Tutti i diritti umani per tutte, per tutti

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Transcript della presentazione:

Tutti i diritti umani per tutte, per tutti Tutti i giorni, in tutto il mondo

Donne Oggi parleremo di questioni che riguardano tutti e tutte noi con sguardo e pensiero di donne. La scrittrice statunitense, Robin Morgan, così ha definito le donne:  «Non si tratta di una minoranza oppressa che si organizza su questioni valide ma pur sempre minori. Si tratta della metà del genere umano che afferma che ogni problema la riguarda, e chiede di prendere parola su tutto».

Guardare il mondo con occhi di donna La Piattaforma d’Azione approvata dalla IV Conferenza mondiale delle donne (Onu, Pechino 1995) è il testo politico più rilevante e tuttora più consultato dalle donne di tutto il mondo. A Pechino i movimenti di tutto il mondo hanno affermato la propria pretesa di "guardare il mondo con occhi di donna" e hanno proclamato che "i diritti delle donne sono diritti umani".

Tensioni, conflitti, paure Problemi complessi sono stati colpevolmente ignorati o sottovalutati: dalla miseria alla distruzione di posti di lavoro, dalle guerre alle migrazioni, dalla devastazione ambientale al cambiamento climatico. Problemi sociali, economici, ambientali e politici che abbracciano l’intero pianeta, disuguaglianze ed ingiustizie che non trovano un adeguato impegno di coloro che  hanno la responsabilità di intervenire.

Cambiare il sistema Per garantire i diritti a tutte e tutti va cambiato il modello economico perché quello attuale è insostenibile, produce ingiustizie, crisi e guerre. È insostenibile per tutti ancora di più per le donne che più degli uomini ne pagano il prezzo.

Il diritto a muoversi liberamente È sancito dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Il Comma 1 recita: Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento […]. Il Comma 2 : “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Molte Leggi europee e nazionali (i 28 stati membri hanno diverse legislazioni locali) rendono di fatto inesigibile questo diritto.

Richiedenti asilo La Convenzione di Ginevra (1951, ratificata da 147 Stati) stabilisce che per ottenere lo status di rifugiato, i richiedenti asilo devono dimostrare che stanno scappando da una guerra o da una persecuzione e che non possono tornare nel loro paese d’origine.

Cambiare le politiche migratorie europee e mondiali Chiediamo: 1. certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature; 2. accoglienza degna e rispettosa per tutti; 3. chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti; 4. creazione di un vero sistema unico di asilo in Europa, superando il regolamento di Dublino.

Donne discriminate «La discriminazione contro le donne viola i principi dell’uguaglianza dei diritti e del rispetto della dignità umana, ostacola la partecipazione delle donne alla vita politica, sociale, economica e culturale del loro paese in condizioni di parità con gli uomini, intralcia la crescita del benessere della società e della famiglia e rende più difficile un pieno dispiegarsi delle potenzialità delle donne per il bene del proprio paese e dell’umanità» (Onu).

Le discriminazioni non hanno confini La discriminazione di genere esiste ancora, in tutto il mondo perché è un problema culturale e sociale, diretta conseguenza delle relazioni sessuate nella nostra società e del loro codificarsi attraverso stereotipi, rappresentazioni e convenzioni sociali.

Violenza di genere Le discriminazioni di genere possono anche trasformarsi in violenza di genere «ogni atto che produce, o è probabile che produca, un danno o una sofferenza fisica, sessuale, psicologica ed economica alle donne, commesso in luogo pubblico o privato», secondo la definizione che l'ONU ne ha dato nel 1995.

Una giornata particolare http://www.onebillionrising.org/

Noi danziamo Sojourner Truth, nata nel 1797 schiava (perché nera), ha lottato tutta la vita contro la schiavitù e per i diritti delle donne. Ha lasciato a chi abbraccia la strada della lotta contro le ingiustizie un consiglio: “E’ bene se mentre lottiamo per la libertà cantiamo e danziamo un poco”.

Lottare danzando Mentre noi siamo qui ci sono donne in centinaia di piazze del mondo che stanno ugualmente lottando per i diritti e per l’eliminazione delle discriminazioni. La forma che hanno scelto è la danza. Noi oggi abbiamo scelto la narrazione delle ingiustizie.

Raccontare per cambiare il mondo Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace nel 2003, per il suo impegno in difesa dei diritti civili e contro l'umiliante condizione della donna in Iran, quando è uscito il suo romanzo, La gabbia d'oro, Rizzoli 2008, ha detto: «Se non potete eliminare l'ingiustizia, almeno raccontatela a tutti».

Migrare come forma di lotta Conflitti familiari, violenza di genere e estrema povertà sono tra i motivi più comuni dietro alla decisione di molte donne di cambiare paese. Partire è un modo per sottrarsi a forme estreme di discriminazione e di violenza e tentare di costruire futuro e speranza.

Sottrarsi al destino imposto dal sistema patriarcale Le donne che si mettono in viaggio non sono "vittime passive", come spesso vengono proposte dal discorso politico-mediatico. Lottano con tutti i mezzi a loro disposizione per resistere a discriminazioni e violenze di genere e sovvertire l’ordine loro imposto.

La forza delle donne Nei paesi di origine molte delle donne che decidono di migrare soffrono di abusi e violazioni dei diritti umani di genere matrimoni forzati, schiavismo sessuale, mutilazioni genitali, impossibilità di accesso all’istruzione trovandosi a lottare contro norme sociali che minano il loro diritto a libertà e autodeterminazione. Quelle che scelgono di partire sono le donne più determinate.

Un atto di resistenza La migrazione diventa quindi il risultato delle lotte delle donne contro le oppressioni sperimentate nei contesti di origine. Anche quando è forzata, la migrazione è spesso il risultato di un atto di resistenza da parte della donna. Un atto intrapreso non solo per sopravvivere, ma anche per preservare la propria dignità ed ampliare le proprie scelte di vita.

Donne migranti Le donne migranti sono soggette ad una doppia discriminazione: di origine etnica e di genere. Per questo esistono normative internazionali che stabiliscono il diritto delle donne a forme di protezione particolari.

La Convenzione di Ginevra La Convenzione di Ginevra definisce il diritto alla protezione internazionale delle donne come appartenenti ad un «gruppo sociale perseguitato».

La CEDAW La Convenzione per l'Eliminazione di tutte le forme di Discriminazione Contro le Donne, approvata da parte dell'Assemblea Generale ONU il 18 dicembre del 1979, è entrata in vigore il 3 settembre 1981 ed è stata sottoscritta da 168 paesi, due terzi degli stati membri dell'ONU, alcuni dei quali l’hanno ratificata con riserva). In Italia è stata ratificata il 10 giugno 1985.

Un obiettivo da raggiungere Nel preambolo la Convenzione afferma che «le donne continuano ad essere oggetto di gravi discriminazioni»; si propone di diffondere principi di uguaglianza e non discriminazione sia nella vita pubblica sia nella vita privata ed in particolare nella famiglia; impegna gli Stati che ad attivarsi per modificare gli schemi di comportamento e i modelli culturali in materia di differenza fra i sessi.

La composizione di genere In Europa, l’immigrazione femminile costituisce circa il 54% del fenomeno complessivo. In Italia il numero di donne è assai inferiore a quello degli uomini: solo il 28% delle persone che sbarcano sono donne, se si escludono le siriane che rappresentano il 55% (dati 2015).

Donne e uomini Tra i pakistani arrivati nel 2015 i maschi sono quasi 10mila pari al 98,6%, quelli arrivati dal Gambia 8.435 (98,9%), i senegalesi 6.395 (98,3%) e quelli del Bangladesh addirittura 6.170 uomini e solo 40 donne richiedenti asilo, pari allo 0,6%.

Delle quasi 10mila donne e bambine arrivate nel nostro paese negli ultimi dodici mesi, il numero più alto è rappresentato dalle nigeriane con 3.915 presenze che corrisponde al 21,9% dei migranti provenienti dal paese africano. Al secondo posto ci sono le donne ucraine che con 2.325 rappresentano la metà (49,7%) dei richiedenti asilo di Kiev in Italia.

Al 30 novembre 2015 coloro che hanno formalmente richiesto protezione sono 83.630 e tra questi solo 9.435 sono donne, pari all’11%.

Dossier Statistico Immigrazione 2016 IDOS/CONFRONTI/UNAR (dati del 2015) Oltre 1 milione di sbarchi nel Mediterraneo (per il 49% a causa del conflitto in Siria) di cui 154mila n Italia In Germania accolti oltre 1 milione di richiedenti asilo In Italia le richieste d’asilo sono state 84.085 IDOS/CONFRONTI/UNAR

Richiedenti asilo Secondo i dati di Eurostat, nel 2015 sono state 1.255.600 le richieste d'asilo presentate nei 28 stati membri della Ue. Un record assoluto, che supera di oltre il doppio il livello di richieste presentate nel 2014 (562.680). In Italia le domande sono state 83.245 (+31% rispetto alle 63.655 del 2014), più che in Francia (70.570, +20% rispetto alle 58.845 dell'anno precedente).

I paesi di provenienza Il 29% delle richieste sono state presentate da siriani (362.775), il 14% da afghani (178.230), il 10% da iracheni (121.535), il 5% da kosovari (66.885) e albanesi (65.935), il 4% da pachistani (46.400), il 3% da eritrei (33.095), il 2% da nigeriani (29.915) e iraniani (25.360). Il restante 26% da altre nazionalità. 

Da dove arrivano Molte partono dall’Africa Sub-sahariana: Gambia, Somalia, Nigeria, Camerun, Repubblica Democratica del Congo. Molte si fermano nei campi profughi lungo il confine, in Libia, Libano, Etiopia.

Una ricerca sul campo Tra marzo e 22 dicembre 2016, in Italia è stata condotta da Mixed Migration Hubtra una ricerca tra migranti, rifugiati e richiedenti asilo ospiti in centri di accoglienza (Asti, Bologna, Castellammare del Golfo, Milano, Modena, Palermo e Torino). I risultati non sono rappresentativi della popolazione migratoria, poiché basati solo su 341 interviste, ma forniscono risultati interessanti.

Inconsapevoli dei rischi che li attendono 85% degli intervistati (91% delle donne e il 83% degli uomini). Per chi proviene dall'Africa occidentale, il 90% degli uomini e il 97% delle donne Per chi proviene dall'Africa orientale, la percentuale si riduce al 43% per gli uomini e 74% per le donne. Il 45% delle persone del campione afferma che non avrebbero viaggiato se fosse stato consapevole Il 12% avrebbe preso una rotta diversa.

Il deserto La prima tappa del viaggio è l’attraversamento del Sahara verso il Niger per raggiungere la Libia. Una volta partite non potranno più cambiare idea

I trafficanti Durante il lungo attraversamento del Sahara, i trafficanti (a volte anche donne) chiedono ingenti somme di denaro minacciando di uccidere figli e familiari rimasti a casa. Alcune donne vengono lasciate nei bordelli lungo la strada, in cambio di denaro, senza possibilità di ribellarsi. Altre vengono costrette a prestazioni sessuali dai trafficanti, sempre sotto minacce.

Il viaggio Arrivate in Libia devono attendere anche mesi a Tripoli per riuscire ad imbarcarsi verso l’Europa. Qui subiscono ulteriori violenze nei magazzini all’interno dei quali sono rinchiuse.

Il Mediterraneo Da qui partono due tipi di barconi: quelli destinati a raggiungere le coste europee e quelli destinati ad essere affondati poco dopo la partenza dagli stessi scafisti (una volta incassato il denaro). Se sono fortunate e trovano un barcone di quelli non destinati ad essere affondati inizia la loro odissea nel Mediterraneo, fatta di fame, freddo, malattie, febbre e ulteriori abusi per non essere gettate in mare.

Le frontiere sono disegnate per non permetterne a tutti e tutte un attraversamento in condizioni di sicurezza Grazie a un’iniziativa della Chiesa valdese e della Comunità di S. Egidio, sono stati sperimentati efficaci corridoi umanitari

La Marcia delle donne e degli uomini scalzi L’11 settembre 2015 si è tenuta a Venezia. È partita dal Lido, dove si stava svolgendo la Mostra del Cinema. È stata l’inizio “di un lungo cammino di civiltà, l'inizio di un percorso di cambiamento che chiede a tutti gli uomini e le donne del mondo globale di capire che “non è in alcun modo accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano”.

Il problema non sono i rifugiati!

La questione viene da lontano. Già nel 2002 Tiziano Terzani sottolineava l’incapacità dei politici europei a pensare in modo nuovo in presenza di situazioni nuove.

L’ipocrisia europea Giusi Nicolini parlando della politica migratoria europea, ha detto: “anche negli ultimi, difficili mesi, l’Ue ha dimostrato grandissima ipocrisia, da un lato ha detto facciamo un piano di accoglienza per i migranti, stabilendo le quote come si fa per il latte, e poi non è stata nemmeno in grado di prenderseli…”

Lampedusa ci indica la strada “Lampedusa in questi anni ha salvato la vita a 300 mila persone, tantissimo per una piccola isola di 5.800 abitanti, pochissimo per l’Europa che da anni grida all’invasione. Da sola Lampedusa li ha presi dal mare e gli ha dato il primo abbraccio. E’ la cosa più importante da fare se vogliamo che poi diventino cittadini”. […]

“Questo è il momento in cui o ci salviamo tutti o non si salva nessuno “Questo è il momento in cui o ci salviamo tutti o non si salva nessuno. Il vero pericolo non sono i profughi, è questa Europa, la sopravvivenza stessa dell’Europa”. Ha detto recentemente Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa e Linosa.

Alle donne arrivate violate La sindaca di Lampedusa e Linosa ha dedicato il Premio Simone de Beauvoir (Parigi 2016) “alle donne che sono arrivate violate”, esprimendo l’intenzione di investirlo in un progetto concreto che possa salvare almeno alcune di loro dall’abisso della depressione e della disperazione.

Restiamo umani Non è pensabile fermare chi scappa dalle ingiustizie, al contrario aiutarli significa lottare contro quelle ingiustizie. Dare asilo a chi scappa dalle guerre, significa ripudiare la guerra e costruire la pace. In decine di migliaia abbiamo camminato ciascuno, ciascuna, nella propria città per chiedere che la storia appartenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro camminare insieme.

Noi Donne in nero siamo nate in Israele nel 1988da un gruppo di ebree israeliane che, vestite di nero e in silenzio, ai tempi della prima intifada, decise di manifestare, una volta alla settimana, contro l’occupazione dei Territori Palestinesi e la politica di oppressione del popolo palestinese da parte del proprio governo.

Ripudiamo ogni forma di guerra, di terrorismo, di fondamentalismo, di violazione dei diritti umani, civili e sociali delle bambine, dei bambini, delle donne e degli uomini. Ricerchiamo pratiche nonviolente per la mediazione dei conflitti. Promuoviamo la "diplomazia dal basso". Abitiamo i luoghi difficili, attraversando confini e conflitti.

I luoghi difficili oggi sono i nostri Abitare i luoghi difficili oggi significa stare dalla parte di chi è disposto a sfidare i respingimenti disumani alle frontiere, le acque insicure del mare, il torrido deserto, le impervie montagne, a camminare per migliaia di chilometri perché la terra d’origine è ancora più pericolosa del Mediterraneo, del deserto, delle montagne.

Terra: casa comune di tutte e di tutti Sempre più numerosi sono le donne, gli uomini, i bambini che si muovono per emigrare e stabilirsi in altri paesi. Alcuni lasciano i paesi d’origine per motivi economici, altri per un progetto di vita, altri fuggono dalla fame, altri scappano dalle guerre È un diritto fondamentale: abitare la Terra-casa comune di “tutti i membri della famiglia umana”.