Quali sono i problemi dei dati di commercio bilaterale?

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Transcript della presentazione:

Quali sono i problemi dei dati di commercio bilaterale? Commercio multilaterale e commercio bilaterale Quali sono i problemi dei dati di commercio bilaterale? Se alcuni input sono importati nel Paese, allora il valore aggiunto è inferiore al valore delle esportazioni. La bambola Barbie è prodotta con petrolio proveniente dall’Arabia Saudita, con plastica proveniente da Taiwan, capelli provenienti dal Giappone ed è assemblata in Cina.

La Barbie nel commercio mondiale La bambola vale due dollari quando lascia la Cina diretta negli USA (dove viene venduta per 10 dollari): tuttavia solo 35 centesimi riflettono il valore del lavoro cinese La bambola Barbie Prodotti forniti da vari paesi per la produzione della Barbie venduta negli Stati Uniti Nelle statistiche ufficiali dei rapporti bilaterali Cina- USA le esportazioni cinesi e le importazioni USA valgono 2 dollari

Quali sono i problemi dei dati di commercio bilaterale? L’intero importo di 2$ è considerato un’esportazione della Cina verso gli Stati Uniti anche se solo 35 centesimi riflettono il valore del lavoro cinese impiegato. Questo esempio ci mostra che il concetto di disavanzo o avanzo commerciale bilaterale non è così chiaro come si potrebbe pensare. Questo è un difetto delle statistiche ufficiali.

Gli “intrecci produttivi” nell’economia globale modificano il significato degli indici tradizionali del commercio internazionale Abbiamo già visto la questione delle ri-esportazioni

Le barriere al commercio internazionale Per barriere commerciali si intendono tutti i fattori che influenzano la quantità di beni e servizi trasportati oltre i confini nazionali. Le barriere al commercio si modificano nel tempo al variare delle politiche, della tecnologia, etc. Barriere tariffarie (tipicamente dazi) Barriere non tariffarie: limiti alle importazioni (quote); vincoli sanitari; condizioni e specifiche tecniche; condizioni “qualitative”; misure antidumping; clausole di salvaguardia (prodotti agricoli); sostegno alle imprese pubbliche…

La crescita del commercio internazionale negli ultimi 50-60 anni è stata in parte stimolata da politiche commerciali orientate a ridurre le barriere tariffarie e non tariffarie che avevano ostacolato gli scambi internazionali nel periodo tra le due guerre mondiali. Dopo la seconda guerra mondiale il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) stimolò regolari e frequenti incontri e negoziati tra paesi allo scopo di facilitare i flussi commerciali anche riducendo le tariffe e barriere protezionistiche di altro tipo. Tra il 1948 e il 1998 si sono tenuti otto round negoziali. L’ultimo di questi periodi negoziali, l’Uruguay Round, completato nel 1994, portò alla creazione del WTO (World Trade Organization)(una agenzia collegata alle Nazioni Unite, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale). Nel corso dell’Uruguay Round la maggior parte dei paesi accettò di estendere i processi di liberalizzazione commerciale (agricoltura, servizi) e di procedere, con la creazione del WTO, alla realizzazione di un forum di negoziazioni, di informazione e di risoluzione di conflitti nell’area delle questioni commerciali. Nel 2009 153 paesi facevano parte del WTO. Il WTO ha sede a Ginevra (www.wto.org).

La prima “età dell’oro” del commercio internazionale 1890–1913 Finisce allo scoppio della prima guerra mondiale Significativi miglioramenti nei trasporti Navi a vapore e ferrovie Nel periodo, il Regno Unito ha registrato il più alto rapporto commercio/PIL, pari al 30% Il periodo tra le guerre 1913–1920 Diminuzione del commercio per l’Europa e l’Australia a causa della prima guerra mondiale e del dopoguerra. Dopo il 1920 il coefficiente si ridusse in altri Paesi e l’effetto fu accentuato dalla Grande depressione, iniziata nel 1929. Gli USA imposero dazi elevati, i dazi Smoot-Hawley, a giugno 1930, ad un livello pari a circa il 60%. I dazi si ritorsero contro gli USA perché altri Paesi ricambiarono: il dazio medio mondiale aumentò al 25% nel 1933. Si introdussero in questo periodo anche contingentamenti alle importazioni — limiti sulla quantità importata di un bene. I dazi elevati e le elevate restrizioni provocarono una drastica riduzione del commercio mondiale, imponendo costi enormi agli Stati Uniti e all’economia mondiale.

La seconda “età dell’oro” del commercio internazionale: dopo il 1950 Dopo la seconda guerra mondiale, alcuni Paesi riuscirono a riportare rapidamente il commercio ai livelli raggiunti prima del conflitto. La fine della seconda guerra mondiale, la riduzione dei dazi da parte del GATT e il miglioramento dei trasporti contribuirono all’aumento del commercio. Nel 1956 è stata inventata la tecnica della containerizzazione Il commercio mondiale crebbe costantemente dopo il 1950 e molti Paesi hanno superato i livelli massimi raggiunti prima della prima guerra mondiale. (Verificate gli andamenti del commercio mondiale nella prima parte della presentazione del corso).

Commercio e crescita economica: quali nessi causali? Dazio medio sulle importazioni: 1860-2000 (1) Commercio e crescita economica: quali nessi causali? Progressiva riduzione delle protezioni tariffarie dopo il 1960 Ondata di protezionismo tra le due guerre mondiali 1, rapporto sui dazi totali e il valore totale delle importazioni, 35 paesi

Che cosa sono le ragioni di scambio? L’Ecuador esporta banane e importa Toyota Corolla Prezzo delle banane (PEXP)  1000 Euro/Tonn. Prezzo di una vettura (PIMP)  32700 Euro 𝑟𝑎𝑔𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑐𝑎𝑚𝑏𝑖𝑜= 𝑃 𝐸𝑋𝑃 𝑃 𝐼𝑀𝑃 = 1000 32700 =0,031 L’Ecuador deve esportare 33 tonn di banane per pagare una vettura Se  PEXP 1200, PIMP = 32700  migliora la ragione di scambio ragione di scambio = 1200/32700 = 0,037 l’Ecuador deve esportare 27 tonn di banane per una vettura Un aumento delle ragioni di scambio avvantaggia il paese, una riduzione peggiora la posizione relativa del paese Promemoria

I prezzi delle materie prime sono tipicamente più instabili dei prezzi dei beni industriali

RTA = Regional trade agreements

… trend 1950-1973… Se nel 1973-2012 il commercio mondiale fosse cresciuto come nel 1950-1973 il suo volume oggi sarebbe tre volte e mezzo più grande…

Un altro modo per misurare il commercio è guardare al rapporto tra commercio e PIL. Nel 2005 il rapporto tra commercio e PIL per gli Stati Uniti era del 13%. La maggior parte dei Paesi ha un coefficiente maggiore. Gli importanti centri di smistamento e di lavorazione hanno coefficienti molto più elevati. Hong Kong, Malesia e Singapore

La dimensione del commercio internazionale Z (grado di apertura) viene spesso rappresentata dalla semisomma delle esportazioni (X) e delle importazioni (M), in rapporto al PIL (Y)  𝐴𝑍= (𝑋+𝑀)/2 𝑌 𝐴=𝜋 𝑟 2 Italia Glossario

Media export import su PIL Globalizzazione attuale Prima globalizzazione

Nel corso studieremo le politiche commerciali, ovvero le misure che i governi possono attuare per favorire od ostacolare il commercio internazionale Politiche liberoscambiste favoriscono gli scambi Politiche protezionistiche ostacolano gli scambi Che cosa spiega le diverse politiche? Perché i governi favoriscono od ostacolano il commercio? Che cosa ci insegna la storia?

Il rapporto tra commercio internazionale e PIL Rapporto commercio/PIL nel 2005(1) 1) /Export + import//2

Da un punto molto astratto il commercio di beni, le migrazioni e i flussi internazionale di capitali sono potenziali “sostituti”. L’Inghilterra di Ricardo poteva importare il vino dal Portogallo ed esportare tessuti, ma, astrattamente, avrebbe potuto mandare tutti i suoi lavoratori in Portogallo a fabbricare tessuti, oppure spostare in Portogallo tutti gli impianti e i macchinari inglesi. Ricardo ipotizza però che i fattori siano immobili internazionalmente (i lavoratori non si spostano e non ci sono flussi di capitali tra paesi). Experience … shews, that the fancied or real insecurity of capital, when not under the immediat control of ist owner, together with the natural disinclination which every man has to quit the country of his birth and connexions, and intrust himself with all his habits fixed, to a strange government and new laws, check the emigration of capital. These feelings, which I should be sorry to see weakened, induce most men of property to be satisfied with a low rate of profits in their own country, rather than seek a more advantageous employment for their wealth in foreign nations. D. Ricardo, On the Principles of Political Economy and Taxation, 1821.

Gli investimenti diretti esteri sono essenzialmente non soggetti a restrizioni nei Paesi industriali, ma non necessariamente nei Paesi in via di sviluppo. Gli investimenti, sia nei Paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati, sono per le imprese un modo di espandere le proprie attività e conoscenze a livello internazionale. Gli investimenti diretti esteri sono i flussi internazionali di capitale che si realizzano quando un’impresa possiede un’altra impresa in un altro Paese.

Crescente importanza degli investimenti diretti all’estero Gli investimenti diretti esteri (IDE) denotano la proprietà da parte di stranieri di attività produttive in un dato paese Stock IDE, 1980-2007, in percentuale del PIL mondiale Gli IDE totali erano pari a circa il 5 per cento del PIL mondiale nel 1980 e superano il 25 per cento 25 anni dopo

Tipologie degli investimenti diretti all’estero Gli IDE possono essere descritti in due modi: Si hanno IDE orizzontali quando un’impresa di un Paese possiede un’impresa in un altro Paese industrializzato. L’acquisto da parte del Rockefeller Center a New York da parte di un investitore giapponese.

Determinanti degli IDE orizzontali L’impianto estero permette all’impresa madre di evitare dazi e contingentamenti in cui incorrerebbe in caso di esportazione verso un mercato estero, dato che produce localmente. Una filiale estera permette anche un migliore accesso a quell’economia perché le imprese locali hanno infrastrutture migliori e migliori informazioni per il marketing dei prodotti. L’alleanza tra le divisioni produttive delle imprese permette la condivisione dell’esperienza tecnica.

Si realizzano IDE verticali quando un’impresa di un Paese industrializzato possiede un impianto in un Paese in via di sviluppo. Solitamente si realizzano per trarre vantaggio dai salari più bassi nel Paese in via di sviluppo. Le imprese si sono trasferite in Cina per evitare dazi e acquisire partner locali per vendere in loco. La Cina è entrata nell’OMC nel 2001 e ha ridotto i dazi, ma le imprese estere sono rimaste e ora si iniziano a esportare automobili da questo Paese.

Gli IDE europei e statunitensi I maggiori flussi di IDE si verificano in Europa I flussi interni all’Europa e tra Europa e Stati Uniti rappresentano il 55% del totale mondiale. La maggior parte degli IDE avviene tra Paesi industrializzati e per la maggior parte si tratta di IDE orizzontali.

Gli IDE nelle Americhe Brasile e Messico sono due dei maggiori Paesi riceventi di IDE tra i Paesi in via di sviluppo dopo la Cina. I flussi in entrata in Brasile e Messico rappresentano circa metà dei flussi di IDE in entrata verso l’America Latina. Si tratta in questi esempi di IDE verticali stimolati dall’opportunità di pagare salari inferiori.

Gli IDE con l’Asia Gli IDE tra Stati Uniti e Giappone e tra Europa e Giappone sono di tipo orizzontale. Il resto dell’Asia mostra flussi di IDE abbastanza consistenti, in gran parte esempi di IDE verticali con l’obiettivo di trarre vantaggio dai bassi salari. La Cina è il maggior Paese ricevente di IDE in Asia, il terzo nel mondo.

Si parla di IDE verticali di ritorno per riferirsi al caso di imprese di Paesi in via di sviluppo che acquistano imprese nei Paesi industrializzati. Acquisiscono le conoscenze tecnologiche di quelle imprese e le combinano con i bassi salari del Paese di origine.

La mappa degli investimenti diretti esteri I flussi di investimenti diretti esteri nel 2000 (in miliardi) Nel 2000 vi sono stati flussi di IDE in entrata e in uscita dai Paesi OCSE pari a 1.300 miliardi di dollari. Questo valore è pari a più del 90% degli IDE mondiali totali.

capitali servizi merci Un misura della «globalizzazione»

Atteggiamenti verso la «globalizzazione»

Outsourcing Molte definizioni di outsourcing (esternalizzazione): in generale si tratta della attribuzione ad un fornitore esterno di un servizio o di una attività in precedenza svolti all’interno di un’impresa Offshore outsourcing = outsourcing tra diversi paesi La Motorola produce alcuni suoi telefoni cellulari a Singapore usando batterie e caricatori prodotti in Cina. La finlandese Nokia realizza negli Stati Uniti parte dei telefoni cellulari venduti in USA usando batterie prodotte in Giappone e software compilato in India.

Le nuove forme del commercio internazionale: il commercio di componenti (outsourcing) Nel 1967 il Boeing 737 era costruito quasi interamente negli Stati Uniti ed era venduto come un “prodotto finale” (Le parti in rosso sono costruite “in house”)

Oggi il Boeing 787 Dreamliner viene costruito in molti paesi e assemblato negli Stati Uniti

Apple impiega circa 40. 000 addetti negli USA e 20 Apple impiega circa 40.000 addetti negli USA e 20.000 all’estero (per lo più in attività di ricerca e marketing): le imprese subfornitrici di Apple , in gran parte non negli USA, impiegano 700.000 lavoratori (produzione di componenti, montaggio etc.)

L’outsourcing sta cambiando la natura del commercio internazionale? I processi di outsourcing rappresentano fenomeni di “disintegrazione verticale” delle attività produttive: la “catena di valore” viene frammentata e allocata internazionalmente in base a diversi criteri, tra i quali quello del costo è importante, anche se non esclusivo. Tali riallocazioni delle fasi produttive sono viste con preoccupazione in quanto cause di delocalizzazione e di perdita di posti di lavoro Nel 2004 un sondaggio internazionale rivelava che il 71 per cento degli americani era convinto che l’outsourcing avesse effetti negativi sui posti di lavoro negli Stati Uniti e il 61 per cento era favorevole a misure tariffarie o di altro tipo per contrastare i processi di esternalizzazione