Genesi 1 Racconto di creazione. Riflessione sapienziale sul senso dell’essere e dell’esistere. Opera della Tradizione sacerdotale sorta durante l’esilio di Babilonia (VI sec. a. C.).
La creazione è disegnata come una grandiosa architettura cosmica modellata sulla settimana liturgica. L’autore vede nel microcosmo della liturgia settimanale celebrata da ogni credente il segno e il senso dell’universo. Il simbolo usato è quindi quello del settenario che parla all’uomo d’Oriente di perfezione e di armonia. Al suo interno appaiono otto opere diverse distribuite su due pannelli paralleli: i primi tre giorni raccolgono quattro opere di “separazione” (luce, firmamento, terra e mare, vegetazione), gli altri tre quattro opere di “ornamentazione”(sole-luna-stelle, pesci-uccelli, animali terrestri, l’uomo). Separare e ornare ciò che si è separato è un modo semitico per evocare la vittoria sul nulla e l’irruzione dell’atto creativo di Dio. Il simbolismo settenario invita a non cercare una misurazione del mondo ma una bellezza.
4° giorno: Creazione degli astri, del sole e della luna 5° giorno: Creazione dei pesci e degli uccelli 6° giorno: Creazione degli animali Creazione dell’uomo e della donna 1° giorno: Separazione della luce dalle tenebre. Creazione del giorno e della notte 2° giorno: Separazione delle acque superiori da quelle inferiori.Creazione del cielo e delle acque 3° giorno: Separazione della terra dal mare. Creazione delle piante Il legame fra le due tavole sarà infine il 7° giorno Oltre ai sette giorni, sette sono le formule usate per descrivere la litania della creazione: “Dio disse”, “Vi sia..”, “E così fu”, “Dio vide che era bello”, “Dio separò…”, “Dio chiamò..”, “Fu sera e fu mattina”. Sette volte troviamo il verbo “creare”, il nome divino è scandito 35 volte, mentre “la terra e il cielo” appaiono 21 volte. Il primo versetto ha 7 parola, il secondo 14. C’è un appello continuo a scoprire l’armonia e la “bontà” delle cose: “Dio vide che era cosa buona”, ma in ebraico tôb, buono, significa anche bello.
vv. 1-2 il principio assoluto, raffigurato con tre simboli orientali destinati a definire il nulla da cui Dio parte. Il nulla è rappresentato come una “terra informe e deserta”, cioè come una superficie desolata, desertica vuota, squallida che indica assenza di vita, silenzio, morte. Poi le tenebre, negazione della luce che è vita, infine l’abisso che in ebraico rimanda al nome del dio del caos, Tiamat, proprio delle culture mesopotamiche. Lo “spirito di Dio” è ormai la presenza del Creatore che avvia la rende esperienza della creazione dal nulla di tutto l’essere. La creazione avviene solo attraverso la parola divina. Diversamente dai miti orientali non costa fatica a Dio, non è una lotta. Dio crea attraverso la sua parola nella sovranità del suo essere perfettissimo. Il mondo, l’uomo, sono legati non al fato ma alla Parola divina. L’uomo non è in balia di una divinità prepotente e insensata; il Dio della Bibbia non è come Enlil, il dio dei Sumeri; piuttosto l’uomo è inserito in un progetto d’amore e di luce.
Le prime tre opere che ornano il creato: Sole, luna, stelle: Come la luce era stata creata per prima, così il primo “ornamento” del cielo sono le “luci” cosmiche. Da questo emerge l’interesse dell’uomo biblico per il tempo, visto come grembo fecondo da cui nascono le azioni e il fluire dell’esistenza dell’uomo e saper vivere il tempo sacro e il tempo profano in pienezza è un’arte difficile. Nel testo originario il sole e la luna non vengono nominati esplicitamente. Nella cultura egiziana, mesopotamica e cananea erano esseri divini; per l’autore biblico perdono il carattere divino attribuito dagli altri popoli e per evitare ambiguità non vengono neppure nominati. La loro dignità va cercata nel loro ruolo di scandire i tempi e soprattutto le feste, di definire il calendario sociale e religioso, di ritmare la liturgia e la vita.
Alla luce che domina il quarto giorno subentra la vita che popola tutto il quinto giorno ed oltre: ecco i pesci e mostri marini, ecco sfrecciare gli uccelli nei cieli, mentre sulla terra si muovono animali domestici, fiere e rettili, elencati secondo la tradizionale catalogazione ebraica. Il prodigio della vita è celebrato come un dono supremo sul quale c’è l’impronta stessa di Dio.
La creazione approda la suo vertice: l’uomo, “immagine e somiglianza” di Dio. In ebraico il primo termine rimanda quasi ad una statua e sottolinea la profonda connessione con il soggetto raffigurato; il secondo, invece, esclude la totale identità. L’uomo è, perciò, come Dio, ma non è Dio. La via privilegiata per conoscere Dio, allora, è l’uomo perché ne è la rappresentazione più somigliante. Posto al vertice di tutto il creato e al culmine dell’atto creativo di Dio, l’uomo appare come il suo capolavoro; non è semplicemente una cosa buona, come tutte le altre creature, ma una “cosa molto buona”.
Al v. 27 costruito secondo lo stile semitico su un parallelismo, alla definizione dell’uomo come “immagine” di Dio, corrisponde la spiegazione nel parallelo “maschio e femmina”. L’umanità è immagine di Dio in quanto è “maschio e femmina”, la vera effige di Dio sulla terra è la persona umana nella sua pienezza maschile e femminile, nella sua fecondità, nel possedere e dare la vita. L’opera creatrice di Dio continua nella capacità di generare dell’uomo e della donna, per parlare di Dio, per rappresentarlo, non basta l’uomo ma è necessaria anche la donna, perché entrambi sono specchio di lui. E questa creatura, duplice nella sua struttura ma unica nella sua missione e nella sua dignità, riceve da Dio la signoria sul creato.
A cura di Annamaria Evangelisti Liceo Classico “Dante Alighieri” Latina a.s. 2006-2007