Biodegrado e biorestauro dei manufatti in pietra Università degli studi di Ferrara Corso: Biodeterioramento Prof.ssa Marilena Leis
BIODETERIORAMENTO: inteso come l’impatto dei microrganismi sulle rocce a livello generale un danno che, sulle opere in pietra è principalmente dovuto alla creazione di biofilm. BIOCORROSIONE: ad opera di acidi organici ed inorganici che consentono la penetrazione fisica, nella pietra, di comunità microbiotiche . Essa può verificarsi attraverso: acido nitrico e azoto espulso da batteri nitrificanti, inducendo quindi alla dissoluzione della pietra e alla formazione di sali nitrati; acido solforico, il quale reagendo con determinati componenti della pietra può creare delle croste a base di solfato. Questi solfati possono precipitare all’interno dei pori della pietra e attraverso il processo di ricristallizzazione ed esercitare parecchia pressione sui bordi dei pori; escrezione di acidi organici da organismi chemiorganotrofi compresi funghi e licheni che, tramite un processo di rimozione di particelle di ferro e di manganese dal reticolo cristallino per ossidazione contribuiscono al deterioramento della pietra. ESEMPIO: Un recente studio ha individuato il coinvolgimento di microrganismi zolfo-ossidanti nel deterioramento di arenarie nelle antiche strutture ad Angkor in Cambogia. Questo sito è il perfetto esempio di come organismi viventi siano in grado di procurare un serio danno ai manufatti lapidei. In questo tempio i bassorilievi vengono persi a causa dell’esfoliazione causata dalla formazione di biofilm che si originano sulla superficie delle pietre. Tutto ciò è causato da batteri zolfo-ossidanti che espellendo acido solforico danneggiano i bassorilievi.
Fig. 1-2: immagini del tempio di Bayon ad Angkor in Cambogia, www Fig. 1-2: immagini del tempio di Bayon ad Angkor in Cambogia, www.viaggilibero.it LA FORMAZIONE DI BIOFILM: la formazione di biofilm è il complesso risultato di aggregazione di microrganismi. Le alghe e i cianobatteri sono comuni sulle murature e s’identificano dalla presenza di macchie. Data la loro natura fotoautotrofa facilitano la colonizzazione della pietra da parte di altri organismi. I batteri del biofilm espellono exopolymer (biopolimero esecrato da un organismo nell’ambiente), costituito principalmente da polisaccaridi, ma anche da lipidi, pigmenti e proteine; tale miscela complessa aiuta a consolidare il biofilm in quanto fornisce protezione dai disinfettanti e dai bioacidi.
Fig. 3: immagine di biofilm algale su una statua di arenaria; www Fig.3: immagine di biofilm algale su una statua di arenaria; www.biodeterioramento.it Oltre a crescere sulla superficie di pietra i microrganismi ne colonizzano anche l’interno. Licheni e funghi possono causare un serio degrado dato dalla penetrazione fisica, infatti le ife fungine sono in grado di penetrare in profondità sotto la superficie della pietra contribuendo al deterioramento meccanico. Questa penetrazione consente in contemporanea il trasporto di acqua e di sostanze nutritive attraverso la pietra, facilitando la colonizzazione dei batteri sotto la superficie ed innescando nel medesimo momento un deterioramento biomeccanico. Fig.4: ife fungine di muffa 400x, immagine tratta dal laboratorio di biologia dell’Istituto comprensivo statale di Albignasego (PD)
DIAGNOSTICA, CONSERVAZIONE E RESTAURO DEI BENI CULTURALI: APPROCCIO BIOTECNOLOGICO: il restauro e la conservazione delle opere in pietra e la necessità di farlo attraverso metodi che non causino alcun danno ai manufatti. La loro conservazione si basa sull’impiego di metodi preventivi e correttivi. I metodi di prevenzione mirano a inibire gli attacchi biologici sulla pietra e si articolano in: idonee condizioni ambientali (luce, temperatura, umidità ecc…) che riducono l’attacco microbico e che è possibile realizzare solo indoor; la pulizia periodica di sporco, polvere, sostanze organiche varie e escrementi di uccelli elimina potenziali fonti di nutrimento per microrganismi. Per risolvere il problema si possono usare basse frequenze di corrente elettrica per tenere distanti dai monumenti grossi animali o l’impiego di resine come rivestimento protettivo della pietra; tuttavia tale trattamento se continuato può indurre la crescita di microrganismi. Comunque le patine di biofilm possono essere eccellenti indicatori del cambiamento climatico, poiché a seconda del grado d’inquinamento possono cambiare colore (es. patina grigia=metano, patina nera=graffite) e creare successivi problemi di erosione. Fig. 5-6: allontanamento piccioni, ansiservice.it; «Monumento e inquinamento» foto di una colonna, Istituto tecnico indipendente Enrico Fermi Colore reale del monumento, il resto è una patina data da inquinamento atmosferico
PULIZIA DELLE SUPERFICI IN PIETRA (Biopulizia): attualmente sono disponibili bioformule per la rimozione dalle alterazioni causate da nitrati sia su pareti, affreschi e dipinti. Le superfici possono essere pulite ogni volta che sono presenti composti a base di azoto. Diverse applicazioni basate su bioformule sono già state testate su vari tipi di alterazioni sia in laboratorio che sul posto, dando risultati molto promettenti. Il procedimento biologico provoca una rimozione più omogenea dei depositi superficiali senza che si abbia una compromissione chimica dei substrati. Tuttavia gli stessi ricercatori hanno evidenziato limiti per l’applicazione su larga scala per l’eccessiva complessità delle bioformule disponibili che richiedono competenze specifiche da parte dei restauratori. A causa di ciò, la ricerca è ancora attiva per ottimizzare la tecnologia e renderla più facile da applicare. BIOMINERALIZZAZIONE E BIOCONSOLIDAMENTO: La biomineralizzazione è il processo tramite il quale organismi viventi producono minerali. Da ciò nasce lo studio delle strutture, della formazione e delle proprietà dei solidi inorganici causati da organismi viventi. Il desiderio di proteggere i monumenti era già nato in epoche più antiche, infatti, si soleva applicare delle paste, calce spenta e creazione di patine di ossalato di calcio. Nel caso della biomineralizzazione la finalità è quella di creare del nuovo minerale sulle superfici lapidee. Ciò nonostante nel 1990 un brevetto europeo per la generazione di calcite attraverso l’azione dei batteri è stata applicata ad una sede societaria, da allora ogni strato generato dai batteri è stato analizzato ed esaminato ed è stata considerata come una strada promettente per il trattamento agli edifici storici e nel processo di consolidamento della pietra. Le Metayer-Levrel et alii (1999) hanno utilizzato diversi ceppi di diversi batteri biocalcificanti per promuovere il successo della carbonatogenesi dei batteri sulla superficie degli edifici, monumenti e statue. Sono stati trovati vari usi per i batteri biocalcificanti come nel lavoro di Ramachandran ed al. (2001) il quale ha scoperto che l’aumento della resistenza alla compressione e alla rigidità può essere ottenuto mediante la combinazione tra batteri e la sabbia nelle crepe.
Tuttavia l’applicazione di microrganismi e la loro crescita diretta sulle superfici lapidee ha diversi potenziali problemi fra cui: formazione di EPS (sostanze polimeriche extracellulari); blocco dei pori con relativo ostacolo al movimento dei sali che accumulandosi porteranno inizialmente a decolorazioni spiacevoli e infine a danni fisici; Produzione in eccesso di crescita microbica su supporti. L’applicazione di una barriera fisica sulla superficie dei monumenti è quindi, materia complicata, anche i rivestimenti che consentono l’evaporazione, infatti, possono creare dei problemi di accumulo di sali con conseguente cristallizzazione. È evidente che il rivestimento di protezione dovrà essere necessariamente in sintonia con la natura della pietra stessa. La produzione di uno strato di carbonato di calcio generato da batteri potrebbe offrire una soluzione a questo dilemma, lo strato infatti non bloccherebbe la struttura porosa naturale della pietra permettendo così il libero passaggio dei sali; secondo gli studi la protezione acquisita dalla biomineralizzazione tende ad aumentare con l’età, offrendo protezione a lungo termine contro gli agenti atmosferici che causano la crescita di popolazioni microbiche che producono acido. CASO STUDIO: TOMBA ETRUSCA A TARQUINIA Contributo dei microrganismi nel deterioramento e nel restauro Nella necropoli di Tarquinia si trovano molte tombe scavate nella roccia che conservano sulle pareti dei dipinti. La tomba presa in esame è quella di Marcareccia è strutturata con una camera esterna a tetto spiovente in legno con un’apertura centrale che riproduce l’atrio di una casa, sulle pareti si trovano fregi sia scolpiti che dipinti.
Fig. 7: foto dell’ingresso della tomba della Mercareccia a Tarquinia, autore Giovani Lattanzi; www.archart.it
La tomba è stata scavata nella roccia calcarea e fu scoperta nel 1735 e durante la guerra è stata utilizzata in modo improprio, contribuendo a favorire il mal stato di conservazione visto che le pareti risultano essere coperte di croste e patine. Fig.8: patine nere presenti sulle pareti, autore Giovanni Lattanzi; www.ansiservice.it
Il progetto di restauro è stato completato ma purtroppo tutti i dipinti sono andati perduti. FIG. 9: ripulitura della volta nella camera sepolcrale, autore Giovanni Lattanzi; www.archart.it
In questo lavoro oltre ad una caratterizzazione esplorativa della microflora eterotrofa colonizzatrice delle pareti della tomba viene anche descritta la sezione di ceppi microbici potenzialmente utili nel campo della restaurazione; focalizzando la ricerca su due funzioni metaboliche opposte: la biomineralizzazione e la solubilizzazione di patine calcaree. ANALISI DESCRITTIVA DEGLI ORGANISMI COLONIZZATORI: da 10 punti delle pareti delle due camere del sepolcro, sono stati isolati 142 ceppi eterotrofi di cui 127 sono stati identificati dal r-DNA 16S o 18S del sequenziamento genetico. Tra i batteri gli Actinomiceti sono predominanti, in particolare i generi Streptomyces, Mycrobacterium e il Rhodococcus. Sono abbondanti anche i Bacillales tra cui il Bacillus e il Paenibacillus. Si nota una diversa distribuzione di generei tra la dromos e la camera. I bacilli infatti, sono predominanti nella dromos, mentre gli Actinomiceti, noti per essere i primi colonizzatori di ambienti ipogei, sono predominanti nella camera interna. I funghi sono ridistribuiti in modo più omogeneo e appartengono al taxa: Sordariomycetes; Eurotiomycetes; Ascomycota; Dothideomycetes. Nel complesso è stata rilevata una maggiore biodiversità nella camera interna che è più protetta dall’esterno. La maggior parte dei microrganismi isolati sono già stati descritti in letteratura come colonizzatori di ambienti simili, d’interesse storico/artistico, mentre il 16% dei ceppi isolati non sono ancora stati descritti in associazione con tali ambienti. Tra quest’ultimo gruppo troviamo fra i batteri: Isoptericola, Cellulosimicrobium, Stenotrophomonas, Ochrobatrum, Lysobacter e tra i funghi: Lecanicillium, Tritirachium, Torrubiella, Microascus, Preussia e Paecilomyces.
DFVB 6 (Staphylococcus haemoliticus); SELEZIONE DEI CEPPI BATTERICI COME POTENZIALI AGENTI PER IL BIODEGRADO: la capacità di solubilizzare i carbonati è una funzione metabolica scarsamente rappresentata tra i ceppi isolati, infatti, solo 5 hanno mostrato questa capacità: DFVB 6 (Staphylococcus haemoliticus); TPBF 10 (Cellulosimicrobium cellulans); TPID 1 (Cellulosimicrobium cellulans); TPBF 11 (Cellulomonas cellulans); DPBS 7 (Actinomycetaceae). La capacità di solubilizzare CaCo₃ è interessante se messa in relazione con questo ambiente dal momento che la tomba è scavata direttamente nella roccia calcarea; nel tempo la comunità microbica può aver contribuito al degrado di questo sito, infatti questi ceppi possono essere considerati potenziali degradatori formando indesiderate patine e croste. La biomineralizzazione è piuttosto comune fra queste comunità, come in natura, sono stati rilevati ben 71 ceppi in grado di precipitare il carbonato di calcio. Di questo solo 5 sono stati selezionati per svolgere delle prove di bioconsolidameto su pietra calcarea nota come «Pietra di Lecce». Le analisi al SEM hanno dimostrato come tutti e 5 i ceppi producano biofilm mucosi calcificati dove i polisaccaridi (EPS) includono le cellule batteriche e promuovono l’adesione dei batteri alla superficie. Le analisi EDS dei biofilm mostrano per tutti i campioni la presenza di calcio, carbonio e ossigeno, che attestano la natura carbonatica della formazione di patine biologiche. A B Fig.10-11: differenza di forme cristalline e deposizioni, figura A 15.000x, figura B 2.100x, immagine al SEM della formazione di biofilm dal ceppo TPBF 2 (Bacillus simplex). Nella figura A le cellule batteriche sono parzialmente incluse nel matrix EPS, nella figura B troviamo i cristalli di calcite.
Fig. 12-13: immagini al SEM della formazione di biofilm da parte del ceppo TSND 13 ( Rhodoccoccus erytropolis) nella figura A troviamo le cellule batteriche mentre nella B la deposizione di rombi di calcite nel biofilm. A B Come conseguenza del trattamento con i batteri calcinogeni l’assorbimento dell’acqua da parte della pietra diminuisce dal 45 al 47%, ciò con l’impiego del trattamento del mezzo B4. I trattamenti che causano una differenza significativa sono quelli con il ceppo TSND 13 che ha riotto l’assorbimento dell’acqua al 67.43% e il TPBF 2 che ha ridotto l’assorbimento al 73,12%. Per quanto riguarda l’effetto cromatico indotto dai trattamenti, le misure colorometriche mostrano che le pietre subiscono un’alterazione giallastra e sono soggette ad una diminuzione dei valori di riflettività , molto probabilmente ciò avviene a causa della combinazione della media composizione e dai prodotti del metabolismo microbico. Le variazioni colorometriche dipendono dal variare dei ceppi, nella sostanza. Considerando gli effetti globali dei trattamenti, il ceppo più adatto sembra essere TSND 13 che riduce l’assorbimento di acqua capillare del 18% rispetto al controllo, senza alterare il colore contaminato della pietra di Lecce. La particolarità di questo lavoro consiste nei ceppi utilizzati che sono tutti nativi di una tomba calcarea scavata nella roccia.
CONCLUSIONI: l’analisi microbiologica effettuata sulla tomba anche se parzialmente, documenta come la comunità microbica eterotrofa si sia sviluppata all’interno di questo ambiente in assenza di qualsiasi intervento di conservazione e può costituire la base per un futuro protocollo di monitoraggio, al fine di stabilire un piano di conservazione. Questo lavoro ha consentito, nel complesso, la creazione di una banca di ceppi che producono cristalli di carbonato di diversi colori e dimensioni potenzialmente utili per il restauro di materiali lapidei policromi. Il ceppo TSND 13 Rhodoccoccus erytropolis si è rivelato essere un potenziale candidato per il riconsolidamento della roccia anche se questo tipo di applicazione deve ancora essere valutata attentamente.
BIBLIOGRAFIA: C. Alisi, «Biodegradetion and biorestoriation of stone manufacts», 2011, ENEA, Environmental Microbiology Lab., Rome, Italy. Immagini: www.viaggilibero.it www.biodeterioramento.it www.ansiservice.it Laboratorio di biologia dell’Istituto comprensivo statale di Albignasego (PD)