LA CONSIGLIERA DI FIDUCIA

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Transcript della presentazione:

LA CONSIGLIERA DI FIDUCIA PROVINCIA DI PIACENZA __________________________ _____________________________ LA CONSIGLIERA DI FIDUCIA

LA CONSIGLIERA DI FIDUCIA La figura della Consigliera di Fiducia origina da norme comunitarie dirette a tutelare la dignità delle donne e degli uomini sul posto di lavoro e ad eliminare tutte le condotte antidiscriminatorie in ambito lavorativo, prevedendo altresì strumenti di prevenzione idonei a salvaguardare il dipendente da rischi psico-sociali. Le Direttive comunitarie sono state recepite in Italia con decreto legislativo 81/2008. A livello cittadino e quindi della Provincia di Piacenza il ruolo, compiti e la disciplina delle procedure a cui deve attenersi la Consigliera di Fiducia sono prescritti dagli articoli da 6 a 9 del “Codice Etico per la tutela della dignità sul lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori della Provincia di Piacenza”. La Consigliera di Fiducia è titolare di uno “sportello di ascolto”, cioè avrà a disposizione uno spazio adeguato all’esercizio della propria funzione a cui potranno rivolgersi, nella garanzia di massima riservatezza, tutte/i le/i dipendenti che si sentono vittime di comportamenti vessatori o lesivi della dignità personale che possono compromettere il loro equilibrio psico-sociale. La Consigliera di Fiducia è disponibile anche semplicemente avere informazioni sui relativi temi. Il servizio che fornisce è gratuito.

La Consigliera di Fiducia non è un organo consultivo che dispensa pareri alla Direzione, ma è “parte imparziale” deputata a raccogliere segnalazioni riguardo atti di discriminazione, molestie sessuali e morali, vicende di mobbing nell’ambito dell’organizzazione lavorativa ed porre in essere, laddove possibile, concreto rimedio, con tecniche di prevenzione e di risoluzione. La Consigliera di Fiducia ha lo scopo di tutelare il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici a vivere in un ambiente sereno, nel quale i rapporti interpersonali siano improntati alla correttezza ed al reciproco rispetto della libertà e della dignità della persona. La Consigliera di Fiducia partecipa alle sedute del Comitato Unico di Garanzia per le Pari Opportunità (C.U.G.), relaziona annualmente sull'attività svolta al Presidente, al C.U.G.; suggerisce azioni positive e partecipa alle iniziative di formazione e informazione nella materia oggetto del presente Codice. Attualmente la figura della Consigliera di Fiducia è rivestita dalla sottoscritta, nominata con Decreto del Presidente n. 5 del 02 Maggio 2017 a seguito di una procedura selettiva in cui gli interessati manifestavano l’interesse a rivestire tale ruolo, avendone le caratteristiche di professionalità richieste.

Ruolo della Consigliera di Fiducia e quando rivolgersi a Lei La persona che si ritiene vittima di atti discriminatori, vessatori o comunque di comportamenti che violano la dignità della persona sul posto di lavoro può rivolgersi alla Consigliera di Fiducia chiedendo un colloquio che rimane riservato. La riservatezza, la terzietà e l'imparzialità sono caratteristiche fondamentali della Consigliera di Fiducia. Nello svolgimento della sua funzione, la Consigliera di fiducia agisce in piena autonomia, così come può avvalersi, previa autorizzazione dell’Amministrazione, della collaborazione di esperti, anche non appartenenti alla stessa. L’Amministrazione deve garantire al Consigliere/a di fiducia libero accesso agli atti relativi al caso trattato e deve fornirgli tutte le informazioni necessarie per la definizione del medesimo. Le procedure previste dal “Codice Etico per la tutela della dignità sul lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori della Provincia di Piacenza” al fine di attivare l’intervento della Consigliera di Fiducia sono due: PROCEDURA INFORMALE e PROCEDURA FORMALE (artt. 8 e 9).

Articolo 8 – Procedura informale La/il dipendente interessata/o chiede, senza particolari formalità, l'intervento della Consigliera di Fiducia al recapito che l'Amministrazione ha portato a conoscenza tramite il sito della Provincia. La Consigliera di Fiducia raccoglie in via riservata la testimonianza del o della dipendente ed: - esamina il caso, fornendo all'interessata/o ogni utile informazione, in relazione alla rilevanza e gravità dei fatti, sulle possibili forme di tutela, anche giurisdizionali, previste dall'ordinamento e sui relativi limiti di tempo entro cui vanno attivate; - procede, in via riservata, all'acquisizione degli elementi e delle informazioni necessarie per la trattazione e valutazione del caso, nel rispetto dei diritti sia della parte lesa che del presunto/a Responsabile; - d'intesa con la persona offesa dal comportamento molesto, valuta l'opportunità di un confronto diretto, con eventuali testimoni, alla propria presenza, con il/la presunto/a molestatore/trice. La Consigliera di Fiducia deve comunque preventivamente comunicare, ricevendone espresso assenso, alla parte lesa ogni iniziativa che intende assumere e le proposte conclusive per la soluzione in via pacifica, che ritiene di promuovere. È in facoltà della Consigliera di Fiducia proporre la mobilità di una o delle persone interessate. Anche in questo caso, qualora la persona proposta per la mobilità sia la vittima, previo Suo consenso.

La Consigliera di Fiducia, al termine della procedura informale, riferisce al Presidente e al Direttore Generale, in relazione alle rispettive competenze, sull'esito della procedura affinché dispongano strumenti per assicurare la composizione della questione. La procedura informale deve essere compiuta senza ritardo e concludersi entro Il termine di 60 giorni dalla richiesta di intervento; il termine, su richiesta della Consigliera di Fiducia e previa comunicazione agli interessati, può essere prorogato, per motivate ragioni espresse al Presidente o al Direttore Generale, in relazione alle rispettive competenze, per un tempo non superiore al termine originario (ulteriori 60 giorni). La partecipazione degli interessati agli incontri con la Consigliera di Fiducia può avvenire in orario di servizio. È facoltà della parte lesa chiedere in ogni momento la non prosecuzione della procedura per avvalersi di altre forme di tutela. In sostanza la procedura informale tende a risolvere il conflitto in via conciliativa e di mediazione promuovendo incontri congiunti tra la persona vittima della molestia e l'autore/trice  della Medesima. La Consigliera di Fiducia vigila sull’effettiva cessazione del comportamento molesto. 

Articolo 9 – Procedura formale La procedura formale prende avvio con la segnalazione scritta del comportamento molesto da parte dell'interessata/o al Dirigente competente che esercita direttamente il potere disciplinare. Nel caso in cui sia il Dirigente competente ad aver messo in atto comportamenti molesti, la segnalazione di cui al precedente comma va indirizzata al Direttore Generale o, qualora non sia stata istituita tale figura, al Segretario Generale. Il procedimento disciplinare si svolge nei modi, nelle forme e con le garanzie previste all'ordinamento vigente in materia di responsabilità disciplinare (rispetto del principio del contraddittorio, di difesa e di replica). Tutti gli atti relativi al procedimento devono essere registrati su protocollo riservato. Qualora richiesto, nell'attivazione ed in ogni fase del procedimento disciplinare la Consigliera di Fiducia presta assistenza alla persona offesa dalle molestie e offre consulenza tecnica alle Autorità competenti all'istruttoria e all'irrogazione delle sanzioni disciplinari. Al responsabile di comportamenti molesti sono applicabili le sanzioni disciplinari secondo i criteri fissati dall'ordinamento vigente in relazione alla gravità delle violazioni. Qualora risulti accertata la fondatezza della segnalazione, l'Amministrazione provvede a tutelare la/il dipendente che l'ha presentata da qualsiasi forma, anche indiretta, di ritorsione o penalizzazione e vigila sull'effettiva cessazione dei comportamenti molesti. Analoga garanzia è riservata ai dipendenti che hanno deposto in senso conforme alla segnalazione e alla Consigliera di Fiducia. La/il dipendente che consapevolmente denuncia fatti inesistenti, al solo scopo di denigrare qualcuno o comunque di ottenere vantaggi sul lavoro, ne risponde disciplinarmente. Nell'ipotesi di cui al paragrafo precedente l'Amministrazione provvede a riabilitare il buon nome dell'accusato/a, garantendo anche forme di pubblicità quando richieste dall'interessato/a.

LE CONDOTTE PUNIBILI Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 di attuazione della direttiva 2000/43/CE: “Sono considerate come discriminazioni […] anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”. La nostra legge difende i lavoratori dalle discriminazioni basate sulla religione, sulle convinzioni personali, sull’handicap, sull’età e sull’orientamento sessuale. Casi di discriminazione si possono avere sia in fase di selezione e di accesso nel mondo del lavoro, sia nello svolgimento del rapporto. La discriminazione può essere indiretta, per esempio quando un comportamento apparentemente neutro può invece porre in soggetto in condizioni di particolare svantaggio rispetto ad altre (per esempio, selezionare sulla base dell'età anagrafica senza che vi siano motivazioni reali). La discriminazione può anche essere diretta quando, ad esempio il lavoratore è trattato in modo meno favorevole di un’altra persona in una situazione analoga ( è il caso di chi non assume una donna perché il lavoro prevede turni notturni).

Mobbing E' un complesso di violenze morali e psicologiche esercitate su un dipendente nell'ambiente di lavoro. I mobbers (aggressori) possono essere i superiori gerarchici, (mobbing verticale), i colleghi di lavoro (mobbing orizzontale) ma anche i dipendenti (mobbing ascendente). La Cassazione (sentenza n.87 del 10.1.2012) ha qualificato come mobbing la condotta del datore di lavoro nei confronti del dipendente caratterizzata da sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del lavoratore, con effetto lesivo del suo equilibrio psico-fisico e della sua personalità. Alcuni esempi di comportamenti ostili, vessatori e discriminatori possono essere ad esempio: - atteggiamento palesemente difforme del superiore rispetto agli altri dipendenti - sistematico discredito, calunnia, diffamazione di colleghi verso un altro collega;- dequalificazione nel lavoro; - diniego immotivato di permessi o ferie; - rimproveri alla presenza di colleghi pari grado, inferiori o in pubblico; - critiche continue e immotivate, aggressioni verbali; - demansionamento e attribuzione di compiti dequalificanti e non adeguati alla propria professionalità (se però le mansioni ritenute dequalificanti possono essere ritenute equivalenti allora questo rientra nel diritto del datore di lavoro di organizzare l'ufficio o l'azienda) - desocializzazione con isolamento fisico in uffici decentrati, senza contatti con altri, negando all'interessato le informazioni di lavoro necessarie. E' opportuno evidenziare che non vi è mobbing se non è provato il carattere persecutorio dei comportamenti contestati (Cassazione, 28.9.2016 n.19180) mentre, d'altra parte, è stato riconosciuto il mobbing anche senza l'evento dannoso essendo sufficiente la condotta avente caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione risultante da una connotazione emulativa e pretestuosa (Corte di Appello di Firenze, sentenza 17.11.2011 n.1100).

Straining Diversamente dal mobbing, nello Straining manca la continuità nelle azioni vessatorie che sono invece limitate nel numero e distanziate nel tempo. Il soggetto vive sul posto di lavoro una situazione di stress forzato non per i normali ritmi di lavoro ma perché è destinatario da parte di un superiore di un'azione volutamente ostile, stressante e discriminante che, pur senza continuità, riflette nel tempo gli effetti dell'azione ingiusta (Cassazione n.3291/2016) Si pensi ad esempio al trasferimento immotivato in una sede disagiata, all'affidamento di un carico di lavoro insostenibile nel tempo richiesto, alla collocazione in una stanza disadorna, alla privazione del computer di lavoro per un tempo ingiustificato. Anche in questo caso scade la qualità della vita del soggetto che si sente discriminato ingiustamente e può accusare disturbi psicofisici.

Definizione di molestia morale: per molestia morale si intende qualsiasi atto o comportamento, verbale, psicofisico , discriminatorio o persecutorio che, sulla base del sesso, dell'etnia, dell'orientamento religioso o ideologico, dell'orientamento sessuale, risulti inequivocabilmente indesiderato da chi lo subisce e sia lesivo da pregiudicare l'integrità psico- fisica della persona, la sua libertà e dignità. Esempi di molestia morale: offese, intimidazioni, insulti, diffusione di notizie riservate del soggetto che comportino effetti tali da minare l’autostima del soggetto, danni alla professionalità dell’individuo, trasferimenti immotivati, discriminazioni salariali, pregiudizio delle prospettive di progressione di carriera, ingiustificata rimozione da incarichi già affidati, attribuzione di mansioni improprie, azioni che creino demotivazione o sfiducia nella persona, scoraggiando il proseguimento della sua attività, limitazione della facoltà di espressione o eccessi di controllo, uso della propria posizione di superiorità gerarchica per porre in essere atti o comportamenti molesti, discriminatori e/o ricattatori, immotivata esclusione o marginalizzazione dalla ordinaria comunicazione della vita amministrativa e scientifica, sottostima sistematica dei risultati non giustificata dal motivo di insufficiente rendimento o mancato assolvimento dei compiti assegnati e/o dei risultati ottenuti.

Definizione di molestia sessuale: costituisce molestia sessuale ogni atto o comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi tipo di discriminazione basata sul sesso che offenda la dignità delle donne e degli uomini nell’ambiente di studio o di lavoro, inclusi atteggiamenti di tipo fisico, verbale o non verbale Esempi di molestia sessuale: richieste implicite o esplicite di prestazioni sessuali indesiderate, sconvenienti o offensive, apprezzamenti e insinuazioni verbali indesiderati o offensivi,commenti denigratori sull’orientamento sessuale, ricorso a criteri, giudizi ed espressioni sessiste in qualunque tipo di relazione interpersonale, promesse, implicite o esplicite, di agevolazioni e privilegi, oppure di avanzamenti di carriera professionale e/o di studio in cambio di prestazioni sessuali, minacce o ritorsioni in seguito al rifiuto di prestazioni sessuali, contatti fisici indesiderati e inopportuni.