La visita Sia in ospedale, sia nell'assistenza domiciliare, la visita costituisce l'occasione di un incontro e l'inizio e la modalità stessa del cammino.

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Transcript della presentazione:

La visita Sia in ospedale, sia nell'assistenza domiciliare, la visita costituisce l'occasione di un incontro e l'inizio e la modalità stessa del cammino di condivisione con una persona malata, che può essere intrapreso da un operatore professionale, da un volontario o da un operatore pastorale. Occorre subito precisare che, per quanto sia diversa la motivazione, unica è la realtà dell'incontro: una relazione di aiuto. Questa relazione di aiuto inizia con la presentazione del visitatore, poi con argomenti generali quali le condizioni fisiche, il trattamento, il cibo, ecc., poi, se vi è una comune disponibilità, con il passar del tempo, si possono realizzare quell'assistenza e quell'ascolto che sono stati definiti come «l'entrare in punta di piedi nella conversazione interiore di una persona in crisi che si confida temporaneamente, sapendosi ritirare al momento giusto».

Occorre anche ribadire che la persona malata non è un recettore passivo di tutto ciò che il visitatore, con il suo apparente potere e il suo stato di salute, viene a concedere. Molto spesso si constata, nella riflessione posteriore, come la persona malata abbia «dato» più di quello che probabilmente ha «ricevuto». Molteplici fattori, ed essi stessi con molteplici sfaccettature, intervengono nella realtà della visita alla persona malata. Intanto, è un incontro e un dialogo che esigono di essere continuamente riformulati, poiché le persone malate sono diverse con il variare dei ritmi di tempo e delle situazioni di malattia, così come cambiano anche le persone chiamate ad incontrarli.

Poi,accanto alle difficoltà più macroscopiche, quali quelle relative ad un rapporto di comunicazione, all'ascolto, all’espressione dei sentimenti umani, si collocano difficoltà ambientali, come quelle di entrare nella camera da letto del malato, in molte culture un luogo «riservato»; il farsi trovare in camicia da notte o in pigiama; il dover parlare in una corsia ove la privacy è ridotta, ecc. É a tal fine che si sono visti, se pur in modo esemplificativo, gli atteggiamenti che intervengono e che possono essere assunti dal volontario, dall'operatore pastorale, dalla famiglia del malato. Inoltre, nelle istituzioni di cura, il volontario e l'operatore pastorale devono anche confrontarsi con gli atteggiamenti degli operatori sanitari, che molte volte sono portati a «tollerare» queste presenze non ritenute indispensabili nell'ottica di una terapia prevalentemente biofisica.

È consigliabile quindi evitare di: - prendere sempre alla «lettera» le parole del malato quando afferma: «Sono proprio alla fine»; - presupporre che il malato ami la sua famiglia e la famiglia lo ami; - parlare della sua malattia quando non è lui stesso ad introdurre l'argomento; - essere interessati alle condizioni fisiche del malato più che ai suoi sentimenti; - dire al paziente che ha un buon aspetto (le apparenze possono essere ingannevoli); - parlare dei propri problemi familiari; - predicare piccoli «sermoni»; - scusarsi di fare una visita breve, adducendo di essere troppo affaccendati;

- chiedere una grande quantità di informazioni al paziente, mossi più dal «voler sapere» che per obiettive necessità; - quando il malato dice: «Ho paura», replicare: «Non si dovrebbe aver paura»; - fare domande che possono opprimere emotivamente il malato; - cambiare argomento ogni qualvolta il malato piange o sembra troppo emotivamente impegnato, togliendogli la possibilità di esprimere anche esteriormente la sua sofferenza; - condannare le parole del malato grave che, in collera, chiede a Dio la ragione della sua situazione; - difendere «per principio» l'ospedale, i medici, le infermiere, le procedure; - rimproverare o sgridare il malato, sia direttamente che indirettamente; - dare rassicurazioni premature, quando non se ne ha il potere;

- preoccuparsi delle pause di silenzio e voler suscitare sempre un dialogo di parole; - rivelare al malato che siamo informati sul suo caso, non permettendogli di parlarne lui stesso; - dirigere la conversazione secondo il nostro schema; - portare avanti un colloquio durante la visita con due malati allo stesso tempo; - essere così compresi del proprio ruolo da perdere di vista il malato; - esprimere giudizi su quanto ci viene presentato dal malato; - esprimere commenti personali, manifestare interessi, ricercare reciproche conoscenze ecc.; - pensare di essere un «risolutore di problemi»; - rispondere a ciò che il paziente dice, più che ai sentimenti sottesi alle sue parole.

Questa lista degli atteggiamenti da evitare quando si visita un malato è molto importante, perché ricorda situazioni comuni, nelle quali è facile incorrere. Tuttavia lo scopo di questa lista, che deve essere intesa solo come una esemplificazione didattica, è quello di elevare la sensibilità e la capacità di essere più riflessivi ed attenti alle situazioni che si possono incontrare.

È però importante, accanto ad una formazione professionale, possedere anche capacità di autocritica e «buon senso» per affrontare situazioni sempre diverse, perché sempre diversa è l'umanità di tutti coloro che incontriamo, e possedere ancora tanta disponibilità e capacità di ascolto. Ha affermato una ragazza gravemente malata: «Quando qualcuno viene a trovarmi, io non desidero che venga con il suo "ordine del giorno" da discutere. Penso spesso che prima di entrare nella mia stanza le persone si sforzino di pensare quali atteggiamenti assumere. Quando si visita un malato infatti ci si sente obbligati a pensare a cosa dire e cosa fare. Ma se voi andate e ascoltate, sarà il malato stesso a condurre il discorso; perché il malato desidera realmente parlare di se stesso. Il malato ha bisogno di esporre i propri sentimenti e soprattutto di esprimerli ad un altro essere umano».