, v’è un’altra parte dell’Io, anch’essa diventata inconscia, che ambisce ad avere soddisfatti quei bisogni relazionali di cui non ha avuto esperienza. Tuttavia li desidera in maniera compulsiva, esigente, vorace, voluttuosa, “libidica”. Fairbairn chiama tale Io “Io libidico” e a suo parere assomiglia all’inconscio pulsionale descritto da Freud.
Riassumendo: Le relazioni insoddisfacenti generano, cioè, da un lato un bisogno insoddisfatto che assume una forma seduttiva, stimolante e, dall’altro lato, la continua frustrazione di quei bisogni da parte dell’ “Io cattivo” (sabotatore interno), che incarna la memoria del fallimento profondo di ogni tentativo di mettersi in relazione. Il sabotore interno, come suggerisce il nome, “attacca” rabbiosamente quella parte dell’Io (l’Io libidico) che manifesta desideri. Più in fondo, l’attacco del sabotatore interno rappresenta anche un attacco che il bambino rivolge verso sé stesso in quanto dipendente e bisognoso di relazione.
Precisazione: Rispetto a questa dinamica profonda avente a che fare relazioni buone o cattive, il senso di colpa che genera il Super-Io descritto da Freud agisce, per Fairbairn, a un livello più superficiale. Fairbairn pensa infatti che il senso di colpa sia una difesa “morale” più evoluta dietro la quale si cela una situazione più originaria legata a relazioni interiorizzate assolutamente cattive (in cui il proprio Io è sentito come indegno e cattivo). Il colpevolizzarsi viene utilizzato, cioè, per coprire e per tenere lontano dalla coscienza la sensazione profonda di disperazione legata alle relazioni cattive. Meglio, cioè, sentirsi in colpa che sentirsi indegno di esistere.
Crescendo il bambino sarà indotto a evolvere dalla dipendenza immatura alla dipendenza matura. Affinché tale passaggio possa avvenire in modo emotivamente sano occorre che il bambino abbia la sensazione di essere sostenuto e incoraggiato nell’ambito di relazioni in cui si sente amato come persona; altrimenti egli tale passaggio e l’aprirsi al mondo esterno come carichi di troppa ansia di separazione. –L’ansia di separazione è spesso legata alla sensazione di sentirsi intrappolati in spazi troppo stretti o troppo ampi. L’evoluzione come passaggio dalla dipendenza immatura alla dipendenza matura
Approfondimento: Per Fairbairn le relazioni cattive rimosse nell’inconscio (che contengono un’esperienza dell’Io come cattivo e dell’altro come cattivo) sono alla base dei disturbi ossessivi, paranoidi, isterici e fobici. Si riportano i meccanismi di difesa così come vengono intesi da Fairbairn: –La fobia rappresenta la tensione connessa al passaggio dalla dipendenza infantile a quella matura, nella speranza di “farcela” e nel timore di rimanere intrappolato, rinchiuso, inghiottito… Il conflitto è quello tra la fuga dall’oggetto e il ritorno all’oggetto. Il fobico adotta una posizione passiva e si pone nella scelta di fuggire dal potere dell’oggetto o sottomettersi ad esso. –La paranoia è la più radicale, in quanto gli oggetti cattivi vengono trattati come assolutamente cattivi. Questi diventano dei persecutori che attaccano il soggetto dall’esterno. Il paranoide è caratterizzato da una grandiosità stravagante (perché non basata su una realistica autostima) che teme l’attacco da parte degli oggetti cattivi persecutori.
–L’isteria non è una fissazione alla fase fallica come conseguenza della situazione edipica, come nella teoria freudiana, ma è un rifiuto degli organi genitali perché essi sono utilizzati per avere soddisfazioni di tipo infantile-dipendente. Fairbairn fa l’esempio di una bambina tenuta in disparte da genitori che non si occupavano di lei che inizia ad utilizzare la seduzione per avere il padre dalla sua parte. A differenza che per il paranoico e l’ossessivo, nell’isterico l’oggetto cattivo è trattenuto psicologicamente dentro: l’isterico vuole consegnare tutto ai suoi oggetti d’amore, spesso idealizzandoli, nella speranza di stabilire una relazione più rassicurante, ma non dà loro gli organi sessuali, che restano invischiati in un meccanismo di soddisfazione regressiva con l’oggetto cattivo e devono pertanto essere tenuti fuori dalla relazione idealizzata. L’isterico, come il fobico e l’ossessivo, ha in parte acquistato una maturità durante la fase di transizione, ma in parte è rimasto legato in modo immaturo ai suoi oggetti interni. Proprio l’esagerazione dell’isterico solleva il sospetto che il suo comportamento derivi dalla sovracompensazione d’un rifiuto. Questo sospetto è confermato nell’isterico dalla presenza di dissociazioni e l’analisi può evidenziare l’identificazione con i genitali rifiutati. –Nell’ossessione, invece, c’è un po’ di atteggiamento oblativo della dipendenza matura. L’ossessivo è come se volesse metaforicamente espellere di propri oggetti cattivi e pertanto esercita un forte controllo, spesso connotato da alta aggressività, su di essi.
Per paura di ulteriori “fallimenti relazionali”, il bambino si “attaccherà” di più al suo “mondo interno” fatto di relazioni con oggetti cattivi (che lo fanno sentire una nullità) e oggetti libidici (che stimolano il suo desiderio in maniera vorace). L’attaccamento al mondo interno va a compensare la sensazione di solitudine; ma così l’individuo si chiude in un circolo vizioso sempre più stringente, fino al punto che il dare e l’interagire autentico con gli altri viene sentito come un pericoloso “svuotamento”. Iper-investimento difensivo del mondo interno
Melanie Klein aveva già evidenziato come il normale sviluppo infantile contempli il rafforzamento dell’esame di realtà (con conseguente sviluppo della simbolizzazione e della creatività) e la capacità di tollerare amore e odio nei confronti di uno stesso oggetto (perché si è acquisita la sicurezza della prevalenza dell’amore sull’odio e si prova gratitudine verso l’oggetto). L’espressione dell’aggressività diventa connotata da senso di colpa e dal desiderio di riparare al male fatto. Gli sviluppi patologici derivano invece da una negazione del senso di colpa e da un rapporto maniacale con l’oggetto all’insegna dell’idealizzazione, che impoverisce la vita psichica e nega l’ambivalenza degli oggetti; si nega anche la dipendenza e il bisogno che si ha di essi controllandoli con un senso di trionfo e disprezzo.
Realtà esterna, altri Parte matura dell’individuo in interazione con la realtà e capace di interagire in senso realistico col mondo (Io centrale) Senso di colpa (Super-Io “morale” di Freud) (“non devi comportarti così”; “non essere così dipendente”; “non essere egoista, pensa come soffrono gli altri”; “sei proprio una persona cattiva” ecc.) Io solo, abbandonato, vergognoso del proprio bisogno di amore, con un senso di profonda disistima e di cattiveria (sabotatore interno) (Super-Io primitivo sadico e punitivo) Io che reclama aggressivamente il soddisfacimento dei propri bisogni, non più percepiti come puri bisogni relazionali e di affetto, ma come esigenze, “capricci”, lusinghe, seduzioni (che spesso si intrecciano con la sfera sessuale), uno sfruttare gli altri. Contro questo bisogno il sabotatore interno mobilita la sua aggressività (perché in fondo è un bisogno che si sviluppa da una mancanza, compensatorio, che il sabotatore interno rabbiosamente mette a tacere) (io libidico) Relazioni con oggetti interiorizzati, cui l’individuo è costretto a ricorrere in mancanza di una relazione soddisfacente con gli oggetti del mondo esterno