La decolonizzazione Lezioni d'Autore. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, circa il 40% delle terre emerse e circa il 30% della popolazione del.

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La decolonizzazione Lezioni d'Autore

Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, circa il 40% delle terre emerse e circa il 30% della popolazione del globo sono sottoposte al dominio coloniale, esercitato in larghissima parte da potenze europee. Le prime tre potenze coloniali (Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi) dominano da sole l’85% dei territori e il 96% dei popoli sottoposti alla sovranità europea. Gli sconvolgimenti delle due guerre mondiali accelerano la fine dell’egemonia europea e il progressivo tramonto del colonialismo.

La Prima guerra mondiale non intacca i domini coloniali delle potenze vincitrici, ma dà slancio ai movimenti nazionalisti indipendentisti: -influenzati dai principi di Wilson e dall’esempio della Rivoluzione russa -e guidati da un ceto di intellettuali che si sono formati nelle università degli Stati coloniali e che combinano le ideologie occidentali (nazionalismo, democrazia, marxismo) con il recupero dell’identità nazionale annullata dal colonialismo (tra questi, Ghandi, Burghiba, Ho Chi-minh). I primi movimenti indipendentisti

La Seconda guerra mondiale segna una svolta definitiva e dà inizio alla fase più importante della decolonizzazione. La guerra ha coinvolto truppe e territori coloniali ancor più che la Grande Guerra, ha visto il prestigio dei dominatori inglesi, francesi e olandesi delegittimato in Asia dall’occupazione giapponese e una notevole crescita, quanto a sostegno e determinazione, delle istanze indipendentiste. Il tramonto delle potenze europee

Alla fine del conflitto le potenze coloniali europee, anche se vittoriose, si ritrovano impoverite, indebolite dal punto di vista militare e produttivo, drasticamente ridimensionate nel loro ruolo internazionale a vantaggio di URSS e USA che osteggiano la perpetuazione del colonialismo europeo. Nel dopoguerra, la crescente azione dei movimenti indipendentistici si accompagna: -all’avvio di una internazionalizzazione politica nel quadro dell’ONU -all’emergere e all’affermarsi di un assetto internazionale egemonizzato da due potenze non coloniali.

Il sistema coloniale, diventato non solo sempre più difficile e costoso ma anche meno economicamente vantaggioso da mantenere nelle forme del controllo diretto e militare, si dissolve rapidamente. Nel 1945 gli Stati sovrani rappresentati all’ONU sono 51, dei quali solo 9 sono asiatici e 3 africani. Nel 1965, gli Stati membri diventano 118 e fra questi 70 in rappresentanza dei paesi afroasiatici. Nel 1973, quando ormai sopravvive solamente il colonialismo portoghese, salgono a 135. La conquista dell’indipendenza nelle diverse aree si intreccia con l’evolversi della guerra fredda.

I territori inglesi, pur con eccezioni (ad es., in Kenya), ottengono l’indipendenza attraverso un processo di transizione negoziato e ‘pacifico’ e molte ex colonie entrano a far parte del Commonwealth, rimanendo sotto l’influenza britannica. I territori francesi conquistano l’indipendenza prevalentemente dopo molte resistenze e a prezzo di guerre (ad esempio, in Vietnam e Algeria). Fra questi due estremi, la decolonizzazione belga è più vicina a quella inglese, mentre le decolonizzazioni olandese e portoghese a quella francese. Diverse modalità di decolonizzazione

La decolonizzazione interessa inizialmente soprattutto l’Asia: Filippine, 1946; India e Pakistan, 1947; Ceylon e Birmania, 1948; Indonesia, L’esempio della Cina offre a molti movimenti indipendentistici un modello di strategia politica e militare che intreccia indipendenza, rivoluzione sociale, guerriglia contadina. Ad eccezione dell’Indocina francese, la conquista dell’indipendenza è abbastanza rapida. I tempi della decolonizzazione

Gandhi durante la marcia del sale

Nel Nord Africa la religione islamica gioca un ruolo fondamentale nelle aspirazioni indipendentiste e anticoloniali e il petrolio suscita l’interesse delle grandi potenze. Conquistano l’indipendenza: Libia, 1951; Egitto e Marocco, 1956; Tunisia, 1957; Algeria, Infine, la decolonizzazione investe l’Africa subsahariana: nel 1960, conquistano l’indipendenza 17 paesi africani, altri 3 nel Il Medio Oriente e L’Africa

La decolonizzazione dell’Africa,

Le nuove realtà postcoloniali si trovano ad affrontare i problemi e le difficoltà: -per lo sviluppo economico, -per il costituirsi come Stati-nazione, concetto del tutto estraneo alla storia dei territori dell’Asia (tradizionalmente caratterizzati da strutture politiche multietniche) e ancor più a quella dell’Africa tropicale (dove i confini fra gli Stati erano stati fissati arbitrariamente dalle potenze coloniali). I problemi dell’indipendenza

In linea generale, i nuovi Stati si costituiscono all’interno delle frontiere degli antichi territori coloniali, di cui spesso conservano anche la struttura, e si dotano di un apparato burocratico del tutto spropositato, elemento che genera sprechi, corruzione e nuovi privilegi. La maggior parte delle nuove Costituzioni aderisce ufficialmente ai valori democratici sottesi alla lotta per l’indipendenza, ma ben presto in molti casi si ha un’involuzione politica autoritaria con colpi di Stato, crisi interne, intervento politico dell’esercito, guerre etniche.

Con l’indipendenza delle colonie portoghesi: -termina il processo di decolonizzazione apertosi trent’anni prima; -cessa l’età del dominio europeo iniziato cinque secoli prima con le scoperte geografiche e proseguito con l’egemonia economica e militare europea. -Sulla scena internazionale arriva un gran numero di nuovi Stati indipendenti dell’Asia e dell’Africa che non appartengono né all’Occidente capitalistico, né all’Est socialista, che sono poco sviluppati o sottosviluppati e hanno la necessità di modernizzarsi e accedere allo sviluppo ovvero a capitali, tecnologie, mercati.

I nuovi governi, al di là delle differenti inclinazioni politiche (autoritarie, democratiche, comuniste), condividono l’idea che spetti allo Stato promuovere lo sviluppo, creare un’industria nazionale, diversificare la produzione agricola. Dal punto di vista economico, i paesi ex coloniali hanno economie fragilissime, in genere senza industrie e con agricolture arretrate e a bassa produttività e un settore di esportazioni in mano straniera. La modernizzazione

La mancanza di capitali, di infrastrutture, di personale qualificato e di tecnologia, e la situazione sociale spaventosa e gli enormi costi della edificazione dello Stato, rendono lo sviluppo condizionato dal commercio internazionale e dipendente dagli ‘aiuti’ e dai prestiti dei paesi industrializzati. Questi ultimi richiedono pesanti contropartite che permettono loro di continuare a esercitare un controllo sulla vita economica del paese ‘amico’. Questa forma di controllo indiretto è definita neocolonialismo. Le ex potenze coloniali se ne servono per garantire i propri interessi, mentre USA, URSS e Cina per allargare la propria sfera d’influenza.

La decolonizzazione non riuscirà a mettere in discussione l’ordine internazionale bipolare creato dalla guerra fredda, nonostante gli ambiziosi progetti di una strategia internazionale alternativa ai due blocchi, manifestati fin dalla conferenza di Bandung (Indonesia, 1955). Attualmente il colonialismo è stato dichiarato crimine contro l’umanità, ma in molti di quei Paesi permane ancor oggi una forte dipendenza economica aggravata spesso da una situazione politica lontana dalla democrazia. Un bilancio è possibile?

FINE Lezioni d'Autore