PRIMI MODELLI ATOMICI Modello atomico di Dalton Nel 1808 John Dalton propone un modello di atomo in grado di spiegare le leggi ponderali della chimica: l’atomo è visto come una particella di forma sferica, solida e indivisibile. Ben presto ci si rese conto che un simile modello teorico di atomo non era in grado di spiegare i fenomeni elettrici (legati alla presenza degli elettroni) e nemmeno la natura dei legami che uniscono tra loro gli atomi.
Modello atomico di Thomson Nel 1897 il fisico J.J. Thomson dimostra che i raggi catodici sono particelle di carica negativa. Gli atomi si comportano come particelle neutre, per cui la presenza di particelle dotate di carica negativa può essere spiegata solamente ipotizzando che esistano nell’atomo anche particelle positive. Thomson propone perciò un modello di atomo che prevede un’omogenea distribuzione di particelle positive e negative, quest’ultime sparse come l’uvetta nel panettone (modello atomico “a panettone”).
Modello planetario di Rutherford Nel 1911 il fisico E. Rutherford bombardò una sottilissima lamina di oro con raggi α. Le particelle α passavano nel 99% dei casi attraverso la lamina senza subire deviazioni. In qualche caso venivano deviate e in rarissimi casi venivano respinte indietro. Rutherford capì che l’atomo era sostanzialmente uno spazio quasi del tutto vuoto. Infatti, la gran parte delle particelle α che attraversava la lamina non colpiva il nucleo, quelle poche che lo facevano venivano deviate o respinte.
La rotazione dell’elettrone intorno al nucleo su orbite circolari o ellittiche origina una forza centrifuga tale da controbilanciare la forza di attrazione fra cariche opposte. Il modello non prevedeva la presenza di neutroni. Limiti: 1) in quanto dotato di carica elettrica l’elettrone in moto circolare emette energia radiante e in breve tempo perderebbe la propria energia cinetica cadendo sul nucleo; 2) elettroni e protoni si attraggono: collasso dell’atomo.
Per spiegare l’esistenza dell’atomo occorre un modello che tragga origine da una nuova fisica basata su principi e postulati diversi da quelli classici: la meccanica quantistica o ondulatoria.
LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA Il fisico J.C. Maxwell dimostrò che tutte le proprietà note della luce erano spiegabili attraverso un insieme di equazioni basate sull’ipotesi che la luce fosse un’onda elettromagnetica. La luce visibile è una porzione ristretta della cosiddetta radiazione elettromagnetica alla quale è associato un campo elettrico e un campo magnetico che oscillano in direzioni perpendicolari. I vettori E ed H seguono andamenti sinusoidali in fase l’uno rispetto all’altro. Nella luce non polarizzata, i vettori E ed H oscillano in tutti gli infiniti piani, ortogonali fra loro, passanti per la direzione di propagazione.
Ampiezza d’onda (A): massimo valore assunto dal campo. La radiazione si propaga in ogni direzione in linea retta con una velocità (c) nel vuoto di 2,998 · 108 m s-1. c = , cioè = c/ Frequenza (): numero di volte al secondo (cicli) in cui il vettore campo elettromagnetico assume l’intero ciclo di valori (Hz o s-1). Lunghezza d’onda (): tratto corrispondente a un intero ciclo di valori del vettore campo elettromagnetico (m). Ampiezza d’onda (A): massimo valore assunto dal campo. Intensità (I): proporzionale al quadrato dell’ampiezza (I = k A2).
Tipi di radiazioni elettromagnetiche e spettro della regione visibile (insieme delle radiazioni monocromatiche)
LA QUANTIZZAZIONE DELL’ENERGIA M. Planck (1900) propose che le onde elettromagnetiche non potessero essere emesse da un corpo caldo ad un ritmo arbitrario e continuo, ma solo sotto forma di pacchetti d'onde (pacchetti di energia) che egli chiamò quanti di energia. Ogni quanto possiede una certa quantità di energia che dipende dalla frequenza secondo la relazione: E = h dove è la frequenza della radiazione e h è la costante di Planck (6,62 · 10-34 J s).
Mentre nella meccanica classica l'energia è un continuo, la meccanica quantistica prevede la possibilità che ci siano solo certi valori (livelli) dell'energia accessibili al sistema. Gli scambi di energia nei fenomeni di emissione e di assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche avvengono in forma discreta e discontinua, proporzionale alla loro frequenza di oscillazione. E = h L’energia di un singolo salto è l’energia di un quanto di luce
L'effetto fotoelettrico consiste nell'emissione da parte di un metallo di elettroni quando venga colpito da radiazione elettromagnetica. E0= E di legame degli elettroni nel metallo Eluce – E0 = Ecin elettroni Secondo la teoria elettromagnetica classica ci si attendeva che gli elettroni fossero strappati da qualsiasi radiazione (anche a bassa intensità) purché il tempo di irradiazione fosse sufficientemente lungo. Inoltre, aumentando l'intensità luminosa o il tempo si pensava che gli elettroni sarebbero usciti con maggiore Ecin.
Secondo la fisica classica, poiché l’intensità di un’onda elettromagnetica dipende dall’ampiezza A ma non dalla frequenza , l’energia cinetica degli elettroni emessi dovrebbe essere indipendente dalla frequenza e la luce di qualsiasi frequenza dovrebbe provocare emissione di elettroni purché l’intensità sia sufficiente (anche come somma di radiazioni a bassa intensità). La teoria ondulatoria della luce non spiega quindi i fatti osservati nell’effetto fotoelettrico.
Einstein nel 1905 propose che tutte le osservazioni sperimentali potevano essere spiegate combinando la teoria di Planck dei quanti di energia con la nozione che la luce possieda non soltanto proprietà tipiche delle onde, ma anche proprietà tipiche delle particelle. Einstein assunse che queste particelle (corpuscoli) chiamate fotoni trasportassero energia che può essere calcolata con l’equazione di Planck E = h.
L’equivalenza tra massa ed energia secondo la relazione di Einstein E = mc2, permette di considerare un quanto di luce (pacchetto di energia) come una particella di massa m il cui valore soddisfi la relazione mc2 = h. Quindi, invece di considerare la luce solo come una radiazione elettromagnetica, la possiamo pensare anche come costituita da particelle (fotoni) con massa m = h/c2. Radiazione elettromagnetica e particelle sono due attributi diversi dello stesso fenomeno.
Gli elettroni sono emessi solo quando il metallo viene investito da una radiazione (fotone) avente una ben precisa frequenza (frequenza di soglia, 0) tale che h0 E0. Utilizzando luce di maggiore (minore ), anche se molto intensa o per lungo tempo, non si ottiene alcun effetto. Utilizzando luce di superiore a quella di soglia si ottiene la fuoriuscita di elettroni più energetici dato che aumenta la differenza E = Efotone – E0.
Lo spettro dell’atomo di idrogeno Quando la luce colpisce un atomo di H, esso assorbe fotoni di una precisa frequenza (e quindi lunghezza d’onda) e ogni fotone assorbito cede la sua energia a un elettrone, che può perciò passare a un livello energetico più alto (stato energetico permesso). Quando un elettrone eccitato e spostato su un’orbita più esterna torna a un livello energetico più basso emette energia sotto forma di un fotone della stessa frequenza (lunghezza d’onda).
Lo spettro di assorbimento rivela le frequenze/lunghezze d’onda che vengono assorbite da un atomo di H attraversato da una radiazione elettromagnetica: ogni atomo assorbe radiazioni di particolare frequenza d’onda, lasciando passare le radiazioni di altra frequenza d’onda. Si realizza così uno spettro di assorbimento caratterizzato dalla presenza di linee scure di assorbimento in corrispondenza delle lunghezze d’onda delle radiazioni assorbite (spettro a righe).
L’insieme delle radiazioni elettromagnetiche di differenti frequenze emesse quando l’elettrone ritorna allo stato fondamentale costituisce invece lo spettro di emissione dell’atomo di H.
Diagramma delle energie dell’atomi di idrogeno E = 0, l’elettrone non interagisce più con il nucleo E (stato eccitato) (stato fondamentale) Diagramma delle energie dell’atomi di idrogeno
L’atomo di Bohr Osservando gli spettri di emissione e di assorbimento dell’atomo di idrogeno, nel 1913 il fisico N. Bohr propose un modello atomico (planetario come quello di Rutherford e valido per l’atomo di idrogeno) ad orbite quantizzate (quantità discrete, finite di E). Nel modello di Bohr l’elettrone non collassa sul nucleo, ma ruota senza emettere energia lungo orbite circolari prefissate: gli stati stazionari. a0 = raggio di Bohr = 53 pm (0,53 Å) rn = n2 a0
Il modello si basa sui seguenti punti: 1. l’elettrone percorre solo determinate orbite circolari quantizzate, nelle quali ruota senza assorbire né emettere energia (orbite stazionarie, stato fondamentale); 2. l’elettrone assorbe energia solo se essa gli permette di saltare da un’orbita a un’altra di livello energetico maggiore (stato eccitato); 3. se l’elettrone torna a un livello di energia minore l’atomo emette energia sotto forma di fotoni; 4. l’energia della luce, emessa o assorbita, è uguale alla differenza di energia delle due orbite. L’energia dell’elettrone può assumere solo valori ben definiti.
L’ipotesi di Bohr sulla struttura dell’atomo spiega perché gli spettri di emissione degli atomi sono spettri discontinui, a righe: ogni riga corrisponde a un ben determinato valore di energia, che a sua volta corrisponde alla differenza di energia fra due orbite. UV
n = 1 n = 2 n = 3 E = h L’energia dell’elettrone in un atomo di H dipende dal numero n ovvero dallo stato energetico permesso. Nel ritornare allo stato fondamentale (n = 1), salti energetici più grandi determinano un aumento della frequenza di emissione.
Nel caso di atomi con più elettroni il modello di Bohr non è valido perché, oltre alle forze attrattive tra nucleo ed elettroni, sono presenti anche forze repulsive dovute all’interazione elettrone-elettrone.
Modello di Sommerfeld Tra le ipotesi iniziali di Bohr vi era quella che le orbite degli elettroni fossero circolari. Si trattava di un'ipotesi semplificatrice visto che la teoria di Bohr è formalmente simile alla legge di gravitazione universale, la quale costringe i corpi a ruotare intorno ad un baricentro comune su orbite ellittiche (la circonferenza può essere considerata un caso particolare di ellisse). Nel 1915 A. Sommerfeld portò delle modificazioni al modello iniziale di Bohr, introducendo appunto delle orbite ellittiche in cui il nucleo occupava uno dei due fuochi, in modo del tutto analogo a quanto accade per le orbite planetarie.
Egli dimostrò che mentre nel primo livello l'elettrone poteva percorrere solo un'orbita circolare, nel secondo livello oltre ad un'orbita circolare l'elettrone avrebbe potuto occupare con la stessa energia, anche un'orbita ellittica avente l'asse maggiore della stessa lunghezza del diametro dell'orbita circolare. Nel terzo livello era poi possibile per l'elettrone occupare, oltre all'orbita circolare due orbite ellittiche aventi assi maggiori uguali al diametro dell'orbita circolare, ma diversa eccentricità e cosi via.
La natura dualistica dell’elettrone e la meccanica ondulatoria Nel 1925 L. De Broglie ipotizzò che, se la luce può essere considerata sia onda che particella (fotone), anche agli elettroni e ai corpi in movimento si può attribuire una natura ondulatoria. Questa ipotesi, confermata in seguito sperimentalmente, indica che a una particella di massa m (espressione della natura corpuscolare) che si muove a una velocità v è associabile una lunghezza d'onda λ (espressione della natura ondulatoria) secondo la relazione: = h/mv mv = quantità di moto
Come la luce, così qualunque particella in movimento (anche un elettrone) può essere considerata o trattata come un’onda piuttosto che come una particella compatta che si muove lungo orbite circolari o ellittiche.
Le orbite quantizzate di Bohr devono soddisfare la condizione di contenere un numero intero di lunghezze d'onda. Si formano in tal modo delle onde, dette onde stazionarie, tali che dopo un'orbita completa l'onda si trova esattamente in fase con se stessa. Altre orbite non sono consentite poiché in qualsiasi altro caso le onde si sovrapporrebbero creando interferenza distruttiva.
L’orbita esterna è formata da un’onda, la seconda da due onde e la terza, esterna, da tre onde in fase. onda non permessa
Il principio di indeterminazione di Heisenberg Non si possono misurare contemporaneamente certe proprietà di un sistema che si muove ad altissima velocità con una precisione grande a volontà. La posizione e la velocità di una particella in movimento sono complementari, cioè risulta impossibile conoscere simultaneamente con precisione sia la velocità che la posizione di una particella. In accordo, tanto più bassa è la precisione con cui si misura la posizione di un corpo, tanto maggiore è la precisione della misura della sua velocità (a) e viceversa (b).
Il prodotto degli errori nella determinazione contemporanea della quantità di moto (velocità) e della posizione di un corpo in movimento non può essere minore di h/2. Per un corpo che si muova lungo l’asse x il principio di indeterminazione è quindi espresso come (mv)x h/2 = errore nella determinazione della grandezza Il principio di indeterminazione può essere trascurato per corpi di grande massa (mondo macroscopico), permettendo così in tal caso la misura contemporanea di velocità e posizione di un corpo in movimento.
A livello atomico, non si possono conoscere contemporaneamente velocità e posizione dell’elettrone, così come energia e posizione (Ecin=1/2 mv2). Ciò esclude la possibilità di attribuire all'elettrone orbite definite come quelle del modello di Bohr, ammettendo invece la possibilità di delimitare una regione di spazio intorno al nucleo - avente un determinato valore di energia - dove è massima la probabilità di trovare l'elettrone. L’elettrone di un atomo va dunque considerato come una particella che si muove in una certa regione di spazio come un’onda stazionaria attorno al nucleo.
Lo scienziato E. Schrödinger (1926) sostituì al concetto di traiettoria precisa della particella quello di funzione d’onda , il cui valore varia con la posizione della particella stessa e la sua energia. Secondo la meccanica ondulatoria il comportamento di una particella, quale l’elettrone, in un campo di potenziale elettrico entro cui si muove, è definito da un’equazione differenziale detta equazione d’onda le cui soluzioni, dette appunto funzioni d’onda, descrivono il moto di un elettrone.
La meccanica quantistica ci permette di ottenere informazioni sul moto di una particella risolvendo l’equazione d’onda d2(x, y, z) + d2(x, y, z) + d2(x, y, z) + 82m (E – V) (x, y, z) = 0 dx2 dy2 dz2 h2 m = massa dell’elettrone; E = energia dell’elettone; V = Epot del campo. ed E sono le incognite. L’equazione ammette infinite soluzioni a ciascuna delle quali è associata una particolare funzione i e un corrispondente valore di Ei. Le soluzioni dell'equazione di Schrödinger non forniscono le coordinate del punto in cui si dovrebbe trovare l'elettrone rispetto al nucleo, ma il valore che in quel punto assume la funzione d'onda (x, y, z).
Mentre la funzione d’onda non ha significato fisico diretto, la probabilità di rinvenire la particella in una data regione è proporzionale al valore di 2. Quindi, 2 individua una densità elettronica, cioè dà informazioni sulla probabilità di trovare l’elettrone in un dato volume ovvero in un punto (x, y, z) dello spazio. La nube elettronica tridimensionale. La densità dell’ombreggiatura rappresenta la probabilità di rinvenire l’elettrone nei vari punti del volume considerato. Il grafico mostra come varia la probabilità al variare della distanza del punto dal nucleo, lungo un raggio qualunque.
Le funzioni d’onda soluzioni dell’equazione di Schrödinger sono chiamate orbitali. L’orbitale descrive quindi la porzione di spazio tridimensionale disposta intorno al nucleo all’interno della quale abbiamo un’alta probabilità (più del 90%) di trovare l’elettrone e l’energia ad essa associata. Più funzioni d’onda possono avere la stessa energia (orbitali degeneri). Gli orbitali sono funzioni matematiche e non sono osservabili sperimentalmente!
Nella teoria atomica di Bohr l'elettrone dell’atomo di H si trova solo ad una distanza definita dal nucleo (a0 = 0,53 Å). Secondo la meccanica ondulatoria l'elettrone è invece del tutto delocalizzato, anche se si trova con maggior probabilità a distanza 0,53 Å dal nucleo. La probabilità di trovare l’elettrone va a zero allontanandosi dal nucleo, anche se in modo diverso per ciascun tipo di orbitale.
Ogni orbitale (funzione d’onda ) è caratterizzato da una determinata dimensione, forma e orientamento spaziale indicati da tre numeri interi detti numeri quantici: numero quantico principale (n): definisce il livello di energia e le dimensioni dello spazio che un elettrone può occupare. Assume valori compresi tra 1 e infinito. numero quantico secondario (l): descrive la forma della regione di spazio che un elettrone può occupare. Può assumere tutti i valori interi e positivi tra 0 e n–1. Per convenzione i valori di l pari a 0, 1, 2, 3 sono indicati come sottolivelli s, p, d, f. numero quantico magnetico (ml): descrive l’orientazione spaziale. Può assumere ogni valore intero tra - l e +l .
Per ogni valore di n si hanno n2 funzioni. n l ml Tutti gli orbitali che hanno lo stesso valore di n si trovano nello stesso livello o guscio elettronico principale. Tutti gli orbitali che hanno valori uguali di n e di l si trovano nello stesso sottolivello o sottoguscio. Per ogni valore di n si hanno n2 funzioni.
Si dice erroneamente che n caratterizza gli strati di un atomo Si dice erroneamente che n caratterizza gli strati di un atomo. In realtà, i quattro orbitali con n = 2 non si trovano tutti all’esterno dell’orbitale dello strato con n = 1. Gli orbitali dei diversi strati si ‘compenetrano’ e gli orbitali s sono i più penetranti (gli elettroni si trovano più vicini al nucleo rispetto a quelli degli orbitali p dello stesso strato).
Forma degli orbitali: viene rappresentata dalla superficie di contorno a valore costante di 2 (regione dello spazio all’interno del quale vi è un’alta probabilità di trovare l’elettrone). A ogni livello energetico n troviamo un solo orbitale s (che può contenere 0, 1 o 2 elettroni). Il contenuto energetico dell’orbitale e il volume aumentano con n. orbitale s
orbitali p A partire da n = 2, il sottostrato con l = 1 presenta 3 orbitali degeneri p diversi tra loro (aventi cioè orientamento spaziale diverso) che possono contenere fino a un massimo di 6 elettroni (2 per ogni orbitale) e non hanno densità elettronica sul nucleo. Se sommati, i tre orbitali p danno luogo a una distribuzione di carica sferica.
orbitali d Gli orbitali degeneri d (sottostrato con l = 2) sono in tutto cinque e possono contenere complessivamente fino a 10 elettroni. Se sommati, gli orbitali d danno luogo a una distribuzione di carica sferica.
Gli orbitali degeneri f (sottostrato con l = 3) sono in tutto sette e ospitano fino a 14 elettroni.
Riassunto: il moto di ciascun elettrone intorno al nucleo di un atomo è associato a una funzione matematica (funzione d’onda) detta orbitale e ciascun orbitale è definito da tre parametri detti numeri quantici. La conoscenza dell’orbitale non ci permette di seguire punto per punto il moto dell’elettrone: il quadrato dell’orbitale, 2, riferito a un punto nei pressi del nucleo ci indica la probabilità che ha l’elettrone di trovarsi in quel punto. Ciò ci consente di tracciare la minor superficie chiusa che ha una probabilità elevata di contenere l’elettrone. Questa superficie definisce una figura geometrica detta impropriamente forma dell’orbitale.
Un elettrone si comporta come una sfera in rotazione intorno al proprio asse. Secondo il modello dell’elettrone rotante, con spin (to spin = ruotare) si indica il senso di rotazione dell’elettrone sul proprio asse, in senso orario o in senso antiorario.
Secondo la meccanica quantistica l’elettrone ha accesso a due stati di spin, rappresentati con le frecce ↑ e ↓. I due stati di spin sono contraddistinti da un quarto numero quantico, il numero quantico di spin ms che può assumere due soli valori: +½ denota un elettrone ↑ (rotazione in senso orario) e -½ denota un elettrone ↓ (rotazione in senso antiorario). Quando due elettroni hanno spin opposto si dicono a spin antiparalleli (a), quando hanno spin simile si dicono a spin paralleli (b).
CONFIGURAZIONE ELETTRONICA Con configurazione elettronica si intende la distribuzione degli elettroni di un atomo polielettronico all’interno degli orbitali dei diversi livelli. Le energie degli orbitali aumentano, oltre che con l’aumentare di n, anche con l’aumentare di l. A partire da n = 3 le energie degli orbitali si sovrappongono in parte tra di loro.
L’energia degli orbitali degli atomi polielettronici non è la stessa di quelli dell’atomo di idrogeno. Il nucleo di un atomo polielettronico ha una carica maggiore (> Ze) e tale carica attrae gli elettroni più intensamente, abbassandone l’energia. Gli elettroni, però, si respingono a vicenda e tale repulsione ridimensiona l’attrazione nucleare e tende a elevare l’energia degli orbitali. All’aumentare di Z, l’energia di uno stesso orbitale in atomi differenti diminuisce. +Ze -e
Oltre a essere attratto dal nucleo, ciascun elettrone subisce quindi la repulsione degli altri elettroni e, di conseguenza, si lega al nucleo meno intensamente di quanto farebbe se gli altri elettroni non ci fossero. Diciamo allora che l’elettrone in esame è schermato.
Gli elettroni s di qualsiasi strato si possono trovare vicinissimi al nucleo (essi penetrano attraverso gli strati interni). Gli elettroni p penetrano molto meno perché schermati dagli elettroni s che impediscono che si avvicinino al nucleo. Dato che l’elettrone p è meno penetrante, esso risulta più schermato nei confronti del nucleo ed è legato meno fortemente (possiede energia maggiore) dell’elettrone s.
Principio della minima energia: nel suo stato fondamentale (condizione di minima energia e di maggiore stabilità) ogni elettrone occupa l’orbitale disponibile a più bassa energia. Due o più elettroni che occupano un insieme di orbitali degeneri (stessa energia) si distribuiscono nel maggior numero possibile di orbitali, disponendosi, per quanto possibile, a spin paralleli (regola di Hund). Due elettroni che hanno la stessa serie di numeri quantici n, l e m (ossia che occupano lo stesso orbitale) non possono avere lo stesso numero quantico di spin (principio di esclusione di Pauli), devono cioè avere spin opposto (antiparalleli).
Ogni orbitale può essere pertanto occupato al massimo da due elettroni i quali devono avere spin antiparalleli. Poiché in un orbitale possono “convivere” due elettroni solo se hanno spin opposto (antiparallelo), ogni orbitale viene prima occupato da un solo elettrone e il secondo elettrone completa l’orbitale solo se prima tutti gli orbitali del sottolivello contengono già un elettrone.
Li = 1s2 2s1 configurazione elettronica esterna
Regole di riempimento degli orbitali (Aufbau): ogni orbitale può contenere non più di due elettroni; 2. vengono riempiti per primi gli orbitali del primo livello, poi quelli del secondo, del terzo e così via, tenendo presente che di ogni livello vengono riempiti prima gli orbitali s (a minor contenuto energetico) e poi gli orbitali p, d e f; 3. esiste un solo orbitale s per ogni livello, che può contenere fino a due elettroni; dal secondo livello al settimo troviamo gli orbitali p: tre per livello, possono contenere in totale fino a un massimo di 6 elettroni; dal terzo al sesto livello troviamo gli orbitali d (5 per livello, contengono in totale fino a 10 elettroni); al quarto e al quinto livello troviamo 7 orbitali f (che possono contenere fino a 14 elettroni);
4. il riempimento degli orbitali p, d ed f rispetta la regola di Hund, per cui prima si riempiono con un solo elettrone tutti gli orbitali di un sottolivello poi si aggiunge il secondo elettrone a ogni orbitale; 5. l’ordine di riempimento degli orbitali (sottolivelli) d ed f si incrocia con l’ordine di riempimento dei rispettivi livelli, per cui gli orbitali d di un livello (dal terzo al sesto) vengono riempiti dopo l’orbitale s del livello successivo; 6. gli orbitali f (4f e 5f ) vengono riempiti subito prima del sottolivello d appartenente al livello successivo. Integrando tutte queste regole, risulterà il seguente ordine di riempimento degli orbitali: 1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p 7s 5f 6d 7p
La configurazione elettronica subisce qualche piccola variazione rispetto a quella prevista dai criteri dell’Aufbau dovuto principalmente alle energie molto vicine degli orbitali che possono invertirsi. Cr [Ar]3d44s2 [Ar]3d54s1 Cu [Ar]3d94s2 [Ar]3d104s1 Orbitali pieni (3d10) e/o pieni a metà (4s1) sono molto stabili. elettroni interni (core): appartengono alla configurazione del gas nobile precedente (livelli a minore energia); elettroni esterni o di valenza: si trovano nei livelli a più alta energia e intervengono nella formazione dei legami.
attinoidi elementi 3° serie di transizione lantanoidi elementi 2° serie di transizione elementi 1° serie di transizione