Una corsa in taxi.

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Transcript della presentazione:

Una corsa in taxi

Sono vent’anni che guido un taxi per guadagnarmi la vita e ne ho viste di tutti i colori. Una notte verso le 2,30 sono arrivo all’indirizzo indicatomi. La casa era buia tranne una piccola luce ad una finestra al piano terra. In queste circostanze molti colleghi avrebbero suonato il clacson una o due volte, e dopo qualche minuto di attesa se ne sarebbero andati.

Troppe volte ho visto delle persone povere dipendere dal taxi come unico loro mezzo di trasporto, perciò mi sono avvicinato alla porta, come faccio sempre, se non percepisco qualche segnale di pericolo.

Questo passeggero potrebbe aver bisogno del mio aiuto, ho pensato, ed ho bussato alla porta. «Solo  un minuto», ha risposto una fragile voce di donna d’una certa età. Potevo sentire il rumore di qualcosa che veniva trascinato lentamente sul pavimento. Finalmente la porta si è aperta. 

Al suo fianco c’era una piccola valigia in nylon Al suo fianco c’era una piccola valigia in nylon. L’appartamento sembrava disabitato da anni. Tutti i mobili erano stati ricoperti con dei teli. Non c’erano orologi alle pareti, nè oggetti decorativi. In un angolo c’era una scatola di cartone piena di foto e oggetti di vetro.  

Dopo aver messo la valigia nel portabagagli sono tornato da lei per aiutarla. La signora ha preso il mio braccio e lentamente siamo andati verso la macchina mentre continuava a ringraziarmi per la mia gentilezza. «Non c’è di che» ho risposto, «cerco solo di trattare i miei clienti come vorrei fosse trattata mia madre».

Le ho fatto notare che quella non era certamente la strada più corta. Una volta saliti sul taxi mi ha dato un indirizzo, poi mi ha chiesto se potevamo passare per il centro della città. Le ho fatto notare che quella non era certamente la strada più corta.

L’ho osservata attraverso il retrovisore. I suoi occhi brillavano L’ho osservata attraverso il retrovisore. I suoi occhi brillavano. «Non ho più nessun familiare e il medico mi ha detto che non ne avrò per molto».

«Non fa niente, non mi disturba affatto, non ho fretta «Non fa niente, non mi disturba affatto, non ho fretta. Sto andando all’ospizio. L’ho osservata attraverso il retrovisore. I suoi occhi brillavano. «Non ho nessun familiare e il medico mi ha detto che non ne avrò per molto».

Tranquillamente ho spento il pc di bordo e le ho domandato se avesse qualche preferenza per la strada da percorrere.

Durante le due ore successive, abbiamo attraversato la città Durante le due ore successive, abbiamo attraversato la città. Lei mi ha mostrato l’edificio dove aveva lavorato come operatrice ascensorista. Siamo andati nel quartiere dove aveva vissuto insieme a suo marito. Ci siamo poi fermati davanti ad una magazzino di mobili che, quando era giovane, era una sala da ballo dove si recava spesso a divertirsi con gli amici.  

A volte mi chiedeva di rallentare di fronte ad un particolare edificio o in un luogo che fissava nell’oscurità , senza parlare.Alle prime luci dell’alba mi ha detto di essere stanca e di voler andare via.

Abbiamo trascorso il resto del tragitto in silenzio fino all’ospizio Abbiamo trascorso il resto del tragitto in silenzio fino all’ospizio. Era un edificio basso, una piccola casa di riposo, con un portico, un giardino ed un parcheggio. Due infermieri premurosi si sono sollecitamente avvicinati non appena ci siamo fermati. Evidentemente la stavano aspettando.

Ho preso il suo bagaglio e l’ho portato alla porta. La donna era già seduta su una sedia a rotelle. 

Quasi senza pensare, mi sono chinato e l’ho abbracciata. «Quanto le devo?» mi ha chiesto, cercando nella sua borsa. «Niente» ho risposto. «Ma lei deve lavorare per vivere!» «Certo, ma questo è un mio piccolo regalo, e poi ci sono altri passeggeri». Quasi senza pensare, mi sono chinato e l’ho abbracciata.

« Mi ha dato un piccolo momento di gioia, grazie » mi ha detto lei gentilmente. Le ho stretto la mano e mi sono allontanato nella fioca luce del mattino. Dietro di me, una porta si è chiusa: era il rumore di una vita che si concludeva.

Non ho preso altri passeggeri quel giorno Non ho preso altri passeggeri quel giorno. Ho guidato senza meta, perduto nei miei pensieri. Per il resto della giornata non sono più riuscito a parlare.

Se questa fragile donna avesse preso un conducente arrabbiato , o qualcuno che aveva fretta di finire il suo turno? Se mi fossi rifiutato di fare questa corsa, oppure avessi suonato il clacson una volta e poi fossi andato via? Facendo una rapida considerazione, ho capito che quel giorno avevo fatto una delle cose più importanti della mia vita. 

Siamo condizionati dal pensiero che le nostre vite siano al centro di grandi eventi. Spesso però i grandi momenti, celati da un’apparenza semplice e modesta, ci colgono impreparati. Le persone non possono ricordare esattamente quello che abbiamo fatto, o quello che abbiamo detto, ma si ricorderanno sempre di come le abbiamo fatte sentire.

viverla e di ballare bene. La vita può non essere la festa che speravamo, ma mentre ci siamo prendiamoci il tempo di viverla e di ballare bene.  Composizione: Sylvie Musica: Les moulins de mon coeur, A. Rieu Traduzione dal francese: Lulu