Fasi della politica economica europea: dal dopoguerra all’Unione monetaria 1. Dopo la II guerra mondiale i principali paesi europei avviano un processo.

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Transcript della presentazione:

Fasi della politica economica europea: dal dopoguerra all’Unione monetaria 1. Dopo la II guerra mondiale i principali paesi europei avviano un processo di integrazione commerciale Creazione nel 1952 della CECA – Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio, Lussemburgo)  Prima manifestazione di una struttura organizzativa sovranazionale per favorire la cooperazione economica tra paesi. Nel 1953 entra in vigore il «prelievo CECA» la prima imposta europea Il coordinamento valutario tra i paesi europei avviene nel quadro del regime di Bretton Woods (1947-1971) 1957: Trattato di Roma istituisce la Comunità economica europea (CEE, «mercato comune») Viene costituita la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) Il tedesco Walter Hallstein è il primo presidente della CEE (1958-1967): sostiene l’idea di una Europa sovranazionale contro la posizione di De Gaulle di un’Europa degli Stati. 4. Tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 nascono organismi sovranazionali, come la Corte europea di giustizia (1958), la Banca europea degli investimenti, BEI (1958) La BEI assume prestiti sui mercati dei capitali e eroga prestiti a condizioni favorevoli per progetti che sostengono obiettivi europei (prima della CEE, poi della UE). Attualmente, circa il 90% dei prestiti viene erogato all’interno della UE.

5. Convenzione di Stoccolma sull’Accordo europeo di libero scambio EFTA (Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Regno Unito, Svezia, Svizzera)(1960) 6. Istituzione del Fondo sociale europeo (1960) 7. L’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OEEC) diventa l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE-OECD(1960)) 8. 1960: Avvio della Politica agricola comune (PAC); riduzione dei dazi doganali fra gli stati membri Cee 9. 1963: Sospensione dei negoziati con i paesi candidati all’ingresso nella CEE Avvio del negoziati GATT (Kennedy Round) Convenzione di cooperazione CEE-17 paesi africani (convenzione di Yaoundè) 10. 1967: Armonizzazione delle imposte dirette nella CEE 11. Alla fine degli anni ‘60 è virtualmente completata l’integrazione commerciale dei paesi della Comunità economica europea. Non procede l’integrazione politica; falliscono proposte di dare vita ad organismi europei sovranazionali di carattere militare, in gran parte per l’opposizione della Francia che auspica una posizione indipendente dell’Europa nell’arena internazionale.

12. 1970-1971: il Rapporto Werner auspica la creazione di una unione monetaria con convertibilità totale e irreversibile delle valute europee, tassi di cambio fissi e irrevocabili, completa liberalizzazione dei movimenti di capitali. Le proposte del Piano Werner, pur accolte nel 1971 dal Consiglio europeo dei ministri dell’economia e delle finanze (ECOFIN), non vennero mai attuate 13. 1971-1973: fine del regime di Bretton Woods. Gli Stati Uniti dichiarano la inconvertibilità de jure del dollaro (che era già inconvertibile de facto) Alla richiesta USA di rivalutare le proprie monete, i paesi industriali rispondono con la fluttuazione generalizzata Nel 1971 vengono fissate nuove parità centrali con il dollaro e i margini di fluttuazione delle singole valute vengono ampliati (+/-2,25 % ); svalutazione del dollaro rispetto all’oro (da 35 $ oncia e 38 dollari)(Accordo Smithsoniano firmato dal gruppo dei 10 paesi più industrializzati). Nel 1976 il prezzo dell’oro sale a 42,22 e l’ancoraggio all’oro viene eliminato: demonetizzazione dell’oro In sequenza, diversi paesi europei abbandonano i cambi fissi: Gran Bretagna (giugno 1972), Svizzera (gennaio 1973 Italia (febbraio 1973). Nel 1972 i paesi della Cee danno vita ad una fase di oscillazione controllata e limitata delle rispettive monete  «Serpente nel tunnel» (vincolo all’oscillazione dei cambi bilaterali, +/-1,125%, «serpente», entro i margini dell’accordo smithsoniano (2,25, il «tunnel»). Vi aderiscono Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda, Danimarca, Gran Bretagna, Norvegia. Fallisce per le defezioni della Gran Bretagna, dell’Italia e della Francia 14. 1973: caduta definitiva del regime dei cambi fissi ma aggiustabili  avvio del regime dei cambi flessibili

15. Il sistema di cambi fissi ma aggiustabili, progettato per un mondo di limitata mobilità dei capitali, si trova a fronteggiare una situazione di crescente mobilità internazionale dei capitali (spesso «nascoste» nelle transazioni commerciali, enormemente cresciute tra il 1950 e il 1970); il sistema non disponeva di una chiara attribuzione di responsabilità circa i soggetti che avrebbero dovuto avviare l’aggiustamento e non disponeva di un metodo «a prova di crisi» per effettuare tale aggiustamento. Per memoria: ricordiamo le ragioni del collasso del regime di Bretton Woods Il sistema non dispone di un metodo efficace per fronteggiare l’aggiustamento di fronte a shock reali e nominali (problema del coordinamento, problema della asimmetria denunciata da Keynes a BW) I latenti movimenti dei capitali (spesso nascosti nelle «pieghe» del commercio internazionale, molto cresciuto dopo gli anni ‘50) fanno emergere la «trinità impossibile» Il «dilemma di Triffin»

16. Con il 1973 si apre per l’economia internazionale una fase di grande instabilità associata alla concomitante azione del collasso del regime di Bretton Woods e del primo shock petrolifero 17. 1973: Danimarca, Irlanda, Regno Unito aderiscono alle Comunità europee 18. 1976: Convenzione di Lomè per la cooperazione CEE-Paesi africani Negoziati Gatt (Tokyo Round): concessioni commerciali dei paesi CEE ai paesi in via di sviluppo 19. 1979: Entra in vigore il Sistema monetario europeo (SME) Ingresso della Grecia nella CEE Prima elezione a suffragio universale del parlamento europeo

Franco svizzero Marco Oro Franco F Sterlina Lira

20. I cambi fluttuanti nel corso degli anni settanta furono in realtà cambi pilotati In Italia il governo agì permettendo un maggiore deprezzamento della lira verso il marco, così da favorire le esportazioni verso il mercato tedesco, e una minore svalutazione verso il dollaro, così da ridurre l’inflazione importata legata al corso delle materie prime (denominate in dollari). Questa politica era facilitata dal fatto che il dollaro si stava svalutando rispetto al marco e questo permetteva alla lira di seguire una rotta intermedia tra le due valute.

L’aumento del prezzo del petrolio ha effetti inflazionistici e deflazionistici. Spinge sull’inflazione, peggiora le ragioni di scambio, incoraggia politiche restrittive Dopo le fasi di aumento del prezzo del petrolio degli anni ‘70 si determina un aumento dell’offerta di petrolio che, nel corso degli anni ‘80, porta ad un progressivo ribasso del prezzo del petrolio Il prezzo comincerà ad aumentare con i primi anni 2000 Nel 1973 il prezzo del petrolio aumenta da 2-3 dollari a 12 dollari per barile

Crisi petrolifere (1973; 1979-1981) e politiche monetarie restrittive (rialzo dei tassi di interesse)

Anni ’70 «declino» della potenza USA, il dollaro si deprezza rispetto alle valute maggiori (yen, marco) Dai primi anni ‘80 il dollaro recupera grazie alle politiche degli alti tassi di interesse praticati dalla FED

Il Sistema monetario europeo (SME), 1979-1998 L’introduzione dello SME avviene in Italia in un clima politico molto conflittuale. Il governo approva l’ingresso della lira nello SME, mentre tutte le opposizioni votano contro, ritenendo che l’aggancio della lira allo SME avrebbe costretto il paese ad adottare politiche restrittive e di contenimento dei salari (cosa che effettivamente avvenne) NB: inizialmente anche per l’Italia il margine di oscillazione fu portato al 6 per cento: nel 1990 l’Italia rientrò nella regola del 2,25 per cento Allo SME partecipano dal 1979 Italia, Germania, Francia, Germania, Benelux , Irlanda e Danimarca (Spagna e UK entrano in seguito)

Lo SME introdusse una significativa innovazione rispetto al regime di BW nel quale era difficile stabilire se dovevano essere le valute deboli a svalutarsi o quelle forti a rivalutarsi . I paesi deboli, di fronte ad una perdita di riserve, erano costretti ad intervenire, mentre un tale obbligo era meno stringente per i paesi con surplus esterni Nello SME l’intervento era invece, in linea di principio, dovuto sia che la valuta tendesse a rivalutarsi sia che tendesse a svalutarsi. Si stabiliva quindi un corso medio (il «corso dello scudo europeo» rispetto al quale venivano valutate le deviazioni delle singole valute politiche monetarie e fiscali.

Mentre lo SME ammetteva un principio di simmetria negli aggiustamenti dei cambi, in pratica questo non è avvenuto, per due ragioni Un paese a valuta debole continuava a subire il «ricatto» della perdita delle riserve, mentre i paesi a valuta forte si presumeva che sarebbero intervenuti, ma l’accordo non prevedeva né obblighi formali ne sanzioni in caso di non intervento Un secondo elemento di asimmetria era costituito dal fatto che, secondo gli accordi, gli interventi dovevano essere effettuati utilizzando valute comunitarie soltanto quando la valuta nazionale aveva raggiunto la soglia di tolleranza ammessa; quando la valuta si trovava all’interno del margine di oscillazione ammesso, la scelta della valuta di intervento restava libera. Se gli interventi fossero stati obbligatori in valute comunitarie, ogni rivalutazione, ad esempio del marco tedesco, avrebbe costretto la Germania a intervenire vendendo marchi contro lire, franchi o altra valuta europea; si sarebbe così messa in atto una svalutazione del marco rispetto alle altre valute europee. Se invece le autorità intervenivano prima che il margine fosse stato raggiunto, esse potevano farlo mediante l’acquisto, ad esempio, di dollari, con effetti equilibratori molto minori. Poiché nulla impediva alle autorità di un paese di intervenire prima che il margine fosse raggiunto, il paese a valuta forte (di fatto la Germania federale) poté continuare a utilizzare il dollaro come valuta di intervento, lasciando così al dollaro la sua posizione di valuta internazionale anche dopo la costituzione dello SME.

Lo SME introduce un significativo cambiamento nelle regole rispetto a BW Diversamente dal regime di BW che non poneva tra le sue finalità la creazione di un mercato finanziario integrato, lo SME assume come sua finalità centrale quella di creare uno spazio europeo integrato non soltanto sotto il profilo commerciale ma anche dal punto di vista finanziario. I paesi partecipanti si posero subito l’obiettivo di liberalizzare i movimenti di capitali. La Gran Bretagna attuò la completa liberalizzazione finanziaria nel 1979, l’Italia nel 1990 La liberalizzazione dei capitali comportò la necessità di adeguare i tassi di interesse interni ai tassi vigenti nei mercati europei: veniva in tal modo perduta la possibilità di condurre una politica monetaria autonoma e l’obiettivo dell’occupazione passava in secondo piano rispetto a quello dell’integrazione finanziaria. Sul piano istituzionale, il primato degli obiettivi finanziari su quelli reali venne consacrato con l’affermazione che in ogni paese la Banca Centrale avrebbe goduto di una autonomia sempre più completa svincolandosi dal controllo delle autorità politiche. In Italia nel 1980 si ha il «divorzio» tra la Banca d’Italia e il Tesoro: la Banca d’Italia non è più costretta a finanziare con moneta il disavanzo pubblico che può solo finanziarsi sul mercato ai tassi del mercato monetario «La risposta immediata di politica economica dei principali paesi industriali è stata volta a combattere l’inflazione. Si è fatto ricorso soprattutto allo strumento monetario e al mantenimento del cambio. L’ascesa dei tassi di interesse è principiata nella Germania Federale e si è presto propagata ad altri paesi dello SME a partire da quelli con moneta in posizione esterna debole. Il movimento ha assunto dimensioni di grande rilievo allorché si è esteso agli Stati Uniti» Banca d’Italia, Relazione del Governatore. Considerazioni finali, 1980.

La liberalizzazione del movimento dei capitali, dormiente per lunghi decenni, subisce una decisa accelerazione nel corso degli anni ottanta del XX secolo in contemporanea con l’avvio dello SME Passaggi: Atto unico del 1986 che fissa per il 1992 il completamento del mercato unico europeo Direttiva per la liberalizzazione dei capitali (1988) da attuarsi entro il 1990. Conflitto fra l’Italia e la Francia e la Germania: Francia e Italia criticano l’asimmetria dello SME e chiedono un meccanismo di riciclaggio degli avanzi (per lo più della Germania); la Germania risponde proponendo la liberalizzazione del movimento dei capitali come metodo per compensare gli squilibri della bilancia dei pagamenti. La liberalizzazione dei capitali era vista dalla Germania come un meccanismo che avrebbe permesso alle banche tedesche di «rientrare» nel gioco evitando che i flussi di capitali finissero nelle altre piazze finanziarie La liberalizzazione dei capitali è vista come una opportunità di apertura verso i paesi dell’est che stanno avviando un processo di uscita/disgregazione dalle economie pianificate La Germania ritiene che l’apertura dei paesi ai flussi di capitale rappresenti un meccanismo di disciplina delle politiche economiche

L’origine degli alti tassi di interesse reali dalla fine degli anni ‘70 è da cercare negli orientamenti della politica economica americana Nel 1980 la Fed combatte l’inflazione con una politica monetaria restrittiva che viene però accompagnata da una politica fiscale espansiva: questo determina alti tassi di interesse ai quali gli altri paesi devono adattarsi, data la mobilità dei capitali. L’aumento dei tassi di interesse determinò una inversione del corso del dollaro, che si era deprezzato negli anni settanta: il dollaro si rivaluta nella prima metà degli anni ‘80. L’apprezzamento del dollaro aggravò le conseguenze del secondo shock petrolifero (1979), in quanto il prezzo del petrolio, essendo fissato in dollari, raddoppia in termini di franchi o lire se il dollaro si apprezza. Il deprezzamento delle valute europee rafforzò la determinazione dei paesi europei nella lotta contro l’inflazione. I paesi a valuta più forte ingaggiano una gara con gli Stati Uniti per strappare i capitali liberi: questo favorisce la rincorsa verso l’alto dei tassi di interesse La lotta contro l’inflazione determinò nei paesi europei rallentamento della crescita e aumenti ingenti della disoccupazione. Il riorientamento della politica economica e monetaria ha conseguenze imponenti per la distribuzione del reddito tra imprese e azionisti, tra imprese e lavoratori e tra imprese e stato.

La disinflazione negli anni ‘80 TASSI DI VARIAZIONE La disinflazione negli anni ‘80

1𝑎) 𝑖 𝐺 = ℎ 𝐺 + 𝛼 𝐺 𝑌 𝐺 + 𝛽 𝐺 𝑃 𝐺 1𝑏) 𝑖 𝐼 = ℎ 𝐼 + 𝛼 𝐼 𝑌 𝐼 + 𝛽 𝐼 𝑃 𝐼 Modello di interazione tra due paesi all’interno di un’area monetaria a cambi fissi: i fattori di crisi dello SME 1𝑎) 𝑖 𝐺 = ℎ 𝐺 + 𝛼 𝐺 𝑌 𝐺 + 𝛽 𝐺 𝑃 𝐺 1𝑏) 𝑖 𝐼 = ℎ 𝐼 + 𝛼 𝐼 𝑌 𝐼 + 𝛽 𝐼 𝑃 𝐼 i = tasso di interesse nominale Y = reddito nominale P = tasso di inflazione H = coefficiente di «avversione all’inflazione» a, b, parametri (> 0) Le due relazioni riproducono la c.d. «regola di Taylor» della politica monetaria, secondo cui il tasso di interesse viene fissato dall’autorità monetaria tenendo conto del livello del reddito e del tasso d’inflazione Un paese molto avverso all’inflazione avrà un alto coefficiente b, un policy maker che non si preoccupa per l’equilibrio interno avrà un alto coefficiente a (anche un modesto aumento del reddito induce una manovra restrittiva) G e I indicano Germania e Italia Si ipotizza 2𝑎) ℎ 𝐺 − ℎ 𝐼 >0 2𝑏) 𝛽 𝐺 − 𝛽 𝐼 >0 cioè: Germania più ostile all’inflazione dell’Italia

3𝑎) 𝑌 𝐺 =𝑘 (𝐴 𝐺 − 𝑏 𝐺 𝑖 𝐺 ) 3𝑏) 𝑌 𝐼 =𝑘 (𝐴 𝐼 − 𝑏 𝐼 𝑖 𝐼 ) 3𝑎) 𝑌 𝐺 =𝑘 (𝐴 𝐺 − 𝑏 𝐺 𝑖 𝐺 ) Curva IS A = componente autonoma della domanda aggregata, b·i = componente sensibile al tasso d’interesse, k = moltiplicatore (uguale nei due paesi) 3𝑏) 𝑌 𝐼 =𝑘 (𝐴 𝐼 − 𝑏 𝐼 𝑖 𝐼 ) Parità non coperta dei tassi d’interesse, dove il secondo termine dopo il segno di eguale è la variazione attesa del tasso di cambio 𝑖 𝐼 = 𝑖 𝐺 −∆ 𝐸 𝐼𝐺 𝑒 4) 𝑖 𝐼 = 𝑖 𝐺 Condizione di mobilità perfetta dei capitali nello SME con cambi credibili e fissi Dato il reddito (almeno momentaneamente), le relazioni 1 diventano Data la diversità strutturale riflessa nei parametri 2, uno stesso tasso d’inflazione comporta tassi d’interesse più alti in Germania, mentre lo stesso tasso d’interesse comporta inflazione più alta in Italia. Nel primo caso l’Italia perde riserve e il cambio è messo sotto pressione; nel secondo caso, il differenziale d’inflazione peggiora la competitività e mette sotto pressione il cambio. 1𝑐) 𝑖 𝐺 = ℎ 𝐺 + 𝛽 𝐺 𝑃 𝐺 1𝑑) 𝑖 𝐼 = ℎ 𝐼 + 𝛽 𝐼 𝑃 𝐼

Al dilemma implicato vi sono tre soluzioni possibili Soluzione cooperativa: la Germania diventa meno «rigida», l’Italia diventa meno «lasca» (richiede un cambiamento dei comportamenti dei giocatori) Soluzioni lassista: i tassi d’interesse sono fissati dal paese con maggiore propensione inflazionistica Soluzione egemonica: i tassi d’interesse sono fissati dal paese più «rigido». L’Italia deve importare la virtù della Germania e/o tenere sotto controllo la domanda interna. Questa è la «soluzione» che si è affermata nello SME prima del collasso del 1992-1993 I paesi a valuta debole (compresa l’Olanda!) sono costretti a mantenere un tasso di disoccupazione relativamente elevato rispetto al paese leader (Germania)

Alla fine degli anni ‘70 si assiste ad un radicale cambiamento negli orientamenti della politica economica internazionale Nei decenni precedenti tutti i paesi, in modi diversi e con effetti diversificati, puntarono a salvaguardare gli equilibri interni (piena occupazione) in un contesto in cui la crescita del commercio internazionale contribuiva a «nascondere» i problemi dell’architettura del sistema monetario internazionale. La crescita rapida dei paesi europei e del Giappone fu favorita dal processo di catching up tecnologico Il collasso del regime di BW, l’inflazione degli anni settanta e le crisi petrolifere si sono accompagnati ad un deciso rallentamento degli indici di crescita dell’economia europea. Il rallentamento della crescita inizia negli anni ‘70 e prosegue negli anni ‘80 EFFETTI DEGLI ALTI TASSI DI INTERESSE: RALLENTAMENTO DELLA CRESCITA

Tasso di disoccupazione e costo reale netto del capitale Costo netto del capitale = tasso di interesse meno crescita della produttività Il tasso di interesse (reale) rappresenta il costo lordo del capitale, mentre la differenza tra il tasso di interesse e la crescita della produttività rappresenta il costo reale netto, perché la produttività rappresenta, per l’impresa, un elemento che contribuisce a «rimborsare» il costo degli interessi… EFFETTI DEGLI ALTI TASSI DI INTERESSE: AUMENTO DELLA DISOCCUPAZIONE

Rapporto tra il PIL pro capite medio dei paesi CEE e il PIL pro capite degli USA Italia, Germania, Francia, Belgio, Olanda Tra il 1950 e i primi anni ‘80 i paesi Cee colmano il divario di crescita rispetto agli USA, poi perdono terreno quando l’orientamento delle politiche economiche europee cambia e adotta orientamenti monetaristi (1979-1980) EFFETTI DEGLI ALTI TASSI DI INTERESSE: RALLENTAMENTO RELATIVO DELL’EUROPA RISPETTO AGLI USA

b - b -1 = (g-e) - m + (r-n)b -1 Algebra del debito pubblico b = B/Y, rapporto tra debito pubblico e PIL g = G/Y, rapporto tra la spesa primaria e il PIL e = E/Y entrate pubbliche/PIL r = tasso di interesse reale n = tasso di crescita reale Se r aumenta e supera il tasso di crescita dell’economia, il debito aumenta continuamente e automaticamente La relazione precedente si riscrive… b = (g-e) - m + (r-n+1)b -1 Con r > n, r+n+1 > 1 e quindi b è maggiore di b(-1) in ogni periodo Per evitare l’esplosione del debito è necessario produrre ogni anno avanzi primari EFFETTI DEGLI ALTI TASSI DI INTERESSE: AUMENTO DEL DEBITO PUBBLICO

Negli anni ‘50 e ‘60 i detentori di azioni vedono ridurre la loro quota nei profitti delle imprese che per lo più investono i profitti in ampliamenti della capacità produttiva. All’inizio degli anni ‘80 la situazione si rovescia e gli azionisti ottengono remunerazioni crescenti. Dal 1980 si osserva una forte remunerazione del capitale, non tanto dal punto di vista del saggio di profitto delle imprese quanto dal punto di vista dei creditori e degli azionisti: finanza costosa per le imprese. EFFETTI DEGLI ALTI TASSI DI INTERESSE: TRASFERIMENTI DALLE IMPRESE AGLI AZIONISTI

Finanziarizzazione: aumento della quota dei profitti prelevati dal settore finanziario

EFFETTI DEGLI ALTI TASSI DI INTERESSE: RIDUZIONE DEI PROFITTI AL NETTO DEGLI INTERESSI

EFFETTI DEGLI ALTI TASSI DI INTERESSE: RIDUZIONE DEI PROFITTI AL NETTO DEGLI INTERESSI

L’aumento della disoccupazione e la debolezza dei mercati del lavoro determinano un rallentamento della dinamica dei salari, ancora più forte del rallentamento della produttività, l’aumento dei tassi di interesse sposta reddito dalle imprese alla finanza, le imprese «recuperano» tagliando la quota salari 𝑞𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑡𝑡𝑎= 𝑠𝑎𝑙𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑡𝑜

All’aumentare del grado di finanziarizzazione cade la quota dei salari nel reddito

La crisi dello SME: 1992-1993 E’ una crisi del regime di cambio che si manifesta nel modo “classico” con una rincorsa al rialzo dei tassi di interesse dei diversi paesi per bloccare la fuoriuscita di capitali Passaggi verso la crisi Il controllo del movimento dei capitali, pur parziale, ha “protetto” il sistema nei primi anni di vita, quando il tasso di cambio è stato aggiustato diverse volte, senza innescare crisi valutarie. Il controllo dei capitali fu un fattore che limitò le spinte speculative (soprattutto verso le monete deboli del sistema, lira e franco francese) Lo SME era pensato per evitare crisi di bilancia dei pagamenti, in virtù degli obblighi di intervento simmetrico a sostegno delle valute Prima del 1992-1993 tuttavia il sistema non è stato sottoposto a urti importanti e non è stato veramente messo alla prova La Bundesbank mantiene sempre un atteggiamento delle “mani libere” di fronte agli interventi di stabilizzazione del sistema quando questi minacciano la stabilità interna. Il collasso dello SME si manifesta in una particolare congiuntura economica e politica che mostra che i regimi di cambio tendono a non reggere quando sono veramente messi sotto pressione. Lo shock è l’unificazione tedesca: il paese al centro del sistema subisce uno shock importante di cui sottovaluta le implicazioni fiscali (costi della riunificazione) e non è disposto a pagare i costi dell’aggiustamento necessario.

Un bilancio del processo di integrazione economica europea: quali effetti sulla crescita? Nel 1988 il “Rapporto Cecchini”, prodotto in preparazione del mercato unico (1992) stimava gli effetti una tantum del mercato unico compresi tra il 2,5 e il 6 per cento del PIL. Non valutava gli effetti dinamici (virtualmente impossibili da valutare) Nel 2006 la Commissione Europea affermava che, grazie al mercato unico, si sono creati due milioni e mezzo di occupati (tra il 1992 e il 2006), pari all’1 per cento dell’occupazione europea del 2006 (tra il 2008 e il 2013 l’UE perde più di cinque milioni di posti di lavoro!) La stima di Boltho e Einchengreen valuta in 5 punti di pil l’effetto cumulato di tutti i passaggi della costruzione dello spazio economico europeo: 3-4 punti al mercato comune (effetto da tempo esaurito), meno di un punto al mercato unico, e nessun punto alla moneta unica. A. Boltho e B. Eichengreen, “The Economic Impact of European Integration”, Discussion Paper n. 6820, Centre for Economic Policy Research, maggio 2008.

Importanza dello shock fiscale nella riunificazione tedesca: nel 1992 il 6 per cento del PIL tedesco viene trasferito ai lander orientali: la somma è pari al 60 per cento PIL della ex DDR. Nel 1991 la FDR trasferisce alla DDR una somma pari ad oltre la metà del risparmio tedesco! La Germania ha un avanzo primario nel periodo 1984-1989, passa in disavanzo nel periodo 1990-1993; il debito pubblico aumenta di 20 punti tra il 1990 e il 1995 (come frazione del Pil); diminuiscono le esportazioni nel triennio 1991-1993 Conflitto tra il governo tedesco e la Bundesbank che minaccia tassi di interessi elevati se il governo non riduce il disavanzo: il tasso di sconto della Bundesbank passa dal 3 per cento del 1988, al 5 per cento nel 1990, ad oltre il 9 per cento nel 1993  gli altri paesi sono costretti a seguire (e/o a svalutare) Nel 1992 risulta chiaro che la Bundesbank perseguirà una politica monetaria restrittiva per contrastare la politica fiscale del governo e a prescindere delle conseguenze sui paesi aderenti allo SME Effetti di contagio e implicazioni macroeconomiche sono cruciali per comprendere la crisi dello SME L’esperienza dello SME mostra che le crisi valutarie possono manifestarsi anche in assenza di “indisciplina” fiscale e di sovraespansione monetaria (modelli di III generazione)(alcuni paesi colpiti nella crisi dello SME erano paesi fiscalmente virtuosi) La crisi (e l’esperienza dello SME) mostra che i controlli ai movimenti di capitali sono efficaci almeno nel rallentare le pressioni della speculazione. Irlanda, Spagna e Portogallo mantengono i controlli dei capitali e riescono a restare nello SME; Italia, Regno Unito e Svezia, che avevano eliminato i controlli, sono costretti ad uscire dallo SME. La crisi mostra che il meccanismo di coordinamento intra-SME si blocca

L’aumento generalizzato del debito pubblico è una manifestazione del contagio

Nel giugno 1992 i danesi respingono il trattato di Maastricht, il referendum francese di settembre sul trattato l’approva con margine molto stretto: sono fattori addizionali di crisi di fiducia che mostrano gli elementi di fragilità della costruzione europea W. Kenen, Capital controls, the EMU and the EMS, Economic Journal 1995

Questa galoppata dagli anni 70 alla crisi dello SME si chiude con il Trattato di Maastricht e i suoi famosi parametri: da dove vengono? Il rapporto tra debito pubblico, B, e reddito, Y, non deve aumentare (sostenibilità) Il rapporto tra debito pubblico e reddito non aumenta se il debito cresce non più del reddito Se moltiplichiamo ambo i lati per B/Y In assenza di copertura monetaria, la variazione del debito è pari al deficit (o indebitamento) Se vale questa condizione il debito pubblico non aumenta in rapporto al PIL Ad es., in Italia nel 1997 d = 0,027, B/Y = 1,216 , DY/Y = 0,041  1,216•0,041 = 4,98 > 2,7 Il debito è in diminuzione

Lettura normativa dei parametri di Maastricht Poniamo l’obiettivo Q = reddito reale, P = livello dei prezzi Poniamo il vincolo Data la relazione si ottiene  Dato l’obiettivo di inflazione del 2 per cento fissato dalla BCE, la crescita nominale del 5 per cento implica una crescita reale del 3 per cento   un’economia che cresce al tasso reale del 3 per cento con un’inflazione al 2 per cento mantiene il rapporto debito/Pil al 60 per cento con un deficit complessivo pari al 3 per cento del Pil

Fasi verso la moneta unica (UME, unione monetaria europea) 1) Primo stadio (1990-1993): abolizione di ogni restrizione ai movimenti dei capitali, divieto di finanziamento monetario del deficit pubblico, adozione di programmi di convergenza (inflazione, tassi di interesse, deficit pubblico), restrizione della banda di oscillazione delle monete (1976) 2) Secondo stadio (1994-1996/98): controllo dei deficit pubblici e del debito pubblico, costituzione dell’Istituto monetario europeo (precursore della BCE), omogeneizzazione delle legislazioni sulla banca centrale, eliminazione di meccanismi automatici di solidarietà tra i paese aderenti e previsione di sanzioni per i paesi che infrangono i vincoli finanziari 3) Terzo stadio (1997-1999): verifica dei requisiti per l’ingresso dei paesi nella UME, creazione del sistema delle Banche centrali europee, fissazione del tasso di cambio irrevocabile tra le monete dei paesi UME 4) Quarto stadio (post 1999): introduzione dell’euro, prima come moneta di conto, poi come circolante (2002)