Paolucci, Signorini La storia in tasca Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento Volume 4 11. La seconda rivoluzione industriale 12. I progressi della scienza e della tecnica 13. Fra democrazia e nazionalismo 14. Le grandi potenze si spartiscono il mondo Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Capitolo 14 Le grandi potenze si spartiscono il mondo Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
I paesi industrializzati riprendono l’espansione coloniale Tra la fine del XIX e i primi anni del XX secolo ci fu una massiccia ripresa dell’espansione coloniale. Questa nuova fase di intenso – e talvolta esasperato – colonialismo, cui gli storici danno anche il nome di imperialismo, influenzò la storia mondiale successiva in tutti i continenti del globo. Conquista e occupazione si svolsero in modo tumultuoso, con contrasti e tensioni fra gli Stati colonizzatori, che più volte giunsero a un passo dalla guerra. - Nel corso di pochi decenni un pugno di paesi – Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Italia, Stati Uniti, Giappone – si spartì quasi un quarto della superficie del pianeta. - Le ragioni dell’espansione coloniale furono diverse. Un movente decisivo fu il desiderio di impossessarsi di nuovi mercati. Le crisi di sovrapproduzione, infatti, avevano mostrato come era sempre incombente il pericolo che i mercati europei non riuscissero più a smaltire tutte le merci prodotte. - Le cause economiche non spiegano da sole il fenomeno dell'imperialismo. Ad esse si aggiungevano infatti motivazioni militari e politiche. Il diffondersi del nazionalismo spingeva gli Stati europei a dar prova ciascuno della propria potenza anche costruendo, con le armi, vastissimi imperi coloniali. - Per porre tregua ai conflitti fu necessario indire convegni internazionali di capi di Stato e di ministri degli esteri. Il più importante di questi incontri diplomatici fu la Conferenza di Berlino, che si svolse tra il 1884 e il 1885. Ad essa parteciparono quattordici paesi (tra cui gli Stati Uniti, che stavano diventando anch’essi una potenza coloniale), i quali decisero e pianificarono concretamente la spartizione del continente africano. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
La politica coloniale italiana Come le altre potenze europee anche l’Italia partecipò attivamente alla conquista e alla spartizione dell’Africa. La vicenda coloniale italiana ebbe inizio nel 1869, pochi mesi dopo l’apertura del canale di Suez. Gli Italiani occuparono dapprima alcune basi (Assab e Massaua), poi una fascia di territori, che nel 1890 divenne il nucleo della prima colonia italiana, l’Eritrea. Contemporaneamente l’Italia impose il suo protettorato anche sulla Somalia, ossia la zona costiera meridionale del Corno d’Africa. Ma la prima fase colonialista italiana si concluse con un fallimento, la disfatta di Adua, che chiuse e provocò la caduta del governo di Francesco Crispi fautore dell’impresa. - L’istituzione del protettorato si ha quando uno Stato (in questo caso la Somalia) accetta che il suo territorio sia protetto e difeso da un altro più potente e progredito (in questo caso l’Italia). Di fatto però il protettorato anticipava l’occupazione coloniale vera e propria. Fu quello che avvenne in Somalia, la quale dopo appena quindici anni, nel 1905, diventò una colonia italiana a tutti gli effetti. - In quegli anni l’Italia non era ancora una potenza industriale né possedeva abbondanti capitali da investire. A fondamento delle prime imprese coloniali italiane non ci furono forti interessi economici, ma piuttosto una politica di grandezza nazionale, che era allora comune a molti paesi europei ed era ostinatamente voluta dal primo ministro italiano dell’epoca, Francesco Crispi. - Molti italiani pensavano che la conquista coloniale sarebbe stata una campagna rapida e poco rischiosa, ma in realtà non fu così. Quando le truppe italiane cercarono di penetrare dalla costa eritrea verso l’interno dell’Etiopia (o Abissinia) si scontrarono con l’aspra resistenza della popolazione locale. L’Etiopia era uno dei regni più antichi e più forti dell’Africa e il suo imperatore (detto negus), Menelik, non solo era un uomo di grandi capacità politiche, ma possedeva anche le armi moderne necessarie per la difesa del suo paese: gliele avevano vendute mercanti europei, italiani compresi. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
L’Italia alla conquista della Libia La guerra contro l’Impero ottomano per la conquista della Libia ebbe inizio nell’ottobre 1911 e durò un anno. Gli Italiani conquistarono rapidamente le principali città libiche lungo la costa e, nonostante una tenace resistenza dei villaggi interni aiutati dai Turchi, nel 1912, l’Impero ottomano dovette cedere e con la pace di Losanna la Libia divenne una colonia italiana. - Giovanni Giolitti, che guidava il governo e aveva scarsa simpatia per le avventure coloniali, fu spinto alla guerra dalle pressioni dei fabbricanti di armi, dai grandi gruppi finanziari che avevano investito capitali in Libia, e dai nazionalisti, che rivendicavano per l’Italia il diritto di possedere colonie come le altre potenze. - Erano in molti a sperare che il futuro possedimento coloniale potesse accogliere le migliaia di contadini italiani che ogni anno erano costretti a emigrare nelle Americhe. - Per costringere l’Impero ottomano alla resa, i comandi italiani decisero di spostare le operazioni militari nel mar Egeo occupando Rodi e le altre isole del cosiddetto Dodecaneso (rimaste poi in mano italiana fino al 1947) e giunsero ad un passo dalla stessa Turchia. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Le potenze colonialiste estendono il loro potere sulla Cina In Asia le potenze colonialiste consolidarono o estesero i propri possedimenti: la Francia, ad esempio, completò la conquista dell’Indocina, l’Olanda rafforzò il controllo sull’Indonesia. In Cina le potenze colonialiste costrinsero l’imperatore ad aprire le frontiere al commercio, stipularono con lui trattati ineguali (vantaggiosi per sé, svantaggiosi per la Cina), occuparono città e territori dell’Impero. - Grandi imperi asiatici, come la Cina, la Persia, l’Afghanistan rimasero, almeno nominalmente, indipendenti, ma anche su di essi le nazioni industrializzate estesero il loro controllo. - L’invadenza dei paesi occidentali suscitò l’indignazione di molti cinesi e li spinse a ribellarsi. Nel 1900 la società segreta dei Boxers scatenò la lotta contro gli stranieri, assalendo ambasciate e missioni e massacrando europei e cinesi convertiti al cristianesimo. La reazione non si fece attendere: un esercito internazionale comprendente soldati di dodici paesi occidentali, fra cui gli Stati Uniti, il Giappone e l’Italia, marciò su Pechino, saccheggiò la città e pose fine alla rivolta (1901). Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Finisce l’Impero e nasce la repubblica cinese Nel 1905 Sun Zhongshan (Sun Yatsen), figlio di contadini divenuto medico, fondò un movimento rivoluzionario, che si diffuse soprattutto fra gli intellettuali e i borghesi delle città. Esso si trasformò poi nel Guomindang, o Partito nazionalista del popolo, i cui obiettivi politici erano: trascinare le masse alla rivolta, rovesciare la dinastia Manciù al potere, salvare la Cina dall’arretratezza. Nel 1912 l’ultimo imperatore del millenario Impero (un bambino di sei anni, Puyi) fu detronizzato e nacque la repubblica cinese. Sun Zhongshan ne fu il primo presidente. - Nel 1911, dopo una successione di cattivi raccolti, in diversi luoghi dell’Impero scoppiarono moti di protesta e sommosse di contadini. Si ribellarono all’imperatore anche molti operai nelle fabbriche delle città e una parte dell’esercito. Il Guomindang prese la guida della rivolta e questa si diffuse rapidamente in tutta la Cina. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Il Giappone si modernizza Il Giappone riuscì ad evitare il controllo coloniale sul suo territorio modernizzandosi, passando cioè rapidamente da un regime feudale vecchio di secoli all’industrializzazione. Sotto la guida dell’imperatore Mutsuhito, salito al trono nel 1868 all’età di quindici anni, venne abbattuta la struttura feudale del paese e i contadini, liberati dalla servitù della gleba, formarono la manodopera necessaria alla nascente industria. Nel 1889 una costituzione fece del Giappone una monarchia costituzionale, pur confermando il tradizionale carattere divino della carica imperiale. - Bastarono pochi anni perché il paese si trasformasse in una potenza industriale. Nel 1890 esistevano già cento fabbriche che funzionavano con macchine a vapore e nei primi anni del Novecento molte industrie ricevevano energia dalle numerose centrali idroelettriche, che sfruttavano la forza dei torrenti montani. La seta giapponese invase i mercati europei, i tessuti di cotone entrarono in concorrenza con quelli inglesi. - Sorsero fabbriche di armi e cantieri navali; una rete di linee ferroviarie, telegrafiche e telefoniche collegò presto le principali città giapponesi. Come in Europa e in America si formarono dei trust, il più delle volte posti sotto il controllo degli antichi daimyo, i signori feudali diventati imprenditori. - Dalla necessità di procurarsi le materie prime di cui mancava (ferro e petrolio soprattutto), indispensabili per il suo sviluppo industriale, il Giappone fu spinto a espandersi territorialmente, a spese di altri paesi che ne erano forniti. In dieci anni, dal 1894 al 1905, combatté e vinse due guerre, la prima contro l’Impero cinese, la seconda contro l’Impero russo, e conquistò l’isola di Formosa, la Manciuria meridionale e la Corea. L’Impero giapponese diede così la prova di essere diventato una grande e minacciosa potenza industriale e militare. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Gli americani conquistano un Impero con le armi Nel 1898 gli USA sostennero gli insorti dell’isola di Cuba, che volevano liberarsi dal dominio spagnolo. La guerra contro la Spagna fu vinta in poche settimane e gli Stati Uniti poterono impossessarsi dell’isola di Portorico, nel mar dei Caraibi, e dell’arcipelago delle Filippine, nel Pacifico, ultimi resti del grande Impero spagnolo. - Nel 1900 Cuba passò sotto il protettorato degli Stati Uniti, che così poterono influenzare le decisioni politiche dei governanti cubani. Nello stesso anno della guerra contro la Spagna gli Stati Uniti si annetterono le Hawaii, isole del Pacifico che nel 1959, dopo la seconda guerra mondiale, divennero il 50° Stato dell’Unione. - Negli anni successivi però gli USA rinunciarono alla conquista territoriale vera e propria e cercarono di imporre il loro dominio in modo indiretto, attraverso la supremazia economica e l’azione delle loro compagnie commerciali. - Nell’America centrale e meridionale le compagnie d’affari americane, in cambio di prestiti concessi ai governi locali, ottennero il diritto di sfruttare a proprio vantaggio piantagioni, miniere, ferrovie. - Gli USA investirono grandi capitali anche nella vicina repubblica del Messico: qui, nel 1910 scoppiarono una lunga serie di rivolte contadine (la rivoluzione messicana), in cui gli stessi Stati Uniti furono coinvolti. Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013
Paolucci, Signorini La storia in tasca Paolucci, Signorini La storia in tasca. Dalla metà del Seicento all’inizio del Novecento © Zanichelli editore 2013