Hobbes
La filosofia politica La riflessione politica di Hobbes muove da una concezione pessimistica e misantropica, fondata sulla spiegazione meccanicistica dell'uomo: ogni uomo è necessariamente condizionato dai meccanismi dei propri istinti egoistici. Nello stato di natura, ciascun individuo vive sottomesso ai suoi istinti di essere asociale, egoista e violento, dominato dall'esclusivo interesse per la propria autoconservazione e la propria potenza. In questo stato, nessuno degli individui vede oltre lo scopo dell'autoconservazione. Tutti «hanno diritto su tutto» (ius omnium in omnia). Per questo, lo stato di natura è caratterizzato da Hobbes come bellum omnium contra omnes, o "guerra di tutti contro tutti", ossia da uno stato di perenne belligeranza, in cui ciascun individuo non ha mai piena sicurezza della propria vita e dei propri beni.
Lo stato di natura come modello concettuale Più che un'accertabile realtà storica, lo stato di natura è per Hobbes un'ipotesi ricavata dall' analisi della natura umana: una sorta di modello che prende forma nella storia ogniqualvolta sulla ragione prevalga la primigenia costituzione animale dell‘umanità. Tre dimensioni diverse dello "stato di natura", non più pensato astrattamente, ma concretamente verificabile nella quotidianità: una dimensione prestatale, che è quella dei popoli primitivi non ancora politicamente organizzati; una dimensione antistatale, che è quella dell‘anarchia e della guerra civile; una dimensione interstatale, che è quella della rivalità diplomatica e politica tra stati sovrani.
L'eguaglianza originaria e la legge di natura L'eguaglianza originaria (il diritto di tutti su tutto) che caratterizza la condizione naturale non è un beato stato perduto, ma una situazione di perenne instabilità e insicurezza. Nello stato di natura nessuno, per quanto forte e potente, è mai completamente al sicuro dalle insidie del più forte. L'istintualità dell'uomo lo spinge a perseguire l'autoconservazione facendo leva sulla violenza, la lotta e la competizione. Ma l'uomo dispone anche della ragione, la quale si esprime nella "legge di natura": con questa espressione Hobbes designa l'insieme delle prescrizioni razionali che guidano l'individuo nel calcolo delle conseguenze delle sue azioni, allo scopo di assicurarsi l'autoconservazione. Tra queste prescrizioni, quella fondamentale impone (utilitaristica-mente) che «si deve ricercare la pace quando la si può avere; quando non si può, bisogna cercare aiuti per la guerra».
Mentre lo stato di natura è una condizione dominata dal diritto di tutti a tutto, la legge naturale tende a temperare tale assenza di vincoli, poiché risulta incongruente rispetto al fine dell'autoconservazione. Nello stato di natura ci troviamo insomma di fronte a una contraddizione tra il fine dell' autoconserva zione e la "guerra di tutti contro tutti" che minaccia la stessa sopravvivenza. Lo stato di natura è dunque male, perché in esso il fine della vita, cioè l' autoconservazione, è sempre raggiunto a fatica e sempre revocato in dubbio.
Il patto sociale e la creazione dello stato Si tratta allora di interrogarsi sul modo in cui sicurezza e autoconservazione possano essere raggiunte. La risposta di Hobbes è contenuta nella teoria del patto sociale, che istituisce la società civile, supera lo stato di natura e fonda la sovranità come garanzia di pace e sicurezza per ciascuno. La società civile è secondo Hobbes frutto dell'esperienza e della cultura del genere umano. L'uomo non è adatto per natura a vivere in società, ma a ciò lo portano la retta ragione e l'esperienza. L'origine della società e dello stato sta dunque in un contratto, in un patto che crea una realtà nuova e artificiale, che costituisce un meccanismo efficace contro le storture della condizione naturale che minacciano l'autoconservazione.
Il patto che istituisce lo stato non intercorre tra due distinti soggetti ciascuno fornito di propri diritti, ma si stipula invece come mutuo accordo tra i singoli individui. Tutti gli individui decidono di rinunciare simultaneamente al loro diritto originario per unirsi in società e contemporaneamente delegano a un terzo non contraente il loro diritto su tutto. Hobbes chiama patto di unione questo contratto, in cui confluiscono il patto di società e il patto di subordinazione. Il contratto hobbesiano è patto di società perché la società non esiste in natura e si fonda su questo accordo che accomuna i contraenti; è però anche patto di subordinazione perché ciascun individuo rinuncia al proprio ius demandandolo a un terzo, verso il quale contrae l'obbligo dell'obbedienza.
Il potere irrevocabile e assoluto del sovrano Il sovrano, sia esso un singolo o un'assemblea, sarà l'unico a mantenere il diritto su tutto. Egli assume il supremo potere economico, esecutivo, legislativo, giudiziario e poliziesco e ha dunque la forza necessaria per garantire a ciascuno la sicurezza e l'autoconservazione, permettendo a tutti di vivere secondo le prescrizioni della retta ragione, senza timore che altri, non rispettandola, si avvantaggino impunemente nei suoi confronti mettendo a repentaglio la sua vita e i suoi beni. Compito del sovrano, tramite la promulgazione delle leggi civili, è rendere coattiva la legge naturale, accogliendone i principi nelle norme che solo a lui spetta stabilire.