LEZIONI di MEDICINA LEGALE Dott.ssa Eleonora LUZI

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Transcript della presentazione:

LEZIONI di MEDICINA LEGALE Dott.ssa Eleonora LUZI Il DIRITTO ALLA RISERVATEZZA La disciplina nel Codice della privacy, nel Codice deontologico e nel Codice penale LEZIONI di MEDICINA LEGALE Dott.ssa Eleonora LUZI

  “…di tutto ciò che vedrò o intenderò nella vita comune, durante l’esercizio della mia professione o anche al di fuori di essa, tacerò quando non è necessario sia reso noto, considerando in simili casi la discrezione come un dovere…” Dal Giuramento di Ippocrate

La tutela della riservatezza La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha precisato che il rispetto della segretezza (riservatezza) delle informazioni ottenute in campo sanitario, costituisce un principio fondamentale del sistema giuridico di tutti gli Stati aderenti alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

Dalla tutela al diritto alla riservatezza Nel nostro ordinamento, fino alla promulgazione della legge 31 dicembre 1996, n. 675 sulla tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, la riservatezza del paziente era salvaguardata da: Codice penale che punisce la “Rivelazione di segreto professionale” e la “Rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio” Codice deontologico Le norme che consentivano ai professionisti di non rendere testimonianza nei processi in cui erano chiamati a deporre su fatti appresi nell’esercizio della loro attività Queste disposizioni di legge non riguardavano in maniera specifica l’attività medica e non disciplinavano un diritto soggettivo alla riservatezza Con la legge 31 dicembre 1996, n. 675, nasce il diritto soggettivo alla riservatezza e la riservatezza del paziente riceve una disciplina non più limitata a particolari categorie di malati, ma inserita nel contesto di un generale diritto alla privacy di cui gode ogni cittadino, indipendentemente dal suo stato.

Il Codice della Privacy Il D.lgs 30 giugno 2003, n. 196, abroga la legge 675/96 e approva il Codice in materia di protezione dei dati personali, correntemente detto “Codice della privacy”. Principio fondamentale Nessuno può, senza il consenso informato dell’interessato, effettuare il trattamento dei suoi dati personali Finalità → assicurare ad ogni soggetto il controllo sui dati personali che lo riguardano

La disciplina dei dati sensibili Per i dati sensibili, le informazioni idonee a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dei cittadini, il codice prevede una disciplina particolarmente garantista: possono essere trattati solo con il consenso scritto dell’interessato e con l’autorizzazione del Garante

La disciplina dei dati personali in ambito sanitario Nessun trattamento deve essere notificato al Garante se è effettuato dai medici di famiglia o dai pediatri di libera scelta. Deve essere notificato al Garante il trattamento quando riguarda dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, quando sono utilizzati a fini di procreazione assistita; Prestazioni di servizi sanitari per via telematica inerenti a banche dati o a forniture di beni; indagini epidemiologiche; rilevazioni di malattie mentali, infettive e diffusive, siero-positività; Trapianto di organi e tessuti e monitoraggio dell spesa sanitaria.

Consenso informato in materia di tutela della riservatezza Consenso informato inerente l’attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione → la prestazione medica Consenso informato in materia di tutela della riservatezza → l’informazione e il consenso riguardano il trattamento dei dati clinici e cioè l’utilizzazione delle informazioni sullo stato di salute del cittadino Scopo dell’informazione: quello di far sapere all’utente quali persone entreranno in possesso dei dati inerenti al suo stato di salute e quello di spiegare che il trattamento ha la finalità di condurre al meglio le eventuali attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione.

Responsabilità per violazione delle norme a tutela della privacy La diffusione dei dati personali in ambito sanitario è vietata sia ai soggetti pubblici che a quelli privati, ed è punita con la reclusione, se dal fatto deriva nocumento. Per la punibilità si richiede sempre che si sia agito al fine di trarre profitto per sé o per altri o di arrecare danno ad altri (artt. 21, 26, 34 del D.lgs 30 giugno 2003, n.196). Il medico che non abbia agito con le finalità suddette, potrebbe, senza incorrere in una responsabilità penale, essere civilmente responsabile, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno

Il Codice Penale Art. 622 “Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto,è punito con la reclusione, se dal fatto può derivare nocumento” Il Codice penale, al contrario di quello deontologico, non definisce il concetto di segreto. E’ la giurisprudenza a stabilire in relazione al caso concreto se un fatto debba essere tenuto segreto o meno. In linea di principio il medico e ogni altro operatore sanitario devono considerare segreto tutto ciò che riguarda direttamente o indirettamente il loro assistito.

Giuste cause di rivelazione del segreto professionale Giuste cause imperative: quando la divulgazione è resa obbligatoria dalla legge Il referto (art. 365 c.p.) l'atto mediante il quale ogni esercente una professione sanitaria rende noti all'autorità giudiziaria competente i casi, in cui ha prestato la propria assistenza od opera, che presentino le caratteristiche di delitti perseguibili d'ufficio. Esso rientra tra le attività doverose cui il medico è sottoposto. La denuncia di reato (artt. 361 e 362 c.cp.) La denuncia sanitaria (a differenza del referto non persegue la repressione dei reati, bensì scopi statistici, epidemiologici, di tutela della salute della collettività, rivolgendosi per questo all’autorità amministrativa).

Giuste cause di rivelazione del segreto professionale Giuste cause permissive: quando la giusta causa dipende piuttosto che da specifiche norme, dalle particolari circostanze del caso concreto. Si ritiene comunemente che la giusta causa si configuri quando il paziente tragga beneficio dalla rivelazione degli elementi conoscitivi di carattere clinico acquisiti nell’esercizio o in occasione della professione sanitaria. L’art. 622 c.p. si applica al medico che ha agito come professionista privato!

Art. 326 c.p. “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie d’ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione”. Tale disposizione è più rigorosa di quella dell’art. 622 c.p., e non solo per la maggiore gravità della pena, ma anche per quanto attiene ai suoi presupposti la condotta è punita anche se non si è verificata la possibilità di un danno concreto la condotta è perseguibile d’ufficio; nella fattispecie di cui all’art. 622 la condotta è perseguibile a querela di parte. La maggiore severità della norma dipende da ragioni di tutela del prestigio della pubblica funzione.