L’UMANESIMO.

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Transcript della presentazione:

L’UMANESIMO

SIGNORIE E PRINCIPATI Già a partire dalla fine del Duecento i conflitti tra le fazioni nelle varie città italiane erano divenuti talmente aspri che le istituzioni comunali ne risultavano indebolite, e ciò aveva consentito a individui singoli o a famiglie di imporre il loro dominio personale; in altri casi proprio il bisogno di pace e stabilità aveva indotto i cittadini a consegnare il potere nelle mani di un signore, che fungesse da arbitro e mediatore delle contese. Nel corso del Trecento e del Quattrocento le Signorie si consolidano, il potere passa stabilmente in mano a un individuo e si trasmette ereditariamente alla sua famiglia. La signoria si trasforma in Principato. Soltanto Firenze continua a reggersi secondo gli originari ordinamenti comunali, ma anch’essa, pur conservando formalmente le istituzioni repubblicane, nel 1435 passa di fatto sotto la Signoria di Cosimo de’ Medici, appartenente a una potentissima famiglia di mercanti e di banchieri. Al figlio Piero succederà Lorenzo De Medici, detto il Magnifico, che all’abilità politica unirà le doti di scrittore.

CARATTERI DEL POTERE SIGNORILE Il signore si circonda di consiglieri, di persone a lui fedeli e da lui scelte, e di funzionari devoti, obbedienti in tutto e per tutto alla sua volontà; decide la politica interna ed estera, controlla la vita economica e culturale, amministra la giustizia. Attorno a lui si crea una corte, di cui fanno parte non solo il personale amministrativo, ma anche intellettuali e artisti. Il signore ama infatti proteggere la cultura e le arti, per ricavarne prestigio presso gli altri Stati. E’ questo il fenomeno del mecenatismo. Grazie ad esso le signorie divengono splendidi centri di cultura, in cui si coltivano la letteratura, la filosofia, le scienze, le arti. I signori, imitati dalle famiglie più ricche, investono somme enormi per costruire palazzi e ville, per ornarli con affreschi e statue, o per far decorare cappelle a loro intitolate nelle chiese. Il cittadino si trasforma in suddito: non è più soggetto autonomo di scelte e decisioni, ma si uniforma alla volontà di uno solo.

LA FORMAZIONE DEGLI STATI REGIONALI Un’altra caratteristica saliente dell’organizzazione politica di questa età è la tendenza delle signorie più potenti all’espansione territoriale a spese delle città vicine. Si viene così a creare un sistema di Stati di dimensioni regionali; i più potenti e vasti sono: Milano, Venezia e Firenze, ma anche gli Estensi di Ferrara e i Montefeltro di Urbino. Anche lo Stato pontificio assume l’aspetto di un principato, che differisce ben poco dagli altri negli stili di vita e nelle strategie politiche. Pertanto, tra tutti questi Stati, nella prima metà del secolo, scoppiano guerre continue e feroci. Con la pace di Lodi del 1454 ha inizio invece un lungo periodo di tranquillità. La pace e la stabilità consentono uno sviluppo economico notevole e una grande fioritura artistica, ma impediscono il formarsi di un’unità statale in Italia.

CENTRI DI PRODUZIONE E DI DIFFUSIONE DELLA CULTURA LA CORTE Nel resto d’Italia invece, e a Firenze stessa più tardi con l’affermarsi della Signoria medicea, il centro per eccellenza di elaborazione della cultura è la corte. I principi sono spesso colti, o comunque spesso amanti della letteratura e delle arti, e per questo si circondano di scrittori, pittori, architetti, musicisti e filosofi. Nel Quattrocento nasce una vera civiltà di corte, fondata sul culto della raffinatezza, dell’armonia, dell’eleganza e della misura. Talora è il principe stesso a richiedere la composizione di opere letterarie che esaltino la magnificenza del suo casato o le sue imprese diplomatiche e militari. L’intellettuale è costretto a elogiare il suo signore e a consacrarne la fama attraverso le opere poetiche per ottenere in cambio protezione e mantenimento economico. La corte è quindi un luogo dove si produce cultura, e al tempo stesso si consuma.

L’ACCADEMIA Un istituzione nuova, tipica del Quattrocento, è l’Accademia. Questo termine deriva dalla scuola filosofica creata nel IV secolo a.C. da Platone, il quale aveva fondato il suo metodo di ricerca sul dialogo. I nuovi intellettuali umanisti elaborarono una concezione «dialogica» della cultura, ritengono cioè che essa sia il prodotto di un continuo scambio di idee, di un confronto, della discussione. Le accademie umanistiche sono dunque cenacoli dove i dotti si incontrano amichevolmente per conversare, discutere, scambiarsi conoscenze, facendo vita comune.

LE BOTTEGHE E LE BIBLIOTECHE Centri di cultura tipici di questa età sono anche le botteghe artistiche dei pittori e degli scultori: essi possiedono una buona cultura umanistica e sono esperti di scienze matematiche e geometriche, perciò non sono più considerati semplici rappresentanti di «arti meccaniche», lavoratori manuali alla stregua degli artigiani, ma godono di grande prestigio e considerazione presso la corte. Alla fine del Quattrocento, con la diffusione della stampa, nasce ancora un altro centro, la bottega dello stampatore, che diviene luogo di incontro, discussione e scambio culturale tra letterati e filosofi. A Venezia si trova la bottega del più famoso stampatore del periodo, Aldo Manuzio, uomo colto, che fu anche animatore di una vera e propria accademia, l’Accademia Aldina. Nel corso del Quattrocento iniziarono invece a formarsi le prime biblioteche pubbliche, che non si limitano a conservare il libro, ma lo mettono a disposizione dei lettori.

L’INTELLETTUALE LAICO Nell’ambito atipico della Firenze repubblicana sopravvive la figura dell’intellettuale comunale: il cittadino che non trae il suo sostentamento dalla professione intellettuale, ma da altre attività, e che partecipa alla vita politica del Comune, ricopre cariche pubbliche ed esprime in ciò che scrive i suoi ideali civili. Tali sono i rappresentanti del primo Umanesimo fiorentino, che si suole definire appunto «Umanesimo civile»: Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini. Ma il tipo di intellettuale che diviene dominante è quello cortigiano, che si colloca cioè nell’ambiente della corte. Alcuni intellettuali sono stipendiati esclusivamente per svolgere la loro attività di poeti e di studiosi, ad altri, invece, sono affidati incarichi diplomatici o politici; altri ancora sono segretari, bibliotecari o precettori dei figli del signore. La subordinazione al potere e la professionalità sono i due principali aspetti che differenziano questa figura da quella dell’intellettuale- cittadino. Il maggiore o minor grado di libertà d’espressione deriva dall’atteggiamento dei princìpi: in questa età essi tendono a concedere grande autonomia ai letterati cortigiani, senza imporre vincoli ideologici troppo pesanti.

I CHIERICI L’unica alternativa che si offre agli intellettuali che non vogliono entrare alle dipendenze dei principi è la condizione clericale, che offre notevoli vantaggi materiali. Vescovi e cardinali erano in realtà grandi signori, non dissimili da quelli laici, che conducevano vita splendida e raffinata; i papi stessi conducevano una vita fastosa ed erano amanti delle lettere e mecenati. Una caratteristica tipica dei letterati di questo periodo è la loro estrema mobilità nello spazio. Il continuo movimento degli intellettuali, che si spostano alla ricerca di sistemazioni più convenienti, favorisce da un lato la circolazione e lo scambio di idee tra i vari centri, dall’altro una sostanziale omogeneità culturale dell’Umanesimo italiano.

L’UMANESIMO «CIVILE» La prima fase dell’Umanesimo si sviluppa a Firenze nella prima metà del Quattrocento e pone al centro della sua visione i legami tra la cultura e la vita civile: per questo motivo viene comunemente designata come Umanesimo civile. Nella concezione dei primi umanisti gli studi di umanità non hanno soltanto il fine di formare il singolo nella sua individualità, ma devono formare il cittadino, che partecipa attivamente alla vita politica della sua patria. Gli esponenti più significativi dell’umanesimo fiorentino provengono dall’alta borghesia e partecipano alla vita politica ricoprendo importanti cariche pubbliche.

L’UMANESIMO «CORTIGIANO» Nel 1435 si instaura a Firenze la Signoria di Cosimo de Medici, che pone fine al sistema repubblicano e muta profondamente il quadro in cui operano gli intellettuali: nel contesto delle corti infatti è diversa la posizione sociale dell’umanista, che diviene prevalentemente un letterato di professione al servizio di un signore. La perdita di contatto con la dimensione civile e la chiusura in ambienti raffinatamente intellettuali generano una tendenza ad anteporre alla vita attiva quella contemplativa, a rifuggire dalla realtà per vagheggiare un mondo ideale di bellezza e di armonia, in cui tutti i contrasti si compongano in un superiore equilibrio. Un modello per questa concezione della realtà viene trovato nella filosofia di Platone, che sostiene, al di là del mondo reale, l’esistenza di un mondo ideale, di forme perfette ed eterne. Il platonismo esercita un forte fascino sugli uomini del secondo Quattrocento e diviene la forma di pensiero dominante nella civiltà cortigiana.

GENERI DELLA LETTERATURA ITALIANA IN ETA’ UMANISTICA IL GENERE EPISTOLARE La riscoperta dei classici latini determina la ripresa di generi ampiamente praticati nell’antichità, come la lettera, che, già coltivata con particolare cura da Petrarca, perde adesso le sue caratteristiche private per diventare strumento di divulgazione e discussione dei problemi culturali. Si ricordano soprattutto le Lettere di Poggio Bracciolini, segretario apostolico presso la Curia papale. Nella misura in cui la lettera svolge la funzione, per così dire di un dialogo a distanza fra i dotti, la sua natura è affine a quella del trattato, sia pure su un piano di più occasionale immediatezza. Lo scambio di lettere intercorso fra Angelo Poliziano e Paolo Cortese rappresenta invece un celebre esempio di discussione su argomenti di tipo letterario, in cui risulta di fondamentale importanza la polemica sul problema dell’imitazione.

LA TRATTATISTICA Il trattato, che si ispira ai grandi modelli classici, rappresenta insieme al dialogo il mezzo più adatto per trasmettere i contenuti dell’intenso dibattito ideologico attraverso cui si esprime la nuova visione della realtà proposta dall’Umanesimo. Di fondamentale importanza sono i trattati di argomento filosofico-morale. Al tema della fortuna, considerata non più come soggetta alla provvidenza divina, ma come campo di forze imprevedibili sono dedicati: De fato, fortuna et casu di Coluccio Salutati, cancelliere del comune fiorentino, precursore e autorevole esponente dell’Umanesimo civile; De varietate fortunae di Poggio Bracciolini; De fortuna di Giovanni Pontano.

LA NOVELLA Più eterogenee appaiono le soluzioni della narrativa in prosa. Agli anni fra il 1430 e il 1440 risale Il paradiso degli Alberti di Giovanni Gherardi da Prato, che riprende la struttura decameroniana della «cornice». Privo di «cornice» è invece il Novellino di Masuccio Salernitano, attivo alla corte napoletana. Ognuna delle 50 novelle che compongono l’opera è seguita da un commento ideologico-morale e preceduta da una lettera dedicatoria rivolta a illustri personaggi. L’ispirazione di Masuccio si traduce soprattutto nella satira violenta contro la corruzione ecclesiastica e la perfidia delle donne; infine lo stile è esasperato.

IL ROMANZO ALLEGORICO Unico nel suo genere il «romanzo» in prosa di fine Quattrocento che porta il titolo di Hypnerotomachia Polyphili ed è stato attribuito a un non meglio identificato Francesco Colonna. Il protagonista Polifilo si perde in sogno in una selva e con la donna amata visita il palazzo di Venere, in un susseguirsi di descrizioni, tra il reale e il fantastico, di gusto erudito e antiquario. L’opera contiene uno strano miscuglio di elementi arcaici e moderni, risultando, al tempo stesso un romanzo allegorico.

IL POEMA EPICO CAVALERESCO La materia epico-cavalleresca, ancora ampiamente circolante a livello popolare nei cantari, viene di nuovo ripresa da scrittori colti e raffinati, che la rielaborano in forme assai complesse e articolate, dando vita ad ampi poemi. Luigi Pulci con il suo Morgante, si richiama al basso burlesco della tradizione realistico borghese, e predilige il gusto carnevalesco. Nell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, al contrario, si percepisce la nostalgia per il mondo dei valori cavallereschi e cortesi e si assiste al tentativo più che mai serio di farli rivivere nella civiltà delle corti del proprio tempo. Spetterà all’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, nel primo Cinquecento, operare la sintesi più grandiosa fra questi due diversi atteggiamenti, esaltando l’attualità della materia nel distacco ironico e nella perfezione formale della pura invenzione.

LORENZO DE MEDICI LA VITA Figura chiave del mondo culturale e politico italiano nel Quattrocento, Lorenzo, detto per antonomasia il Magnifico, fu signore di Firenze dall’età di vent’anni alla morte. Superata la crisi che seguì alla congiura dei Pazzi, dove perse la vita il fratello Giuliano, svolse un ruolo fondamentale nel conservare l’equilibrio fra i diversi Stati italiani. Con la sua morte, si chiude un epoca di relativa pace e si crea quel vuoto di potere che permette l’avvento delle popolazioni straniere nella penisola.

LE OPERE Delineando il profilo psicologico di Lorenzo, Machiavelli osserva: « si vedeva in lui essere due persone diverse quasi con impossibile coniunzione congiunte». La contraddizione, reale o apparente, tra il sottile e scaltro uomo politico e il poeta e cultore d’arte si riflette nell’opera letteraria di Lorenzo, che presenta una sconcertante varietà di tendenze, di toni e di soluzioni formali. Lorenzo era stato discepolo del filosofo «platonico» Marsilio Ficino, animatore dell’Accademia platonica: e a una visione platonizzante sono ispirate soprattutto le Selve d’amore, in cui Lorenzo canta l’innalzamento del suo amore dalle passioni carnali a una contemplazione pura e disinteressata della bellezza. A questo filone tematico si collega l’interesse per la lirica italiana del Due e Trecento. Nascono di qui le Rime, folte di echi dallo «stil novo» e da Petrarca. Ma alle tendenze idealizzanti di queste opere si contrappone il corposo realismo di altre, che si rifanno invece ala tradizione «borghese», comica e burlesca. Su queste scelte però l’influenza esercitata da Pulci che mirava proprio a fare della letteratura burlesca l’espressione per eccellenza dell’ambiente mediceo. Di qui nascono molti poemetti: la Caccia col falcone, che ritrae vivacemente una scena di caccia popolata di personaggi della corte; i Beoni, una galleria dei più famosi bevitori della Firenze contemporanea, ritratti con un gusto parodico e grottesco.

MATTEO MARIA BOIARDO LA VITA Nato nel 1441 da una famiglia dell’antica nobiltà feudale, il conte Matteo Maria Boiardo ad appena vent’anni si trovò a reggere l’avido feudo di Scandiano, presso Reggio Emilia. Qui trascorse parecchi anni, recandosi solo saltuariamente a Ferrara per partecipare a qualche missione diplomatica ed impiegando il resto del tempo negli studi umanistici e nella caccia. Nel 1476 si trasferì stabilmente a Ferrara come «compagno» del duca Ercole, e negli anni successivi ebbe l’incarico di governatore prima a Modena, poi dal 1487 a Reggio, dove morì nel 1494.

LE OPERE Dotato di una buona educazione umanistica, Boiardo scrisse in latino opere a carattere encomiastico e, in volgare, una commedia, il Timone. Ma soprattutto occorre ricordare il Canzoniere che raccoglie le sue liriche in volgare ispirate all’amore per Antonia Caprara, dama della corte reggiana di Sigismondo d’Este. L’opera fu concepita fra il 1469 e il 1471 e ordinata entro il 1476, ed è composta di 180 testi. E’ organizzata secondo una precisa architettura: il primo libro canta le gioie dell’amore felice e corrisposto, il secondo le sofferenze per il tradimento, il terzo, dopo un oscillare tra speranze, nostalgie, rimpianti, si chiude con il pentimento e la preghiera. L’opera ricalca evidentemente modelli letterari, in primo luogo Petrarca, ma ance gli stilnovisti. E’ soprattutto il primo libro che appare come una cosa nuova: vi si manifesta uno slancia di intensa sensualità, che si estende a tutta la natura: l’amore diviene come un fremito universale di vitalità, che anima tutte le cose.