PREGARE DIO PER I VIVI E PER I MORTI PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Anno Pastorale

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Transcript della presentazione:

PREGARE DIO PER I VIVI E PER I MORTI PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Anno Pastorale

Introduzione “Pregare Dio per i vivi e per i morti”: la lista delle opere di misericordia spirituali culmina con la preghiera. Come l’amore, anche la preghiera è un’opera, un la­voro. Pregare è un’azione faticosa. E la preghiera qui intravista è l’intercessione, la preghiera per gli altri.

Ovvero, la preghiera in cui l’uomo manifesta l’inscin­dibile connessione tra la relazione con Dio e la respon­sabilità per gli uomini, la confessione di fede e l’impe­gno storico, l’amore per il Signore e la solidarietà con i fratelli.

Pregando, noi portiamo tutto il nostro esse­re davanti al Signore, dunque anche le relazioni che ci hanno plasmato e che nutrono la nostra vita. Come vi­viamo con e per gli altri, così noi preghiamo con e per gli altri.

Etimologicamente intercedere significa “fare un pas­so tra (intercedere)”, “interporsi”, situarsi tra due parti per cercare di costruire un ponte, una comunicazione tra di esse.

Riprendendo un’immagine del libro di Giob­be, possiamo dire che l’intercessore è colui che pone una mano su Dio e una sull’uomo, sulla spalla di Dio e sulla spalla dell’uomo divenendo lui stesso un ponte tra l’uno e l’altro (cfr. Gb 9,33).

La postura di Mosè che, in piedi sul monte, tende verso il cielo le sue brac­cia assicurando così la vittoria al popolo che sta com­battendo contro Amalek, mostra innanzitutto la fatica fisica della preghiera per gli altri (le braccia tese ver­so l’alto si fanno pesanti, le mani aperte sembrano riem­pirsi di un peso insopportabile), tanto che Aronne e Cur, l’uno da un lato e l’altro dall’altro, devono soste­nere la sue braccia (cfr. Es 17,8-13).

Ma essa evidenzia anche la dimensione spirituale di tale preghiera: uno stare davanti a Dio a favore di qualcun altro, una compromissione attiva tra due parti, un situare se stessi al confine, uno stare sulla soglia, un porsi nel vuoto che intercorre tra Dio e l’uomo, un abitare il “tra”.

È la po­sizione di Aronne che “ergendosi in mezzo” (Sap 18,23) arrestò l’ira divina impedendole di raggiungere i vi­venti; è la posizione di Mosè che “si erge sulla breccia” (Sal 106,23) per stornare l’ira di Dio dal popolo; è la posizione del profeta cercato vanamente da Dio secon­do Ezechiele 22,30: “Ho cercato un uomo che costruis­se un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me per difendere il paese... ma non l’ho trovato”.

L’intercessore è l’uomo del confine, che sta tra due fuochi, nella delicatissima posizione di chi è completa­mente esposto, di chi si assume la responsabilità del popolo peccatore e la porta davanti al Dio santo e mise­ricordioso. È una posizione “cruciale”.

È la posizione di Gesù sulla croce, quando il suo stare tra cielo e ter­ra, con le braccia stese per portare a Dio tutti gli uo­mini, diviene narrazione dell’esito ultimo dell’interces­sione: il dare la vita per i peccatori da parte di colui che è santo, il “morire per” gli ingiusti da parte di colui che è giusto.

Come il Servo del Signore che, ritenuto ingiusto e castigato da Dio, in verità, soffrendo e mo­rendo per i peccatori, senza volontà di vendetta e di ri­valsa, ha portato la loro situazione davanti a Dio dive­nendo loro intercessore: “Egli è stato annoverato tra gli empi, mentre portava il peccato di molti e interce­deva per i peccatori” (Is 53,12).

Luca pone espressamente in bocca a Gesù crocifis­so l’invocazione di perdono per i suoi aguzzini: “Pa­dre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). E quella preghiera al momento della morte sin­tetizza un’intera vita spesa davanti a Dio per gli altri e mostra un Gesù divenuto egli stesso intercessione con la sua vita e la sua morte.

E il Risorto continua a in­tercedere per gli uomini dall’alto dei cieli: egli, infat­ti, “è sempre vivo per intercedere” in favore dei creden­ti (Eb 7,25; cfr. 9,24); “è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi” (Rm 8,34).

L’intercessione è una preghiera di domanda, una sup­plica, un’invocazione in cui facciamo memoria davan­ti a Dio di altri uomini. Nell’intercessione non chiedia­mo a Dio, che già sa ciò di cui abbiamo bisogno (cfr. Mt 6,8.32), di ricordarsi di qualcuno, ma “davanti a lui” ci ricordiamo, noi stessi, di altre persone per vedere il­luminata dalla parola del Signore la nostra relazione con esse.

Mentre invochiamo da Dio perdono o aiuto per chi è nel bisogno, noi ci impegniamo concretamente e facciamo tutto ciò che è in nostro potere per lui.

In que­sto senso l’intercessione è lotta contro l’amnesia che ci minaccia, purificazione della nostra relazione con gli altri e concreta dedizione per coloro per i quali si prega.

L’intercessione di Mosè è elemento costitutivo del suo ministero di guida del popolo: le tappe del cammino dell’uscita dall’Egitto sono scandite dalla sua con­tinua intercessione (cfr. Es 15,25; 17,9- 11; 32,11-14; Nm 11,2; 12,13; 14,13-19).

La figura di Mo­sè mostra come l’intercessione sia anche il faticoso si­tuarsi del profeta tra la giustizia e la misericordia di Dio: la soglia abitata dall’intercessore è la tensione che abita il nome stesso di Dio, un nome che lo proclama misericordioso, lento all’ira e capace di perdono, ma an­che giusto e che non lascia senza punizione (cfr. Es 34, 6-7).

Questo situarsi sul crinale segna anche la vita del­l’intercessore che appare come uomo che abita la soli­tudine per incontrare il Signore, come Mosè che sale sul monte e vi rimane per lunghi giorni in solitudine (cfr. Es 24,18; 34,28), e come uomo che esce dalla solitudine per incontrare gli uomini e condividere il loro cammi­no, come Mosè che scende dal monte e si situa nuova­mente tra i suoi fratelli (cfr. Es 34,29-35).

L’intercessione pone l’uomo nell’alternanza di solitudine e solidarietà. L’intercessore è l’amico di Dio (cfr. Es 33,11) che, in nome di questa stessa amicizia, lotta contro Dio per il suo popolo, mostrandosi così amico del suo popolo (cfr. 2Mac 15,14).

Se Gesù, nel suo ministero storico, ha pregato per i suoi discepoli (si pensi alla preghiera di Gesù per Pie­tro, perché non venga meno la sua fede: cfr. Lc 22,32), anche i discepoli sono chiamati a “pregare gli uni per gli altri” (Gc 5, 16).

Soggetto della preghiera nel cuore del discepolo e della comunità cristiana è lo Spirito san­to, il Paraclito, che parla la lingua di Dio e insegna al credente a pregare intercedendo con insistenza per lui (cfr. Rm 8,26).