LE PITTURA DEL SEICENTO
Dopo il Concilio di Trento lo spirito del Rinascimento si è decisamente esaurito, non però la pittura, definita "manierista", che ne era derivata. Il superamento di questa pittura avvenne in un paio di decenni tra fine Cinquecento e inizi Seicento, grazie soprattutto a tre filoni pittorici: quello che parte con Annibale Carracci, quello iniziato da Michelangelo Merisi detto Caravaggio, e quella di provenienza nordica (attraverso il pittore fiammingo Pieter Paul Rubes) ma che si unisce ad una tradizione italiana che vede in Correggio il suo iniziatore.
Annibale Carracci è il più giovane di un terzetto di artisti bolognesi formato, oltre che da lui, dal fratello Agostino e dal cugino Ludovico. Questi tre artisti diedero vita a Bologna all’Accademia degli Incamminati che fu il baricentro di quella tendenza dell’arte seicentesca che definiamo "classicismo". Nei loro insegnamenti si cercava di coniugare il modello dei grandi maestri cinquecenteschi, quali Raffaello e Tiziano, con un rinnovato studio del vero: in pratica una pittura che coniugasse l’idealismo, fatto di armonia, proporzione, decoro, misura, ecc., con il realismo, fatto soprattutto di ispirazione e studio della realtà. Nella corrente del classicismo ritroviamo innanzitutto i pittori bolognesi diretti allievi dei Carracci quali il Guido Reni e il Domenichino, ma anche pittori francesi attivi a Roma, quali Nicolas Poussin o Claude Lorrain.
ANNIBALE CARRACCI, Trionfo di Bacco e Arianna, 1597-1600, galleria di palazzo Farense, Roma
DOMENICHINO, La caccia di Diana, 1617, Roma, Galleria Borghese GUIDO RENI, Deianira rapita dal centauro Nesso, 1621, Parigi Louvre
CLAUDE LORRAIN, Paesaggio con Ascanio che uccide il cervo Silvia, 1682, Ashmolean Museum, Londra NICOLAS POUSSIN, Il ballo della vita umana, 1640, Wallace Collection, Londra
Ma l’artista che più rappresentò il realismo fu sicuramente Caravaggio Ma l’artista che più rappresentò il realismo fu sicuramente Caravaggio. Egli fu autore di un’autentica rivoluzione pittorica, dimostrando la forza che poteva avere una rappresentazione esatta della realtà, senza alcuna trasfigurazione o aggiustamento. Il suo stile, unito anche ad una grandissima qualità pittorica innata, gli permise di produrre opere che ebbero un’influenza grandissima su tutta la pittura europea del XVII secolo.
CARAVAGGIO, Cena in Emmaus, 1601, National Gallery, Londra CARAVAGGIO, Ragazzo con canestra di frutta, 1593, Galleria Borghese, Rooma
Il fiammingo Pieter Paul Rubens, infine, fu il pittore che unendo in una originale sintesi spunti realisti tipici dell’arte nordica con gli ultimi virtuosismi dell’arte manierista creò un genere chiamato decorazione barocca, pittura molto esuberante giocata sempre su composizioni molto complesse che in Italia si sposa con la decorazione delle cupole che ha come modello le cupole del Correggio e del suo continuatore a Roma, Giovanni Lanfranco. Questi sono in sintesi i tre maggiori percorsi lungo i quali si snoda l’arte europea del Seicento: il classicismo, il realismo e il decorativismo.
Pieter Paul Rubens, Battaglia delle amazzoni, 1615, olio su tavola, 121×165,5 cm, Alte Pinakothek, Monaco
Per capire la differenza fra realismo e classicismo conviene fare un esempio. Un pittore rinascimentale come Raffaello quando doveva dipingere una Madonna usava probabilmente una modella, ma l’immagine che ne derivava non era il ritratto della donna in carne e ossa che lui aveva davanti, altrimenti la finzione non sarebbe passata: il quadro doveva raffigurare un’immagine femminile idealizzata (quale noi attribuiamo, per convenzione culturale ma anche per aspettativa psicologica, alla Madonna) e non una figura di una donna reale appartenente ad un tempo ed un luogo relativi. Questo procedimento di passare dal reale all’ideale lo possiamo chiamare di "trasfigurazione". In questo modo la realtà veniva aggiustata a quelle che sono le "regole dell’arte": decoro, compostezza, ordine, armonia, eccetera. Questo è il processo che attuavano i Carracci. A. CARRACCI, Ercole al Bivio, 1596, Museo Naz. Di Capodimonte, Napoli
Caravaggio, al contrario, abolì dalla sua pittura qualsiasi "trasfigurazione": la realtà rappresentata nei suoi quadri appariva nuda e cruda come l’immagine reale che si presentava agli occhi del pittore. I modelli e le modelle erano rappresentati con tale verismo da sembrare quasi foto reali. L’effetto, per il pubblico del tempo, fu quasi sconvolgente: non erano abituati a veder rappresentata la realtà senza il filtro della "trasfigurazione" e ciò che vedevano nei quadri di Caravaggio era troppo forte da essere immediatamente accettato.
Carlo Saraceni, Transito della Vergine, 1611-12, Chiesa di santa Maria dela Scala, Roma Caravaggio, La morte della Vergine, 1604-1606, Musée du Louvre, Parigi
Altra differenza notevole tra lo stile dei Carracci e quella di Caravaggio è ancora una volta, come già tra fiorentini e veneziani, il diverso rapporto tra disegno e pittura. Mentre per i Carracci l’arte nasce soprattutto dal disegno, che rimane la trama logica, razionale e visibile, dell’immagine costruita, Caravaggio costruisce i suoi quadri solo con gli strumenti della pittura: cioè luce e colore. Non solo: nella sua evoluzione stilistica Caravaggio accentuò sempre più il contrasto tra luce e ombra, al punto che l’immagine non poteva più essere costruita con gli strumenti razionali del disegno. In pratica nei suoi quadri ciò che appare non è la struttura dei corpi, ma solo quel tanto che opportuni effetti di luce ci permettono di vedere. E questi effetti di luce, quasi lampi che appaiono nell’oscurità per mostrarci un’immagine affogata nel buio, divennero una delle cifre stilistiche più forti di Caravaggio.
Lo stile di Caravaggio ebbe un’influenza enorme nei pittori a lui posteriori, che compresero la grande forza di un’arte che riesce a drammatizzare la realtà con il semplice ricorso alla rappresentazione veritiera e a un sapiente uso della luce e dell’ombra. La sua presenza a Napoli fu uno stimolo enorme per quei pittori, quali Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione, Mattia Preti e tanti altri, che diedero vita ad una indimenticabile stagione artistica napoletana che si svolse per tutto il XVII e XVIII secolo. La sua influenza fu recepita da pittori spagnoli, Zurbaran e Velazquez su tutti, da pittori francesi quali George De La Tour ed anche da quelli che rimangono sicuramente i maggiori pittori olandesi del Seicento: Rembrandt e Vermeer.
MATTIA PRETI, Il Gioco della dama, II ½ XVII sec MATTIA PRETI, Il Gioco della dama, II ½ XVII sec. Ashmolean Museum, Oxford
Massimo Stanzione, Madonna con Bambino, 1640, Museo di Capodimonte, Napoli
Barristello Caracciolo, San Giovanni Battista nel Deserto, Berkeley Art Museum, Berkeley.
Per quanto riguarda lo stile "propriamente" barocco possiamo dire che uno dei primi parametri è sicuramente l’uso privilegiato che si fece della linea curva. Nulla procede per linee rette ma tutto deve prendere andamenti sinuosi: persino le gambe di una sedia o di un tavolo devono essere curvi. Le curve che un artista barocco usa non sono mai semplici, quali un cerchio, ma sono sempre più complesse. Si va dalle ellissi alle spirali, con una preferenza per tutte le curve a costruzione policentrica. Tanto meglio se poi i motivi si ottengono da intrecci di più andamenti curvi. Un altro parametro stilistico del barocco è sicuramente la complessità. Nulla deve essere semplice, ma deve apparire come il frutto di un virtuosismo spinto agli estremi del possibile. In pratica l’effetto che un’opera barocca deve suscitare è sempre la meraviglia. Dinanzi ad essa si doveva restare a bocca aperta, chiedendosi come fosse possibile realizzare una cosa del genere. Altra caratteristica fondamentale del barocco può essere considerato l’horror vacui. Con tale termine si indica quell’atteggiamento di non lasciare alcun vuoto nella realizzazione di un’opera. In un quadro, ad esempio, ogni centimetro della superficie veniva sfruttato per inserire quante più figure possibili. In una superficie architettonica non vi era neppure un angoletto piccolo e nascosto che non veniva stuccato con qualche cornice dorata o con qualche inserto di finto marmo.
FRANCESCO BORROMINI, Sant’Ivo alla Sapienza, 1660
Altro elemento tipico del barocco è ovviamente l’effetto illusionistico. Ciò è intimamente legato all’atteggiamento di considerare l’arte soprattutto come decorazione. Per cui i finti marmi o le dorature erano utilizzate in sovrabbondanza, per creare l’illusione di preziosità non reali ma solo apparenti. Ma l’effetto illusionistico è utilizzato anche in pittura e in scultura. Nel primo caso la grande padronanza tecnica della prospettiva consentiva di creare effetti illusionistici di grande spettacolarità, come avveniva spesso nelle grandi decorazioni ad affresco. In scultura la padronanza tecnica al limite del virtuosismo più esasperato, consentiva di imitare nel duro marmo aspetti di materiali più morbidi con effetti illusionistici straordinari. Un ultimo parametro dello stile barocco è infine l’effetto scenografico. Le opere barocche, in particolare quelle architettoniche e monumentali in genere, costituiscono sempre dei complessi molto estesi che segnano con la loro presenza tutto lo spazio disponibile. In tal modo il barocco è la quinta teatrale per eccellenza che faceva da cornice alla vita del tempo, anch’essa regolata da aspetti e cerimoniali improntati a grande decoro.
GIAN LORENZO BERINI, Cappella Cornaro,1647-52, Santa Maria dela Vittoria, Roma
Nel corso del Seicento e del Settecento la costruzione di chiese e palazzi nobiliari aumenta vistosamente rispetto al passato. E fu soprattutto per questi contesti che avvenne la maggior produzione pittorica, sia ad affresco sia su tela. In particolare lì dove la pittura barocca assume caratteri più originali è nella decorazione delle volte. Il motivo è presto detto: sotto le volte si poteva creare effetti illusionistici di maggiore spettacolarità. Il prototipo di queste volte è quella realizzata nel 1639 da Pietro da Cortona per il salone di Palazzo Barberini a Roma, ma la più nota di queste composizioni è la volta nella Chiesa di Sant’Ignazio realizzata da Andrea Pozzo nel 1694.
PIETRO DA CORTNA, Trionfo della Divina Provvidenza, 1639, Salone PIETRO DA CORTNA, Trionfo della Divina Provvidenza, 1639, Salone Padre Pozzo, Trionfo Sant’Ignazio, 1694, Palazzo Barberini, Roma Chiesa di sant’Ignazio, Roma
Uno dei motivi che più distingue i pittori rinascimentali da quelli barocchi è proprio l’uso della prospettiva. Nei primi la prospettiva era una tecnica che rendeva chiaro e razionale lo spazio rappresentato, nei secondi, come già accennato, invece la prospettiva è usata per ingannare l’occhio e far vedere spazi che non esistono, in maniera illusionistica. Inutile dire che per usarla in questo secondo modo, bisognava conoscere la prospettiva in maniera perfetta ed essere dei virtuosisti nel suo uso. E tuttavia tutta questa "arte", o tecnica, era usata non per la verità ma per rendere apparentemente vero il falso. Questo è uno dei motivi di fondo che più ci danno l’idea della distanza che passa tra estetica rinascimentale ed estetica barocca.