L’Illuminismo.

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Transcript della presentazione:

L’Illuminismo

LUMIÈRE ENLIGHTENMENT AUFKLÄRUNG ILLUSTACIÓN ILLUMINISMO Il programma dell’Illuminismo è simboleggiato dalla metafora della luce, che indica il compito di rischiarare la vita sociale mediante l’uso della RAGIONE che, disperdendo le «tenebre» dell’ignoranza, del fanatismo e della superstizione, deve perseguire la trasformazione del mondo umano in vista della conquista della felicità e della libertà

La «luce» della ragione Sorto in Inghilterra verso la fine del Seicento, l’ILLUMINISMO ebbe uno sviluppo molto intenso in Francia a partire dagli anni Trenta del Settecento. Da qui si diffuse in tutta Europa. Elaborò teorie anche molto diverse tra loro, ma tutte accomunate dal desiderio di abbattere l’arretratezza della cultura, della società e della politica per migliorare la vita delle persone. Assoluta fiducia nella ragione e nella scienza in grado di «illuminare» le menti contro le superstizioni e i pregiudizi imposti dalle tradizioni e dalle religioni Ragione intesa come esercizio di uno spirito critico nei confronti di tutte quelle conoscenze mai dimostrate attraverso la scienza Definì concezioni politiche e sociali, atteggiamenti mentali che costituiscono ancora oggi il fondamento di gran parte della cultura occidentale.

Nel XVII secolo la ragione ha celebrato il suo massimo trionfo, pretendendo di estendere il suo dominio su ogni aspetto della realtà, con Grozio, Cartesio, Hobbes, Spinoza e Leibniz Questa fiducia nella ragione viene conservata intatta nel XVIII secolo, il secolo dell’Illuminismo, movimento culturale che difende l’esercizio autonomo e spregiudicato della ragione: “L' illuminismo é l' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità é l' incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza ! - é dunque il motto dell' illuminismo» (I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? - 1784)

Viene esaltata la fiducia nella ragione, ma di quale ragione si tratta Viene esaltata la fiducia nella ragione, ma di quale ragione si tratta? Gli illuministi, i philosophes, non si riferiscono ad una ragione onnipotente, come quella di Cartesio, ma aduna ragione che era stata ridimensionata nelle sue pretese (Locke) ed era stata ricondotta nei limiti dell’uomo La ragione non può fare a meno dell’esperienza, fuori dalla quale non sussistono che problemi insolubili e fittizi. La ragione interviene sull’esperienza per conferirle un ordine, per organizzarla (Kant) Gli illuministi si richiamano al metodo di Newton che si basa sulla generalizzazione concettuale dei dati dell’osservazione rifiutandosi di procedere al di là di tali generalizzazioni verso «ipotesi» che valgano come spiegazioni metafisiche di esse («Hypothes non fingo», ovvero Newton non si propone di spiegare la natura, ma solo di descrivere i fenomeni)

- Alla ragione si oppone la TRADIZIONE che fa apparire veri gli errori e i pregiudizi e giusti i privilegi e le ingiustizie, che hanno la loro radice nel lontano passato - ANTITRADIZIONALISMO: rifiuto di accettare l’autorità della tradizione; impegno a portare davanti al tribunale della ragione ogni credenza perché sia giudicata e respinta, se dimostrata contraria alla ragione stessa - CRITICA DELLA RELIGIONE POSITIVA (religione fondata su verità che non sono naturali, ovvero che non possono essere colte dalla sola ragione, ma che sono positivamente affermate da un’autorità, come la Chiesa, che si fa interprete della rivelazione divina) a cui gli illuministi contrappongono, quando non giungono all’ateismo, la RELIGIONE NATURALE, il DEISMO (religione fondata sulla ragione secondo la quale Dio esiste, è l’architetto del mondo, ma non interviene nelle vicende umane)

Voltaire, Dizionario filosofico, voce “Teista” «Il teista è un uomo fermamente persuaso dell'esistenza d'un essere supremo tanto buono quanto potente, che ha creato tutti gli esseri estesi, vegetanti, senzienti e riflettenti; che perpetua la loro specie, che punisce senza crudeltà i delitti e ricompensa con bontà le azioni virtuose. Il teista ignora come Dio punisca, favorisca e perdoni; perché non è cosí temerario da illudersi di conoscere come Dio agisca; egli sa che Dio agisce e che è giusto. Le difficoltà contro la Provvidenza non scuotono minimamente la sua fede perché, pur essendo indubbiamente grandi, non sono prove; egli si sottomette alla Provvidenza, benché non possa scorgere di essa che qualche effetto particolare ed esteriore: tuttavia giudicando delle cose che non può vedere mediante quelle che vede, egli argomenta che la Provvidenza operi sempre e in ogni luogo. D'accordo su questo punto con il resto dell'Universo, egli si astiene tuttavia dall'aderire ad alcuna delle sette particolari, che sono tutte intimamente contraddittorie. La sua religione è la più antica e la più diffusa; perché la semplice adorazione d'un Dio ha preceduto tutti i sistemi di questo mondo. Egli parla una lingua che tutti i popoli possono intendere, benché per il resto non s'intendano affatto tra loro. I suoi fratelli sono sparsi nel mondo da Pechino alla Caienna, tutti i saggi sono suoi fratelli. Egli ritiene che la religione non consista né nelle dottrine d'una metafisica inintelligibile, né in vani apparati, ma nell'adorazione e nella giustizia. Fare il bene, ecco il suo culto; essere sottomesso a Dio, ecco la sua dottrina [...]. Egli sorride di Loreto e della Mecca; ma soccorre l'indigente e difende l'oppresso.» (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pag. 556) Il Dio di Voltaire non è semplicemente - come per i “liberi pensatori” inglesi - la causa prima dell'Universo, spogliata di ogni caratteristica di “persona”: il Dio di Voltaire è buono e giusto. La religione del teista è una religione naturale e universale, che accomuna tutti gli uomini e non può essere espressa, nella sua universalità, da nessuna Chiesa o setta. Anche in questa concezione della religione sono le radici del cosmopolitismo e dell'universalismo illuminista.

Affermazione della libertà dell’uomo, intesa come libertà di pensiero , di espressione, di religione. Naturale è sinonimo di razionale, come chiarisce Rousseau nell’Emilio: «Tutto è perfetto quando esce dalle mani dell’autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo» Esaltazione del valore della tolleranza e del cosmopolitismo. Critica alle ingiustizie dell’Antico Regime: gli uomini, poiché tutti dotati di ragione, devono essere considerati uguali. Esaltazione del diritto naturale, per il quale gli uomini sono uguali, in contrapposizione al diritto positivo, che introduce le disuguaglianze e si fonda sui privilegi Per ANTICO REGIME si intende l’insieme di aspetti politici, sociali e giuridici che caratterizzano la storia d’Europa dal XIV al XVIII secolo: il re detiene un potere assoluto che è espressione della volontà divina in una società divisa in ordini, clero e aristocrazia godono di molti privilegi, mentre la maggior parte delle persone non ha alcun diritto.

VOLTAIRE: "PREGHIERA A DIO" dal Trattato sulla tolleranza (1763) «Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo, ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi: se è lecito che delle deboli creature, perse nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato, a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura. Fa sì che questi errori non generino la nostra sventura. Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l'un l'altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda; fa che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. Fa sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te, insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati "uomini" non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione. Fa in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera; che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo. Fa che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo, e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano "grandezza" e "ricchezza", e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c'è nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi. Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime, come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell'attività pacifica! Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace, ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse, dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante».

IL COSMOPOLITISMO DI KANT «Terzo articolo definitivo per la pace perpetua: il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni di una universale ospitalità. Qui, come negli articoli precedenti, non si tratta di filantropia ma di diritto, e quindi ospitalità [Hospitalität (Wirtbarkeit)] significa il diritto di uno straniero che arriva sul territorio di un altro Stato di non essere trattato ostilmente. Può essere allontanato, se ciò può farsi senza suo danno, ma, fino a che dal canto suo si comporta pacificamente, non si deve agire ostilmente contro di lui. Non si tratta di un diritto di ospitalità, cui si può fare appello (a ciò si richiederebbe un benevolo accordo particolare, con il quale si accoglie per un certo tempo un estraneo in casa come coabitante), ma di un diritto di visita, spettante a tutti gli uomini, cioè di entrare a far parte della società in virtù del diritto comune al possesso della superficie della terra, sulla quale, essendo sferica, gli uomini non possono disperdersi isolandosi all’infinito, ma devono da ultimo rassegnarsi a incontrarsi e a coesistere. Nessuno in origine ha maggior diritto di un altro ad una porzione determinata della terra . Tratti inabitabili di questa superficie, il mare e i deserti di sabbia, separano le comunità umane, ma la nave e il cammello (la nave del deserto) rendono possibile il reciproco avvicinamento su questi territori di nessuno e il diritto sulla superficie, spettante in comune all’uman genere, offre la possibilità di scambi commerciali. [...] E siccome in fatto di associazione di popoli della terra (più o meno stretta o larga che sia) si è progressivamente pervenuti a tal segno, che la violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti , così l'idea di un diritto cosmopolitico [Weltbürgerrecht] non è una rappresentazione fantastica di menti esaltate, ma il necessario coronamento del codice non scritto, così del diritto pubblico interno come del diritto internazionale, per la fondazione di un diritto pubblico in generale e quindi per l’attuazione della pace perpetua, alla quale solo a questa condizione possiamo sperare di approssimarci continuamente».   (I. Kant, Per la pace perpetua. Progetto filosofico - 1795)

Il ruolo dell’intellettuale Per gli illuministi il sapere doveva incidere concretamente sull’esistenza degli uomini fornendo conoscenze e modelli di organizzazione dello Stato e della società più giusti. Gli uomini di cultura avevano il compito di diffondere le proprie idee e di convincere le persone circa la possibilità di un progresso, di un miglioramento della propria situazione. È proprio in questo periodo che si affermò il concetto di «opinione pubblica», cioè la formazione di un pubblico che, grazie alla circolazione delle idee e alla libera discussione, possa manifestare ed esprimere orientamenti, idee, preferenze. Gli illuministi si rivolgevano alla borghesia, cioè a quella parte di società in ascesa che non aveva spazio nella società tradizionale fondata sul dispotismo e sulla diseguaglianza tra gli uomini. Infatti, i philosophes hanno ancora una visione negativa del popolo (populace o canaille) considerato tendenzialmente sedizioso ed irragionevole, a cui non viene riconosciuta ancora rappresentanza politica, ma che deve essere guidato e istruito in attesa del progressivo rischiaramento della ragione. Posizione questa superata solo dalla dottrina di Rousseau della sovranità del popolo e dall’identificazione dell’abate Sieyes fra popolo e nazione nel Terzo Stato Confronto a tavola tra famosi illuministi

La libera circolazione delle idee I luoghi della cultura non erano più solo le accademie e le università, ma i circoli, i caffè, i salotti, le riviste. La diffusione della stampa fu un elemento fondamentale per la formazione dell’opinione pubblica, perché rese accessibile l’informazione a una vasta porzione di pubblico. In molti salotti di palazzi privati si svolgevano incontri cui partecipavano artisti, filosofi, scrittori per confrontarsi e discutere liberamente. Nei caffè, un luogo meno esclusivo dei salotti, la borghesia si intratteneva discutendo di politica o dei fatti del giorno, leggendo i giornali. Tra lo Stato e l’individuo appare una nuova realtà: la società civile Che mette in discussione non l’esistenza dello stato , ma l’irrazionalità delle sue forme arcaiche

L’Enciclopedia, la rivoluzione di carta L’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri costituisce l’opera più rappresentativa dell’Illuminismo. Fu curata da Denis Diderot e da Jean Baptiste d’Alembert con la partecipazione dei più influenti scienziati e filosofi del tempo, tra cui Voltaire e Rousseau. I 35 volumi da cui è composta richiesero oltre 20 anni di lavoro (1751-1772). Si tratta di una presentazione sistematica di tutti i campi del sapere, con una particolare attenzione agli aspetti applicativi delle scienze e alle innovazioni tecnologiche. Il suo successo fu enorme: venne ristampata molte volte e tradotta in varie lingue. Pagina relativa alla fabbricazione degli spilli

L’Enciclopedia, la rivoluzione di carta L’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri ha la sua origine prima nel progetto di traduzione dell’inglese Cyclopaedia (1728) di Ephraim Chambers. L’iniziativa affidata a Diderot ed al matematico D’Alembert supera però in ampiezza e profondità l’originale inglese, coinvolgendo i più noti philosophes . Nell’opera si coglie una differenza di accenti fra il taglio moderato di D’Alembert e quello più estremizzante di Diderot (che porterà a termine la pubblicazione clandestina degli ultimi volumi dopo la perdita del diritto di stampa per l’impianto antiassolutistico e dissacrante dell’opera). Nel «Discorso preliminare» al primo volume D’Alembert parla di «mero compito scientifico degli intellettuali nel progetto di ricostruzione illuminista del sapere». Diderot, la contrario, difende il principio della libertà di critica e di indipendenza nella realizzazione dell’opera , di cui coglie la grandezza, il carattere duraturo nei secoli, le finalità politiche. «Scopo di un’enciclopedia è quello di riunire le conoscenze sparse sulla superficie terrestre; esporne il sistema generale agli uomini che vivono nel nostro tempo e trasmetterlo a quelli che verranno dopo di noi; perché le opere di secoli passati non siano state inutili per i secoli a venire; perché i nostri nipoti diventino più istruiti, diventino al tempo stesso più virtuosi e felici, e noi non moriamo senza aver ben meritato del genere umano». Tale impresa non può che essere propria di «una società di letterati e di artisti indipendenti, […] uomini legati dall’interesse generale del genere umano e da un sentimento di benevolenza reciproca». Il gruppo enciclopedista si erge a vero e proprio partito ideologico del progresso e dell’emancipazione dall’assolutismo. L’opera avrà, inoltre, un carattere divulgativo senza tradire la serietà dell’informazione scientifica né il disegno filosofico che sorregge l’impalcatura delle scienze. Autore ed editore dovranno porsi «a livello dell’intelligenza media» trascurando «i geni trascendenti e gli imbecilli» poiché «né gli uni né gli altri hanno bisogno di maestri». Diderot afferma poi l’esigenza della collaborazione di più specialisti affinché ogni scienza sia affrontata con la propria metodologia specifica (specializzazione del sapere e superamento della figura del dotto tuttologo).

(1694-1778) Durante un periodo di esilio in Inghilterra (1726-28) rimase profondamente colpito per la realtà culturale e politica dell’isola e per libertà di pensiero che vi regnava, tanto da definirla «l’isola della ragione». Nelle Lettere sugli inglesi del 1734 idealizza il modello inglese proponendolo come simbolo di una libertà illuminata, in contrapposizione all’intransigente assolutismo politico e confessionale della Francia: Esalta il pluralismo delle confessioni là ammesso e la tolleranza Il potere regio limitato, l’uguaglianza dei cittadini davanti alle imposte, l’onorabilità dei commerci inglesi Il metodo della filosofia sperimentale (Bacone, Locke, Newton) aliena dalla pretese metafisiche della scolastica e di Cartesio In campo religioso sostenne il deismo In campo politico, visto il potere che gli ordini privilegiati detenevano ancora in Francia, sostenne il «Dispotismo illuminato». Riteneva che il filosofo avesse il compito di «illuminare» il principe perché questi utilizzasse il suo potere per realizzare riforme giuridiche e sociali finalizzate alla felicità del popolo. Voltaire Dio, per Voltaire, come per Newton e Rousseau, è il grande architetto (intelligenza ordinatrice) che ha creato e ordinato l’intero sistema del mondo; l’esistenza di Dio non è un articolo di fede (rifiuto delle religioni rivelate con le loro credenze, i loro riti e le loro liturgie) ma un risultato della ragione. La storia, di conseguenza, è affare degli uomini e gli eventi umani non dipendono dalla Provvidenza.

Charles de Montesquieu (1689-1755) Dopo circa 20 anni di gestazione, nel 1748 pubblicò Lo spirito delle leggi, in cui definisce il funzionamento dello Stato. Scopo principale dell’opera è quello di dimostrare che le LEGGI dei diversi popoli non sono né arbitrarie né puramente convenzionali (Sofisti, Montaigne, Pascal). Le leggi vengono definite come rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose e dipendono da una molteplicità di fattori: Dalla natura e dal principio che regge i sistemi politici Dalla conformazione fisica del paese Dal clima Dalla natura del terreno Dal tipo di vita dei popoli Dalla religione Dagli usi e costumi (abitudini) Montesquieu vuole, inoltre, riformare la monarchia francese per restituirle il suo carattere di governo moderato, che ha rischiato di perdere sotto Luigi XIV. A tal fine vuole restituire ai corpi intermedi (nobiltà, parlamenti) le loro prerogative e libertà tradizionali che possono fare della monarchia francese una monarchia temperata. Charles de Montesquieu (1689-1755) FORME DI GOVERNO: Repubblicana: il popolo detiene il potere, si fonda sulla virtù Monarchica: il potere appartiene al principe; si regge sull’onore Dispotica: un solo uomo governa arbitrariamente; si fonda sul timore

Charles de Montesquieu TEORIA DEI TRE POTERI La forma costituzionale della monarchia inglese garantisce la libertà del cittadino attraverso la distinzione delle funzioni dei poteri: potere legislativo (fare le leggi) potere esecutivo (applicazione delle leggi) potere giudiziario (giudicare e punire chi non le rispetta). Perché la Costituzione di uno Stato possa dirsi libera, i tre poteri devono essere attribuiti a organi separati e le funzioni essere reciprocamente bilanciate. BALANCE OF POWER Ogni organo tende ad accrescere il proprio potere, finendo per limitare il potere degli altri e viceversa «Occorre che per la disposizione stessa delle cose il potere arresti il potere» Charles de Montesquieu Lo spirito delle leggi viene messo all’indice nel 1751 per l’attacco che l’opera rivolge al celibato e al monachesimo, nonché alle immense ricchezze del clero.

Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) Gli uomini nascono tutti uguali e quindi la legge deve essere uguale per tutti. La disuguaglianza nasce con l’invenzione della proprietà, sconosciuta nello stato di natura, che contrappone l’uomo ai suoi simili alla ricerca di un vantaggio ottenibile solo a danno degli altri. La distinzione degli uomini in poveri e ricchi è il primo anello di una catena di sopraffazioni che culmina con l’istituzione di uno Stato chiamato a difendere gli interessi dei potenti contro i deboli. Poiché non è possibile tornare allo stato di natura, è indispensabile edificare uno Stato legittimo, espressione della volontà popolare, sottratto agli interessi dei pochi e garante del bene comune. La sola forma di governo accettabile è quella che i Greci chiamavano democrazia, cioè il governo del popolo. «In luogo di distruggere l’uguaglianza naturale il patto fondamentale sostituisce, al contrario, una uguaglianza morale e legittima a quell’ineguaglianza fisica che la natura poteva aver posto fra gli uomini, e questi, pur potendo essere ineguali per forza e per intelligenza, divengono tutti uguali per convenzione e per diritto»

J.J. ROUSSEAU, dal DISCORSO SULL’ORIGINE DELLA DISUGUAGLIANZA Il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare: questo è mio, e trovò persone abbastanza semplici per crederlo, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, omicidi, quante miserie ed orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i paletti e colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: «Guardatevi dall'ascoltare questo impostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti, e che la terra non è di nessuno!» Ma è molto verosimile che allora le cose fossero già arrivate a tal punto, da non poter più durare com'erano: poiché questa idea di proprietà, dipendente da molte altre idee anteriori, che non sono potute nascere che una dopo l'altra, non si formò d'un tratto nello spirito umano: bisognò fare molti progressi, acquistare molta esperienza pratica e molta conoscenza, trasmetterli e aumentarli di generazione in generazione, prima di arrivare a questo ultimo livello di sviluppo dello stato di natura. Riprendiamo dunque le cose più da lontano, e cerchiamo di riunire sotto una sola visione questa lenta successione di avvenimenti e di conoscenze nel loro ordine più naturale. Il primo sentimento dell'uomo fu quello della sua esistenza; la sua prima cura, quella della sua conservazione. I prodotti della terra gli fornivano tutti i soccorsi necessari; l'istinto lo trasse a farne uso. Poiché la fame e altre voglie gli facevano sperimentare volta a volta diverse maniere di vita, ve ne fu una che lo invitò a perpetuare la sua specie; e questo cieco impulso, sprovvisto di ogni sentimento del cuore, non produsse che un patto puramente animale: soddisfatto il bisogno, i due sessi non si riconoscevano più, e il figlio stesso non era più nulla per la madre, non appena potesse far senza di lei. Tale fu la condizione dell'uomo nascente; tale fu la vita di un animale limitato dapprima alle pure sensazioni, che approfittava appena dei doni che gli offriva la natura, lungi dal pensare a strapparle nulla. Ma ben presto sì presentarono difficoltà; bisognò imparare a vincerle: l'altezza degli alberi che gl'impediva di arrivare ai loro frutti, la concorrenza degli animali che cercavano di nutrirsene, la ferocia di quelli che minacciavano la sua vita, tutto l'obbligò a darsi agli esercizi del corpo; bisognò rendersi agile, rapido alla corsa, vigoroso nel combattimento. Le armi naturali, che sono i rami d'albero e le pietre, si trovarono subito sotto la sua mano. Imparò a superare gli ostacoli della natura, a combattere all'occorrenza gli altri animali, a disputare la sua sussistenza agli stessi uomini, o a indennizzarsi di ciò che doveva cedere al più forte. Man mano che il genere umano si estese, le fatiche si moltiplicarono con gli uomini. La differenza dei terreni, dei climi, delle stagioni, poté costringerli a introdurne nella loro maniera di vivere. Annate sterili, inverni lunghi e rudi, estati ardenti, che consumano tutto, li costrinsero a nuove industriosità. Lungo il mare e i fiumi inventarono la lenza e l'amo, e divennero pescatori e mangiatori di pesce. Nelle foreste si fecero archi e frecce, e divennero cacciatori e guerrieri Nei paesi freddi si coprirono delle pelli delle bestie che avevano uccise. Il fulmine, un vulcano, o qualche caso fortunato fece conoscere loro il fuoco, nuovo soccorso contro il rigore dell'inverno: impararono a conservare questo elemento, poi a riprodurlo, e infine a preparare con esso le carni, che prima divoravano crude. Questa ripetuta applicazione di cose diverse a se stesso, e di talune a talaltre, dovette naturalmente generare [...] in lui una specie di riflessione, o piuttosto una prudenza pratica, che gli indicava le precauzioni più necessarie alla sua sicurezza. Le nuove capacità intellettuali, che risultarono da tale sviluppo, aumentarono la sua superiorità sugli altri animali, rendendogliela nota. [...]

Cesare Beccaria (1738-1794) È tra i più celebri illuministi italiani. Nel 1764 pubblicò Dei delitti e delle pene, opera che fu tradotta in molte lingue e suscitò un vasto dibattito. Criticò due pratiche diffuse in tutti i Paesi dell’epoca, la tortura e la pena di morte: la paura della morte non ha mai impedito a un uomo di compiere azioni illecite, ma semmai la certezza di essere arrestato e punito la pena di morte è una pratica ingiusta: nessuno, nemmeno lo Stato ha il diritto di uccidere la tortura è invece «il mezzo più sicuro per assolvere i delinquenti robusti e condannare i deboli innocenti». Illustrazione della versione originale del testo di Beccaria

C. Beccaria, Dei delitti e delle pene «Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll'altro, che l'uomo non è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera? Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità. La morte di un cittadino non può credersi necessaria che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza che interessi la sicurezza della nazione; quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. La morte di qualche cittadino divien dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell'anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi; ma durante il tranquillo regno delle leggi, in una forma di governo per la quale i voti della nazione siano riuniti, ben munita al di fuori e al di dentro dalla forza e dalla opinione, forse piú efficace della forza medesima, dove il comando non è che presso il vero sovrano, dove le ricchezze comprano piaceri e non autorità, io non veggo necessità alcuna di distruggere un cittadino, se non quando la di lui morte fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti, secondo motivo per cui può credersi giusta e necessaria la pena di morte. Quando la sperienza di tutt'i secoli, nei quali l'ultimo supplicio non ha mai distolti gli uomini determinati dall'offendere la società […] Non è il terribile ma passeggiero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno piú forte contro i delitti. Quell'efficace, perché spessissimo ripetuto ritorno sopra di noi medesimi, io stesso sarò ridotto a cosí lunga e misera condizione se commetterò simili misfatti, è assai piú possente che non l'idea della morte, che gli uomini veggon sempre in una oscura lontananza».

C. Beccaria, Dei delitti e delle pene «[…]La prigionia è una pena che per necessità deve, a differenza d'ogn'altra, precedere la dichiarazione del delitto, ma questo carattere distintivo non le toglie l'altro essenziale, cioè che la sola legge determini i casi nei quali un uomo è degno di pena. La legge dunque accennerà gl'indizi di un delitto che meritano la custodia del reo, che lo assoggettano ad un esame e ad una pena.[…]. A misura che le pene saranno moderate, che sarà tolto lo squallore e la fame dalle carceri, che la compassione e l'umanità penetreranno le porte ferrate e comanderanno agl'inesorabili ed induriti ministri della giustizia, le leggi potranno contentarsi d'indizi sempre piú deboli per catturare. Un uomo accusato di un delitto, carcerato ed assoluto non dovrebbe portar seco nota alcuna d'infamia. Quanti romani accusati di gravissimi delitti, trovati poi innocenti, furono dal popolo riveriti e di magistrature onorati! Ma per qual ragione è cosí diverso ai tempi nostri l'esito di un innocente? Perché sembra che nel presente sistema criminale, secondo l'opinione degli uomini, prevalga l'idea della forza e della prepotenza a quella della giustizia; perché si gettano confusi nella stessa caverna gli accusati e i convinti; perché la prigione è piuttosto un supplicio che una custodia del reo[…] Le pene non devono solamente esser proporzionate fra loro ed ai delitti nella forza, ma anche nel modo d'infliggerle. Alcuni liberano dalla pena di un piccolo delitto quando la parte offesa lo perdoni, atto conforme alla beneficenza ed all'umanità, ma contrario al ben pubblico, quasi che un cittadino privato potesse egualmente togliere colla sua remissione la necessità dell'esempio, come può condonare il risarcimento dell'offesa. Il diritto di far punire non è di un solo, ma di tutti i cittadini o del sovrano. Egli non può che rinunziare alla sua porzione di diritto, ma non annullare quella degli altri. PROCESSI E PRESCRIZIONE Conosciute le prove e calcolata la certezza del delitto, è necessario concedere al reo il tempo e mezzi opportuni per giustificarsi; ma tempo cosí breve che non pregiudichi alla prontezza della pena, che abbiamo veduto essere uno de' principali freni de' delitti. Un mal inteso amore della umanità sembra contrario a questa brevità di tempo, ma svanirà ogni dubbio se si rifletta che i pericoli dell'innocenza crescono coi difetti della legislazione. Ma le leggi devono fissare un certo spazio di tempo, sí alla difesa del reo che alle prove de' delitti, e il giudice diverrebbe legislatore se egli dovesse decidere del tempo necessario per provare un delitto. Parimente quei delitti atroci, dei quali lunga resta la memoria negli uomini, quando sieno provati, non meritano alcuna prescrizione in favore del reo che si è sottratto colla fuga; ma i delitti minori ed oscuri devono togliere colla prescrizione l'incertezza della sorte di un cittadino, perché l'oscurità in cui sono stati involti per lungo tempo i delitti toglie l'esempio della impunità, rimane intanto il potere al reo di divenir migliore.[…]»

LA NASCITA DELL’ECONOMIA POLITICA - La cultura illuministica stimola lo sviluppo dell’economia politica, scienza che studia i modi e le regole della formazione e distribuzione della ricchezza - Le nuove dottrine economiche, in Francia, furono elaborate dai fisiocratici (dal greco physis, «natura» e krátos, «potere», «forza»)secondo i quali la ricchezza si forma nella produzione agricola: la terra ha la capacità di fornire un «prodotto netto», ovvero una quota di produzione eccedente il fabbisogno di sussistenza Occorre eliminare tutti i vincoli nella compravendita della terra (manomorta, fidecommesso) e nel commercio dei grani (lo Stato non deve intervenire impedendo l’esportazione e mantenendo basso il prezzo dei grani per timore di carestie e rivolte popolari)

LA NASCITA DELL’ECONOMIA POLITICA - Gli addetti all’agricoltura rappresentano gli unici lavoratori produttivi, mentre mercanti e artigiani costituiscono una «classe sterile», non di produttori, ma di meri distributori e trasformatori di ricchezza - Solo la circolazione , la concorrenza e l’aumento dei prezzi avrebbe favorito gli investimenti in agricoltura e, di conseguenza, l’aumento della produzione - Lasciata al suo libero corso la natura opera sempre per il meglio: «Lassez faire, laissez passer les merchandises» («Lasciate fare, lasciate passare le merci») era il motto dei fisiocratici, ripreso dal

MERCANTILISMO E LIBERISMO A CONFRONTO MERCANTILISMO: dottrina economica secondo la quale la ricchezza di un paese si misura sulla base della quantità di moneta preziosa presente sul suo territorio, per cui la quota di ricchezza globale disponibile è fissa. Se uno Stato vuole aumentare la propria quantità di ricchezza deve farlo a danno dei paesi rivali, cercando di aumentare le esportazioni e diminuire le importazioni. A tal fine lo Stato deve intervenire imponendo barriere doganali e monopoli. LIBERISMO: dottrina economica secondo la quale le forze della concorrenza e del mercato devono essere lasciate libere di agire, prive di vincoli imposti da parte dello Stato, dal momento che la ricchezza è incrementabile ed è possibile favorirne la crescita. Si basa sulla legge della domanda e dell’offerta, per cui il prezzo dei beni è il punto di equilibrio tra la quantità e il valore delle merci offerte e richieste sul mercato e la concorrenza , che spinge gli imprenditori a produrre le merci più richieste a costi, e quindi a prezzi, più bassi possibile.

IL LIBERISMO DI ADAM SMITH (1723-1790) Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776): opera pubblicata da A. Smith, ritenuta l’atto di nascita dell’economia politica come scienza - Secondo Smith proprio l’intraprendenza dei lavoratori industriali (sterili per la fisiocrazia) genera l’effettiva ricchezza nazionale. Postula il lassez faire e l’intervento minimo dello stato, nonché l’esistenza di un ordine naturale in cui, se ciascuno è lasciato libero di seguire naturalmente il suo interesse particolare, finisce per contribuire, necessariamente, al benessere collettivo ed alla felicità generale. Si tratta di una volontà provvidenziale che va oltre le intenzioni dei singoli e di un agire che sembra guidato da quella che S. chiama una «mano invisibile». - L’espansione del sistema economico è legata all’incremento della produttività garantito dalla divisione del lavoro, dal reinvestimento continuo dei profitti e dall’innovazione tecnologica. S. difende, come i fisiocratici, il libero scambio ed il libero mercato. - In particolare la divisione del lavoro, ovvero la scomposizione delle mansioni all’interno del processo produttivo, accresce la specializzazione del singolo lavoratore, riduce i tempi morti nel passaggio da un’operazione all’altra, facilita l’introduzione di macchinari adatti alle singole fasi della lavorazione, permettendo di produrre una maggiore quantità di beni in minor tempo e con costi ridotti.

IL LIBERISMO DI ADAM SMITH Lassez faire e l’intervento minimo dello stato «MANO INVISIBILE» L’interesse particolare promuove il benessere generale specializzazione del singolo lavoratore riduzione dei tempi l’introduzione di macchinari Divisione del lavoro Maggiore quantità di beni in minor tempo e con costi ridotti

I protagonisti del dispotismo illuminato La seconda metà del Settecento fu per alcuni Paesi europei una stagione di riforme. Fu un processo realizzato dall’alto, influenzato dall’Illuminismo ma voluto dai sovrani assoluti. Federico II di Prussia Maria Teresa d’Austria e suo figlio Giuseppe II Abolizione della tortura e riduzione delle condanne a morte Caterina II di Russia Introduzione del catasto Fondazione di scuole statali Abolizione della tortura Maggiore libertà religiosa Confisca di molte proprietà della Chiesa Pietro Leopoldo Granducato di Toscana Carlo III di Borbone Regno di Napoli Bonifica dei terreni paludosi Abolizione di tortura e pena di morte Eliminazione di alcuni dazi Introduzione del catasto Riorganizzazione della giustizia

Nessuna riforma per Francia e Inghilterra Tentativo da parte del ministro Turgot di introdurre alcune riforme. Molte delle riforme introdotte dal dispotismo illuminato erano già state attuate nel corso del Seicento. Forte opposizione dei nobili e licenziamento di Turgot da parte di Luigi XVI nel 1776. Potere del sovrano già fortemente limitato dalla Dichiarazione dei diritti (1689). La patria di Rousseau e Montesquieu, sostenitori di una nuova concezione del potere, dovrà aspettare la rivoluzione del 1789. Ben presto la monarchia inglese si troverà ad affrontare la rivoluzione che porterà all’indipendenza delle sue colonie americane.

Le idee illuministe oltreoceano «Riteniamo di per sé evidentissime le seguenti verità: che tutti gli uomini sono stati creati uguali e dotati di diritti inalienabili; […] che tra questi diritti vi sono la vita, la libertà, la ricerca della felicità; che per garantire questi diritti il popolo ha il potere di scegliere il Governo che ritiene più opportuno e di abbattere quelli che ritiene dannosi». 1776 DICHIARAZIONE D’INDIPENDENZA proclamata dai rappresentanti delle 13 colonie inglesi all’inizio della guerra con l’Inghilterra Potere esecutivo affidato a un Presidente eletto ogni 4 anni. Potere legislativo assegnato a due Camere, il Congresso e il Senato. Potere giudiziario attribuito alla Corte Suprema composta da giudici nominati dal Presidente. Il diritto al voto fu concesso ai maschi maggiorenni su base censitaria. Neri e pellerossa furono esclusi. 1787 La COSTITUZIONE del nuovo Stato repubblicano e federale Il principio di uguaglianza solennemente dichiarato nel 1776 era stato tradito, tuttavia in molti nell’Europa delle monarchie assolute guardarono agli Stati Uniti come a un modello da imitare.