Breve rassegna dei siti internet

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Transcript della presentazione:

Breve rassegna dei siti internet Immanuel Kant

Kant e il criticismo http://www.filosofico.net/Kant.htm http://mondodomani.org/mneme/s3ik0.htm http://www.linguaggioglobale.com/filosofia/txt/Kant.htm

Vita e pensiero: Nacque da famiglia di origine scozzese a Konigsberg nella Prussia orientale nel 1724. Educato nello spirito religioso del pietismo. Nel 1740 uscì dal collegio e studiò filosofia, matematica e teologia nell’Università del suddetto capoluogo. Fu precettore privato per alcuni anni. Nel 1755 ottenne la libera docenza presso l’Università di Konigsberg. Nel 1770 fu nominato professore ordinario di logica e metafisica, tenne questo incarico fino alla fine della sua vita. Esistenza dedita al pensiero e all’insegnamento. Sebbene fosse vivace e divertente la sua vita appare priva di avvenimenti drammatici e di passioni, fatta di pochi affetti ed amicizie. Fu attento osservatore politico, simpatizzò per gli americani nella loro guerra d’indipendenza e con i francesi per la loro rivoluzione. Era fortemente contrario ad ogni tipo di dispotismo, soprattutto religioso. Nella senilità perse lentamente tutte le sue facoltà. Nel 1804 morì. Una frase è ancora incisa sulla sua tomba ed è tratta dalla sua critica della ragion pratica: Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.

Periodo precritico – Prima fase fino al 1760 Kant si occupa di studiare le scienze naturali. Questo periodo corrisponde alla sua formazione universitaria. Opera principale di questo periodo risulta essere la Storia naturale universale e teoria dei cieli. In conformità con i principi della fisica di Newton, Kant concepisce la formazione del sistema cosmico a partire da una “nebulosa primitiva” – resta una sua grande intuizione! Seconda fase: scritti d’interesse filosofico. Inizia a porre le fondamenta di temi che svilupperà nella fase del criticismo. Critica della metafisica. La sua prima opera è lo scritto La falsa sottigliezza delle quattro figure sillogistiche (1762) dove critica il valore della logica aristotelico-tomista paragonandola a un colosso che ha la testa nelle nuvole dell’antichità e i cui piedi sono di argilla. Nello scritto Unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio (1763) il filosofo chiama la metafisica “un abisso senza fondo”, un “oceano tenebroso senza sponde e senza fari”.

Kant applica il metodo matematico alla filosofia Kant applica il metodo matematico alla filosofia. Quanto alla morale vede nel concetto di bene la necessità morale. Nel suo scritto Notizia sull’indirizzo delle sue lezioni del 1765 egli si distacca dal dogmatismo di Wolff e aderisce all’empirismo inglese. Nello scritto Sogni di un visionario chiariti coi sogni della metafisica egli arriva a definire la metafisica come la scienza dei limiti della ragione umana.

Dissertazione del 1770 – concetto dello spazio e del tempo Dissertazione del 1770 – concetto dello spazio e del tempo. Lo spazio è qualcosa di originario e le parti della materia lo suppongono. Conoscenza di tipo sensibile – dovuta alla ricettività o passività del soggetto, ha per oggetto il fenomeno, la cosa in relazione al soggetto. Conoscenza di tipo intellettuale – facoltà del soggetto che ha per oggetto la cosa così com’è, nella sua natura intelligibile, il noumeno. Nella conoscenza sensibile si deve distinguere la materia dalla forma. La materia è la sensazione, la forma è la legge, indipendente dalla sensibilità. La conoscenza sensibile è anteriore all’uso dell’intelletto logico e si chiama apparenza. La conoscenza è riflessa, essa nasce dal confronto tra l’intelletto e le apparenze, si chiama esperienza. Gli oggetti dell’esperienza si chiamano fenomeni. Tempo e spazio sono intuizioni che precedono ogni conoscenza sensibile. Non sono realtà oggettive ma sono condizioni soggettive necessarie alla mente umana per coordinare tutti i dati sensibili. La conoscenza sensibile coglie i fenomeni (le cose come appaiono), la conoscenza intellettuale coglie i noumeni (le cose nel loro ordine intelligibile)

Scritti del periodo “critico” La Critica della ragion pura apparve nel 1781. Scriveva a Mendelssohn che egli in quest’opera “ha condotto a termine il risultato di una meditazione di dodici anni in quattro e cinque mesi circa, con poca cura della forma e di quanto occorre per facilitare il lettore”. La seconda edizione dell’opera comporta delle aggiunte e dei rimaneggiamenti soprattutto in riguardo alla deduzione trascendentale. La Critica della ragion pura apre la serie delle grandi opere di Kant. Cf testo Storia della filosofia di Abbagnano pg. 612 Il criticismo: contro il dogmatismo il criticismo s’interroga programmaticamente circa il fondamento di determinate esperienze umane, chiarendone le possibilità la validità e i limiti. È detta anche filosofia del limite o ermeneutica della finitudine. Le coordinate storiche del criticismo kantiano sono date dalla rivoluzione scientifica e dalla crisi progressiva delle metafisiche tradizionali.

La Critica della ragion pura Analisi critica dei fondamenti del sapere. L’analisi critica di Kant prende forma dall’indagine di due attività conoscitive: la scienza e la metafisica. La prima appariva un sapere in continuo sviluppo e progresso, la seconda con il suo voler procedere oltre l’esperienza non sembrava aver trovato la strada sicura della scienza. Kant si propone di riesaminare la struttura e la validità della conoscenza di questi due campi del sapere, circa lo statuto di scientificità dei suddetti campi. Sulla metafisica Kant si mostra un “innamorato deluso”. Per quanto attratto da essa e dal suo proiettarsi ad indagare oltre il verificabile, Kant condivide con Hume lo scetticismo metafisico. Respinge invece lo scetticismo scientifico del filosofo scozzese, ritenendo invece il valore della scienza un fatto ormai stabilito. Tuttavia egli sostiene che una metafisica è sempre esistita e sempre esisterà, ogni qualvolta l’uomo desidera conoscere oltre il dato empirico.

Le quattro domande di base: la matematica pura, la fisica pura, la metafisica come disposizione naturale, la metafisica come scienza.   I giudizi sintetici a priori. Ipotesi gnoseologica di fondo è che la nostra stessa conoscenza empirica sia un composto di ciò che riceviamo mediante le impressioni e di ciò che la nostra facoltà conoscitiva vi aggiunge da sé sola. Kant è convinto che la conoscenza umana, in particolare la scienza, offra dei principi assoluti, di verità universali e necessarie che valgano ovunque allo stesso modo. Pur derivando dall’esperienza, la scienza presuppone tali principi che ne fungono da pilastri. Tali principi assoluti vengono denominati da Kant giudizi sintetici a priori. Giudizi perché aggiungono un predicato a un soggetto; sintetici perché il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto; a priori perché essendo universali e necessari non possono derivare dall’esperienza. Quindi sono fecondi e universali e necessari. La teoria kantiana quindi si distanzia dal razionalismo e dall’empirismo stesso. La scienza è feconda in senso duplice, per la materia e per la forma. Dunque il sapere poggia le basi sui giudizi sintetici a priori.

Critica della ragion pratica« Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me » Kant vuole far capire in che consiste la morale, che cos'è la morale. Nell’opera conduce l'analisi (critica) della ragione quando è indirizzata alla pratica (all'azione, al comportamento). L'opera fu pubblicata nel 1788 ed è preceduta dalla "Fondazione della metafisica dei costumi" (1785) e seguita dalla "Metafisica dei costumi" (1797). In questi tre scritti Kant espone la sua concezione della morale. Per Kant l’elemento essenziale della morale è l’obbligatorietà. La morale è indipendente dalla scienza e non può essere riducibile alla sfera dei sentimenti (cf Hume e Rousseau).

La morale si deve basare su qualcosa di assolutamente certo e saldo: il dovere morale! Ogni uomo infatti sente in modo sicuro e consapevole la morale come un dovere. L'uomo sente di fronte a certe situazioni il dovere di una scelta a cui seguirà il comportamento morale. La morale è un fatto di ragione. Ogni essere razionale ha la morale, sente la necessità, il dovere di scegliere. Il dovere riguarda solo la morale.

La necessità del mondo causale interverrà quando tradurremo la scelta in comportamento morale. Come essere razionale io non posso non considerare ad esempio che vi è sulla strada un uomo malridotto gettato in terra, questi è entrato nella sfera della mia razionalità e in quel momento io non posso non pormi il problema morale che è quello della scelta: "Devo o non devo soccorrere quest'uomo?". Qualunque sia la risposta a questa ineliminabile domanda la morale è apparsa. Anche se poi agissi in modo caritatevole o brutale su quell'uomo io ho posto in essere il dovere morale.

La scelta, quindi, è assolutamente libera ed è espressione, come dice Kant, di una volontà pura nel senso che non vi rientra in nessun modo la materialità (che svolgerà il suo ruolo necessitante quando la morale è già apparsa, quando metterò in azione la mia volontà). Ma se la morale è dovere, quindi obbligatorietà come potrà questa conciliarsi con l'assoluta libertà formale della scelta? La risposta è nel concetto di autonomia. La morale dell'essere razionale è cioè tale che egli deve obbedire ad un comando (obbligatorietà) che egli stesso si è liberamente dato (libertà), conformemente alla sua stessa natura razionale.

L'uomo che decide in obbedienza al dovere morale di compiere una determinata azione sa la vera sostanza della sua morale non risiede in una libertà che coincide con l'essenza razionale del suo essere L’uomo appartiene al mondo dei sensi, quindi sottoposto alle leggi causali della sfera naturale, ma in quanto dotato di ragione appartiene al mondo intellegibile o noumenico, il mondo in sé indipendentemente dalle nostre sensazioni conoscitive, in esso egli è assolutamente libero e autonomo.

Sintesi dell’imperativo categorico La legge morale come imperativo categorico, un comando a cui non si può sfuggire, si distingue dall'"imperativo ipotetico" che consiste nel pronunciare un comando in vista del conseguimento di un fine. Gli imperativi ipotetici si possono riassumere nella formula: se vuoi A fai B; per esempio: "se vuoi andare in Paradiso obbedisci alla legge di Dio". Questo tipo di comandi configurano cioè un'ipotesi (se vuoi andare in Paradiso) la cui realizzazione é condizionata dal mettere in atto forzatamente un comportamento (obbedisci alla legge di Dio). I caratteri dell'imperativo categorico invece sono tali per cui la sua imperatività: - non è condizionata da nulla; (l'obbedire non dipende dal voler andare in Paradiso) - vale per tutti gli uomini in tutte le condizioni; (nell'imperativo ipotetico dell'esempio questo valeva solo per chi crede nel Paradiso) - esprime una volontà pura, non condizionata empiristicamente (nell'imperativo ipotetico dell'esempio si metteva in atto la volontà di obbedire ma al fine di conseguire il Paradiso).

Quindi l'imperativo morale: - non è formulabile mediante regole particolari miranti a far compiere questa o quell'azione determinata - non potrà provenire da nessuna autorità esterna all'uomo, verrebbe così a mancare il carattere di universalità. l'imperativo categorico kantiano è una legge morale che prescrive " come la volontà debba atteggiarsi, non quali singoli atti deve compiere

Il primo imperativo categorico dice: " Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue azioni divenga universale ". Quando cioè ti trovi a compiere una determinata azione scegli come regola (massima), di chiederti sempre se quello che tu stai per fare possa essere condiviso da tutti.

Il secondo imperativo afferma: " Agisci in modo da trattare l'uomo così in te come negli altri sempre come fine, non mai solo come mezzo ". L'uomo non deve mai essere solo strumento di un'azione morale, il vero fine di ogni atto buono è l'uomo.

Il terzo imperativo categorico ricorda all'uomo che non basta limitarsi alla propria sfera individuale nel compiere azioni morali ma che ciò che si fa possa essere la prima pietra di un " regno della moralità ", ciò che tu hai fatto sia da esempio e diventi legge per tutti gli altri: " Agisci in modo che la tua volontà possa istituire una legislazione universale" Ogni morale non può essere limitata nel conseguimento del bene.. Il fine dell'azione morale quindi deve essere il " sommo bene"

Per realizzare il bene più completo, quello cioè che procuri quella felicità, irraggiungibile su questa terra, occorrerà allora credere che la propria esistenza possa proseguire all'infinito e che si raggiunga l'immortalità affinché si arrivi al massimo della virtù, che ci sia un Essere divino in grado di assicurare una giusta proporzione tra la virtù raggiunta e la felicità da attribuire. Bisognerà cioè " postulare" per l'azione morale diretta al bene più completo che ci sia: Un’ anima immortale, che esista Dio e che si possa andare oltre il limite naturale, Ecco quindi comparire come " postulati della ragion pratica " quelle che erano le tre idee della Ragione metafisica che non trovavano spiegazione nella dialettica trascendentale che dimostravano l'illusorietà e l'inganno della metafisica quando pretendeva di presentarsi come scienza. Ora quelle stesse idee fallaci sul piano teorico acquistano invece valore sul piano pratico, morale, divengono corollari della legge morale.

"Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell'oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io invisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l'intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di natura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell'universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero mondo sensibile, almeno per quanto si può inferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all'infinito." (Critica della ragion pratica, Laterza Editore, Bari, 1966, pp. 201-202)